Bloch sostiene che la finalità principale della storia sia quella di produrre comprensione

2.1.1. Che cos’è la storia secondo Marc Bloch
Si è detto che la storia insegnata molto spesso non ricalca le caratteristiche e le metodologie della storiografia esperta. Per farla riemergere dalla situazione di discredito e bassa considerazione in cui è caduta, secondo Bevilacqua <107 e Mattozzi <108 bisogna, innanzitutto, restituire alla disciplina la sua vera identità, liberandola dalle errate concezioni che da anni si ripropongono nella scuola. “Il termine ‘storia’ è antichissimo: così antico che talvolta se ne è sentito il peso” <109. Con queste parole Marc Bloch inizia il primo capitolo della sua somma opera incompiuta: “Apologia della storia o Mestiere di storico”. […] Innanzitutto, è opportuno ricordare, come sostiene Bloch, che, contrariamente a quanto molti sussidiari e manuali insegnano, la storia non è la scienza che si occupa del passato: oggetto di studio della storia sono primariamente gli “uomini, nel tempo” <110. Tre sono le caratteristiche che assume la disciplina esperta; tre saranno, pertanto, gli ambiti in cui approfondire i significati: la storia come scienza, gli uomini come oggetto della storia e la dimensione temporale. La storia è una scienza. Il sapere costruito dalla disciplina storia è un sapere scientifico, ciò significa che esso è ordinato in modo rigoroso secondo i principi regolativi e formali del suo statuto epistemologico; non ci si può discostare da essi, se non con il rischio di uscire dall’ambito della disciplina e di entrare nel campo della letteratura. Tali principi, oltre a garantire l’autenticità sia dei contenuti che dei metodi, permettono una discussione e condivisione delle conoscenze così prodotte. La storia, infatti, non produce interpretazioni speculando in modo astratto su ciò che non è avvenuto o che sarebbe potuto accadere; essa muove i propri discorsi dall’interpretazioni delle fonti, che devono innanzitutto essere confrontate tra loro, in modo da convalidarne l’autenticità e la validità. A partire dal reperimento e dalla verifica delle fonti a disposizione, lo storico attua una serie di procedure cognitive rigorose, che servono a indirizzare la sua indagine e a garantire che le conoscenze prodotte siano significative e utilizzabili. Delle operazioni cognitive compiute dallo storico ci si occuperà successivamente, per il momento è sufficiente rilevare, come sostiene Marostica <111, che tutte le procedure sono regolate dalla sintassi metodologica della disciplina. Tuttavia, considerare la storia una scienza non presuppone che questa abbia le stesse caratteristiche delle scienze fisiche, come la chimica e la matematica. Questi campi del sapere operano, infatti, seguendo il metodo scientifico e per questo producono conoscenze riproducibili e verificabili in laboratorio; la storia, invece, è una scienza che utilizza metodologie umanistiche proprio perché l’uomo, suo oggetto d’indagine, è per sua natura difficilmente indagabile in modo univoco. Un ulteriore problema sussiste per lo storico, ricorda Marc Bloch: egli, dovendosi occupare degli uomini nel tempo, deve per forza fare riferimento ad eventi e processi di cui non è stato testimone diretto e di cui non potrà mai avere una conoscenza assolutamente certa. Pur mettendo in campo tutte le sue risorse, egli potrà lavorare solo sulle fonti che la selezione involontaria del tempo ha fatto giungere fino a lui. Molte sono, infatti, le testimonianze che si sono irrimediabilmente perse, che sono state distrutte o dimenticate e che nessuno storico potrà mai avere a disposizione. Ritornando al paragone con le discipline scientifiche, la storia non possiede nel suo arsenale alcuno strumento di conoscenza diretta, alcun telescopio storico o alcuna macchina del tempo <112, per poter interrogare direttamente i protagonisti di determinate epoche. La conoscenza prodotta dallo storico, per quanto egli abbia rigorosamente lavorato, è sempre indiretta e interpretativa, ma non per questo meno valida, dal momento che trae le sue informazioni da fonti certificate. Oggetto della storia sono gli uomini. Marc