
L’8 gennaio 1969 Italo Calvino scrive a Furio Jesi per comunicargli il suo non del tutto favorevole «parere di “consumatore”» su “L’ultima notte”, il romanzo a cui Jesi lavorava dal ’62 e che raccontava con registro oscillante dal parodico al visionario e all’epico la tentata riconquista della Terra da parte di un’armata di vampiri a loro volta incerti tra il benevolo e il mostruoso. A lasciare Calvino insoddisfatto è proprio l’attrito tra l’apocalissi, l’incubo e il lirismo da una parte e dall’altra un’inspiegabile volontà dissacratoria che sembra abbattersi con particolare ferocia sugli antiquati cavalieri dell’al di là, magniloquenti fino alla maniera, gravati a ogni loro apparizione da una gran quantità di emblemi araldici e quasi mai descritti: «per prenderci gusto, bisognerebbe che fossero più presi sul serio. […] Questo m’aspettavo soprattutto da Lei, che sa esplorare le esperienze mitiche e simboliche entrando in esse, aderendo alle loro ragioni interne, e pur non perdendo l’obiettività scientifica» <1.
Jesi sembra accogliere le critiche piuttosto di buon grado: «l’ironia volgare» non convince più nemmeno lui, ma a renderla necessaria in quanto «correttivo» e «difesa» è stata appunto la sua «consuetudine con le esperienze mitiche e simboliche vissute dal di dentro» <2, fra le quali i vampiri occupano un posto d’onore («non creda che io non li abbia presi sul serio: forse li ho presi troppo sul serio, e quindi me ne sono difeso con giochetti della più spicciola parodia»); conclude annunciando che rimetterà mano al materiale alla luce di «una seria vampirologia (Dio ci protegga!)» <3.
Il 29 gennaio Calvino parla del romanzo durante una riunione in Einaudi: rimpiange che la «parodia greve» abbia avuto la meglio su «un’idea lirico-cosmica suggestiva» apprezzabile, e sembra non saper decidere se riporre o meno una qualche speranza nell’autore: “Il personaggio è sempre più interessante e sorprendente. È un curioso personaggio, ma bisognerebbe cercare di salvare tutto il suo aspetto occultistico. Ho paura che diventi un balordo: l’importante è che continui a volare con la scopa. È uno Zolla che gira a rovescio, a sinistra. Insomma, gli irrazionalisti in Italia non durano”. <4
Il 20 febbraio del ’70 Jesi invia la nuova versione a Davico Bonino; Davico la gira a Calvino, che il 2 aprile scrive a Jesi conciliante ma non benevolo: «ancora molte cose non capisco»; bisognerebbe enfatizzare il lirismo o, al contrario, prendere a modello stilemi del genere horror; «così com’è il libro dà l’impressione di pagine di possibili libri diversi […] che gravitano attorno a quel misterioso nucleo lirico-onirico che è la notte della battaglia» <5. Jesi si rassegna, anche perché alle «dissonanze, o stridori, nello stile» che Calvino non riesce a mandar giù tiene particolarmente, nonostante sappia che possono «irritare il lettore e […] aprirgli trabocchetti sotto i piedi»: sono precisamente loro a «garantire la qualità paradossale della “esperienza vampirica”» <6.
“L’ultima notte” uscirà per Marietti nell’’87, sette anni dopo la morte di Jesi; tra i primi a recensirlo c’è Cesare Cases, che gradisce molto i «cavalieri antiqui» (al contrario di Calvino) e coglie l’epicità («si tratta di una guerra in piena regola, di quelle che da Aristotele a Hegel sono state sempre considerate l’oggetto privilegiato del poema epico»); ma soprattutto coglie l’allegoria, verso la quale lo guida l’epigrafe tratta dalle “Lamentazioni di Geremia”: «Dai nostri posti di vedetta scrutavamo la venuta di una nazione che non poteva salvarci» (IV, 7). Fin dall’inizio del romanzo ci è detto che i vampiri, se anche vinceranno, regneranno solo per breve tempo su una Terra che Nostro Signore ha già condannato allo sfacelo, eppure «chi scruta “dai nostri posti di vedetta” attende […] la salvezza. Alla base dell’allegoria c’è questa attesa» <7.
