Cassinelli è l’unico a essere individuato attraverso nome e cognome e appellato con un vezzeggiativo

Giuseppe Cassinelli maestro a Dolcedo (IM) con la sua classe di prima elementare (1962). Fonte: Tommasi Lupi su Facebook

In un articolo di Giuseppe Cassinelli, datato 1989 e scritto in occasione della stampa del Canzoniere serriano, si legge:
“Di Serra è apparso, postumo, Piccolo canzoniere (Meyner, Torino, 1987), così come il poeta lo aveva concepito nel tempo, con le liriche in gran parte datate (quando per il lettore interessato aveva senso datarle) e corredate di note o dell’indicazione del «luogo di nascita». E bene ha fatto la figlia Maria, amorosa custode di tutte le carte paterne, a badare che neppure uno iòta o un àpice fosse tolto o aggiunto alla meditata struttura del libro <102.
La testimonianza di Cassinelli, critico e a sua volta poeta, costituisce una fonte piuttosto attendibile poiché costui, affezionato corrispondente di Serra – come si avrà modo di approfondire nel capitolo dedicato alle amicizie liguri -, fu un acuto conoscitore e stimatore della sua produzione, nonché un ascoltato consigliere dell’anziano poeta, soprattutto a partire dagli anni ’70.
Sempre Cassinelli in un articolo del 1976 parla di «recentissime ricapitolazioni racchiuse in Sommario e in Svaghi del nomade (1974, 1976) <103», poi nuovamente ribadite in altri articoli pubblicati in seguito alla morte del poeta, nei quali accanto alle raccolte poetiche viene ricordata anche la sistemazione definitiva delle prose, volume dal titolo Confessioni all’aperto.
Negli anni ’70 Cassinelli segue da vicino l’operato del poeta – è incaricato da Serra medesimo di riordinare la sua biblioteca – e per questo la sua testimonianza appare assolutamente credibile. Un riscontro incrociato si ritrova anche nella corrispondenza privata con Gherardo Del Colle, precisamente in una carta in cui Serra fa riferimento a un «libretto che s’intitola “Sommario” destinato a rimanere inedito».
[…] In un articolo commemorativo Cassinelli – tra i più acuti critici serriani – anticipa in modo sintetico i dati che contraddistinguono il poetare dello spezzino:
“Composita, se altre mai, è la tastiera di Serra. Ma angoscia e rasserenamento, dramma e tenerezza, nobile parlato e robusta effusione di canto (persino ammiccare sottile o grave-sorridente ammonimento) si fondono, per qualità di stile e di ispirazione, nell’opera sua. Ricca anche la sua tematica: a volte un vago trasalimento, un soffio, una luce improvvisa gli bastano (la sua sensibilità era sempre vigile) e la sua potenza espressiva subito urge, si manifesta e concreta; brevissimo a volte, quando l’urgenza non consente divagazioni; o, le più volte, complesso e analitico, nessun argomento, nessuna «occasione», purché sinceramente lo toccassero, disdegnava. […]”.
Sia negli «improvvisi» lirici, sia nelle composite strutture, Serra si preoccupava sempre di «comunicare esattamente (“juste”)» – son parole d’un suo saggio su Cardarelli – «ciò che si era proposto di rappresentare». Di qui, la severa costruzione delle sue liriche sposata alla più agevole naturalezza; di qui la sua classicità. Poeta sempre, in verso o in prosa, perché sempre costruiva, sceglieva (secondo l’originario ètimo), vigilante alla giacitura e alla perspicuità della parola, affinché ella uscisse «segnata bene de la interna stampa» <115.
Il critico mette in luce l’intensità del verso serriano e la sua capacità di ricoprire un’intera gamma di suoni, dall’acuto al grave, in corrispondenza della sua specifica sensibilità poetica; Serra appare, infatti, amante dei dettagli, delle sfumature cromatiche, che lo portano ad avere un approccio analitico e concreto nei confronti della realtà che lo circonda.
