America!

Il film “L’ultimo spettacolo” di Peter Bogdanovich, elegia di un America minore e perdente degli anni della guerra di Corea, contrappuntata in momenti salienti dagli annunci radiofonici di canzoni del Williams.

L’artificio di una canzone di Williams diffusa da una radio compare anche in “Duel” e in tante altre opere, segno di un autentico radicamento popolare del folksinger.
Hank Williams, dalla vita travagliata soprattutto da una grave malattia: sufficientemente emblematica di quell’America minore e misconosciuta, che non credo di avere solo io nel cuore.

L’interpretazione distorcente dell’inno americano fatta dalla chitarra di Jimi Hendrixx, oggetto subito di tanto scandalo, ma forse atto d’amore artistico per la propria terra natale.

La scena finale de il film “Il cacciatore” di Cimino, in cui quel gruppo di amici, pensando a due di loro morti perché diversamente travolti dalla follia della guerra in Vietnam, ascoltano la versione ufficiale di quella marcia musicale, ma non so (ambiguità della settima musa?) se si sentono stranieri e addolorati perché di origini slave o invece acriticamente inquadrati nella “american way”.

Hammett é soprattutto noto per il romanzo “Il falcone maltese”. Si intende comunemente che da Hammett discenda la Hard-Boileid School, la genia, insomma, dei duri investigatori privati. Hammett scriveva bene. E lo dimostrò in un ristretto numero di opere. MI sembra un degno rappresentante, anche se fu lui stesso giocoforza un self made man, dell’altra America, quell’America che non pratica il culto cieco e fanatico del successo individuale ad ogni costo, così foriero in quel grande paese di ogni più bieco conservatorismo, per non dire peggio. Fu compagno di vita di Lillian Hellman, l’autrice di “Piccole volpi”. A rileggere oggi Hammett si avverte talora il trascorrere del tempo per quanto concerne le trame, ma la forza delle sue innovazioni letterarie, per non dire della sua pura classe, rimane a mio avviso intatta. Ci ha lasciato anche, a guardare bene, un vasto affresco storico della vita sociale e della civiltà materiale dell’America degli anni ’20 e ’30.

La quadrilogia di James Ellroy su una Los Angeles, che personalmente ho provato a ricostruirmi pensando a film come “La fiamma del peccato”, “Viale del tramonto” e “Gardenia blu”. I protagonisti sono anzitutto i poliziotti della LAPD, poliziotti violenti, disposti a violare la legge, chi in nome di ideali o presunti tali (pietà ossessiva per le tante, troppe donne vittime del crimine umano; pervicace convinzione di difendere l’astratta giustizia), chi per malinteso spirito di corpo, chi per corruzione congenita od acquisita, chi per la combinazione di diversi di questi fattori: tutte figure da grande tragedia, molte delle quali destinate ad una fine violenta, a volte una sorta di riscatto. Esiste, poi, il grumo di uno spezzone ancora più deviato della polizia losangelina, una sorta di vera e propria Gestapo, che interferisce in tutte le vicende narrate e che, in funzione di un antesignano maccartismo, poi connesso a quello nazionale, e di un razzismo da apartheid, non esita ad infiltrare e a colludere gli ambienti criminali, ivi compresa la mafia. Non trovo le parole appropriate per riassumere tante vicende affascinanti, perché narrate con equilibrato pathos, e nel contempo precise sul versante psicologico, nonché storico.

Difficile sfuggire al fascino di certo cinema, di certa letteratura, di certa musica, anche di certa arte figurativa nordamericani. Ripensandoci, le ispirazioni più autentiche derivano dalle interpretazioni date alle incommensurabili contraddizioni di quel grande paese.

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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