Alcuni dei giovanili di Vigevani potrebbero essere ricondotti alle forme testuali del capitolo o del frammento

Nei primi anni della sua attività letteraria, Alberto Vigevani mostra dunque la propria propensione per una scrittura letteraria in cui si affacciano situazioni ambigue, sorprendenti e fantastiche, insieme a costruzioni dichiaratamente immaginarie all’insegna della libera fantasia, e a quadri onirici venati di angoscia.
Questo ventaglio di elementi potrebbe essere ricondotto agli stimoli che gli arrivano dall’ambiente letterario fiorentino. Tra i molti letterati che Vigevani cita a comporre l’orizzonte culturale dei propri anni giovanili, compaiono Antonio Delfini e Tommaso Landolfi: «strinsi amicizia con Antonio Delfini, qualche sera, uscendo dai tavoli da gioco, familiari a lui e a Landolfi, di cui ammiravo, per l’atmosfera kafkiana, ‘Il mar delle blatte’, da poco pubblicato nelle edizioni degli eroici fratelli Parenti». <31
Vigevani – che, secondo lo spirito dell’epoca, è un lettore devoto della contemporanea produzione letteraria francese – dichiara, d’altra parte, il proprio interesse per esperienze straniere quali il surrealismo, che hanno proprio a Firenze una certa risonanza. In un articolo su «Prospettive», Vigevani scrive: “Appunto il surrealismo ha condizionato una apertura delle sorgenti del meraviglioso, un’apertura su cieli che i testi (dei quali si dovrà ben parlare) sostengono come le terre di una scoperta recente, sotto il velo offuscante d’una critica fino a ieri à trompe l’oeil: quel corso naturale dell’irreale a cui applicare una fenomenologia basata su alcune costanti d’intensità dell’immaginazione e della sua risposta, appunto, nel linguaggio: di quelle cifre dell’immaginario che sono i punti di ricupero del fantastico collettivo. L’onirico collettivo come sorgente di una composizione che compiendosi per una facoltà acutizzata della coscienza, e del suo movimento oggetto-soggetto, ci concederebbe la cifra del sogno come suggerimento e proprio ambiente della poesia”.
Esprimendosi in una prima persona plurale – con la quale sembrerebbe, più che altro, farsi portavoce di quel gruppo di «letterati» ai quali si accosta – Vigevani riconosce un «debito verso i surrealisti»: “Sottovoce (perché hanno fatto molto rumore) siamo condotti a riconoscere il debito nostro verso i surrealisti, quello d’averci condotti a una concezione meno superficiale della poesia (una concezione letteraria, e di misura: poesia e non poesia) che fosse vitale, di conforto, prima di tutto, a quelle ragioni che ci spingono a vivere, la stessa cosa di quelle ragioni, la loro autonoma vita, quella crescita interna e feconda; d’una poesia che nominasse l’immensità e l’imprecisione, ancora, di quell’altra vita, che ne faccia il tetto infinito di un mondo finito, e nelle cui espansioni, fratture, intervalli, ne scopra il linguaggio segreto, sul «miroir du merveilleux»”. <32
Ancora in questo articolo, Vigevani sottolinea la distinzione tra sogno e poesia, e afferma l’importanza dell’elemento onirico, che, come si è visto, è per lui motivo di interesse. <33 Infine, il letterato milanese dichiara come «la suggestione del sogno», richiamata dal surrealismo, influenzi anche la letteratura che non deriva direttamente dal «metodo» proposto dal movimento francese.
“L’insegnamento di Eluard? Non violento ma paziente (per quelli che avevano creduto soltanto alla violenza). Per cui la suggestione del sogno non si limita ai pochi nomi cui il metodo si adattava, ma si scioglie dalla volontà delle scuole e si espande come una macchia d’ombra, sulle pagine antiche e nuove: la scandita e doppia sintassi di Caradano, la scientifica ebbrezza di Paracleso, il sortilegio d’un Sceve, la violenza e l’ironia dei germanici. Melville perfino, l’impalco marino della sua frase lunga e sussultante; Kafka che procedeva a chiedere risposte mai giunte (ma a noi, e a lui, il messaggio in qualche modo arrivò) cui tendeva una volontà di religione”. <34
Vigevani dà qui i primi segni della propria attitudine a prestare orecchio alle sollecitazioni e ai motivi appartenenti a diverse esperienze letterarie, accogliendoli anche parzialmente – spesso a livello contenutistico delle proprie opere, come si è in parte visto, e ancora si vedrà, nel caso degli elementi onirici, e come soprattutto si dirà del motivo della memoria infantile mutuato da Proust -, senza approfondire o condividere gli aspetti teorici o tecnici di tali esperienze.
