Dall’Argentina Gadda scrive spesso alla sorella Clara

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gadda, nel corso della sua vita, cambierà molte volte città e casa, ma il soggiorno in Argentina rimarrà l’unico della sua vita all’estero e, in più, in un altro continente. È la prima e unica lingua che deve imparare per la vita, oltre che per la letteratura. È un’esperienza, questo viaggio, che rimarrà profondamente nell’uomo e nello scrittore.
In una terra dell’America del Sud, fatta di colline e ville e piccole città, ambienta, com’è noto, uno dei suoi romanzi più significativi, e più belli, “La cognizione del dolore” <1. In una provincia che assomiglia a quella argentina del Chaco, i cui toponimi sono stravolti e dietro cui si nasconde la sua Brianza.
Ma già nel ’24, appena dopo il rientro a Milano, medita, nei Cahiers d’études, di ambientare il romanzo che sta preparando parte in Italia e parte in America del Sud. “Racconto italiano di ignoto del novecento” <2 , infatti, ha come protagonista un giovane fascista, Grifonetto Lampugnani, che affronterà un viaggio oltreoceano.”
L’America del Sud torna negli scritti di Gadda quando, nel 1934, racconta il suo lavoro di ingegnere alla Compania nella «Gazzetta del popolo», con i due racconti, “Da Buenos Aires a Resistencia” e “Un cantiere nella solitudine”. <3
Dall’Argentina scrive spesso alla sorella Clara <4 e all’amico Ugo Betti <5. Non racconta però molto della sua vita laggiù, descrive più che altro il suo lavoro e dedica poco spazio alla descrizione del luogo, di cui ogni tanto si lamenta, specie con la sorella. <6
Nei carteggi anche alcune riflessioni di Gadda sull’apprendimento della lingua spagnola, lingua che poi inserirà nella prosa della “Cognizione”, che gli servirà per leggere in originale i classici spagnoli e che gli permetterà di provarsi come traduttore: «Collo spagnolo vado abbastanza bene, nonostante alla Fosforos si parli sempre italiano <7 ».
Molto più tardi, negli anni Sessanta, riscrive un vecchio racconto, “Cinema” <8 , ambientandolo negli stessi luoghi della “Cognizione”: Pasturfazio, il Maradagàl, e aggiungendo un prologo in spagnolo per giustificarne la commistione linguistica e l’ambientazione sudamericana. Il racconto diventa “Domingo del senorito en escasez” <9, frutto di una sfida letteraria fra l’autore del prologo, «signorino» italiano, e l’autore del racconto vero e proprio, argentino.
Nel 1941 Carlo Bo gli affida due traduzioni, una da Quevedo e una da Salas Barbadillo, per il volume “Narratori spagnoli dalle origini ai nostri giorni”. <10
Il risultato sono due prose talmente originali e talmente gaddiane da attirare l’attenzione di Gianfranco Contini che si accorge subito della particolarità e importanza di quel lavoro di traduzione. Se ne occupa in un breve saggio, “Carlo Emilio Gadda traduttore espressionista” <11 , primo e importante studio in merito:
«Abbiamo sott’occhio un grosso volume collettivo di traduzioni (Narratori spagnoli. Raccolta di romanzi e racconti dalle origini ai nostri giorni), che, mirando a un’alta divulgazione, offre un compiuto panorama della narrativa castigliana. Nulla, a prima vista, parrebbe indicare che d’un tal volume potessimo occuparci in questa sede; se non fosse che, di mezzo all’inevitabile uniformità e grigiore linguistico di così abbondanti versioni, ne spiccano due di Carlo Emilio Gadda dalla “Peregrinacion sabia” di Salas Barbadillo e dal “sueno” di Quevedo “El mundo por de dentro”, con tali colori da rappresentare un esemplare, anzi il caso-limite, d’una certa possibilità di traduzione, un fatto nella storia delle traduzioni probabilmente senza precedenti – di sommo interesse anche teorico <12».
Anni dopo, a Roma, Gadda si prende l’impegno di un’altra traduzione, di un altro autore del siglo de oro, Ruiz de Alarcon, per un programma di Radio Tre, andato in onda il 10 dicembre 1954. Tre anni dopo il testo è inserito nel volume “Teatro spagnolo del secolo d’oro” <13 , ma in una versione molto diversa rispetto a quella trasmessa alla radio, versione che è stata recuperata da Claudio Vela e pubblicata da Einaudi nel 1993. <14
Le tre traduzioni sono state raccolte per la prima volta da Manuela Benuzzi Billeter e pubblicate da Bompiani, con il testo spagnolo a fronte, nel 1977 e poi nel 2005. <15
Sono ora raccolte nell’edizione curata da Dante Isella per i libri della spiga di Garzanti. <16
Con questo studio cercherò di analizzare, il più possibile nella loro interezza, le relazioni tra Gadda e la lingua e la letteratura spagnola, studiando le influenze che queste hanno avuto nella sua opera e provando a raccogliere il doppio invito di Contini: analizzare le traduzioni di Gadda, come traduzioni e come testi propriamente suoi.
