Accanto alla sua attività di poeta e critico d’arte non va dimenticato il lavoro come traduttore di Cesare Vivaldi

E invero spesso è invalidata anche la distinzione tra il mecenatismo (e la convenienza) di chi pubblica o promuove autori sine munere e quelle imprese che invece stampano libelli a pagamento: non è certo retorico citare uno dei poeti più riconosciuti del secondo dopoguerra quale Giovanni Giudici, che ha legato la sua prima produzione, quella di “Fiorì d’improvviso” (Edizioni del Canzoniere 1953) ad una edizione privata <6; e, allo stesso modo, potremmo indicare Maurizio Cucchi per la generazione successiva […]
6 Cfr. C. Di Alesio, Cronologia, in G. Giudici, I versi della vita, a cura di R. Zucco, con un saggio introduttivo di C. Ossola, cronologia a cura di C. Di Alesio, Mondadori, Milano 2000, p. LVIII; ma già in G. Giudici, Saba: l’amore e il dolore, in ID., La dama non cercata. Poetica e letteratura (1968-1984), Mondadori, Milano 1985, p. 206: «Il mio libretto [Fiorì d’improvviso] era uscito, naturalmente, a mie spese: però non del tutto senza un preliminare giudizio selettivo, non del tutto abbandonato a se stesso. Era, infatti, inserito in una collana che si chiamava […] “Edizioni del Canzoniere” e che era diretta da Elio Filippo Accrocca e Cesare Vivaldi: ogni autore accolto pagava il costo di stampa direttamente a una tipografia di Trastevere e riceveva in cambio l’intera tiratura di trecento esemplari più altrettante buste a sacchetto con l’intestazione della collana accompagnata però dal proprio indirizzo e numero telefonico. La spesa fu di 25 mila lire, un mese di affitto per una bicamere di periferia».
Marco Corsi, Dieci anni di «Poesia» come paradigma. 1988-1998 in Canone e Anticanone. Per la poesia negli anni Novanta, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2012

Nel 1964, presso l’editore Guanda, il cui legame con Delfini è superfluo menzionare, usciva, a cura di Cesare Vivaldi, altro amico di Delfini, un’antologia militante, dal titolo Poesia satirica nell’Italia d’oggi. Proprio nell’Introduzione, citando un suo più antico scritto, Vivaldi asseriva:
“Poeti schiettamente satirici come Fratini, Balestra, Vollaro, poeti che, anche se non esclusivamente satirici, usano i mordenti del grottesco e dell’ironia come Delfini, Risi, Erba, Pasolini, Giuliani, Pagliarani, Balestrini, Sanguineti, Giudici […] sono un fenomeno nuovo e importante […]. E c’è a Roma persino una rivista, in altri tempi inconcepibile, praticamente specializzata nella letteratura ironica, grottesca, eccentrica, bizzarra: Il caffè, che Giambattista Vicari riesce a far vivere e prosperare ormai da ben dieci anni (Vivaldi 1964: X)”.
L’individuazione e mappatura di una o più linee della poesia comica realizzata da Vivaldi, che mescola fenomeni del tutto eterogenei, mi pare ampiamente smentita dalla diacronia. Ma non si può negare, in quel torno di anni, una volontà quasi demiurgica – di costituire una nuova tradizione di poesia comica, stretta attorno ad alcuni promoters (importantissimi Vicari e di «il Caffè» <36), cui Delfini, se invocato, non manca di dare la propria collaborazione, per quanto vada registrata l’eccedenza delfiniana rispetto alle orbite della satira pura, come del resto fa Vivaldi stesso.
36 È appunto su «il Caffè» che Delfini pubblicherà, in varie uscite, la quasi totalità delle ‘Poesie della fine del mondo’, nel corso del 1959 e 1960. Vivaldi, nella succitata antologia, individua ben quattro tendenze della poesia satirica: una linea palazzeschiana; una linea engagée, dell’impegno, una linea popolaresca, una linea legata all’ermetismo. Delfini viene fatto afferire alla terza: che «ha origini e tradizioni ancor più remote: lo strambotto, il rispetto, la poesia popolare (e popolaresca) in genere, la facezia umanistica, i sonetti caudati del Cinque, Sei e Settecento, la polemica in versi illuministica e romantica, il Giusti, gli Scapigliati, Zena, il vaudeville, Jarry, Apollinaire eccetera. È una tradizione di satira molto brillante e letterata quella che presiede da una parte al lavoro di scrittori come Noventa e Soldati, dall’altra a quello di autori “bizzarri”, eccezionali come Maccari, Bartolini, Flaiano, Delfini, Tobino, Balestra, Fratini, Morsucci, Vollaro…» (Vivaldi 1964: XVI-XVII).
Gian Luca Picconi, Inumana intertestualità: appunti sulla citazione, Cuadernos de Filología Italiana, 2005, vol. 12, 123-148