Dalle parole di Cassinelli risalta anche un altro aspetto del versificare serriano, inerente alla prassi compositiva: “Serra è solito «costruire» i suoi testi, scegliendo con accuratezza i termini e ponendoli nella successione più idonea alla costituzione del verso, in funzione del messaggio da esprimere. Questo aspetto è reso trasparente soprattutto dall’usus dell’autore di tornare più volte sul medesimo testo, anche dopo averlo già dato alla stampa, rendendo così possibile indagare la direzione assunta dalla sua ricerca, attraverso la comparazione delle diverse redazioni”.
[…] Questo primo tratto di corrispondenza appare particolarmente interessante poiché, oltre a ritrarre le tappe di poco posteriori all’esordio, consente di riportare alla luce entrambe le voci del dialogo: tra due missive serriane – rispettivamente del 3 e 19 giugno – si inserisce, infatti, l’unica epistola firmata da fra Gherardo pervenuta tra le carte dell’archivio e datata 14 giugno 1971. In apertura il padre cappuccino, riprendendo le parole conclusive della missiva serriana del 3 giugno, invoca una visita dell’amico presso la sua dimora, il convento genovese di San Bernardino, luogo in grado di allietare entrambi, «sia per l’incantevole “visione” della nostra Genova e della nostra Riviera consentita dalle terrazze conventuali, e sia perché potremmo evocare assieme tante cose e persone a noi egualmente care». L’invocazione di visite – destinate a rimanere rade – appare un elemento ricorrente lungo tutto l’arco della corrispondenza, soprattutto nell’esordio quando i due interlocutori non si sono ancora si sono conosciuti di persona.
«Ho informato del nostro “incontro” epistolare l’amico Peppino Cassinelli: e n’è felicissimo. E certo ne gioisce anche il caro Angelo Barile, ch’ebbe moltissime volte a parlarmi di lei, con il tono e con l’intensità di quando discorreva dei suoi “intimi”»: così procede Gherardo, che non solo mette in luce la comunione nel nome di Barile – tramante nascosto dell’intero epistolario -, ma menziona anche per la prima volta Giuseppe Cassinelli, amico di entrambi e chiamato in confidenza “Peppino”, svelando così il motore concreto di questo avvicinamento.
Sebbene i primi passi di questa amicizia siano andati dispersi, si può facilmente supporre che sia stato l’anziano poeta a contattare per primo il giovane frate cappuccino, congettura che trova conferma nelle lettere inviate da Cassinelli a Gherardo Del Colle – custodite anch’esse presso l’archivio dei cappuccini di Genova <174. Si legge, infatti, nell’epistola datata 15 maggio 1971, firmata Peppino: «Giorni fa mi ha scritto anche Serra – autore di epigrammi e versi satirici – cui avevo inviato i tuoi versetti “epigrammatici”: “Ho sempre dimenticato di dirti che gli epigrammi di Gherardo Del Colle (che battono di gran lunga i miei) mi son piaciuti immensamente. […] Ma dove sta Gherardo Del Colle?”». E poi ancora nella lettera del 10 giugno ’71, a incontro avvenuto: «Son felice di esser stato in qualche modo responsabile dell’incontro Serra-Del Colle. Serra scrivendomi il 7 una lunghissima lettera […] mi dice anche di essere in corrispondenza con “l’angelico Fra Gherardo, il mio più grande acquisto in questi ultimi frastornati tempi”». È interessante inoltre come all’interno di questo epistolario – a sua volta molto denso – si possano rintracciare molteplici riferimenti intrecciati, che attestano come questi tre poeti siano uniti da reciproca amicizia – come una volta era stato anche per Serra, Barile e Sbarbaro.
[…] Mi ridonò i fratelli, mite Amico,
il tuo libro dei ritmi
sì che remo non vuol né altro velo
che l’ali tue tra liti sì lontani.
Grande e Barile e Sbarbaro e Ungaretti
e Caproni e Riolfo, e tu Peppino Cassinelli, saprò
trovarvi ancora e sempre: in questo lembo
di terra-cielo, ne LA CASA IN MARE
che al golfo del mio cuore Ettore Serra
ancorò per cortese incantamento
fra l’onde che mareggiano e il sereno.

