Cartesio: l’enigma sulla morte di un grande filosofo

Cartesio estese la concezione razionalistica di una conoscenza ispirata alla precisione e certezza delle scienze matematiche, così come era stata propugnata da Francesco Bacone, ma formulata e applicata effettivamente solo da Galileo Galilei, a ogni aspetto del sapere, dando vita a quello che oggi è conosciuto con il nome di razionalismo continentale, una posizione filosofica dominante in Europa tra XVII e XVIII secolo: non a caso la figura di Galilei oltre che nel contesto di quella che potremmo definire la “Scienza Nuova” confortatata da un elenco di prodigiosi discepoli (Redi, Dati, Marchetti, Cassini, Stenone ecc.) ebbe un’importanza epocale in merito al dibattito sui “Massimi Sistemi” sì da avere ammiratori e fautori anche in campo ecclesiastico (basti qui rammentare la figura di Monsignor Giovanni Ciampoli, peraltro legato da vari rapporti anche di amicizia con Angelico Aprosio)
A prescindere dalla sua possente filosofia di Cartesio per cui si rimanda a testi specifici di approfondimento, per questo discorso (non privo di mistero) vale comunque la pena di leggere quanto segue:
Cartesio nel 1649 accettò l’invito della regina Cristina di Svezia, sua discepola e desiderosa di approfondire i contenuti della sua filosofia, e si trasferì a Stoccolma.
Quello stesso anno dedicò il trattato sulle Passioni dell’anima alla principessa Elisabetta.
Il rigido inverno svedese e gli orari in cui Cristina lo costringeva ad uscire di casa per impartirle lezione – prime ore del mattino quando il freddo era più pungente – minarono il suo fisico.
Cartesio si spense l’11 febbraio 1650 a causa, secondo il racconto tradizionale e l’ipotesi più accreditata, di una sopraggiunta polmonite
La condanna della Chiesa cattolica nei confronti del pensiero cartesiano non tardò a venire, con la messa all’Indice dei Libri Proibiti nel 1663 delle sue opere (tuttavia poste nell’ Index con la clausola attenuante suspendendos esse, donec corrigantur).
Dopo la morte il corpo di Cartesio venne tumulato in un piccolo cimitero cattolico a nord di Stoccolma dove rimase sino al 1666 quando i resti vennero riesumati e condotti via dalla Svezia per essere portati a Parigi nel contesto di quella grande cltura francese di cui costituiva un monumento ed inumati nella chiesa di Sainte Geneviève-du-Mont dove rimase sino al 26 febbraio 1819 quando la salma fu nuovamente trasferita e inumata tra altre due lapidi tombali, quelle di Jean Mabillon e di Bernard de Montfaucon, nella chiesa di Saint-Germain-des-Prés: “alla presenza dei rappresentanti dell’Accademia delle scienze, la salma fu ancora riesumata. Ma, aprendo la bara, i presenti si resero conto che c’era qualcosa che non andava, in quanto allo scheletro del filosofo mancava misteriosamente il cranio”.
Si scoprì che gli svedesi ne avevano asportato la testa che ricomparve ad un’asta a Stoccolma dove il cranio fu acquistato e donato alla Francia.
Sul teschio del grande Cartesio, ormai privo della mandibola e della parte inferiore, compaiono le firme di tutti i suoi proprietari dalla fine del Seicento sino al momento della vendita.
Secondo l’uso del tempo gli intellettuali infatti tenevano sulla scrivania un teschio, meglio se di un illustre personaggio, a memento mori della morte comune ed inevitabile [dopo l’ottimismo rinascimentale i tempi cupi che travagliarono l’Europa specie tra fine XVI e XVIII secolo andarono maturando una sostanziale sfiducia verso le verità storicamente assodate e proprio Alessandro VII il Papa in qualche modo mentore di Cristina di Svezia quasi a sublimazione di questa lugubre costumanza nella sua camera a perenne monito teneva bene in vista una Bara = in particolare occorre rammentare che le stragi causate soprattutto dalla guerre e dalla peste nera avevano amplificato l’idea della morte e contstualmente dell’Apocalisse destinata a punire le colpe commesse dagli uomini: lo stesso Aprosio colse questa fragilità della vita di cui un tempo forse se la rise e su cui ora drammaticamente si andava ricredendo anche se qui fra tanti autori che trattarono il tema, merita un cenno il quasi dimenticato quanto arguto e ironico Cesare Giudici che nella sua opera la Bottega dei Giribizzi nel sonetto Orologio Solare in un muro d’un Cacatoio scrivendo contro i presuntuosi e tutti quelli che per fama e potere momentanei procedevano (e procedono) quasi fossero immortali con il naso all’insu’ e dando l’idea di sprezzare ogni cosa scrisse con un sorriso che sa molto di acrdine ed ammonimento:
“…che al Tempo corruttor tutto è soggetto/ e ch’al tirar dell’ultima Correggia/ ogni cosa mortal non vale un Petto “].
Ma il teschio, attribuito a Cartesio sia per l’età che per le ricostruzioni fatte in base ai ritratti del filosofo, continuò a rimanere separato dal resto del corpo ed esposto al Musée de l’Homme.
