Due parole sul commissario Nardone

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Mi sono imbattuto per caso, come d’abitudine, dato che non sono uno spettatore assiduo, nelle prime immagini de “Il commissario Nardone” televisivo.
Colpito dall’iniziale riferimento alla fine della seconda guerra mondiale, ci ho messo un po’ a capire che si parlava di un poliziotto famoso in tutta Italia quando ero bambino. E celebre perché agiva a Milano, allora vera capitale morale del Paese.

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Un episodio dello sceneggiato in questione mi ha fatto tornare in mente il velodromo Vigorelli. Ma tornando a Nardone. Quello di fantasia. E quello vero. Del primo aggiungo che, preso dalla curiosità, ne ho seguito sinora tutte le vicende: la storia si é conclusa pochi giorni fa’, per cui, facendone cenno adesso, non ho proprio reso pubblicità.
Del commissario, che riempiva sul serio le cronache dei giornali in quegli anni come si é sottolineato nel telefilm, mi é rimasto nitido il ricordo dell’arresto della cosiddetta Banda di Via Osoppo, da lui organizzato. Non vado a ripercorrere l’atmosfera di quei tempi, che, pur ancora scolaro, per vari motivi, non ultime le mie allora non rare – come ho già narrato – presenze a Milano, meriterebbe, invero, ulteriori approfondimenti. Metto in evidenza che, con l’occasione di questa serie televisiva, qualcosa in più sul Web su Nardone é stato scritto.
Mi ha, allora, un po’ consolato il fatto che qualcuno asserisca che il commissario, pur arrestandoli, fosse per lo meno dubbioso della colpevolezza di Fenaroli e Ghiani, rispettivamente mandante ed esecutore, per la magistratura, dell’omicidio della moglie del primo, all’epoca clamoroso, ma da più parti oggi ascritto ai soliti servizi segreti deviati.

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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