Composta da tre strofe dal metro libero, questa lirica intende celebrare in primo luogo l’humanitas della poesia serriana, in correlazione all’assiduo impegno nei confronti della poesia e dei poeti della Liguria, come sottolinea lo stesso Gherardo Del Colle nelle note apposte alla lirica: «il gentile Ettore Serra [che] mantiene presenti al nostro comune ricordo e affetto i dolci cantori nominati e tant’altri amici-poeti <175».
La singolare struttura a collage non solo mette in luce la perizia tecnica di Gherardo Del Colle, ma insiste anche nel far risaltare la trama innovativa della lirica, che unisce in un medesimo testo evidenti calchi danteschi
[…] Nell’ultima strofa, Gherardo Del Colle scende ancora più nel dettaglio, indicando quale giovamento personale tragga dalla lettura del «libro» serriano «dei ritmi»: la possibilità di sentirsi vicino ai «fratelli» liguri. In questi versi si ritrova anche l’ultima citazione ripresa dalla cantica purgatoriale che, riferita a “La casa in mare”, intende nobilitare nuovamente l’attività poetica dell’amico e valorizzarne il forte potere emotivo: l’espressione «sì che remo non vuol né altro velo / che l’ali tue tra liti sì lontani» nel testo originale è riferita, infatti, all’angelo traghettatore, alter-ego serriano. Nei due versi seguenti, l’autore passa a esplicitare i nomi dei «fratelli» che la lettura de ‘La casa in mare’ è in grado di ridonargli, riunendo al verso 28 i nomi dei poeti ormai scomparsi – particolare che giustifica anche il suffisso del predicato «ridonò » – e al 29 quelli ancora in vita; nella lista due nomi risaltano: quello del nonligure Ungaretti, forse – motiva De Nicola <179 – indotto dal nome della sua opera, e quello di Cassinelli che, già in posizione di rilievo in coda alla lista, è l’unico a essere individuato attraverso nome e cognome e appellato con un vezzeggiativo, nonché l’unico a essere anticipato dal pronome personale «tu», che sembra quasi voler instaurare un dialogo diretto. La somma di questi particolari induce a pensare che Gherardo del Colle abbia appositamente preservato al poeta ponentino un posto d’onore in relazione sia al ruolo primario di tramite nell’amicizia con Serra, sia per il loro profondo legame personale.
Questa lirica, infatti, verrà inviata in anteprima anche a Cassinelli, come dimostrano le due missive del 10 e 17 giugno 1971, all’interno delle quali Peppino si esprime riguardo a quella che definisce «epistola poetica» dell’amico; tra queste osservazioni risalta un riferimento sulla presenza del proprio nome nella lista dei poeti: «Piuttosto (mi pare di non avertelo ancora detto), grazie per avermi dato l’assoluzione del peccato della poesia. Se non sono Casella, son pur tra coloro che “si dimenticano” dietro al canto (quel mio amico, di cui t’ho parlato altre volte, dice che la sua poesia – l’orgoglio della poesia, del fare poesia – può essere già demoniaco). [….] PS: […] Dovrei dirti che non mi sento degno di essere stato imbarcato sul vasello snelletto degli eletti cantori. Invece te ne ringrazio, anche se l’operazione d’imbarco è tutta a tuo rischio e pericolo», (17 giugno ’71).
Negli ultimi versi vengono sciolte e riprese le immagini su cui sono basati i trenta versi precedenti: Gherardo Del Colle potrà ritrovare sempre gli amici liguri «in questo lembo di terra-cielo» (immagine che sembra richiamare la «scarsa lingua di terra che orla il mare» di Sbarbaro <180) che, per analogia con la materia trattata, corrisponde al vasello-Casa in mare ormeggiato da Ettore Serra «al golfo del suo cuore», «per cortese incantamento» (ovvero grazie al potere incantatore della poesia), «fra l’onde che mareggiano e il sereno». Oltre a comparire per la seconda volta il nome dell’anziano poeta in modo quasi speculare all’esordio, in questi versi si trova anche la citazione tratta da “Penso agli amici morti”, posta in clausola e distaccata dai versi precedenti mediante uno spazio. La scelta di padre Gherardo non appare casuale: attraverso questo innesto serriano intende, infatti, lanciare un ponte verso la lirica dell’amico, anch’essa incentrata sull’evocazione delle amicizie liguri.