Bloch afferma che la storia non è la scienza che studia il passato “perché innanzitutto, l’idea stessa che il passato in quanto tale possa essere oggetto di scienza è assurda. […] Ci si immagina forse come pendant una scienza totale dell’universo nel suo stato presente?” <113. La storia ha, invece, come primo interesse quello di studiare gli uomini. Eppure, molti sussidiari di scuola primaria persistono ancora oggi nell’esprimere, ciascuno con le proprie parole, una definizione di storia come di scienza che studia il passato. […] Gli esempi fin qui forniti sono una chiara dimostrazione di quanto, primariamente a causa degli errori dei testi scolastici, la storia insegnata a scuola si discosti dalla storia esperta e di quanto, talvolta, lo faccia in modo pienamente consapevole. Questi casi, inoltre, permettono di comprendere la vera identità della storia: essa si prefigge l’obiettivo di indagare non il passato, ma l’uomo, ancora meglio gli uomini. Secondo Bloch, il sostantivo singolare “l’uomo” è suscettibile di astrazione e di speculazione. Utilizzando la sua forma plurale, al contrario, si esprime il concetto di umanità, comprendendo tutti gli individui nella loro diversità e nelle molteplici traiettorie esistenziali che hanno seguito, non solo nel tempo, ma anche nelle stesse epoche storiche. Per fornire un esempio, il medievalista si interessa allo stesso modo di contadini, signori e vassalli e, evitando di riunire tutti questi gruppi sono l’etichetta totalizzante di “uomo”, riconosce a ciascuno la propria identità sociale. Allo stesso modo, insegnando storia ai bambini della scuola primaria, ci si interessa, a ragione, non solo delle vicende dei faraoni o degli imperatori romani, ma anche alle vite dei contadini, delle donne e dei bambini, riportando così la complessità delle declinazioni esistenziali. “Gli uomini, nel tempo”. Immediatamente dopo aver affermato che la storia è lo studio degli uomini, l’autore sopracitato sente la necessità di aggiungere “nel tempo”. Infatti, così semplicemente definita, la disciplina storica non potrebbe emanciparsi da altre discipline che studiano l’umanità come l’etnografia, la psicologia e l’antropologia. Paradigma di riferimento dello statuto epistemologico della storia è il tempo, ovvero la categoria della durata. Con questo termine non si intende l’accadimento, il fenomeno o una successione pedissequa di eventi momentanei, come le battaglie, i trattati di pace, le morti dei grandi papi o degli imperatori. “Il tempo della storia […] è il plasma stesso in cui nuotano i fenomeni e quasi il luogo della loro intellegibilità” <117. In altre parole, la durata individua l’arco di tempo in cui non solo hanno luogo gli avvenimenti, ma anche quello entro cui essi assumono il loro significato interpretativo. La prospettiva temporale, però, non deve trarre in inganno: essa è ben differente dal semplice ‘periodo trascorso’ e permette di non cadere nell’errore, esposto prima, di pensare ad una scienza del passato in contrapposizione ad una disciplina che studia il presente. Infatti, come sostiene Bloch, dal punto di vista metafisico questa stessa ipotesi è assurda poiché il presente, ovvero “un istante che appena nato muore” <118, per sua natura non può essere afferrato, né tantomeno conosciuto. La storia permette di unire queste prospettive, mettendo in dialogo il presente e il passato in modo che una categoria non escluda l’altra, ma che siano complementari e cooperanti nell’attribuzione di significato all’esperienza umana. Lo storico, infatti, è un uomo che prima di tutto è nato, abita e si è formato nell’epoca a lui contemporanea, pertanto non può che interrogare il passato a partire dalle esigenze e dalle domande che gli pone la società per lui attuale. Sintetizzando, assumere una definizione di storia come di scienza che si occupa degli uomini nel tempo legittima l’esistenza del triangolo interpretativo presente-passato-presente all’interno del quale si muove la ricerca, che parte dalle questioni del presente, tematizza e interroga il passato per trarne interpretazioni, utili nel mondo attuale, per rispondere alle suddette questioni.

