Circa Lucio Fontana

Lucio Fontana, Uovo nero orizzontale, 1961 – Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce, Genova

Artista e sperimentatore instancabile, Fontana è stato una delle figure fondamentali per l’evoluzione e l’aggiornamento dell’arte italiana e nazionale del ‘900, sviluppando una nuova nozione del fare arte basata sul momento creativo più che sull’opera finita.
Fondatore del Movimento dello Spazialismo nel 1947, l’artista ha raggiunto fama internazionale grazie ai suoi Tagli iniziati nel 1948 in cui cerca il superamento di una spazialità tradizionale illusoria per una dimensione altra, “..è l’infinito, e allora buco questa tela, che era alla base di tutte le altre, ed ecco che ho creato una dimensione infinita, un buco che per me è alla base di tutta l’arte contemporanea, per chi la vuol capire. Sennò continua a dire che l’è un büs, e ciao”.
Nella collezione del museo sono conservate 5 opere, tre preziosi disegni del 1934 e due ceramiche Uovo nero orizzontale e Piatto Savonese. I disegni fanno riferimento alle sue prime esperienze astratte, concretizzate nella sua prima mostra monografica di sculture esposte alla galleria Il Milione nel 1935. Realizzati a matita su carta bianca con un segno sottile e continuo preannunciano le ricerche delle potenzialità dello spazio che l’artista esprimerà successivamente.
Il Piatto e Uovo nero sono più tardi e testimoniano la grande attrazione per l’artista nei confronti di un materiale duttile come la ceramica e il suo legame per l’ambiente albisolese, dove Fontana, già presente alla fine degli anni ’40, frequentava assiduamente la manifattura Mazzotti e dove aveva un piccolo studio dal 1947 al 1960 Pozzo Garitta. Le due opere sono state esposte nella prima mostra d’inaugurazione del museo nel febbraio 1985, l’Uovo, chiaramente collegato alla serie delle Nature, era allestito con il gemello verticale, poi nella collezione di Gio Pomodoro. Queste sculture venivano chiamate dall’artista le “Virginie” e riportano, inciso sulla terracotta patinata, il noto segno-gesto, la cifra stilistica dell’artista.
Lucio Fontana “Uovo nero orizzontale”, 1961, Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce, Genova, Musei di Genova

57 G 26: CONCETTO SPAZIALE, 1957, pastelli e collage su tela, 125 x 101 cm, Milano, Fondazione Lucio Fontana
Lucio Fontana, Crocifisso – Fonte: Il Fatto Quotidiano, art. cit. infra

Universalmente (mis)conosciuto per i suoi tagli su tela, banalizzato dai più nella sfera del “potevo farlo anch’io”, mercificato in stellari aste milionarie, Lucio Fontana (Rosario, 1899 – Comabbio, 1968) è forse l’artista che meglio ha rappresentato il punto di non ritorno dell’arte del Novecento. Prima di pugnalarle a morte, l’artista argentino amava plasmare le sue opere a mani nude: prima dei tagli c’è stata l’argilla, prima di Fontana mito c’è stato Fontana scultore. E proprio alla produzione ceramica di Lucio Fontana è dedicata un’intera mostra allestita dal 5 settembre al 7 novembre 2020 dalla Galleria Karsten Greve di Parigi. La retrospettiva, intitolata Ceramics, indaga l’aspetto meno conosciuto della ricerca del padre dello Spazialismo, focalizzandosi sulla spontanea visionarietà degli inizi.
La produzione in mostra va dagli anni ’30 alla fine degli anni ’50, dalle prime esperienze in Argentina alla Milano futurista, per arrivare ad Albisola in Liguria, nella manifattura dell’amico Tullio Mazzotti. Abbandonata la scultura tradizionale, praticata nell’atelier del padre e sotto la guida di Adolfo Wildt all’Accademia di Brera, la borsa di studio vinta nel ’37 lo porta a dissacrare con le sue sperimentazioni il santuario europeo della ceramica, la manifattura di Sèvres. Nel Manifesto bianco del ’46 grida al mondo che l’arte non era immobile in un tabernacolo ma cambiava con i tempi, radicata nella storia e nella natura; tramite la ceramica e le sue modellazioni dimostra che i buchi non distruggono la materia ma la liberano dalla prigione della forma facendola respirare.
Le ceramiche di Fontana hanno la stessa età del mondo, materia primordiale e magmatica che si contorce, s’increspa, si distende. I colori innaturali vibrano sfiorati dalla luce, esaltati dai riflessi cangianti dello smalto che smaterializza i volumi. L’immaginario di Fontana si fissa nelle pieghe della materia, da fondale marino e foresta si trasforma in universo di pianeti sconosciuti: evolve dal figurativo all’astratto, dalla frenesia creativa degli inizi alla consapevolezza della maturità che ha ormai reso la ceramica degna di essere arte. Anche il repertorio sacro tradizionale viene contaminato dalle riflessioni sulla natura e la Crocifissione si schiude assumendo tutte le sfumature cangianti della madreperla. Alla fine degli anni ’50, lo spazio di Fontana è ormai dilatato all’infinito, in sintonia con le prime immagini lunari dell’epoca: i buchi sulle terrecotte sferiche sono costellazioni di stelle e di idee, i graffi e le incisioni anticipano i celebri Tagli su tela degli anni ’60.
Dichiarandosi scultore e non ceramista, Fontana getta la tradizione nel fuoco delle fornaci per liberare una materia antica come la terracotta da ogni compromesso di sostanza e forma. In un secolo come il nostro ‘900, in cui si credeva perduta per sempre, scommette su una bellezza nuova: la trova oltre la semplice superficie delle sue ceramiche, opere che forse non si concluderanno mai, aperte agli sguardi degli osservatori di ogni tempo.
Serena Tacchini, Lucio Fontana, prima dei tagli c’erano le sculture: a Parigi una mostra dedicata alle ceramiche (che in pochi conoscono) del padre dello Spazialismo, Il Fatto Quotidiano, 16 agosto 2020