[…] Sulla sorprendente lucidità dell’anziano poeta [Ettore Serra] si pronuncia a più riprese anche Cassinelli nelle lettere inviate a Gherardo Del Colle, come in quella del 2 aprile 1975 scritta in occasione di un suo recente soggiorno presso la casa del poeta:
“È sempre lucidissimo e acuto nei suoi giudizi, sempre preciso nei riscontri (il mattino di Venerdì, ad esempio, il discorso cadde casualmente su certe lezioni dantesche accreditate dal Petrocchi; dovevi vedere come citava a colpo sicuro e par coeur le varianti proposte dai vari interpreti; e ho visto certi suoi dotti commenti a pie’ di pagina, per confutare alcune lezioni, dove il poeta e l’erudito fanno a gara per sostener la propria tesi. Che interessante materiale c’è anche in questi suoi classici dal lui annotati!)”.
[…] Serra non solo tiene sempre aggiornato Gherardo Del Colle riguardo ai suoi progetti – come la traduzione poetica del “Cimitiere marin” di Valery (1971) o la stampa della plaquette “Chantal” (1972) – ma invia all’amico anche componimenti scherzosi, che riportano alla luce un aspetto estraneo della personalità serriana delineata finora, ovvero quel Serra «scrittore di epigrammi e versi satirici», quale era stato presentato da Cassinelli a Gherardo Del Colle nella lettera del 15 maggio 1971.
Cassinelli mostra anche pubblicamente la grande stima verso quest’aspetto meno noto della produzione serriana, sottolineando in un articolo dedicato alla nuova raccolta montaliana:
“Molti affezionati alla poesia di Eugenio Montale rimarranno sorpresi dal suo quarto libro di poesia: ‘Satura’ (Mondadori, Milano, 1971); sorpresi e delusi di non ritrovare il lirico degli Ossi di seppia, delle Occasioni e della Bufera. Non sarò certo io (che mi godo le più recenti poesie, insaporite d’arguzia e a volte di sapidi umori, di un poeta lirico quale Gherardo Del colle), non sarò io, che più d’una volta ho stimolato Ettore Serra a pubblicare i suoi privatissimi epigrammi, a far questione di generi letterari” <181.
[…] “Oltretempo” rientra in quella categoria di liriche che avrebbero ottenuto il «benestare» di Barile poiché, per intercessione della donna amata, mostra un’apertura nei confronti del potere salvifico della fede da parte di colui che si definisce «più un torturato come Sbarbaro che non un consolato come Barile» (lettera del 21 agosto 1972, riportata integralmente in appendice, p. 233). Riguardo alla forma embrionale di questo componimento (quando ancora riportava la denominazione “Viatico”), si esprime in modo positivo anche Cassinelli nel suo scambio epistolare con Gherardo Del Colle, in una delle prime missive in cui compare il nome di Ettore Serra (lettera del 15 maggio 1971):
“E intanto, quanto a Serra (che ebbe una travagliatissima vita), mi sta dando in questi giorni una grande consolazione. Il 13 aprile mi scriveva: “Per glorificare la Pasqua mi sono riletto attentissimamente il Vangelo secondo Giovanni nella traduzione (stupenda) di Giovanni Luzzi. Non c’è da meravigliarsi se, spiritualmente, sono molto… migliorato. Speriamo che il Paracleto voglia assistermi fino all’ultimo”. E, da allora, ha continuato ad inviarmi certe poesie
d’anni fa che concludevano senza speranza (come un ‘Viatico’ che Barile conobbe e non disapprovò), con una conclusione tutta nuova. ‘Viatico’, ad esempio, conclude: “Ma ora s’è spento / il truce rintocco, / e libero alfine dal sonno, / al paese m’avvio d’Oltretempo. / Non tremo: ormai so che all’arrivo / – un attimo solo quel varco – / non l’agguato mi attenderà, / ma lei, fiore tra fiori di luce, / su fiumi abbaglianti di musica”. Ancor più consolante una composizione nuova che, prendendo le mosse da tutta l’amarezza dell’Ecclesiaste, attraverso ad un serrato dialogo tra lo spirito che nega e la luce, giunge a qualcosa che è più della speranza.