Ancora a proposito di surrealismo, nel numero di «Prospettive» intitolato “Il surrealismo e l’Italia” – sul quale scrivono anche Anceschi, Bigongiari, Bo, Ferrata, Malaparte, Luzi, Moravia, Vigorelli, e Alberto Savinio, un altro riferimento che si potrebbe scorgere dietro i suoi esercizi maggiormente connotati nel senso della libera fantasia – Vigevani approfondisce, proprio secondo una simile ottica, il tema dei rapporti tra Kafka e questo fenomeno letterario.
“È un fatto che le annessioni al Surrealismo di alcuni artisti sono per lo più limitate a certe zone in cui è possibile notare uno specifico carattere surrealista. Per Kafka è avvenuto lo stesso […]. Surrealista in senso lato è ogni artista, per quanto si rifiuta di accettare la realtà esteriore come «donnée» incontrovertibile, ma, nell’affermare le essenziali distinzioni tra Kafka e il Surrealismo intendo per Surrealismo quella poetica che pretende a totale ed autonoma visione del mondo, che ha un suo linguaggio abbastanza preciso nella definizione di un suo rigore critico e metodo logico ricavabile dai testi di Breton, Aragon, Eluard, ecc”. <35
Si vedrà in seguito – a proposito del processo di genesi delle opere narrative di Vigevani – quanto per lo scrittore sia rilevante l’idea di associare alla propria scrittura alcuni aspetti delle esperienze da lui apprezzate, senza assumerne il «metodo», come egli stesso afferma a proposito del surrealismo. A proposito delle note su Kafka, si potrebbe osservare che esse valgono come un sostegno all’ipotesi di un riferimento di Vigevani a Tommaso Landolfi, il quale, per sua stessa dichiarazione, lo affascina per «l’atmosfera kafkiana» delle opere. Da tali frequentazioni letterarie lo scrittore pare mutuare proprio l’elemento delle rappresentazioni di sogni e di quadri di carattere notturno, immaginario, misterioso e, a in alcuni casi, angoscioso, che, come si vedrà, avrà un certo spazio nel suo modello di narrativa dell’interiorità. A livello stilistico, questi elementi consentono all’autore di esibire il proprio gusto per immagini elaborate e continuamente arricchite di particolari, già evidente in queste prime prove, e visibile in “La compagna dei sogni”: “Giunti all’ultimo gradino delle scale, guardiamo nel corridoio le ombre calare dinnanzi ai nostri occhi ancora oppressi, folgoranti di lampi e di meteore, e ci par di non poter credere a quella realtà. Ci par di venire da un mondo astrale e in movimento, e di ritrovarci nel buio materiale d’un altro mondo, ove appena gli occhi abbacinati di colori vividi come mai si videro quaggiù stentavano ad aprirsi. Dinnanzi a noi si aprono nel corridoio alcune porte a vetri a uguali distanze l’una dall’altra”. <36
Tutto ciò sembra iscriversi in una generale tendenza dell’autore verso uno stile evidentemente connotato nel senso della letterarietà; lo rivelano brani come: “Il paesaggio desolato dell’alba, fuori, mi si rammenta e il silenzioso dolore che ha lasciato entro di me la sua fuga mi conduce a immaginare di lei una figura mitica, di continuo smarrita in una ricerca che mi rimane impenetrabile”. <37