  1. [Cartolina postale] 1952 sett. 28, Roma [a] Oreste Macrí, Parma / [Elio Filippo] Accrocca. – [2] pp. su 1 c. – Carta intestata «Il Canzoniere. Quaderni di poesia». – Su c. 1 r. annotaz. autogr. – Indirizzo cassato e corretto da altra mano in «Salerno»
    Lo ringrazia a nome suo e degli amici del «Canzoniere» [«Quaderni del Canzoniere», rivista diretta da Elio Filippo Accrocca insieme a Cesare Vivaldi] per l’attenzione prestata al libretto di Fratini [Gaio Fratini, I poeti muoiono (1945-1952), Edizioni del Canzoniere, Roma 1952] nel suo articolo [Oreste Macrí, Poeti nel tempo, «Il Mattino dell’Italia Centrale», 12 settembre 1952; poi in «Il Raccoglitore » (quindicinale della «Gazzetta di Parma»), II, 24, 2 ottobre 1952, p. 1; poi col titolo Nuove poesie, in CF, pp. 226-228]. Domanda se abbia ricevuto i numeri precedenti della rivista. In caso contrario glieli spedirà.
    […]
    Vivaldi, Cesare
    A caldi occhi : 1964 – 1972 / Cesare Vivaldi. – Milano : All’Insegna del Pesce d’oro, 1973. – 133 p. ; 17 cm. (Acquario ; 66) Ed. di 1000 esemplari numerati: copia n. 223 Sull’occhietto dedica ms. dell’A.: «A Oreste Macrí con viva cordialità, Cesare Vivaldi 12/10/73» FMa LI 4506
    Il cuore d’una volta : (1951 – 1955) / Cesare Vivaldi. – Caltanissetta – Roma : Sciascia, [1956]. – 49 p. ; 17 cm. (I quaderni di «Galleria» / a cura di Leonardo Sciascia ; 23) Sull’occhietto dedica ms. dell’A.: «ad Oreste Macrí con massima stima, Cesare Vivaldi Roma 31/8/56 via della Cisa II» FMa LI 4507
    Dettagli / Cesare Vivaldi. – [Milano] : Rizzoli, c1964. – 110 p. , 21 cm. Sull’occhietto dedica ms. dell’A.: «Cordialmente, Cesare Vivaldi» FMa LI 4508
    Dialoghi con l’ombra / Cesare Vivaldi ; con 5 disegni di Giulio Turcato. – [Perugia] : Grafica, stampa 1960. – 46 p. : ill. ; 22 cm.
    (Collana di poesia e letteratura contemporanea)
    Sul front. dedica ms. dell’A.: «A Oreste Macrí con simpatia e stima, Cesare Vivaldi»
    FMa LI 4509
    Ode all’Europa : e altre poesie (1945 – 1952) / Cesare Vivaldi ; con tre illustrazioni di Domenico Purificato. – [S.l.] : Edizioni della sfera, 1952. – 44 p. : ill. ; 25 cm.
    Sulla c. di guardia iniziale annotazione ms. – Sul front. firma ms. dell’A. – Vol. in cattivo stato di conservazione
    FMa LI 4510
    I porti / Cesare Vivaldi. – Modena : Guanda, 1943. – 66 p. ; 19 cm.
    (Nuova serie di poeti italiani ; 4)
    Copia n. 224
    Sulla c. di guardia iniziale firma ms. di Oreste Macrí e data ‘943. – Vol. intonso
    FMa LI 4511
    Redazione, La biblioteca di Oreste Macrì, Vieusseux

