Del Gaufrido o di torbidi poco noti del ‘600

Celebrando nella sua Biblioteca Aprosiana edita nel 1673 il romanziere Bernardo Morando e i doni dai lui fatti alla “Libraria di Ventimiglia” e tra questi una composizione del Morando o Venere Celeste, l’erudito ventimiliese Aprosio parla diffusamente di Jacopo Gaufrido (anche Giacomo Gaufrido) (alle cui sfarzose nozze appunto era stata dedicata la composizione del Morando) e dà prova di quanto la sua ricerca bibliografica non proceda staccata dalla cronaca e dalla storia: avendo anche occasione di soffermarsi a trattare del tema da lui sempre più colto attraverso gli anni della caducità delle cose anche in merito a quei potenti come il Gaufrido che al culmine della gloria s’eran giudicati erroneamente intoccabili.

Jacopo Gaufrido era un letterato francese di poco conto verisimilmente al servizio del cardinale Richelieu che si infiltrò alla corte dell’ambizioso Odoardo Farnese duca di Parma e Piacenza ottenendo vari favori sin al punto di rivestire la carica di “segretario ducale”, cosa che gli permise di avere una parte di rilievo nelle scelte militari e diplomatiche del ducato.

Fra le opzioni politiche di Odoardo fu il potenziamento del Ducato di Castro, dai Farnese ottenuto grazie al nepotismo di Paolo III Farnese, e destinato ad originare due guerre, una appunto sotto Odoardo ed una seconda, esiziale per i Farnese, sotto Ranuccio II.

Per il Gaufrido e per i Farnese le vicende più drammatiche collimano però sotto il ducato del succesore di Odoardo, appunto Ranuccio II.

Jacopo Gaufrido sotto il regno di quest’ultimo era addirittura cresciuto nella pubblica e politica rinomanza del ducato ed aveva ottenuto riconoscimenti nobiliari importanti come l’assegnazione del marchesato di Castelguelfo e della contea di Collino oltre che la ratificazione del proprio cresciuto stato sociale in forza del matrimonio con una Anguissola, sì da determinare un vivo, latente scontento tra le altre casate nobiliari del ducato (come gli Scotti e gli Asinelli) che da simili matrimoni di convenienza traevano alleanze e potere.

Ormai al corrente delle sue sventure Aprosio, esagerando, lo paragona, qual consigliere padrone di Ranuccio II Farnese, al potentissimo Elio Seiano, lo sventurato e feroce capo delle guardie pretoriane ai tempi dell’imperatore romano Tiberio.

Il fallimento della politica di Odoardo avevano dovuto suggerire al Gaufrido l’opportunità di tenere una politica di neutralità, cosa comunque mai facile valutando l’ eccezionale posizione strategica del Ducato di Parma e Piacenza nel contesto della penisola italiana e della continua contrapposizione tra Spagnoli (coi loro alleati italiani) e Francesi (parimenti appoggiati dagli alletati italiani loro legati).

L’abbandono da parte di Ranuccio II dell’alleanza con la Spagna fu alla radice della perdita del Ducato di Castro pur non risultando semplice nemmeno oggi individuare con precisione indiscussa gli errori farnesiani.

In merito al Ducato di Castro si può dire che un peso rilevante dipese dai processi di fortificazione di Castro condotti da Ranuccio II (cosa che vieppiù inaspriva il papa romano atteso che, data la posizione di Castro nei suoi possessi laziali, non solo desiderava che il Duca Farnese si dichiarasse suo vassallo ma che in forza di ciò accettasse -contro quanto di fatto avveniva e nonostante l’assenza di uno specifico concordato- la nomina papale dei vescovi di Parma, Piacenza e Borgo San Donnino).

Tuttavia è verisimile che a far accelerare la rovina farnesiana in merito al Ducato di Castro abbia parimenti concorso l’opera dei montisti: cioè i creditori dei Farnese.