524-129: CONCETTO SPAZIALE, 1959-60, taglio su terracotta colorata a ingobbio, h.27, diam. 22 cm, Milano, Fondazione Lucio Fontana
56 G 4: CONCETTO SPAZIALE, 1966, pastelli su tela, 65 x 81 cm, Milano, Fondazione Lucio Fontana

“Le idee non si rifiutano, germinano nella società, poi pensatori e artisti le esprimono”
Lucio Fontana

Lucio Fontana è un artista enigmatico: ha parlato pochissimo nella sua vita ed ha prodotto moltissimo. Da validissimo scultore di lapidi in Argentina a scultore simbolista in Italia a pittore che inganna la giuria delle mostre, dando ai membri dei vetusti tromboni, sostenendo che le sue tele sono sculture, cosicché, seppur invitato da scultore, potesse esporre delle tele, Lucio Fontana ha sempre saputo stupire.
Nato in Argentina nel 1899, si è distinto per la straordinaria capacità manuale che gli ha consentito di perseguire binari creativi diversi, continuando per tutta la vita anche una produzione di stampo tradizionale, fatta di terrecotte, sculture e disegni figurativi.
Dopo la fondazione del Manifesto Bianco (1946), diede avvio ad un movimento che definì Spazialismo, in omaggio all’esplorazione dello spazio che proprio allora stava iniziando a muovere i primi passi.
Nel 1947 diede inizio alla serie dei Buchi: la superficie del quadro si riempiva di crateri irregolari come cieli stellati. Lo sguardo dell’osservatore era così in grado di penetrare la superficie pittorica e di andare dentro ed oltre il quadro. Il fondo può essere monocromo oppure può ospitare elementi decorativi quali pietre, lustrini e sfumature.
Ma è con la serie dei Tagli che Lucio Fontana si è guadagnato un posto d’onore nella storia dell’arte. Immortalato da Ugo Mulas, il suo gesto è stato oggetto di numerose critiche: “avrei potuto farlo anch’io”; “l’e` un bu¨s, e ciao…”; “non significa niente”; “lo saprebbe fare anche un bambino”; “e lo vendono a milioni di euro..”. Eppure quel gesto racchiude in sé una quantità di significati che difficilmente riusciremo a condensare in un solo articolo.
L’artista tagliava la tela talvolta disponendo una ferita al centro, più spesso eseguendo molte in una serie ritmica di linee. I primi quadri di questa categoria hanno la superficie ricoperta quasi sempre da aniline, successivamente invece la maggioranza di queste opere verrà caratterizzata dall’uso di idropittura. I “Tagli” all’inizio si presentano in fitte sequenze, poi tendono a ridursi a pochi o ad essere addirittura unici e netti, dove una garza nera ne chiude sul retro la luce. Anche in questa serie, si ritrova il titolo “Concetto spaziale” e “Attesa” che può variare al singolare o al plurale in base alla quantità di tagli realizzati dall’autore.
Il taglio di Fontana è in primo luogo una ricerca di potenzialità spaziali ancora inesplorate, di luoghi dell’arte oltre e dopo la tela, su cui, in centinaia di anni di storia dell’arte, si è impresso tutto quanto si poteva, da Caravaggio a Pollock. L’arte di Fontana supera la bidimensionalità per divenire tridimensionale.
Con la precisione di un chirurgo, Fontana ferisce la tela e il suo gesto apre la luce al buio e il buio alla luce: ed in effetti dai suoi tagli sembra di vedere irradiarsi un buio luminoso che pervade l’atmosfera. C’è poi chi ha visto nei Tagli di Fontana una metafora dell’inconscio, quel luogo dell’anima dove si si nascondono tutti i pensieri più involontari. Ancora più efficace è l’equiparazione del taglio all’”extime” di Lacan, quel “luogo in cui l’interno è l’esterno e l’esterno l’interno, l’extimità”, uno strano mix di externo e intimità, una metafora, in ultima analisi, del senso profondo della persona e del suo essere nel mondo […]
Laura Corchia, Lucio Fontana: l’artista che ha dato un taglio alla storia dell’arte, RestaurArs