2.1.2. La formazione della coscienza storica

Definita propriamente la storia come scienza che si occupa degli uomini nel tempo, ci si può ora dedicare all’indagine della sua utilità a livello formativo. Innanzitutto, può essere vantaggioso partire dal fatto che la storia opera seguendo la metodologia della ricerca. Come detto, lo storico procede con rigore in base alle tematizzazioni fondamentali da lui delineate e interroga le fonti, tuttavia senza aver chiaro a priori quali risposte esse produrranno. Infatti, lo studioso di storia, nel suo lavoro ricostruttivo, intraprende sempre un viaggio verso l’ignoto, ovvero verso ciò che ancora non sa. Già questa breve e semplificata descrizione del lavoro dell’esperto permette di delineare quanto questo sia da considerarsi un autentico lavoro di ricerca, che, per questo, richiede un’“accettazione abbastanza naturale della scommessa con il destino” <119. Prefigurarsi a priori degli orizzonti di senso toglierebbe il significato stesso alla ricerca e al valore scientifico delle conoscenze prodotte. Nel Novecento sono molti gli esempi di strumentalizzazione della storia <120, in cui un’ideologia predefinita ha ‘curvato’ i fatti storici a proprio favore per giustificare alcune decisioni o determinate visioni del mondo. Questo modo di procedere, pertanto, non è da considerarsi storia. L’obiettivo della ricostruzione operata dallo storico è quello di portare a coscienza e interpretare i fatti, in modo da progredire nella comprensione della realtà. A questo proposito, Bloch sostiene che la finalità principale della storia sia quella di produrre comprensione, che si distingue dall’assimilazione allo stesso modo in cui la semplice lettura è ben differente dalla comprensione di un testo. Come teorizzato da Kintsch <121, per comprendere realmente un testo non basta la semplice decodifica di quanto scritto, è necessario un lavoro di elaborazione cognitiva, che porti a livello cosciente il contenuto e lo integri con le conoscenze pregresse o, nel caso non ve ne siano, costruisca nuove reti di saperi. […] Se, in apertura di questo saggio, si parlava di scuola ‘storicizzata’, ora l’aggettivo assume significato anche in riferimento al singolo individuo, delineando la presa di coscienza attraverso cui ciascuno comprende di essere inserito in un contesto temporale e territoriale, che condiziona e indirizza il suo agire. Purtroppo, come spiega Bevilacqua <122, per gli errori commessi dai manuali di storia scolastica e per il paradigma della fluidità, già ampiamente trattato, oggi questo fondamentale elemento di costruzione dell’identità manca alle generazioni più giovani che, a differenza delle precedenti, non hanno architravi interpretativi sui quali strutturare la loro identità. Si può quindi ipotizzare che il compito urgente della scuola, e soprattutto della storia, sia quello di formare futuri adulti in grado di analizzare la società con spirito critico e di ricostruirne i processi che l’hanno portata ad avere queste caratteristiche, in modo da ritrovarne le cause. Per compiere questa indagine sul presente, gli individui, tuttavia, devono essere in grado di distaccarsi da esso, ricercando nel passato della società le cause dei cambiamenti congiunturali contemporanei. Marostica, citando Fernand Braudel, sostiene questa idea; la ricercatrice, infatti, afferma che “prendendo le distanze e staccandosi dagli avvenimenti rumorosi, si può però guardare da lontano il proprio presente per vedere in modo diverso la storia che stiamo vivendo” <123. Quale utilità potrà trarre la società dal fatto che le future generazioni formino la propria identità sulla base della coscienza storica? Quale vantaggio porta la capacità di trovare consapevolmente la propria posizione rispetto al tempo e allo spazio? In primo luogo, come sostiene Bevilacqua, lo studio della storia, oltre a accompagnare alla consapevolezza di dove ci si trova e di come si è arrivati a queste condizioni, mostra anche direzioni per il futuro, alternative possibili. Egli, infatti, afferma che “scomparsa ormai dal nostro cielo la stella provvidenziale del progresso, occorre intravedere nuove costellazioni se si vuole orientare una navigazione che nessuno è in grado di fermare. […] E la storia, riscoperta la propria <>, può essere una delle grandi portatrici di senso di tutto il progetto. […] E la scuola, dopo tutto, non è un’assicurazione sulla vita. Vedremo cosa fiorirà. Il futuro rimane comunque aperto, custodito e difeso da menti non asservite. Ma se la generazione presente non farà della scuola il