Caro Ez, l’economia vi sta davvero entrando nel cervello!

Una testimonianza inedita e irripetibile è stata quella della rivista «La Lucciola», scritta a mano dalle stesse redattrici-lettrici in un’unica copia per essere spedita dalla Sicilia (dove risiedeva la fondatrice e prima redattrice, Lina Caico). Rinchiusa in un piccolo scrigno di legno, fatto costruire ad hoc, l’unica copia manoscritta della rivista risaliva lentamente la dorsale appenninica, facendo tappa nelle case delle sue diverse redattrici-lettrici, fino ad arrivare alle città del Centro Nord e agli sperduti paesi della pianura Padana. Le sue pagine racchiudono una fitta scrittura carica di emozioni, passioni, sentimenti e anche pregi artistici e letterari. Una specie di lettera itinerante, scritta a più mani e destinata a un selezionato circuito di lettura. Una forma di scrittura che però è qualcosa di più di una lettera, perché tendenzialmente protesa verso il pubblico e con un destinatario collettivo e plurale. Ma della lettera questa rivista atipica conserva soprattutto la materialità della scrittura manoscritta, i tratti personalissimi delle varie mani che vergano le carte e le adornano con disegni, fiori, collage, ricami, fotografie e quant’altro suggerisce l’inventiva e la creatività delle donne. L’originalità de «La Lucciola» consiste proprio in questo: nello scompiglio che crea a chi voglia collocarla nel sistema della comunicazione letteraria del tempo, nella difficoltà di individuare un sicuro modello di riferimento. Eppure, dietro quelle pagine scritte e mano, nei primi decenni del Novecento, si muovono tante vite, tanti vissuti di donne (e di uomini) che si intersecano, si confrontano, si confortano aiutandosi reciprocamente in un continuum femminile che, per espressa volontà delle redattrici, si tramanda dalle madri alle figlie. E proprio per questo, grazie a questa genealogia di mani femminili, i diversi fascicoli della rivista sono arrivati quasi incolumi fino a noi. <2
E nel ricordare l’intelligenza creativa di Lina Caico che una foto d’epoca ha immortalato seduta in un assolato esterno siciliano con un quaderno aperto sulle ginocchia e la penna in mano mentre sta preparando uno dei numeri de «La Lucciola», vorrei esprimere un ringraziamento particolare a nome di tutte le amiche che hanno partecipato al nostro Convegno, a Paola Zaccaria, senza il cui prezioso e magistrale contributo questo indimenticabile evento non sarebbe stato certamente tale.
2 P. Azzolini, D. Brunelli (a cura di), Leggere le voci. Storia di «Lucciola», rivista manoscritta al femminile, Bonnard, Milano 2007.
Adriana Chemello, Introduzione, (a cura di) Adriana Chemello e Vanna Zaccaro, Atti del Convegno “Scritture di donne fra letteratura e giornalismo” Bari, 29 novembre-1 dicembre 2007, III, Collana del Comitato Pari Opportunità, Università degli Studi di Bari Aldo Moro, 2011

Sarà intitolato a Lina Caico il teatro comunale di Montedoro (CL). A deliberarlo è stata la Giunta comunale guidata dal sindaco Federico Messana. Lina Caico è stata “fine intellettuale, educatrice, nota per essere stata creatrice di una rivista manoscritta di sole donne veramente unica nel suo genere in Italia”. Di certo, una figura singolare sul piano culturale alla quale sarà intitolato il teatro comunale che è ormai attivo da sette anni a questa parte.
Lina Caico nacque a Bordighera il 6 giugno 1883 ed era primogenita di Louise Hamilton ed Eugenio Caico. Fin da giovane manifestò una innata passione per la letteratura laureandosi in lingua e letteratura inglese a Napoli, dopo di che insegnò a Palermo. Tuttavia, un destino crudele era per lei in agguato perché nel 1932 si ammalò di sclerosi a placche. Una malattia che, tuttavia, nonostante una lenta ma inesorabile regressione, non le impedì di dettare i propri scritti all’amica Laura Mangione. Morì a Palermo il 20 giugno 1951.
Lina Caico, che intratteneva corrispondenze con uomini di cultura come il poeta Ezra Pound, ha legato il suo nome alla rivista “La Lucciola” alla quale diede vita nel 1908. Si trattava di una rivista per sole donne che rappresentava per quei tempi una antesignana della cultura femminista in Italia.
Questa rivista era composta da numeri unici che uscivano mensilmente e nella quale c’erano i contributi di tante altre “lucciole” di ogni parte d’Italia che, tramite il servizio postale di allora, avevano modo di fornire il proprio contributo culturale ad una esperienza letteraria veramente unica nel suo genere che ha percorso gli anni che vanno dal 1908 al 1926 quando la rivista si sciolse per la diversità di opinioni esistente al suo interno.
Diciotto anni di confronto al femminile sui piccoli e grandi temi della cultura e del costume italiano del tempo che ha segnato un’epoca. Tutti i numeri della rivista sono oggi conservati a Verona nella Biblioteca della Società Letteraria.