Per far fronte ai gravi impegni economici per le terre del Ducato di Castro gabelle e prelievi fiscali non erano mai bastati sì che Odoardo già aveva provveduto, per coprire la somma per cui era esposto (cioè un milione e trecentomila scudi), ad emettere in più riprese dei prestiti, le cui cedole o “luoghi di monte” erano garantiti sul capitale e sugli interessi del feudo in oggetto. Ai tempi di Odoardo i banchieri romani Siri dapprima (1638) si erano fatti carico di condurre la gestione di tali terre per via di un canone d’affitto di 97.000 scudi ma già nel 1639 si erano ricreduti sui vantaggi di condurre tale impresa tanto che per rescindere il contratto e liquidare il feudo fecero pressione sui nipoti di Urbano VIII, Antonio, Taddeo e Francesco Barberini, notoriamente avversari intolleranti dei Farnese e delle loro fortune romane.
E ciò aveva portato, anche per l’imprudenza e l’arroganza di Odoardo alla prima infausta guerra di Castro.

Ai tempi nuovi di Ranuccio II la situazione, non mutata, per il Ducato di Castro, era anzi diventata vippiù pericolosa ed i creditori o montisti avevano finito per ottenere a Roma l’appoggio del potente Panciroli, cardinale segretario di stato, e soprattutto dell’umorale e vendicativa Olimpia Maldaichini Pamphili, cognata del papa in carica Innocenzo X.

Temendo il precipitare degli eventi Ranuccio II tentò la via della conciliazione, tramite il suo emissario milanese Pier Giorgio Lampugnani, chiedendo alla Spagna, verso cui i Farnese vantavano dei crediti, di farsi carico dei debiti del Ducato di Castro. E così mentre il duca riceveva un diniego dagli spagnoli il papa fece muovere le sue forze contro il Ducato di Castro.

In effetti si cercò di evitare lo scontro campale e in ciò operarono le diplomazie di Modena, Toscana e Spagna ma la situazione divenne insostenibile per il sopraggiugere di un evento gravissimo quanto imprevisto, l’assassinio del nuovo vescovo di Castro, il barnabita Cristoforo Giarda.

La generale opinione che l’uccisione ad opera di sicari fosse avvenuta su mandato di Ranuccio II e di Jacopo Gaufrido fece interrompere ogni sforzo diplomatico: in particolare, per diversi motivi naturalmente, Francia e Spagna si defilarono e così i contendenti furono messi nella condizione e quasi nell’obbligo di scontrarsi: le truppe ducali comandate dallo stesso Gaufrido furono disfatte il 13 agosto 1649 a S. Pietro in Casale presso Bologna sì che il 2 settembre Castro, per quanto volonterosamente difeso dalla guarnigione e dal suo comandante Sansone Spinelli, capitolò determinando la
completa vittoria papale, con tutte le conseguenze possibili a danno della dominazione ducale.

L’umiliazione patita dal ducato farnese non potè coinvolgere Ranuccio II ma la nobiltà volle un capro espiatorio e fu semplice trovarlo in Jacopo Gaufrido che finì per pagare oltra la sconfitta anche le tante inimicizie che si era creato in patria.
Come anche Aprosio riporta, venne giustiziato per decapitazione l’8 gennaio del 1650, con grande soddisfazione della curia romana le cui relazioni, oltre che quale un nemico politico, lo descrivevano, enfatizzando, alla stregua di un possibile scismatico, propugnatore di una “nuova Ginevra in ambito centro italico.

E non è da escludere che dietro la drammatica fine del Gaufrido vi sia stata anche la Spagna che gli rimproverava d’aver indebolito la sua presenza in area ducale: non a caso, peraltro, a sostituirlo venne chiamato il filospagnolo Pier Giorgio Lampugnani sì che per tre anni (quanto durò fin al 1653 l’eclissi politica del Mazarino) nel dominato farnesiano si riaffermò una certa influenza spagnola.

tratto da Cultura Barocca

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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