L’attesa che Jesi – prima precocissimo egittologo, poi autore di studi archeologici dedicati perlopiù a culti misterici e germanista attento alle «sopravvivenze» del mito antico nella letteratura tedesca di Otto e Novecento <8 – non sa risolversi ad abbandonare è la speranza, che ci si può permettere l’ingenuità di chiamare tale solo se si ci si è imposti di dichiararla vana in partenza, che nelle «vie segrete» in cui si muove fin da quando ha cominciato a rivolgersi alla «remota infanzia» dell’umanità ci possa essere un «mito» capace di rappresentare l’universale umano, di essere (come nei versi di Platen che Jesi cita in “Parodia e mito nella poesia di Ezra Pound”) il «pur tenue legame / che unisce fra loro gli spiriti» <9; e che va negata, o quantomeno sottoposta agli acidi di una critica che sia quanto più possibile corrosiva, perché dalle «latebre» irrazionali in cui Jesi si calava «era pur uscito qualche cosa di a lui ben noto e inviso: la cultura di destra» <10.
I vampiri de “L’ultima notte”, «venerabili spettri tra medievali e settecenteschi» animati da una devozione misteriosa e ardente per la “nera terra” che gli uomini hanno brutalmente violato, «sono sì “sangue e suolo”, quindi pronti a essere trasformati in orrendi e collaudatissimi miti di destra» <11, ma hanno anche molto in comune con i cavalieri di quel «primo Romanticismo» che a mito e natura aveva guardato «con una speranza di salvezza» che “di destra” non era: “La verità è che Jesi veniva da questa linea di pensiero, che contrastava fortemente con il suo antifascismo, e che ha accettato tale derivazione solo in questo romanzo. […] La contraddizione, la cui soluzione Jesi aveva demandato alla distinzione tra analisi spassionata e manipolazione del mito, qui si manifesta apertamente e spiega la continua incertezza sull’esito della lotta relativizzata anche da una profusione d’ironia ignota allo Jesi “serio”. <12
La «nazione che non poteva salvarci» (che di fatto non ci aveva salvati, nella quale non era più lecito nemmeno sperare) era la Romantik, anche se «non si può precisare l’allegoria nei particolari senza cadere nel ridicolo» <13. Ma forse è accettabile, e utile, rischiare il ridicolo per cercare di muoversi nell’opera di un autore che ha finto fin dal suo esordio nelle vesti di «papirologo» di «infangarsi nelle paludi della filologia» per trasmettere urgenze che preferisce (o forse sente di dover) tacere <14, e che – come lui stesso ha scritto di Rilke – ha finito col porre in atto «un apparato di labirinti concettuali e ferocie sintattiche» <15 tramite le quali “torturare” ciò che in lui si ostinava a rivolgersi a un’infanzia («dei popoli») che gli mostrava anche e sempre il volto terrifico di un irrazionale che era stato capace di rivelarsi non amico ma nemico all’uomo.
Il vampiro è una delle poche figure a sopravvivere a una costante e impietosa autocritica che penetra fin nella prosa e a tornare sempre a imporsi quasi indenne nell’immaginario, volente o nolente l’autore <16: ai vampiri Jesi dedica (oltre a “L’ultima notte”) “La casa incantata”, fiaba scritta a diciannove anni durante il viaggio di nozze in Grecia per regalarla alla moglie Marta; i saggi editi su “Metamorfosi del vampiro in Germania” (’73) e “Neoclassicismo e vampirismo” (’78), l’inedito “Autovampirismo, vampirismo iniziatico” e, se si è disposti (come lo era Jesi) a considerare “vampirico” il mito antisemita dell’omicidio rituale, “L’accusa del sangue” (’73); e un corso di Lingua e letteratura tedesca – “Il Vampiro e l’Automa nella Cultura Tedesca dal XVIII al XX secolo” – tenuto alla Facoltà di Magistero di Palermo tra il ’77 e il ’78 <17.