Carmelo Locurto, Il teatro comunale di Montedoro intitolato a Lina Caico, Milocca, 19 maggio 2015

Louise Hamilton. Fonte: Simona Montagna, op. cit. infra

A cavallo tra i secoli XIX e XX emerge la figura di Louise Hamilton Caico: «donna strana», <10 colta, ricca di interessi intellettuali. Di padre irlandese e madre francese, nata a Nizza nel 1859, si trasferì intorno alla metà degli anni novanta in Sicilia, dopo aver sposato nel 1880, Eugenio Caico, facoltoso proprietario terriero di Montedoro. Il padre di Louise, Federico, appartenente al ramo irlandese del casato degli Hamilton, imparentato con sua maestà la regina madre (nella corrispondenza usavano il timbro del carteggio reale), lasciò, per divergenze con i rami scozzesi e irlandesi della famiglia, il Regno Unito e si trasferì a Nizza, dove sposò la giovane Pilatte appartenente ad una famiglia di mercanti marsigliesi. Nel 1863, quando Louise, ultima di sei figli, aveva appena due anni, Federico Hamilton decise di trasferire la famiglia a Firenze, per dare loro una cultura artistica ed umanitaria di alto livello d’impronta italiana. Eugenio Caico, ancora dodicenne, era stato mandato a frequentare gli studi superiori, ed aveva trovato ospitalità, per alcuni anni e fino al 1870, presso la sua famiglia come pensionato.
Quando Eugenio nel 1880 torna a Firenze, apprende che gli Hamilton s’erano trasferiti a Bordighera dove si reca per chiedere a Louise di sposarlo nonostante i “divieti” dei Caico di Montedoro che temono la dispersione del patrimonio familiare. Per Louise la permanenza a Bordighera da sposata fu un periodo travagliato per i dissapori col padre, dovuti a motivi economici a cui Eugenio non poteva far fronte: la famiglia Caico aveva subito un fallimento e non godeva della stabilità economica del precedente decennio. Ma fu anche un periodo importante per la conoscenza e frequentazione di Ezra Pound, e la scoperta di un autore di poesie, il conte torinese Angelo De Gubernatis, <11 un impegnato professore e letterato di fama che insegnava sanscrito e glottologia a Firenze. Ammaliata dalla personalità dell’autore, gli indirizzò una lettera di stima alla quale seguì una fitta corrispondenza tra i due.
[NOTE]
10 Appellativo giustificato soprattutto da interessi ideologici come il femminismo, considerati bizzarri in una Sicilia legata al feudalesimo arcaica e con usanze fortemente maschilistiche (cfr. M. Ganci in L. Hamilton Caico 1983: II).
11 Quasi sicuramente fu la lettura del celeberrimo periodico femminile “Cordelia”, fondato da De Gubernatis, che ispirò la nascita della rivista itinerante scritta a mano e fondata da Lina Caico, figlia di Louise, “Lucciola” che rappresenta un anello di una catena importantissima per capire l’ambiente culturale entro il quale si muovevano queste giovani, intrepide donne.
Simona Montagna, Montedoro. Paese. Museo. Un percorso open air per l’identità delle zolfare, Tesi di Laurea specialistica, Politecnico di Milano, Anno Accademico 2009/2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Letizia Caico, sorella di Lina. Fonte: Messana art. cit. infra

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Altri pseudonimi coincidono, invece, con alcuni di quelli usati nella rivista Lucciola <246. La sopra menzionata Fiamma ossolana ma anche Fior di loto, Passiflora, Pax, Licia, Daisy, Flamen, Fulvetta, Loreley, Dolores, Isolana, Lalage e Luce sono tutti pseudonimi che sono presenti in entrambe le riviste. È difficile verificare se gli autori dietro gli pseudonimi siano gli stessi, ci sono, in effetti, due casi di pseudonimi uguali dietro i quali si nascondono autori diversi <247. Ma, come osserva Brunelli, la storia di Lucciola <248 si intreccia con quella di Cordelia, non solo per il rapporto che ci fu tra Louise Hamilton Caico, madre di Lina Caico, e Angelo De Gubernatis <249, ma anche per il contatto stabilito tra Lina Caico e Jolanda, insieme a Ida Baccini una delle “fervide sostenitrici e collaboratrici” dell’iniziativa (2007: XXII). Jolanda venne infatti chiamata da Lina Caico per “giudicare i referendum proposti su Lucciola”, la quale, secondo la volontà della fondatrice, doveva divenire “una palestra giovanile, dove le socie potessero fare esperienza di scrittura tra un pubblico pieno d’attenzione e d’interesse” (Brunelli 2007: XVII). Jolanda ebbe dunque occasione di entrare in contatto con i testi e gli autori pubblicati su Lucciola e così pare lecito ipotizzare che, una volta diventata direttrice, invitasse almeno alcuni degli autori dietro gli pseudonimi a pubblicare anche nella Palestra della sua rivista. Più facile da verificare invece è il rapporto tra le due riviste per quanto riguarda le collaboratrici che firmano con il proprio nome su entrambe le testate. Tra le collaboratrici di Cordelia che scrivono anche per Lucciola si trovano, ad esempio, le sorelle Lina e Letizia Caico <250.