luogo della possibilità, rispetto alle necessità della macchina produttiva, se non riuscirà a piantare, nella coscienza della gioventù, il germe indocile della critica dell’esistente, l’aspirazione a un mondo più confacente ai semplici bisogni umani, allora scomparirà, in breve tempo, la memoria e il sogno di una società diversa da quella che è”. <124 Per concludere, ricordando le emergenze educative di cui si è parlato nel precedente capitolo, la storia si può candidare come disciplina-bussola, in grado di fornire ai bambini le competenze e le conoscenze necessarie per comprendere e interpretare in modo profondo la società contemporanea, ossia ricercando nella sua storia le cause dei processi in corso. In più, portando il soggetto all’incontro e al confronto con identità lontane e diverse <125, la disciplina forma nel soggetto una mente solida e aperta, disponibile a percepire e intraprendere traiettorie nuove per lo sviluppo futuro dell’umanità. In questo senso si può, quindi, supporre che questo tipo di consapevolezza riesca a definire un nuovo patto sociale condiviso. La presente generazione adulta non è stata in grado di rispondere adeguatamente e completamente al cambiamento di paradigma in atto; se formata all’acquisizione di una coscienza storica solida, si può ipotizzare che la prossima generazione sia in grado di intraprendere percorsi innovativi. Anche Hannah Arendt, nel suo saggio Tra passato e futuro, si esprime in questa direzione: “L’educazione è il momento che decide se noi amiamo abbastanza il mondo da assumercene la responsabilità e salvarlo così dalla rovina che è inevitabile senza il rinnovamento, senza l’arrivo di esseri nuovi, di giovani. Nell’educazione si decide anche se noi amiamo tanto i nostri figli da non estrometterli dal nostro mondo, lasciandoli in balia di se stessi, tanto da non strappargli di mano la loro occasione di intraprendere qualcosa di nuovo, qualcosa di imprevedibile per noi; e prepararli invece a rinnovare un mondo che sarà comune a tutti”. <126 Un altro motivo per cui è utile formare i cittadini alla coscienza storica è la possibilità che questa disciplina offre di distaccarsi dal proprio presente, in modo da non rimanerne sommersi. Infatti, come sostiene Martin Heidegger, “chi si limita a occuparsi di ciò che è presente ha dimenticato la missione e cioè ha barattato falsamente l’incombenza con l’utilità calcolabile e non è presente, ma semplicemente sperduto nell’oggi” <127. Questo concetto richiama fortemente quanto detto nel precedente capitolo, riguardo l’esercizio della riflessività, in contrasto con l’eccesso di esperienze senza significato che i bambini vivono oggi. […] Affinché si formi la coscienza storica, è opportuno che gli studenti siano portati a ragionare in modo critico sul loro presente. Come afferma Bloch, questo lavoro è possibile solo se si hanno le competenze per assegnare un posto e un significato alle esperienze e agli avvenimenti dell’epoca contemporanea rispetto alla continuità del tempo. L’autore, per spiegare questo concetto, riprende il discorso sulla categoria della durata, dimostrando come sia impossibile capire in profondità un singolo fatto senza collegarlo alle molteplici cause che lo hanno preceduto e agli effetti che ne sono derivati. Per percepire la categoria della durata, che abbraccia un arco temporale ampio (sia essa breve, media o lunga), è necessario riuscire a distaccarsi dalla propria contemporaneità e riuscire ad osservare gli avvenimenti da un punto di vista più distaccato, di più ampio respiro. La storia insegnata a scuola diventa, quindi, luogo di allenamento per esercitare questa competenza e per emanciparsi da quella sensazione di naufragio nel presente, di cui parla Bevilacqua <128. Infine, dal punto di vista della formazione della coscienza storica, è importante anticipare qui un concetto che verrà in seguito ripreso e spiegato in modo esaustivo. Come affermato da Mattozzi, infatti, la storia ha “compiti di formazione cognitiva, cioè di formazione di strutture di pensiero e di competenze per pensare il mondo in termini storici” <129. Ciò significa che l’esercizio dei procedimenti della ricerca storica stimola e rinforza capacità cognitive peculiari, quali la tematizzazione, l’organizzazione spaziale, la periodizzazione ecc… Secondo quanto sostenuto da Mattozzi, la storia porta primariamente all’esercizio consapevole di questi operatori cognitivi, a partire dai quali si sviluppa poi l’educazione sociale e civica, che il senso comune attribuisce alla storia come obiettivo formativo […]