Cesare Vivaldi (Imperia, 13 dicembre 1925 – Roma, 13 gennaio 1999) è stato un poeta, critico d’arte e traduttore italiano.
Nel 1932 lascia la Liguria per trasferirsi a Roma, dove consegue la laurea in Lettere nel 1951 con una tesi sulla poesia di Dino Campana discussa con Giuseppe Ungaretti.
Nel dopoguerra partecipa all’esperienza della rivista «La strada» di Antonio Russi, iniziando anche la sua attività di critico d’arte.
Iscrittosi al PCI, diviene giornalista per «L’Unità», ma in seguito ai fatti d’Ungheria abbandona il partito. Esordisce giovanissimo come poeta con I porti (Guanda 1943), raccolta ancora improntata ad uno stile ermetico, per poi dedicarsi ad una poetica di tipo neorealista. Già a partire dalla pubblicazione di Otto poesie nel dialetto ligure di Imperia (Arte della Stampa 1951), si manifesta il suo interesse per la poesia dialettale, cui dedicherà alcuni lavori (Poesie liguri 1951-1954, All’insegna del pesce d’oro 1960; Poesie liguri vecchie e nuove, All’insegna del pesce d’oro 1980; La vita sa di buono: tutte le poesie in dialetto ligure (1951-1992), Newton Compton 1996).
A partire dagli anni Sessanta la sua poesia si fa sperimentale e risente dell’influsso della neoavanguardia. La sua attività poetica è sempre accompagnata da un’eguale attenzione per le arti visive.
Collabora, infatti, con alcuni artisti per la realizzazione di opere quali: Ode all’Europa ed altre poesie. 1945-1952(Edizioni della Sfera 1952), con tre illustrazioni di Domenico Purificato; Dialogo con l’ombra (Grafica 1960), con cinque disegni di Giulio Turcato; Disegni e poesie (Edizioni Arco d’Alibert 1966), cartella contenente venti poesie dell’autore e ventisette disegni di Osvaldo Licini; Immagini catturate (Edizioni della Pergola 1970), con cinque incisioni di Emilio Scanavino e sei poesie dell’autore.
Nel 1972 collabora con l’artista Ermanno Leinardi per la realizzazione della cartella Sei O, composta da sei serigrafie e una sua poesia. Gli anni Ottanta e Novanta risultano altrettanto proficui sia per quanto riguarda la critica d’arte, che la poesia.
A sua firma escono, infatti, svariati interventi su cataloghi di mostre dedicate ad artisti quali Antonio Sanfilippo, Achille Perilli, Gastone Novelli, Enzo Brunori e molti altri, nonché raccolte quali Le parole e la forma: 12 poesie per 12 artisti (Botolini 1984), La brace delle parole (Grafica dei Greci 1984), con tre serigrafie originali di Piero Dorazio, Pietra d’Assisi (1985-1987) (Menagò 1988), con disegni di Claudio Verna, Poesie scelte, 1952-1992 (Newton Compton, 1993) e Il colore della speranza. Poesie 1951-1998 (Piazzolla 1999). Nel 1991, inoltre, impronta con Giacinto Spagnoletti un repertorio di poeti dialettali (Poesia dialettale dal Rinascimento a oggi, Garzanti 1991).
Accanto alla sua attività di poeta e critico d’arte non va dimenticato il suo lavoro come traduttore, iniziato nel 1961 con le traduzioni di Arthur Rimbaud (Poesie; Illuminazioni; Una stagione all’inferno, Guanda 1961) e proseguito con quelle dal latino degli Epigrammi di Marziale (Guanda 1962), l’Eneide di Virgilio (Guanda 1962, più volte riedita), Contro le donne di Giovenale (Newton 1993) e L’arte d’amare; Come curar l’amore; L’arte del trucco di Ovidio (Newton 1996).
Morì a Roma il 13 gennaio 1999.
Redazione, Cesare Vivaldi in Critici dell’Arte, Artslife History