[NOTE]
246 Per quanto riguarda gli pseudonimi usati su Cordelia, la direttrice si dimostrò molto attenta all’esclusività di ciascuno degli pseudonimi, come si evince da una delle molte risposte nella Piccola posta: “Stella Alpina N. 2 – è pregata a cambiare pseudonimo essendo stato scelto già da qualche anno dalla sorellina più sopra nominata” (Piccola posta, n. 25, 18 giugno 1916).
247 Come si è visto in 7.5, lo pseudonimo Paggio Fernando fu utilizzato da Ida Baccini, ma anche adottato da Gioacchino Di Stefano sulle pagine di Lucciola. Caso analogo è quello dello pseudonimo Flamen, che viene utilizzato da Amalia Zanini su Cordelia e da Angelo Lolli su Lucciola.
248 Lucciola fu fondata nel 1908 da Lina Caico (1883–1951) e le pubblicazioni cessarono nel 1926. Per un approfondimento sulla rivista, cfr. Azzolini e Brunelli (2007).
249 Brunelli fa notare che il legame di Louise Hamilton Caico (1861–1927) con il fondatore di Cordelia e il carteggio tra i due costituiscono “un importante tassello per capire il percorso effettuato da Lina nella sua formazione culturale” (2007: XVI).
250 Anche la madre, Louise Hamilton Caico, scrive per Cordelia, come anche Lilla di Leo Chiarenza (?–?), direttrice di Lucciola dal 1914 al 1915, Laura Mangione (?–?) e Gilda Sappa (?–?), figlia di Mercurino Sappa (1853-1926) che pure lui scrive per Cordelia.
Karin Bloom, Cordelia, 1881-1942. Profilo storico di una rivista per ragazze, Forskningsrapporter/Cahiers de la Recherche, 54, Stockholms universitet, 2015

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nei primi anni del Novecento, l’assolato borgo siciliano di Montedoro fu una fucina di cultura e di passione umanistica senza pari, purtroppo tra l’indifferenza e l’ignoranza generale. Intanto che Louise Hamilton Caico si apprestava a redigere la bellissima opera “Sicilian ways and days” tradotta soltanto nel 1983 in “Vicende e costumi siciliani”, la figlia Lina, nata a Bordighera nel 1883 ed educata in Inghilterra fino all’età di quindici anni, andava maturando l’idea di dare vita ad un’opera che avrebbe lasciato il segno. Si trovò in una posizione particolarmente favorevole, avendo trascorso gli anni della giovinezza tra gli interessi tipicamente culturali materni della ricca borghesia inglese, amanti dei paesaggi e della cultura siciliana e quelli squisitamente economici del padre, proprietario terriero e di alcune miniere di zolfo che, nonostante in quegli anni versassero in condizioni poco floride, permettevano un certo tenore di vita, rispetto al resto della popolazione. Madre e figlia sin trovarono in sintonia se le frequentazioni letterarie e le idee femministe e progressiste della prima trovarono humus favorevole in Lina, pronta a sfruttarle ed a farle viaggiare per tutta la penisola, con la collaborazione della sorella Letizia.
In quegli anni la Sicilia stava vivendo una stagione particolarmente florida poiché l’incontro tra la mentalità industriale degli inglesi, che avevano scoperto l’Isola e vi si trasferivano con sempre maggiore frequenza, e le raffinate tradizioni della nobiltà isolana, stavano dando vita ad una vivace attività culturale, culminata con la consacrazione di Palermo a capitale del Liberty europeo.
A Montedoro Lina, sfruttando le esperienze maturate tra Nizza, Bordighera e gli anni passati nei college inglesi, vuole scoprire le sue vere radici e conoscere le tradizioni popolari, in sintonia con l’inizio degli studi etnologici avviati in quegli anni a Palermo con i lavori di Pitré e di De Giovanni. E dà avvio all’impresa che chiamerà “LUCCIOLA”, rifacendosi alle tante riviste femminili che circolavano in Francia, in Germania ed in Inghilterra, come “Firefly”, “Parva Favilla”, “Mouche volante”, “Rivista per signorine”, “Prima lux”. Esperienze queste ben delimitate e locali che invece Lina trasferisce a livello nazionale, sfruttando le sue conoscenze ed amicizie sparse in tutto il territorio.
E di grande aiuto dev’essere stata la frequentazione della madre Louise con quel De Gubernatis, fondatore della rivista “Cordelia” molto seguita dal pubblico femminile verso la fine dll’800, poiché alla sua direttrice, Maria Majocchi Plattis (Jolanda) chiede pareri e consigli. Segno che aveva trasmesso alla figlia oltre che esperienze intellettuali anche ottime conoscenze con personaggi influenti per la cultura europea dell’epoca.
Il primo numero della rivista scritta a mano prende avvio nel marzo del 1908, dal cortile dei Caico, tra il nitrire dei cavalli e l’abbaiare del cane “Leone”, dove una foto ritrae Lina alle prese della prima copertina.