L’interesse teorico a cui accenna il critico è infatti da una parte da riferirsi appunto alla storia delle traduzioni letterarie, visto il carattere rivoluzionario dei testi, e dall’altra agli studi gaddiani, in quanto tali testi, se letti come suoi, risultano una tessera importante nel mosaico del corpus di Gadda, giacché «una tale spregiudicatezza, in presenza dell’originale, inaudita, non può andare senz’aggiungere qualcosa d’essenziale al ritratto del nostro autore» <17 e anche, forse soprattutto perché in essi si trovano temi, immagini, esiti lessicali e narrativi che saranno poi importanti per le sue opere principali.
Ho scelto di introdurre i testi oggetto delle traduzioni gaddiane attraverso un’analisi delle loro caratteristiche tentando di cogliere quali aspetti abbiano in comune con la poetica gaddiana. Il riferimento alla categoria di ‘barocco’ è stato necessario, sia rispetto ai testi di partenza che rispetto al Gadda traduttore e narratore.
1 Il romanzo viene pubblicato per la prima volta a puntate su «Letteratura» tra il 1938 e il 1941, poi in volume, per Einaudi, nel 1963, nella collana dei «Supercoralli», infine, nel 1970, viene ristampato, nella stessa collana di Einaudi, con due tratti inediti. Fa ora parte delle Opere, edizione Garzanti curata da Dante Isella, nel primo volume, Romanzi e Racconti I, Garzanti, Milano, 1988, alle pp. 571- 769 (si veda, a proposito delle vicende compositive e editoriali dell’opera, Emilio Manzotti, Note ai testi, Opere, Romanzi e Racconti I, cit, pp. 851-880).
2 Racconto italiano di ignoto del novecento (cahier d’études), pubblicato nella collezione «Einaudi Letteratura», Einaudi, Torino, 1983; ora in Opere, vol. quinto, Scritti vari e postumi, Garzanti, Milano, 1993, pp. 385-619.
3 Poi inclusi nel volume Le meraviglie d’Italia, apparso nella «Collezione» di «Letteratura» nel XIV voi., del luglio 1939; ora in Opere, voi. III, Saggi giornali favole e altri scritti, Garzanti, Milano, 1991, pp.105-117.
4 C.E. Gadda, Lettere alla sorella. 1920-1924, a cura di G. Colombo, Archinto, Milano, 1987.
5 C.E. Gadda, L’ingegner fantasia: lettere a Ugo Betti, 1919-1930, a cura di G. Ungaretti, Rizzoli, Milano, 1984.
6 Si veda in proposito il capitolo I.
7 C.E. Gadda, Lettere alla sorella. 1920-1924, cit., p. 62, lettera da Buenos Aires del 29 marzo 1923.
8 Pubblicato su «Solaria» nel 1928, successivamente raccolto in La Madonna dei Filosofi, Edizioni di «Solaria», Firenze, 1931; ora in Opere, Romanzi e racconti I, cit., pp. 49-57.
9 Uscito nell’antologia Nuovi racconti italiani, presentati da A. Baldini, Nuova Accademia, Milano, 1962; successivamente anche nell’antologia Racconti nuovi, con presentazione di E. Mazzali, Fratelli Melita, La Spezia, 1978; ora in Opere, volume II, Romanzi e racconti II, Scritti dispersi, Garzanti, Milano, 1989, pp.1001-1021.
10 Narratori spagnoli. Raccolta di romanzi e racconti dalle origini ai nostri giorni, a cura di C. Bo, Bompiani, Milano, 1941.
11 G. Contini, Varianti e altra linguistica. Una raccolta di saggi (1938-1968), Einaudi, Torino, 1970, pp. 303-307; articolo uscito inizialmente sul primo fascicolo (1942/43) della rivista di Zurigo «Trivium» e poi raccolto anche in Quarant’anni di amicizia. Scritti su Carlo Emilio Gadda, Einaudi, Torino, 1989.