40 SC 24: RITRATTO DI TERESITA, 1940, mosaico policromo, 34 x 33 x 15 cm, Milano, Fondazione Lucio Fontana
Lucio Fontana, Soffitto spaziale, 1956, buchi e vetri colorati su gesso dipinto in rosso con fiammate gialle già Varigotti, Hotel Il Saraceno, St. Moritz – collezione privata (Crispolti 2006, 56 A 7) – Fonte: Paola Valenti, art. cit. infra
Lucio Fontana, Soffitto spaziale, 1951-1952, buchi su gesso e luci, dettaglio. Varazze, Kursaal Margherita (Crispolti 2006, 51-52 A1). Foto Diego Santamaria – Fonte: Paola Valenti, art. cit. infra
Lucio Fontana, Madonna Assunta e San Michele Arcangelo, 1956 terracotta refrattaria ingobbiata e invetriata, con inserto in bronzo Manifattura: MGA, Albissola Marina Chiesa dell’Assunta, Piani di Celle Ligure. Foto: Loris Prette – Fonte: Paola Valenti, art. cit. infra

È un legame intrinseco e profondo quello che lega ad Albisola molte opere progettate da Lucio Fontana in rapporto all’architettura: un legame non necessariamente riconducibile a episodi specifici della biografia dell’artista, ma così forte da innestarsi nel suo pensiero e nella sua prassi operativa dal momento in cui egli inizia a frequentare la vivace cittadina, alla metà degli anni Trenta, per poi manifestarsi, da allora in avanti, anche in occasioni e contesti apparentemente privi di connessioni con il territorio ligure. È, infatti, un legame che permea e alimenta uno dei concetti cardine intorno a cui Fontana mette a punto e fa evolvere la poetica dello Spazialismo, ossia quello della materia come “dispositivo” attivatore di inedite e molteplici situazioni ambientali e percettive, e tale concetto – lo spiega Enrico Crispolti nel saggio che apre questo volume – affonda le radici proprio nell’esperienza di lavorazione della ceramica condotta dall’artista ad Albisola. La ceramica, materia «primaria» e «liberissima» (per usare gli stessi aggettivi qui usati da Crispolti), capace di straordinarie suggestioni cromatiche, si rivela infatti a Fontana quale mezzo dalla «sconfinata valenza immaginativa plastica», in grado di trattenere l’energia dell’atto della sua lavorazione e di tramutarla in un perenne stato di vitalismo e di dinamismo il quale, a sua volta, si traduce in opere capaci di superare sia la dimensione oggettuale sia la tradizionale distinzione tra i generi (pittura e scultura) per assurgere a “eventi” plastico-cromatici dalle soluzioni formali liberamente impreviste, rutilanti ed espansive, precipuamente adatti ad attivare lo spazio che li accoglie, in particolare quello architettonico.
Significativamente nel 1947, appena rientrato in Italia dall’Argentina, Fontana realizza proprio in ceramica policroma e grès i cinque Fregi spaziali con composizioni astratte per la facciata del palazzo di via Senato 11 a Milano, opera degli architetti Marco Zanuso e Roberto Menghi <1: tali bassorilievi orizzontali, nei quali forme geometriche si alternano a motivi organici in un continuum plastico e cromatico inedito per la cultura decorativa italiana del tempo (cat. rag. nn. 47 A 1-5) <2, “animano” di sottili vibrazioni i rigorosi prospetti dell’edificio, in sinergia con oltre sessanta pannelli sottofinestra in grès marrone in cui Fontana elabora un motivo che risente dell’informale europeo, con semplici striature orizzontali segnate sul vivo della materia (cat. rag. nn. 47 A 6-69) <3.
Paola Valenti, Dalla terra allo spazio: Lucio Fontana e l’architettura, nel segno di Albisola, Lucio Fontana e Albisola, a cura di Luca Bochicchio, Enrico Crispolti, Paola Valenti, Volume pubblicato in occasione della mostra Nascita della materia. Lucio Fontana e Albisola, Albissola Marina / MuDA, Savona / Museo d’Arte di Palazzo Gavotti (collezione Milani/Cardazzo) e Museo della Ceramica, 2 agosto – 2 dicembre 2018