La rivista, partendo dallo sperduto Montedoro, raggiungeva le corrispondenti, tutte e solamente donne (erano ammessi solo pochi uomini, cugini o fratelli), nei vari luoghi d’Italia, affidando la corrispondenza ai mezzi di trasporto dell’epoca, treni regi e carrozze. Che a giudicare dal risultato funzionavano abbastanza bene se, nel volgere di due o tre mesi, raggiungeva oltre 40 località, da Montedoro a Catania, a Napoli, a L’Aquila, a Firenze, Modena, Venezia, Verona, Milano, Bergamo, Como, Pavia, Biella, Saluzzo, etc. Così nasce la rivista che viene chiamata “Lucciola”, piccola lanterna vagante che, unica nel suo genere e senza riferimenti, né prima né poi, vagherà per tutta Italia, dalla Sicilia alle Alpi, dal 1908 al 1926, anno della definitiva chiusura.
Il fascicolo dalla copertina intarsiata e lavorata a mano veniva “inizializzato” dalla direttrice del momento, quindi raggiungeva le corrispondenti che, nel volgere di due giorni al massimo (pena una multa!), annotavano le loro osservazioni, esprimevano i propri pensieri di donna, parlavano di politica, di vita in genere, ponevano domande (che trovavano risposta nei numeri successivi, visto che nel frattempo erano in viaggio altri fascicoli), inserivano foto e racconti, e lo spedivano al destinatario più vicino che faceva altrettanto. Finché non tornava nuovamente al luogo di partenza. Così per ben 18 anni, questa rivista “in unico esemplare per numero e scritta a mano”, vagò carico di sentimenti, di preoccupazioni, di ansie, per le strade italiane, sfidando persino gli anni della guerra, per giungere miracolosamente a noi per puro caso, per merito di Gina Frigerio di Milano, l’ultima direttrice a conservare diligentemente tutta la raccolta. Le corrispondenti, che si alternavano nella direzione della rivista, si firmavano con uno pseudonimo, com’era uso del tempo.
L’intento iniziale era che la rivista si occupasse solo di vicende private; ma fu inevitabile che le argomentazioni si spostassero verso la politica, la letteratura, e verso i fatti contingenti dell’epoca, molto agitata dalla guerra del ’15-’18 e dalle conquiste coloniali. Il fascicolo era impaginato dalla direttrice, con dipinti, disegni, foto, copertine e frontespizi, propri o delle corrispondenti. Il contenuto della prima parte era essenzialmente letterario, con racconti, poesie, diari, descrizione di gite e conferenze. Nelle pagine finali era aperta la discussione, in cui le socie potevano esprimere i loro pensieri, porre domande, fare critiche. Le risposte delle socie arrivavano dopo qualche mese, al secondo giro di boa. Oggi, nell’era del computer e di internet, questo reperto quasi archeologico, ci appare come un’eredità prodigiosa. I fili delle esistenze di queste lucciole si annodano tra loro, e si vede la vita scorrere pagina dopo pagina.
La crescita personale s’intreccia con gli avvenimenti collettivi in un gioco di interferenze. Così le dolorose attualità della grande guerra traspaiono nella rivista, con le sofferenze delle famiglie, il dolore per i morti. Nel 1911 l’Italia parte per la conquista della Libia, e fra le lucciole serpeggiano fermenti di entusiasmo colonialista. Così Giulia cita ruggenti versi di D’Annunzio, mentre Lanternino scrive un lungo reportage sulla visita alle tombe dei caduti di Sciara-sciat. Negli anni successivi cresce il fermento intorno alle terre irredente di Trento e Trieste, e Pia, che è triestina, si esprime con toni entusiasti perché fautrice dell’unione all’Italia di quelle terre.
A distanza di ben 80 anni, leggendo ed analizzando il contenuto della rivista, le sorelle Lina e Letizia Caico risultano le più colte, intraprendenti ed evolute del gruppo. L’educazione in Inghilterra e la religione protestante (poi si convertiranno al cattolicesimo) le rendono più libere nei giudizi, e capaci di guardare con occhio critico alle tante convenzioni che le circondano in Italia.
Lina ricorda una pagina di un giovanissimo caduto, Manfredi Lanza di Trabia. La guerra è un’apocalisse che annuncia la palingenesi, ma anche una malattia che, se non mortale, si risolve con la rinnovata salute del corpo. In queste opinioni c’è il senso fatalistico e religioso di chi cerca una visione provvidenziale anche nelle catastrofi, ma in questo esprime la forza e l’energia della volontà di vivere.
Quando appare alla ribalta il partito fascista, “vfs” di Milano, nel 1922, aderisce al clima di attivismo che i fasci sembrano annunziare. Ma non Lina, che così risponde ad una corrispondente che si dimostra entusiasta verso il nascente fascismo: “… Io socialista non sono. Ma ancor meno sono fascista, o Rosa Sfogliata! Credi tu davvero che il fascismo come idea e come persone sia tale da produrre una novella Italia? ….”.
Lina era pervasa da una serietà profonda ed un grande senso religioso della vita, un’alta idea della dignità femminile, senza scadere nel bigottismo. E sappiano che la sorte mise a dura prova il coraggio che si rispecchia nelle sue parole. L’amicizia creatasi attraverso la fitta corrispondenza si protrarrà oltre la chiusura della rivista, che avviene nel 1926, dopo ben 18 anni di pellegrinaggio attraverso l’Italia. Lina nel 1942 (morirà nel 1951), inferma ed in ristrettezze economiche, viene accudita dalla “lucciola” Licia (Maura Mangione di Palermo), nella casa di Montedoro. E v.f.s (Laura Frigerio), mossa da senso religioso, le manda una carrozzina per invalidi (tanti in paese ricordano ancora Lina su questa carrozzella). Finito il sodalizio, Nunziatina, commossa, scrive nel suo congedo: “Le varie grafie erano come altrettante voci”.