12 Ivi, p. 303.
13 A cura di A. Monteverdi, Edizioni Radio Italiana («La Spiga». Collana di capolavori teatrali di ogni paese e di ogni tempo, 2. I classici del teatro – Volume secondo), Torino, 1957.
14 Per la collana «Scrittori tradotti da scrittori», con il titolo La verità sospetta di Juan Ruiz de Alarcon nella traduzione di Carlo Emilio Gadda, Einaudi, Torino, 1993.
15 La verità sospetta. Tre traduzioni di Carlo Emilio Gadda, a cura di M. Benuzzi Billeter, Bompiani, Milano, 1977, 2005; ma La verità sospetta è nella versione emendata del ’57.
16 Opere, volume V, Scritti vari e postumi, cit., pp. 205-378. Anche qui i curatori hanno preferito pubblicare la versione del ’57, perché quella destinata alla stampa.
17 G. Contini, Carlo Emilio Gadda traduttore espressionista, cit., p. 307.
Giovannapaola Soriga, Carlo Emilio Gadda: le traduzioni, gli anni in Argentina e lo spagnolo della Cognizione del dolore, Tesi di dottorato, Università degli Studi Roma Tre, 2009

Il prediletto fra i figli, frutti tardivi di una vocazione letteraria che scaturì in un corpo ingegneresco già maturo, La cognizione del dolore torna ora in libreria, nell’edizione Adelphi, a cura di Paola Italia, Giorgio Pinotti e Claudio Vela. L’edizione presente, come avverte la consueta e puntuale Nota al testo, ricalca fedelmente quella Einaudi del 1971, con alcune aggiunte (il Dossier genetico).
Al solito ricostruire la genealogia dei libri gaddiani è un impegno alpinistico: mutevole è l’orografia della Cognizione nella sua veste di volume, giacché fin dal 1938 cominciano a uscire sulla rivista fiorentina “Letteratura”, diretta da Alessandro Bonsanti, alcuni “tratti” di quello che è stato un racconto e poi un romanzo. Dunque, anche in questa occasione, l’esplorazione nel teatro nascosto delle varianti testuali mostra un laboratorio di “concause”, una capsula di ricombinazioni. Siamo già dalle parti dello “gnommero” del commissario Ingravallo. Del resto che La cognizione del dolore e Quer pasticciaccio brutto de via Merulana siano parti di una stessa filiazione lo testimoniano decisivi indizi: frammentarietà del testo nella sua redazione primitiva (anche il Pasticciaccio compare su “Letteratura” a partire dagli anni quaranta, con un impasto linguistico molto diverso da quello che i lettori avranno per le mani con l’edizione Garzanti del 1957), apparente incompiutezza, acme drammaturgico declinato intorno a un whodunit, poetiche simili. Proprio sui temi che, in un certo qual modo uniscono Cognizione e Pasticciaccio, la presente impresa di Adelphi, che dal 2011 (con Accoppiamenti giudiziosi, a cui sono seguiti L’Adalgisa nel 2012 e Verso la certosa nel 2013) sta ripubblicando tutto Gadda con edizioni filologicamente precise e dense e complete, getta una luce chiarificatrice, innestando il già risorto Eros e Priapo (Versione originale condotta sul ritrovamento nel 2010 del manoscritto autografo, a cura di Paola Italia e Giorgio Pinotti) come terzo polo di una costellazione tripartita che comprende anche i due romanzi maggiori dello scrittore milanese.