In onore del filosofo nel 1801, la sua città natale venne ribattezzata La Haye-Descartes e poi, nel 1966 in seguito alla fusione con il vicino comune di Balesmes, semplicemente Descartes.
Un’ altra ipotesi sulla morte di Cartesio
Il filosofo tedesco Theodor Ebert (1939), dell’Università di Erlangen, nell’opera La misteriosa morte di René Descartes è giunto alla conclusione che la causa della morte di Cartesio non sia stata una polmonite ma un avvelenamento da arsenico.
Ebert ha scoperto una nota del medico di Cartesio dove si descrivono le condizioni del filosofo consistenti in “perdurante singhiozzo, espettorazione di colore nero, respirazione irregolare” sintomi riportabili ad avvelenamento per arsenico.
Nello stessa opera si racconta di come Cartesio, forse sospettando un avvelenamento, chiedesse poco prima di morire un infuso di vino e tabacco, bevanda che serviva a vomitare[a titolo documentario si è pensato di proporre qui ciò che fu scritto sul tema degli avvelenamenti da un illustre medico legale italiano vissuto tra ‘700 e ‘800 vale a dire Francesco Puccinotti che fu medico personale oltre che amico di Giacomo Leopardi: egli al proposito degli avvelenamenti scrisse questo nelle sue celebri Lezioni di Medicina Legale qui digitalizzate]
Questa tesi dell’avvelenamento di Cartesio era stata avanzata anche nel 1996 da altri autori come Eike Pies che l’attribuiva all’iniziativa personale di un monaco cappellano presso l’ambasciata francese a Stoccolma incaricato di operare come “missionario del nord” per la conversione della regina svedese al cattolicesimo.
Pies ebbe modo nel 1980 di poter leggere nell’archivio dell’università olandese di Leiden una lettera del medico personale della regina Cristina che descriveva a un amico dottore i sintomi del moribondo Cartesio consistenti in “emorragia allo stomaco, vomito nero, tutte cose che non hanno niente a che fare con la polmonite”.
Gli studi, ritenuti attendibili da esperti della materia come Rolf Puster, ritengono che Cartesio sia stato avvelenato con un’ostia della comunione intrisa d’arsenico dal padre agostiniano, François Viogué, frate francese inviato dal Papa Innocenzo X a Stoccolma come missionario apostolico per convertire al cattolicesimo la regina Cristina di Svezia, come poi avvenne nel 1654 (l’ipotesi può anche esser impropria ma non inesatta dati i tempi = l’uso di un’ ostia trattata in modo blasfemo rientrava nella casistica di questi secoli dei veleni: in cui tanta era la paura di sicari avvelenatori che i potenti si circondavano come qui si vede di “servi assaggiatori” e nemmeno bisogna dimenticare come addirittura avverso un Pontefice e precisamente Urbano VIII fosse stato ordito un tentativo di assassinio con mezzi sospesi tra l’avvelenamento ed il magico un attentato con la terribile Congiura Centini ordita da ecclesiastici suoi nemici
La ipotesi di un assassinio di Cartesio ad opera del fanatico padre Viogué si baserebbe sul fatto che questi vedeva nell’insegnamento cartesiano un ideale razionalista che avrebbe portato alla conversione della regina Cristina ad un cattolicesimo molto diverso da quello professato dal padre agostiniano.
Tale affermazione, però, sembra in parte contrastare con quanto affermato della stessa regina di Svezia, la quale, in una testimonianza inserita nell’introduzione all’edizione postuma parigina delle Méditations métaphysiques, elogia il filosofo scrivendo che ” [M. Des-Cartes] a beaucoup contribué a nostre glorieuse conversion; et que la providence de Dieu s’est servie de luy […] pour nous en donner les premières lumières; ensorte que sa grâce et sa misericorde acheverent apres à nous faire embrasser les veritez de la Religion Catholique Apostolique et Romaine “.
La maggior parte degli studiosi si mostra invero assai scettica nel riguardo di questa ipotesi di avvelenamento, considerando ben più attendibile quella tradizionale fornita dal biografo Baille, tanto da ritenere che “non sono assolutamente da seguirsi le voci secondo le quali il filosofo sarebbe morto per avvelenamento, vittima di una congiura di corte: non sembrano verosimili, né nessuno ha mai avanzato prove plausibili”.
Per di più gli amici che assistettero Cartesio nelle ultime ore osservarono un sintomo non riconducibile all’avvelenamento da arsenico: la febbre alta.
La stessa alterazione febbrile Cartesio aveva avuto modo di riscontrare nell’ambasciatore Nopeleen e nell’amico Chaunut appena guarito da una febbre alta.
A rendere poco convincente l’avvelenamento di Cartesio sarebbe stato poi il fatto che lo stesso presunto avvelenatore, Vioguè, confessò e confortò Cartesio sul letto di morte amministrandogli l’estrema unzione.

da Cultura Barocca

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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