Lina fu un’operatrice instancabile; per Lucciola raccoglie testi, canti e serenate siciliane, è insegnante di inglese presso la scuola statale Turrisi di Palermo, e soprattutto scrive. Traduce libri dall’inglese e pubblica articoli su problemi morali e religiosi, su “Lumen”, “Primavera siciliana”, “Fede e vita” e sul “Giornale di Sicilia”. Fu una creatura dolcissima e forte la cui esigenza di verità era animata da una grande energia spirituale. Dopo che la direzione della rivista passa ad altre socie, Lina resta la più amata tra le Lucciole. E resta amata anche a Montedoro: quando nel luglio del ’43 il paese è sotto il tiro dei cannoni americani che cercano di snidare i tedeschi, Lina, l’unica a conoscere l’inglese, scrive una lettera ai comandanti alleati attestati a Canicattì, chiedendo di non sparare poiché il paese è indifeso ed i tedeschi sono scappati verso Palermo. Il paese è salvo!
Scoprire la storia di Lucciola, creata ed animata da Lina Caico, di cui fino a poco tempo fa nessuno aveva parlato e raccontato, riempie di emozioni; sia per la vicenda in sé, nata per scopi letterari e culturali, sia per le storie umane che inevitabilmente si sono intrecciate tra le varie corrispondenti di tutta Italia, mostrandone uno spaccato esemplare. Infine perché, se in tanti in paese non hanno fatto in tempo a conoscere Lina, una pia donna colma di sentimenti umani e cristiani, hanno conosciuto la sorella Letizia, che negli anni sessanta, appariva strana ed eclettica, per via del suo violino e dell’ombrellino colorato, del quale mai si separava quando andava in giro nelle ore di massima calura. Ma che invece, insieme alla sorella, era stata una degna ambasciatrice nel mondo della cultura del profondo sud.
Redazione, Lina Caico, Messana

Il campo di tennis di Rapallo agli inizi degli anni ’30. Fonte: Circolo Golf e Tennis Rapallo, op. cit. infra

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La cronaca di quegli anni, accanto ai nomi di maggior spicco del mondo genovese ed internazionale evidenzia anche la presenza del noto poeta statunitense Ezra Pound il cui nome nel 1933 figura nei tornei di Tennis che il Circolo promuove assieme alle gare di Golf.
Emilio Carta ed Umberto Ricci, Golf & Tennis Rapallo. Storia di un Circolo (1929-2004), Circolo Golf e Tennis Rapallo, 2004

Fonte: Pangea art. cit. infra

[…] Laura Mangione (1888-1973), amica a fianco di Lina [Caico] per 35 anni, nell’introdurre il carteggio che la Caico tenne con il poeta sottolinea «il prezioso filo aureo che lega queste lettere alla loro opera di scrittori: in Ezra Pound si chiama “magico”, in Lina Caico “mistico”». Per quanto diversi, v’erano tra loro importanti punti di convergenza. In particolare, la venerazione – ammirazione in Pound – per la figura di San Francesco, ben prima e al di fuori della promozione interessata che ne fece il regime: il Cantico delle creature del Poverello d’Assisi toccò il cuore di “Ez”, che lo incluse in The Spirit of Romance (1910). Sembra di poter ascrivere (anche) Francesco, dunque, «alle radici dell’arte di Pound, perché le tre norme da lui date alla poesia sono i tre caratteri essenziali dello spirito francescano: semplicità (l’immagine nuda), povertà (rinuncia alle parole superflue), libertà (il ritmo della frase musicale)» (per questa come per la citazione precedente: L. Mangione, Presentazione della corrispondenza Pound-Caico, in “Quaderni di Tradizione mediterranea”, 2, 1981). Sul piano sociale, per altro, i francescani furono anche i sostenitori del più vasto movimento contro l’usura che il Medioevo conobbe.
Pound guardava con interesse al Cattolicesimo, in cui coglieva assonanze con il Confucianesimo. Ne parlò talvolta con l’amica che, cresciuta nella fede evangelica, aderì alla Chiesa di Roma nel 1933. “Ez” le scriveva: «I cinesi conobbero la virtù prima del cristianesimo». «Vi è tanta luce prima che sorga il sole», rispondeva Lina, vedendo in Confucio un “precursore” di Cristo, alla stregua di Siddharta l’illuminato, incontrato nei versi di Tagore. Forte era in lei la propensione per i temi spirituali e religiosi, sempre affrontati in modo anticonvenzionale. Un approccio aperto grazie al quale i suoi rapporti con il “complicato” poeta non si guastarono mai, né vennero meno, tra loro, sincerità e comprensione.