[NOTE]

107 Cfr. P. Bevilacqua, L’utilità della storia. Il passato e gli altri mondi possibili. Roma: Donzelli Editore, 2007 108 Cfr. I. Mattozzi, Pensare la storia da insegnare. Bologna: Cennacchi editore, 2011.

109 M. Bloch, Apologia della storia o Mestiere di storico. Torino: Giulio Einaudi editore, 2009, p. 19

110 M. Bloch, Apologia della storia o Mestiere di storico. Torino: Giulio Einaudi editore, 2009, p. 23

111 Cfr. F. Marostica (a cura di), STORIA: Dalle Indicazioni nazionali alla pratica didattica. Bologna: Tecnodid, 2010

112 Cfr. M. Bloch, Apologia della storia o Mestiere di storico. Torino: Giulio Einaudi editore, 2009

113 Ibidem, p. 20

117 M. Bloch, Apologia della storia o Mestiere di storico. Torino: Giulio Einaudi editore, 2009, p. 24

118 Ibidem, p. 30

119 Ibidem, p. 61

120 Si pensi al grande numero di manuali di storia prodotti dai regimi europei del secolo scorso di cui la storia ideologica fascista e la storia ideologica marxista sono due semplici esempi.

121 Cfr. Kintsch, Modello di costruzione-integrazione, 1988 in L. Lumbelli, La comprensione come problema. Il punto di vista cognitivo. Roma-Bari: Editori Laterza, 2009.

122 Cfr. P. Bevilacqua, L’utilità della storia. Il passato e gli altri mondi possibili. Roma: Donzelli Editore, 2007 123 F. Marostica, Il fuso e la rocca. Strumenti per insegnare ad apprendere e ad <> storia. Bologna: FORMAT.BO, 2009, p. 43
124 P. Bevilacqua, L’utilità della storia. Il passato e gli altri mondi possibili. Roma: Donzelli Editore, 2007, pp.145-146
125 Cfr. M. Bloch, Apologia della storia o Mestiere di storico. Torino: Giulio Einaudi editore, 2009
126 H. Arendt, Tra passato e futuro. Milano: Garzanti, 1991, p. 255
127 M. Heidegger, L’attuale situazione della filosofia tedesca e il suo compito per l’avvenire, 1934 in P. Bevilacqua, L’utilità della storia. Il passato e gli altri mondi possibili. Roma: Donzelli Editore, 2007, p.19
128 Cfr. P. Bevilacqua, L’utilità della storia. Il passato e gli altri mondi possibili. Roma: Donzelli Editore, 2007
129 I. Mattozzi, Pensare la storia da insegnare. Bologna: Cennacchi editore, 2011, p. 200
Chiara Iacconi, Mediterraneo: storia e storie di incontri possibili ieri e oggi. Una proposta ragionata per l’educazione storica nella scuola primaria, al crocevia tra storia antica e contemporanea, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Anno accademico 2018/2019