Fonte: Luca Frigerio, art. cit. infra

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lucio Fontana è quello dei “tagli”. Geniale, irritante, provocatorio. Acclamato come il rinnovatore dell’arte contemporanea quanto accusato di averla definitivamente distrutta. Per le sue tele lacerate, per i suoi buchi attraverso le superfici, per i suoi grumi d’argilla. Ma che lo si ami o meno, quel che è certo è che Fontana è stato uno dei protagonisti dell’arte del dopoguerra, e uno degli artisti italiani più noti del Novecento.
Meno nota, semmai, è la sua produzione d’arte sacra, seppure essa sia tutt’altro che occasionale, e anzi espressione di un lungo, ininterrotto cammino di ricerca. Come rivela ancora una volta la mostra che il Museo del Duomo di Milano dedica oggi a Lucio Fontana, celebrandone così il cinquantenario della scomparsa, avvenuta appunto il 7 settembre 1968.
Una rassegna che viene inaugurata venerdì 26 ottobre e che eccezionalmente presenta l’ultimo bozzetto che il maestro italo-argentino realizzò nel 1955 per la quinta porta della Cattedrale, mai esposto prima al pubblico perché fino ad ora conservato presso il cantiere dei marmisti della Veneranda Fabbrica. Si tratta di un modello in gesso il cui precario stato di conservazione ha richiesto un delicato intervento di restauro, che si concluderà proprio nelle sale del museo, sotto gli occhi dei visitatori.
Al travagliato concorso per la quinta porta del Duomo di Milano, indetto nel 1950, Lucio Fontana era stato invitato per chiara fama, e nonostante i molteplici impegni di quel periodo febbrile, aderì al progetto con convinzione ed entusiasmo. Il suo modello per la nuova porta, il cui tema – “Origini e vicende della cattedrale” – era stato suggerito dallo stesso cardinal Schuster, spiccava per originalità inventiva e compositiva, dove i vari episodi non apparivano rinchiusi in precisi riquadri, ma fluivano in una narrazione libera e movimentata, a dare come l’impressione di una storia in progressione, più che un susseguirsi di singoli ed isolati episodi. La commissione giudicante fu ben impressionata da questo lavoro, ma forse “intimorita” da quell’estrema sintesi formale, da quell’«arte novissima» (come fu definita, e come si intitola la mostra), chiese a Fontana di “riequilibrare” l’insieme, riproponendo cioè un nuovo bozzetto. Richiesta, peraltro, che venne estesa anche agli altri partecipanti ritenuti più meritevoli, e cioè Enrico Manfrini, Francesco Messina e Luciano Minguzzi.
Dal nuovo esame risultarono vincitori ex aequo Fontana e Minguzzi. Sarà quest’ultimo, con una proposta all’altezza delle sue qualità di scultore, a ottenere infine la commissione della quinta porta del Duomo, che oggi ancora possiamo ammirare. Fontana, invece, probabilmente deluso, se non addirittura contrariato, da un’ulteriore richiesta di “sistemazione” della sua opera da parte della giuria, preferì abbandonare la partita.
La mostra milanese, realizzata sotto la direzione del comitato scientifico del Museo del Duomo presieduto da monsignor Gianfranco Borgonovo (e curata da Michela Aversa, Giulia Benati e Massimo Negri, con il coordinamento di Elisa Mantia), ripercorre in realtà l’intera avventura creativa di Fontana nella cattedrale ambrosiana, cominciata nel 1935 con la commissione della statua di san Protaso e continuata con il <Cavaliere>, un altro gesso del maestro dello Spazialismo realizzato attorno al 1951 e compreso nelle raccolte della Veneranda Fabbrica. Accanto a queste opere, inoltre, saranno esposti disegni e sculture degli altri artisti coinvolti nella vicenda della quinta porta, con materiali e documenti provenienti anche da altre istituzioni milanesi come il Museo del Novecento, la Galleria d’arte sacra dei contemporanei, la Triennale e gli archivi Giancolombo e Mulas.
Ma il protagonista, ovviamente, è sempre lui, Fontana. Così che sabato 3 novembre, al termine del pontificale nella solennità di san Carlo Borromeo, nel Duomo di Milano sarà svelata la sua pala dell’Assunta, che sarà collocata sull’altare di Sant’Agata per tutta la durata della mostra in museo. L’opera è la versione bronzea di un modello che l’artista plasmò nel 1955 su richiesta della Veneranda Fabbrica, e che avrebbe dovuto realizzare in marmo di Candoglia: ma il progetto rimase incompiuto.
Luca Frigerio, L’«arte novissima» di Lucio Fontana per il Duomo, ChiesadiMilano, 25 ottobre 2018

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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