Pound la conobbe (epistolarmente) nel 1931: in quei giorni collaborava a L’Indice, un quindicinale letterario pubblicato a Genova e diretto da Gino Saviotti. Per i suoi “Affari esteri” (una rubrica sugli scrittori stranieri «non cadaveri», la definizione è sua) servivano traduttori e così, nel maggio 1931, pubblicò un annuncio in cui ne chiedeva 25 (!) «per lo sviluppo e l’acellerazione [sic] e l’allegria della vita letteraria». Conscia della sua importanza nel mondo letterario, Lina gli scrisse. Esordì in agosto con una bella traduzione di Brooksmith, un racconto breve di Henry James, autore cult per “Ez”, ma non per lei che lo amava poco. Il poeta le avrebbe affidato, in seguito, altre traduzioni importanti. L’Indice, però, chiuse a fine anno per dissesti finanziari. Pound e i suoi “Affari” migrarono allora su Il Mare, storico settimanale di Rapallo che per l’occasione varò, dall’agosto 1932 al luglio 1933, un “Supplemento letterario”. In ambito poundiano, Lina vi tradusse A Study in French Poets, scritto nel 1918 per la Little Review di Margaret Anderson.
Duttile e curiosa, la scrittrice siciliana fu anche la prima in Italia a interessarsi al Pound “economista”. L’occasione fu l’uscita di ABC of Economics nel 1933, anno delle conferenze poundiane alla Bocconi. Affrontò l’argomento, nuovo per lei, con grande impegno, «dimostrando buona capacità divulgativa di un’opera che pochi prendevano sul serio», ricordava Giano Accame. Lina offrì la recensione al Giornale di Sicilia, cui già collaborava, ma il nuovo direttore spedito da Roma, Valentino Piccoli, nicchiò. Prese altre vie, allora, approdando al quotidiano cattolico L’Avvenire d’Italia di Raimondo Manzini. Qui uscì in due parti, “La nuova economia – Il poeta economista” ed “Economia volitiva – Etica finanziaria”, nel corso del 1935.
Nel testo la Caico condivide l’avversione del poeta per le «banche divoratrici», che uno stato “etico” può e deve domare. In una lettera così si schermiva: «So di non esser riuscita a fare un buon ritratto critico della vostra personalità economico-letteraria, siete difficile…» (Lettera dell’11 giugno 1935: Beinecke Rare Book and Manuscript Library, Yale University, Ezra Pound Papers, YCAL MSS 43, b. 7, f. 322. I due comunicavano in inglese, salvo che nel periodo bellico in cui usavano l’italiano per evidenti ragioni di censura. Le citazioni dalle loro lettere – per comodità del lettore – sono date in versione italiana). Ma Pound ne fu assai contento. La “arruolò” e dispose che le fosse inviata copia di ogni suo nuovo libro, inclusi i sontuosi volumi dei Cantos. A proposito dei quali ella si dichiarava ammirata e confusa. Ben ne coglieva la portata, ma li trovava «criptici». Il poeta replicò che li capiva il vecchio Homer e Lina, di rimando: «Vostro padre capisce i Cantos perché già conosceva i gentiluomini che vi sono rappresentati». Il 1935 è anche l’anno di Jefferson and/or Mussolini, su cui la Caico si mise subito al lavoro. Non amava il Duce, ma confessava a “Ez”: «Tutto ciò che dite su Mussolini è giusto, così come originale e luminosa è l’idea centrale ch’egli sia un Costruttore». Costruiva con il materiale che aveva, però, gli italiani di sempre!
«A me sembra che nessuno sia mai stato responsabile in Italia, e nessuno lo è nemmeno adesso, tranne Mussolini. […] Responsabile è uno solo, gli altri obbediscono, gli piaccia o meno, purché sembri vero».
L’articolo, chiuso nella primavera 1936, non piacque al Giornale di Sicilia («non credo sia il caso di dare tanta importanza a un parallelo di questo genere», le scriveva, nel giugno seguente il direttore). Uscì due anni dopo, nell’ottobre 1938, bilingue, come “The Leading Man in Europe/Il Protagonista”, su Fascist Europe/Europa fascista, una raccolta di saggi sotto l’egida dell’Istituto nazionale di cultura fascista. Lina vi evidenzia parallelismi tra i personaggi del libro (Confucio, Jefferson, Mussolini) e parla in termini elogiativi di New Economy, auspicando che grazie a essa non si debba mai più vedere «la miseria in mezzo all’abbondanza». Il poeta le scrisse compiaciuto: «È l’articolo più esauriente che abbia mai visto sul J/M».
Nel 1937-38, European Correspondent del Globe di St. Paul, “Ez” la coinvolse. Lei chiese se il suo inglese era adeguato: «È fin troppo buono per il Minnesota», fu la divertita risposta. Anche Olga Rudge, compagna di Pound, lo giudicava ottimo: «La madre di mia figlia», scriveva Pound, «dopo aver visto alcuni paragrafi delle vostre lettere, è ossessionata dall’idea che l’egregia bambina debba imparare l’inglese in Sicilia. Naturalmente le ho detto che non si può mettere un giovane elefante in un appartamento a Palermo». Lina aveva insegnato per anni, ma poi, con il manifestarsi della malattia che la colpì, la sclerosi a placche, dovette rinunciarvi nel 1932. Rispose: «Mi piacerebbe averla qui per un po’ di tempo, per cominciare; ma per il momento è del tutto impossibile». E di rimando, scherzosamente: «Qual è la sua occupazione in questo momento? Va a scuola, forse in quarta elementare, o è cresciuta solo con la poesia e l’economia di famiglia?».