[783] CESARE VIVALDI
Fiumara, Primavera
[Poesie]
Quaderno XVIII, II semestre 1956, pp. 461-466.
In ‘Fiumara’ (A Diego Carpitella) il poeta dice all’amico Piero che l’insoddisfazione che prova, il suo volto mesto che invecchia, il suo sorriso – che è insieme noia e speranza ma è comunque vivo – si rispecchiano nel paesaggio intorno al fiume dove ci sono i casotti da pesca, le barche, i pescatori di anguille. All’amico dice anche di non abbattersi perché, sebbene il paesaggio suggerisca un senso di morte e sembra dire che tutto è vano, loro due sono ancora giovani. Forse le dighe servono a difenderli dal tedio e dal disgusto e la nube in cielo dice che tutto si può rifare, uomini e cose. I due giovani, camminando, crescono, e la vita non è un’isola ma un ponte dove possono andare tranquilli alla foce di mestizia finché una voce canta lontano. Nella poesia intitolata ‘Primavera’ il poeta dice che quando il cielo si copre di nubi e i colori sembrano raggelarsi a lui pare che la vita sia abolita e se ne va con il cuore stretto per le vie scurite dalla pioggia pensando che l’amore non sia cosa per lui se in esso c’è tanto amaro e così poco dolce. Nella sua mente si disfano i pensieri e sente se stesso come l’ombra di quello che fino a poco prima scriveva «viva la vita». Cammina lungo un viale ed arriva ad un sobborgo dove, sulle erbacce, sorgono grattacieli, baracche e cumuli di immondizia. E’ inutile proseguire oltre l’Aniene perché più in là ci sono solo i campi e l’aeroporto. Il poeta si ferma ad un’osteria a bere vino rosso. Ora sorride, vivo, e nel bicchiere capovolto vede le strade, il cielo, le case fino a che tutto svanisce nel ricordo del riso della donna amata. Egli pensa che quello per cui ha faticato è suo, anche l’amore, il volto, il nome e la presenza di lei. Se guarda indietro si vede come uno che è giunto al termine del viaggio sognato e sente che non vi è più nulla di triste nel passato. Dice di asciugare le lacrime che nascono ricordando il passato, perché loro sono giovani e devono percorrere strade nuove. Il poeta sa che la vita è breve, perciò vuole che rimanga di lui un ricordo di purezza e vigore: scrisse quest’ode quando aveva trent’anni.
Azzurra Aiello, La Rivista Letteraria «Botteghe Oscure», Tesi di Laurea, Università degli Studi di Roma La Sapienza, Anno Accademico 1998/1999

Partito da una matrice ermetica subito sconfessata, Cesare Vivaldi cercò per tempo un suo modo di aderire alle tendenze neorealistiche del secondo dopoguerra, fino a inserire la sua recherche nelle forme chiuse della tradizione: sonetto, cabaletta, ode (quest’ultima con tanto di clausola firmata: “…storia/ di sé e di te, di questi giorni caldi/ d’amore e luce e gelidi d’affanni,/ quest’ode scrisse Cesare Vivaldi/ nei suoi trent’anni”.). A ripercorrere l’arco della poesia vivaldiana, si ha l’impressione che le sue scelte stilistiche siano, volta per volta, un modo tangenziale, eppure utile, per far levitare le proprie possibilità linguistiche e saggiarne il punto di resistenza. Nella Premessa al primo mannello di poesie dialettali (1951), Vivaldi lo definisce “un tentativo di ricerca di un linguaggio nuovo, più spontaneo, immediato e popolare”. E che di effettiva ricerca si tratti, lo dimostra la sua indifferenza nei riguardi della correttezza morfologica e lessicale della parlata prescelta e la trasposizione, dalla lingua al dialetto, di alcuni motivi-chiave: l’esempio più vistoso è, in Dettagli (1964), la poesia Via Galli (” L’ho descuvèrtu ina strada zenèse/ che a se ciàmma via Galli e a nu so cosa:7 doe fie de bassi pin e la cumpagna/ fin vers u lidu d’Arbà, a campagna/ d’ina gran villa la serra…”). Ma non è soltanto una ricerca stilistica, la sua; sottende tutto un impegno, anche civile: basti pensare all’ampia ode che conclude le Poesie liguri. Tra il 1960 e il 1962 si ha lo scarto, in apparenza, più rilevante di Vivaldi, con quegli Esercizi di scrittura che formano la sezione conclusiva di Dettagli, e sono, per dirla con Giuliano Gramigna, ” una sorta di sequenza a scatole cinesi verbali (…), dove un certo numero di parole, fissate all’inizio, si permutano, infinitamente alla ricerca avventurosa dell’urto necessario, insomma dell’apparizione poetica”. Tuttavia si deve anche tener conto che, in tutto questo tempo, Vivaldi si è mantenuto fedele al filone dialettale e che la sezione più recente dell’ultima sua raccolta è “scritta”, per usare sue parole, “tradizionalmente”.
Giuseppe Cassinelli

Questo mese è una data nella storia
dell’Italia: quattordici di luglio
del millenovecentoquarantotto.
Un’immagine sola alla memoria
ritorna: il Policlinico, nel mùglio
del popolo crescente, ininterrotto.
Cesare Vivaldi, Luglio

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.