[NOTE]
1 I. Calvino a F. Jesi, 8 gennaio ’69, in G. Agamben -A. Cavalletti (a cura di), «Cultura tedesca» n. 12 (numero monografico dedicato a Furio Jesi), Donzelli, Roma 1999, pp. 99-100. Su L’ultima notte si vedano anche: A. Andreotti, Mito, arte, ermeneutica in Furio Jesi e G. Guerzoni, Il responso degli specchi, entrambi in AA. VV., Faraqàt. Quaderni di storia e antropologia delle immagini, La Casa Usher, Firenze 1987, pp. 6-15 e 28-37; G. Tardiola, Il vampiro nella letteratura italiana, De Rubeis, Anzio 1991, pp. 53-57; R. Ferrari, Saggio e romanzo in Furio Jesi, cit., pp. 209-221; Id., La macchina da scrivere di Furio Jesi, in «Nuova corrente» n. 143, pp. 7-34; Id., Parodia e vampirologia. L’ultima notte di Furio Jesi, «Doppiozero» (14 ottobre 2015); G. Schiavoni, Il potere seduttivo della notte, in L’ultima notte, cit., pp. 85-106; C. Tenuta, Non smetto mai di scriverlo. Furio Jesi tra saggistica e narrativa, «Intersezioni» XXX, n. 3, dicembre 2010, pp. 15-28; E. Manera, Furio Jesi scrittore. A proposito de L’ultima notte, «Doppiozero» (14 ottobre 2015); V. Teti, Il vampiro e la melanconia, cit., pp. 152-156.
2 F. Jesi a I. Calvino, 12 gennaio ’69, in Furio Jesi (1999), cit., p. 101.
3 Ivi, p. 102.
4 Archivio Giulio Einaudi Editore, Verbali editoriali, vol. 6, “Verbale della seduta del 29 gennaio 1969”, cit., in G. Schiavoni, Il potere seduttivo della notte, in L’ultima notte, cit., pp. 85-106
5 I. Calvino a F. Jesi, 2 aprile ’70, in Furio Jesi (1999), cit., p. 105.
6 F. Jesi a I. Calvino, 7 aprile ’70, ivi, p. 106.
7 C. Cases, Tempi buoni per i vampiri, in «L’Indice dei libri del mese», n. 4, p. 4.
8 Per una biografia intellettuale di Jesi si veda il profilo di E. Manera, Furio Jesi. Mito violenza memoria, Carocci, Torino 2012; per un resoconto accurato degli esordi G. Schiavoni, Verso una “remota infanzia”. Furio Jesi tra Egitto, Grecia e Germania, in F. Jesi, La ceramica egizia e altri scritti sull’Egitto e la Grecia, Aragno, Torino 2010, pp. V-XLIV; per un ritratto il documentario Furio Jesi – Man from Utopia, di C. Martino e C. Trombino, 60′, Manfredi Produzioni, Palermo 2017.
9 «Ein jedes Band, das noch so leise / Die Geister aneinander reiht / Wirkt fort auf seine stille Weise / Durch unberechenbare Zeit» (cit. in F. Jesi, Parodia e mito nella poesia di Ezra Pound, in Letteratura e mito, con un saggio di A. Cavalletti, Einaudi, Torino 2002 [I ed. ’68], p. 201).
10 C. Cases, Tempi buoni per i vampiri, in «L’Indice dei libri del mese», n. 4, p. 4
11 Ibid.
12 Ibid.
13 Ibid.
14 F. Jesi a G. Schiavoni, 4 agosto ’70, in «Scegliere secondo giustizia». A proposito di alcune lettere di Furio Jesi, in Furio Jesi (1999), cit., p. 177.
15 F. Jesi, Rainer Maria Rilke: l’alchimista, lo spettro, in Esoterismo e linguaggio mitologico. Studi su Rainer Maria Rilke, a cura di A. Cavalletti, Quodlibet, Macerata 2002 [I ed. ’76], p. 112.
16 «Un pomeriggio, mentre camminavamo tutti e quattro per strada, Furio ci raccomandò di dividerci e di tenerci lontani da lui, poiché delle entità, indeterminate, ma terribilmente minacciose, complottavano per impadronirsi della città e mettevano a repentaglio la sua vita. […] Gli esseri che si preparavano a invaderci erano simili agli uomini ma non erano uomini […]. Si preparava una grande battaglia» (Elisabetta Chicco Vitzizzai, Ricordo di Furio Jesi, “puer doctus”, in F. Jesi, L’ultima notte, cit., pp. 113-114).
17 M. Cottone, Vampirismo e didattica, in Furio Jesi (1999), cit., pp. 43-65.
Sofia Adami, Il poeta in esilio. Vampirismo e utopia in Furio Jesi, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Trento, Anno Accademico 2018-2019