[…] Intanto, per l’aggravarsi della sua salute, al principio del 1937 Lina aveva deciso di sottoporsi a una terapia sperimentale contro il morbo che la stava portando alla paralisi. Insieme a Laura si recò a Padova, sede de “La Salutare”, clinica famosa per le “malattie dei nervi” diretta dal dott. Hans Loewald, un ebreo tedesco di cui divenne amica. Il doloroso percorso di cura che affrontò in quattro interminabili mesi emerge nelle coeve lettere al poeta, cui rese mille volte grazie per la pazienza e la compassione dimostratele. Ezra e Olga proposero alle due amiche, a fine cura, qualche giorno di relax a Venezia nel loro «nido nascosto» di Calle Querini, a Dorsoduro. Raccomandarono loro anche un più agevole viaggio in nave per il ritorno a Palermo, con imbarco a Genova, dopo una “rimpatriata” a Rapallo. La proposta piacque molto, ma il destino dispose altrimenti poiché la terapia non fece effetto. Nel lasciare la clinica, la Caico scriveva a Pound: «Ho rinunciato a Rapallo, naturalmente (spero di incontrarvi in Paradiso), e anche a Venezia, perché lì bisogna camminare».
Rientrata a Palermo, gli fece il punto della sua situazione: “Caro Ez, eccomi qui, e molto peggio di quando sono partita. […] Certo, non tutti guariscono, ma peggiorare è una cosa inaudita, mi dicono; sarebbe crudele, dopo aver speso così tanti soldi. […] Posso scrivere, ma non posso cucire, i miei pollici sono troppo stanchi. Questo mi allarma un po’, le mie preziose mani!”.
Sempre in quei giorni, Lina – che sapeva del proverbiale mecenatismo di Pound – scrisse da Padova una lunga lettera in cui gli chiedeva aiuto per la sua amica Grete Sultan (1906-2005), una pianista ebrea di Berlino che non aveva più di che vivere a causa delle Nürnberger Gesetze, le leggi razziali del 1935. L’episodio, ben noto (ne parlò per primo Tim Redman in Ezra Pound and Italian Fascism, Cambridge University Press, New York 1991), è emblematico del sentimento antiebraico maturato da Pound, che le rispose acidamente. Egli, però, significativamente aggiunse: «Hubermann è l’unica speranza per la vostra amica» (Lettera del 14 marzo 1937; si tratta di Bronisław Huberman, celebre violinista ebreo polacco che in quegli anni lasciò l’Europa e a Tel Aviv fondò l’Orchestra ebraica di Palestina, il cui concerto d’esordio fu diretto il 26 dicembre 1936 da Arturo Toscanini). Era contro i Rothschild, ma capiva i drammi personali delle vittime dell’antisemitismo nazista (la Caico lo percepì se, con il profilarsi delle leggi razziali, nel settembre 1938 chiese ancora aiuto a “Ez” per il dott. Loewald che cercava di lasciare l’Italia per gli Stati Uniti, dove divenne uno psicanalista di fama). Seppur timida, la Caico fu sempre franca con lui e rispose: «Caro Ez, l’economia vi sta davvero entrando nel cervello! Io non mi interesso di razze, ma di individui». Stremata dalle cure, poi allentò la presa. Al di là della boutade, aveva colto nel segno: le tesi politico-finanziarie, in Pound, avevano preso a sovrapporsi alla sua estetica. Un mese dopo, con una rilassata lettera all’amico «benevolo e intelligente», Lina ristabilì i contatti. Sullo sfondo, però, la «questione ebraica» rimase sempre un vulnus. Dopo il breve intervallo di Broletto, intanto, Pound era approdato al Meridiano di Roma di Cornelio Di Marzio, diventandone una firma. Qui pure coinvolse Lina, di cui nel maggio 1939 uscì “L’ultimo Criterion di Eliot” e nel giugno successivo, siglata L. C., la traduzione di un saggio poundiano del 1929 sul surrealista René Crevel, Nazioni e scrittori.
Malattia e guerra diradarono i contatti, ma nell’ottobre 1942 Pound tornò a lei: se la sentiva di tradurre in italiano i suoi discorsi a Radio Roma? Disponibile, Lina precisò che «la versione sarebbe stata dell’amica che sta con me, lavoriamo sempre insieme». Il progetto sfumò. Una successiva lettera al poeta, a ridosso dello sbarco alleato in Sicilia, si chiudeva con una triste nota: “Mi ripromettevo una vera vecchiaia, capelli bianchi e cuore leggero. Invece i sessant’anni mi trovano impotente, curva, miserabile. Povera di forze, di indipendenza, povera di gambe, di mani, schiava delle necessità di questo corpo che mi ha tradito. […] Povera anche spiritualmente, poiché non so rassegnarmi a ricavare vantaggi per l’anima dall’essere sempre orribilmente scomoda”.