[…]
Quella della Cognizione è una plaga densissima di bagliori iridescenti, di buchi neri (“il male che risorge ancora, ancora e sempre, dopo i chiari mattini della speranza”), di smagliature, con un ordito prepotente e spudorato di confessione e marginalità, di spietatezza autobiografica, con la precisa e irredimibile nettezza di indicare i colpevoli: anzitutto quell’Io, “pidocchio del pensiero”, al centro di una celebratissima invettiva. Sul cielo di Gonzalo e della Madre grava il peso immedicabile di perdite e ferite lancinanti: quella del padre Francisco (alias Francesco Gadda), del fratello di Gonzalo (alias Enrico Gadda, caduto in guerra nel 1918): “Nell’animo della mamma e direi anzi ne’ suoi visceri, il rapporto madre-figlio si era talmente identificato col rapporto guerra-morte del figlio, ch’ella non poteva più pensare a una madre se non come a un groppo di disumano dolore superstite ai sacrificati”. Ma è soprattutto la casa, quel “feudo barcollante”, la “idea-cetriolo” di Eros e Priapo che s’è andata a conficcare nella regione di Longone/Lukones: “La Idea Matrice della villa se l’era appropriata quale organo rubente od entelechia prima consustanziale ai visceri, e però inalienabile dalla sacra interezza della persona”. Come dicevamo, intorno alla metà degli anni quaranta il tema del narcisismo è un pallino di Gadda e difatti anche la Madre, come Liliana del Pasticciaccio, è un bizzarro corpo sterile. Se nel Pasticciaccio de via Merulana la vittima Balducci è incapace di far figli – e dunque proietta sulle servette, ragazze inurbate, il proprio desiderio materno – nella Cognizione la donna che ha messo al mondo due figli, uno dei quali ucciso dalla guerra (“Le avevano precisato il nome, crudele e nero, del monte: dove era caduto (…) col volto ridonato alla pace e alla dimenticanza”) è pur sempre un “groppo di (…) dolore” che non ottiene quella risposta amorosa, incanto della vita: “Invano aveva partorito le creature, aveva dato loro il suo latte: nessuno le riconoscerebbe dentro la gloria sulfurea delle tempeste, e del caos, nessuno più ci pensava: sugli anni lontani delle viscere, sullo strazio e sulla dolcezza cancellata, erano discesi altri fatti (…) e, per lei, la vecchiezza: questa solitudine postrema a chiudere gli ultimi cieli dello spirito”. È una radiografia dell’oltraggio, la Cognizione del dolore. Conoscere è, come di consueto per Gadda, infrangere dolorosamente un tessuto omogeneo. C’è una prosa assai famosa, Anastomosi, raccolta in Verso la Certosa, nella quale lo scrittore in persona, prima di sottoporsi a un intervento chirurgico, chiede di poter assistere a un’operazione analoga che l’équipe medica svolge su un altro paziente. Un lavoro di routine diviene così formidabile metonimia di una smania conoscitiva che crea fenditure sulla realtà. Il dolore della conoscenza/cognizione è più di un argomento: è il soggetto dell’incisione gnoseologica; si conosce sempre il dolore, perché è esso al termine della corsa dei nervi; il dolore è la sostanza stessa dell’epidermide che si deve tagliare.
Un reperto archeologico
Per conoscere il groviglio intossicante del “male oscuro” di Gonzalo, per dipanare l’elastico polipo delle “concause” è necessario tagliare, utilizzare il dolore, esplorare il termine della notte, laddove l’oscurità è sempre quella celata all’ombra del proprio guscio di carne. “Era il bagaglio del mondo, del fenomenico mondo. L’evolversi di una consecuzione che si sdipana ricca, dal tempo”. La morte corre sul filo della lama e “ogni oltraggio è morte”. La parola “oltraggio” è dunque il leitmotiv che risuona in tutto il romanzo. Le categorie di interno ed esterno dovrebbero rimanere rigorosamente separate, intoccabili, eppure un soffio osmotico le attira, un magnetismo diabolico – “Accrescere in conoscenza è gravarsi di dolore”, recitano i versi del Qohélet biblico – li fa collidere, ne disturba l’armonica distanza. Inevitabile dunque che vi sia una casa che seduce le effrazioni, come attira i fulmini, selvaggi desideri del cosmo, che attraversano il cielo con la loro foia distruggitrice soltanto per recare offesa, “un oltraggio non motivato nelle cose”.
Così la casa, rovinosa, maledetta – come sarà maledetto il “palazzo degli ori” del Pasticciaccio – è il correlativo oggettivo dell’impenetrabilità ossea della propria coscienza, contro la quale squadre del male si adoperano per scassinarne le serrature. Ma, al tempo stesso, la casa è anche la monade leibniziana che è indispensabile violare. Oltraggio, violazione – “I ladri erano alla sua angoscia il simbolo d’una offesa che potesse venir recata alla mamma, o, più precisamente, di un mancato aiuto alla indigente solitudine di lei. Ma tutto era mancato, a sua madre” – sono questi i poli paradossali attraverso i quali passa il dolore della conoscenza, nel “cerchio doloroso dell’appercezione”. Insomma, è una Cognizione del dolore che ritorna in grande spolvero, questa; l’occasione per ficcare lo sguardo fra le architetture incompiute di Gadda, per ammirare il fiore del suo stile senza pari. Ma più che di opere incompiute si potrebbe quasi parlare di opere senza fine, delle quali ogni libro pubblicato è un reperto archeologico, un documento che dichiara la rovina del progetto originario, un fascicolo spalancato su un infinito impossibile da chiudere.
Filippo Polenchi, Carlo Emilio Gadda: la cognizione del dolore, L’Indice (dei libri del mese), 17 gennaio 2018

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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