Assai grave per la storiografia francese fu la perdita di M. Bloch. Già cinquantenne, pensò fosse suo dovere partecipare alla guerra contro i nazisti. Arruolatosi col grado di capitano fece parte nel 1940 di quelle unità francesi che riuscirono a imbarcarsi a Dunkerque per l’Inghilterra, da dove poi rientrò in Francia. Dopo la capitolazione gli divenne impossibile insegnare alla Sorbonne e per qualche tempo esercitò in provincia. Durante questo periodo lavorò all’Apologia della storia, uscito postumo, nel 1949, nella collana Cahiers des Annales dell’editore parigino Armand Colin, curato dall’amico e compagno di studi e ricerche Lucien Febvre. In Italia, Einaudi avrebbe pubblicato la traduzione un anno dopo.
Apologia della storia non è perciò un volume completo e compiuto. E, tuttavia, è una riflessione rigorosa e puntuale sulle questioni di metodo del lavoro intellettuale e della ricerca storica in particolare. In quelle pagine, Bloch si interroga sul modo in cui lo storico si pone di fronte alla materia indagata, su come può e deve porre i quesiti al passato che osserva e racconta, sulla tipologia, sulla selezione e sulle possibilità di interrogazione delle fonti. Ma soprattutto sono le motivazioni profonde che ispirano il mestiere di storico a essere descritte con una tensione civile che raramente ha trovato interpreti altrettanto appassionati. Come scrive lo stesso Bloch, il saggio è un tentativo di rispondere alla semplice, ma esigente domanda di un bambino al proprio padre: «Papà, spiegami a che serve la storia». Due sono i temi che percorrono l’opera: la difesa del ruolo della storia come disciplina scientifica e la definizione dello storico. Qual è il compito dello storico? E quale l’obiettivo che deve raggiungere con il suo lavoro? Giudicare o comprendere? La scelta di fronte alla quale si trova dovrebbe portarlo a eclissarsi di fronte allo scorrere dei fatti analizzati per riuscire a riprodurre il passato e richiamarlo alla memoria collettiva, in un rapporto di profonda empatia con l’oggetto che osserva. Per Bloch «il bravo storico è come l’orco della fiaba. Egli sa che là dove fiuta carne umana, là è la sua preda» <25. In questa metafora, di grande forza e suggestione, si concretizza il cuore della riflessione di Bloch, poi fatta propria e interpretata ad altissimi livelli di maturità storiografica dalla École des Annales. L’oggetto privilegiato dall’indagine storica non è più il passato in sé, bensì «gli uomini nel tempo», ovvero la «civilizzazione» di cui la disciplina storica diviene testimone e parte integrante.
È nel valore civile e morale del «mestiere» di storico che la disciplina trova la sua piena legittimità e utilità <26.
Lo storico-orco è il «cacciatore» onnivoro di dati, di tracce, di segni e testimonianze che divengono fonti intellegibili soltanto se sollecitate da interrogativi originali, posti con rigore metodologico e onestà intellettuale. Per usare le parole di Jacques Le Goff, «questo libro è un “compiuto” atto di storia». Bloch detestava profondamente l’hitlerismo e la sua ideologia razzista. Divenuto uno dei comandanti della cintura lionese della Resistenza, fu arrestato dalla Gestapo nel 1944 e fucilato il 16 giugno. Durante tutta la guerra Febvre, rimasto a Parigi, fece l’impossibile per prolungare l’esistenza delle “Annales”, la cui periodicità era divenuta assai irregolare.
[NOTE]
25 M. BLOCH, Apologia della storia, cit., p. 16.
26 Termine, quest’ultimo, di cui Bloch si serve, pur senza indulgere ad alcuna tentazione positivista.
Alessia Niger, Storia e follia in M. Foucault. A partire da Storia della Follia, Tesi di dottorato, Università degli Studi della Calabria, 2013

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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