Questo è uno degli attributi che unificano il gruppo dei testi pubblicati su rivista. È esemplare il caso di “Lettera a un cugino lontano”, <38 in cui una voce narrante femminile si rivolge a un proprio parente, lontano e con il quale non è più in rapporti da anni; essa ripercorre la passata e felice (quasi idilliaca) vita coniugale, piangendo la morte del marito e la condizione del proprio paese in guerra. Il racconto è condotto, in molti punti, secondo la tendenza a un’intonazione lirica: “Cugino mio, tu non hai conosciuto mio marito! Versava in me il suo miele non so di dove distillato, ed io mi ritrovavo felice e cantavo sul balcone all’alba pensando al suo lavoro, mentre curavo i gerani affacciata alla balaustra, sul giorno. Giorni chiari e sereni, lo aspettavo per la sera, rientrava alle prime ombre accompagnato da una coda di ragazzi, ai quali insegnava a suonare una canzonetta con un filo d’erba teso dinnanzi alla bocca, oppure un passo di danza, o una storia di quelle che sapeva, che mescolavano i fatti della Bibbia con personaggi e concetti nuovi e comprensibili solo sulla sua bocca, sottolineati dalle sue mani, e annunciati e seguiti dal gioco
contenuto del suo sguardo. Io lo aspettavo per tutto il giorno fino alle prime ombre della sera ed era una gioia profonda che mi penetrasse la vita impedendomi il respiro. E non avevo bisogno di ingannare il tempo. Il tempo passava da sè. Ed ogni momento era un rito, e ogni cosa per me veniva naturalmente a posarsi sulla pagina di un dizionario che fosse stato composto per il suo linguaggio”. <39
Il lirismo si accentua ancora, fino a sfociare in una sorta di trasfigurazione della figura del marito. “Ed i vicini lo guardavano sorridendo e i ragazzi lo salutavano festosamente dalla via, prima di svoltare l’angolo, e il nostro balcone era alto, fiorito di gerani e la sera vicina che non si dispiaceva del commiato frusciando lungo la balaustra. Venivano le colombe a stormi che fregiavano il cielo, le nostre colombe d’Europa tu le devi certo ricordare quando tornano dal Sud, e sono contente di ritrovare mani amiche sui davanzali. Gli si mettevano sulle spalle e sulle mani, si trasformava in un grande veliero con tutte le vele che gli stormivano attorno al capo. E tutto si capiva, pareva non accorgersene eppure portava certo una minuscola chiave, e magicamente ognuno s’apriva con lui”. <40
La scrittura mostra una simile caratteristica di sospensione e una patina poeticizzante (ottenuta attraverso le scelte lessicali, il ritmo periodale e la ricerca a un effetto di musicalità) anche nella rappresentazione della scena di guerra che sconvolge l’idillio. <41
Per questi attributi stilistici, alcuni dei «componimenti circoscritti e distinti» <42 giovanili di Vigevani, potrebbero essere ricondotti alle forme testuali del capitolo o del frammento, peculiari del fenomeno della prosa d’arte, ancora largamente praticata in quegli anni; anche questa potrebbe essere dunque compresa, anche se indirettamente, nel ventaglio dei riferimenti letterari del giovane scrittore. Come anticipato, il gruppo di testi pubblicati da Vigevani tra il 1938 e il 1941 mostra una varietà di riferimenti e di suggestioni letterari tale da non offrire un quadro organico. È piuttosto possibile ricavarne la conferma della tendenza da parte di Vigevani, ora nei panni di scrittore, a porsi in contatto con i fenomeni, soprattutto di matrice fiorentina, più caratterizzati nel segno della letterarietà.
[NOTE]
30 Ibidem. Medesimi motivi ricorrono in tutto il testo: «Mi addolora pensare che in quella villa essa ripeta ogni notte i suoi appuntamenti: fedele soltanto ai luoghi, ossessionata ed eccitata dal sangue e da quelle scale buie. Certo adoperò con altri le sue arti, ad altri insinuò la paura che godette sciogliere contro il mio corpo. Sconosciuta donna che approfittò del mio sonno per incutermi il tormentoso pensiero dei suoi abbracci, che nulla posso fare per ottenere ripetuti, nè per dimenticare» (ivi, p. 31).