Venne poi l’8 settembre e spezzò l’Italia in due. Da “Ez”, al Nord, più nulla per seicento giorni, i seicento giorni di Salò. A fine giugno 1945 la notizia del suo arresto raggiunse Montedoro. Incredula, Lina gli scrisse a Rapallo: “Caro Ez, mi dicono (non ho visto il giornale) che siete stato arrestato per aver parlato bene del fascismo nei vostri scritti. Ma in una libera democrazia questo non è un’accusa, voi potete pensare e dire quello che volete, purché non diciate menzogne, non ingiuriate, non calunniate, non facciate male a nessuno, non vi serviate della politica per arricchire. Voi non avete mai fatto nulla di tutto questo, siete una coscienza limpida e dignitosa, un gentleman; sicché mi figuro che questa vi ritroverà nel vostro libero domicilio. Il vostro pensiero ha le sue nebbie, come non ho mai mancato di dirvi, ma la prova che voi non avete mai fatto o detto nulla che possa motivare una accusa, è che voi ed io abbiamo potuto essere buoni amici, malgrado fossimo d’idee diametralmente opposte, io antifascista della prima ora. Fare il processo alle idee è quel che faceva il fascismo, è un resto di quella mentalità”.
Ma i desideri cozzavano con la realtà. “Ez” non tornò a Rapallo e il 17 novembre 1945 fu trasferito negli Usa. Poco prima – avuto da Dorothy l’indirizzo del campo di detenzione – Lina gli aveva inviato una lunga lettera in inglese (per facilitare il censore americano, scrisse), replicando l’incipit di quella del 26 giugno 1945, mai vista da Pound, e aggiungendovi: “Qualche dissapore politico ha ravvivato talvolta la nostra corrispondenza. Tuttavia la politica è sempre stata di secondario interesse per voi, un angolo in ombra nella vostra limpidissima mente. Gli argomenti letterari e la vostra cara New Economy sono “il vostro giardinetto”, come usa dire qui, e assai mi è piaciuto venire a farvi visita lì”.
E proseguiva: «La vostra ultima lettera iniziava con “povera Lina”, e poverissima lo sono in ogni senso…». Poi, chiuso il cahier de doléances, con il miglior spirito raccontava all’amico le stranezze del dopoguerra siciliano e le sue ultime letture. La calligrafia incerta tradisce la precarietà fisica: scrive con grande fatica, vi riuscirà ancora per poco.
Nella corrispondenza di quei giorni, rada ma vivace, ricorre Confucio (Pound lavorava agli Analecta). Vi partecipano, oltre a “Ez”, Lina e Laura, anche la moglie Dorothy e Olga con scambi di informazioni, libri, documenti e persino un pacco alimentare da Washington a Palermo. Dove, infine, giunse la notizia del premio assegnato a Pound, il Bollingen Award. Lina gli scrisse immediatamente: “Congratulazioni vivissime! Sono elettrizzata e piena di gioia. L’America è un grande paese! Posso leggere i Pisan Cantos? Non posso promettervi di farne la recensione perché […] voi siete “l’epuratissimo Pound”. Ma l’esempio della grande America potrebbe dare impulsi, suggerire… fatemi mandare il libro e vedrò cosa si può fare”.
Il volume arrivò: «I Pisan Cantos hanno suscitato molta eccitazione. Forse riuscirò a fare una modesta recensione. Ma non aspettatevi troppo, sapete che non sono né un critico né un’artista…». Non di meno, un verso dopo l’altro, Lina leggeva e dettava: le ci volle un anno e mezzo per venirne a capo. Poi, il 20 gennaio 1951, si spense. Laura trovò la forza di comunicarlo a Pound solo un mese dopo: “Morì dormendo, dolcemente, senza agonia, ma durante i nove giorni precedenti soffrì moltissimo. Era consapevole di morire e serena. Due giorni prima della fine volle che prendessi l’articolo di recensione dei Pisan Cantos, articolo che aveva da poco finito di dettarmi; e mi dettò ancora le correzioni, sebbene potesse appena, con grande stento, riuscire a parlare. Mi raccomandò caldamente di curarne la pubblicazione e farvelo avere”.
Amica devota, Laura si prodigò per esaudire quell’ultimo desiderio. Vanamente. Ormai vecchia, nel gennaio del 1969 si rifece viva col poeta, chiedendo di poter pubblicare alcune delle sue lettere a Lina in un’antologia a lei dedicata. Rispose Olga Rudge («Il signor Pound si scusa per non scrivere di persona, ma non può usare molto gli occhi») e l’autorizzazione arrivò, ma poi tutto saltò. Laura mancò nel 1973. I suoi propositi furono realizzati negli anni Ottanta da Antonio Billeci, palermitano, che nei «Quaderni di Tradizione mediterranea» pubblicò vari inediti di Lina e un piccolo estratto dal vasto carteggio tra il “ciclonico” americano e Linuzza, Sister of Mercy che il destino pose sul cammino dell’autore dei Cantos.
Maurizio Pasquero *, Lina Caico, l’amica antifascista dell’“epuratissimo” Pound, Pangea, * 13 Ottobre 2022
* Si pubblica, per gentile concessione, l’articolo di Maurizio Pasquero, “Caro Ez «miglior maestro del parlar possente»”, in uscita sull’ultimo numero di “Studi Cattolici” (740, ottobre 2022), che a “Ezra Pound a 50 anni dalla morte” dedica un quaderno con articoli di Luca Gallesi, Roberta Capelli, Carlo Pulsoni e Maurizio Pasquero.

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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