Ma non tutta la produzione serriana presenta un “lieto fine”, come osserva ancora lo stesso Cassinelli in un’altra missiva sempre tratta dallo scambio con Gherardo Del Colle e datata 4 maggio 1972: «Sì, ho avuto anch’io la poesia di Serra, e vi ho rintracciato il Serra più amaro (conosci i “Salmi di un paria”?); non ti nascondo di esserci rimasto male, ma chissà… forse anche questi momenti di negazione (che mi parevano superati ultimamente) fanno parte di quella sua ricerca di Dio “col cuore in gola”, come ebbe a dire una volta <186».
Dal raffronto incrociato tra i due epistolari, è possibile riconoscere dietro ai riferimenti di Cassinelli la lirica “Pulvis es”, oggetto di discussione in molte missive dirette a Gherardo Del Colle, al quale venne inviata in anteprima il 14 aprile 1972. A partire dal titolo si rintraccia uno stato di inquietudine interiore e di inchiesta sulla propria sorte da parte di colui che scrive: «Memento homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris» recita il versetto della Genesi (Bibbia, Genesi, 3, 19) da cui trae origine il titolo; queste parole sono rivolte da Dio ad Adamo subito dopo il compimento del peccato originale, per ricordargli la caducità e la dissoluzione a cui andrà incontro dopo la morte. Questa formula, secondo l’antico rito, veniva pronunciata dal sacerdote imponendo la cenere sul capo dei fedeli durante la messa del primo giorno di Quaresima, in ricordo del momento in cui Dio privò l’uomo del dono dell’immortalità. Dietro alla scelta di questo titolo si nasconde l’ansia sell’anziano poeta, ormai vicino alla conclusione del suo viaggio terreno, che si domanda e si interroga sulla sua sorte.
[NOTE]
102 G. Cassinelli, Ricognizione del Piccolo canzoniere di Ettore Serra, in «Arte e Stampa», N.° 1 – 1989, pp. 5-7.
103 G. Cassinelli, Classicità di Ettore Serra, in «Giustizia Nuova», Bari, 15 dicembre 1976.
114 G. Caproni, Il «gentile Ettore Serra», in La casa in mare (1969), cit., p. 120.
115 G. Cassinelli, Ricordo di Ettore Serra, in «L’osservatore romano», 25 febbraio 1981.
174 A tal proposito si intende ringraziare ancora una volta i responsabili dell’archivio, che gentilmente mi hanno permesso di consultare anche questi documenti inediti.
175 Nota dell’autore, ora in Gherardo Del Colle, Il fresco presagio (2008), cit., p. 162.
179 Cfr. De Nicola, Gherardo Del Colle, la limpida poesia dell’inquieta letizia, introduzione a Il fresco presagio (2008), cit., p. 8.
180 Camillo Sbarbaro, L’opera in versi e in prosa, Milano, Garzanti 2007, p. 97.
181 Estratto dall’articolo dattiloscritto Un capitombolo di Montale di G. Cassinelli, pervenuto all’interno dell’archivio dei cappuccini presso il Convento di Santa Caterina tra le carte di fra Gherardo; molto probabilmente è relativo a un’uscita su rivista, anche se non è possibile indicare il preciso riferimento alla pubblicazione.
186 Serra si auto-ritrae nell’atto di cercare Dio «con il cuore in gola» nella prefazione di Serata d’addio (1961), cit. p. 5.
Simona Borghetti, “Un amore a lungo termine”: Ettore Serra poeta tra i poeti, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012/13

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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