31 A. VIGEVANI, La febbre dei libri, cit., p. 233.
32 B. VANI, Sogno e poesia, in «Prospettive», anno IV, n° 11-12, 15 dicembre 1940, p. 18.
33 «Il sogno è la possibilità di entrare in relazione con un universo di struttura ben più complessa di quello che ci è calcolato da svegli, relazione più connaturale e più ricca. Entro questo ordine surreale ci conduce il sogno, ma il sogno non è ancora poesia, è l’oggetto disincantato dalla sua operazione che si compie in una presa di possesso di quei segnali, di quelle corrispondenze, che ci offrono la cifra per la totalità della realtà, fuori anche, cioè, da quella che è concepita incoscientemente. Le possibilità di nutrimento della poesia sono infinite, ma esse muovono appunto a portarci a una conoscenza di quei rapporti che formano l’occasione stessa dell’essere, cogliendone la struttura, ricostruendone il senso. L’esperienza del sogno ci conduce a quella disorganizzazione del mondo per cui è possibile un ritrovamento delle radici («racine du jour tendre» Eluard), la poesia è la via della ricostruzione, poi, del reale, che si basa sulla conoscenza delle relazioni percepite nel sogno. / […] La ricomposizione degli oggetti al loro stato di meraviglioso, al loro volto di conoscenza, trova il suo equivalente nella ricostruzione strutturale della poesia che deve ispirarla – di qui l’influenza reciproca – che è la vita: poesia-sogno e sognopoesia. L’isolamento di una parola al suo dato evocativo, che è il risultato più palese dei minori, e perciò dei più ortodossi, tra i surrealisti, è una cifra che non accoglie le ragioni più intime di una poetica del sogno. Una frase allusiva, che muta e che perciò crea il suo oggetto, costantemente e intensamente allusiva, giunge invece a un rinnovamento e a una costruzione sintattica. L’opera di arte è costruzione, una costruzione che ottiene il suo canone ogni qual volta si propone l’isolamento e l’ispirazione di un nuovo oggetto» (ivi, pp. 18-19).
34 Ivi, pp. 18-19.
35 B. VANI, Kafka e il Surrealismo, in «Prospettive», anno IV, n° 1, 15 gennaio 1940, p. 16.
36 B. VANI, La compagna dei sogni, cit., 29.
37 «Ella si trattiene un attimo mentre io procedo. Trovo tre porte spalancate: dalle soglie guardo l’interno di ogni stanza. La prima è occupata da un grande letto matrimoniale, quattro o cinque piumini verde oliva vi sono sopra ammonticchiati, senz’ordine, la luce accesa, caldi ancora i guanciali. Un baule a strisce arancione s’apre in un angolo, come un grande frutto squarciato, mostrando dei cassettini ricolmi di sete, di fazzoletti, di bocce di cristallo. Violento provo il sentimento della sua partenza (e chi è mai? Altre volte l’ho incontrata nel sogno e non ho potuto afferrarla e tenerla fino al mio risveglio obbligandola a dirmi il suo nome, a confessarmi i suoi sentimenti). Senza dubbio è partita da poco, nè ha fatto in tempo a recare con sè tutto il suo bagaglio. Lascia ancora una parte della sua persona, disarmata, in quegli oggetti, sulle sue orme. / Il paesaggio desolato dell’alba, fuori, mi si rammenta e il silenzioso dolore che ha lasciato entro di me la sua fuga mi conduce a immaginare di lei una figura mitica, di continuo smarrita in una ricerca che mi rimane impenetrabile. So che per tutto il giorno mi resterà l’ansia e il peso del suo smarrimento, come il senso di nausea che lascia un amplesso interrotto» (ivi, p. 30).
38 B. VANI, Lettera a un cugino lontano, in «Corrente», anno III, n° 8, 15 maggio 1940, p. 5.
39 Ibidem.
40 Ibidem.
41 «Devi sapere, mio cugino, che questo nostro amato paese è stato invaso in una delle sue notti immobili e silenziose da frotte d’uomini a cavallo, orde erano per le strade che hanno rotto il palazzo di cristallo che c’era intorno. Ed hanno rubato e violato, ed hanno distrutto molto delle robe nostre, ed hanno incendiato le pergamene i marocchini le bazzane e le felpe di mio marito e si sono stabiliti alcuni di loro nel palazzo di città a dettare la legge, mentre le orde s’allontanavano per altre prede nelle vaste pianure, oltre i monti, doglio del nostro piccolo paese nutrire la loro fame» (Ibidem).
42 Così Enrico Falqui definisce la tipologia testuale del capitolo, in ENRICO FALQUI, Capitoli. Per una storia della nostra prosa d’arte del novecento. Antologia, Mursia, Milano 1964, seconda edizione con postille, p. 11.
Marco Fumagalli, Una collocazione problematica. La narrativa di Alberto Vigevani e il suo spazio nel sistema letterario (1943-1969), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2009/2010

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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