Federigo Tozzi può essere ritenuto a tutti gli effetti uno “scrittore di cultura”

Negli anni Sessanta del secolo scorso, è stato Giacomo Debenedetti a riaprire ufficialmente il discorso su Tozzi e a inserirlo per la prima volta in una prospettiva europea, affiancando così il suo nome a quello di scrittori di stampo internazionale come Kafka, Joyce e Musil, in un articolo ormai ritenuto un classico della critica letteraria e poi nei suoi corsi universitari, i cui quaderni sono stati pubblicati postumi <2. E se da un lato, oggi, alcune delle considerazioni debenedettiane appaiono datate e troppo influenzate dalla prospettiva psicanalitica, dall’altro lato è pur vero che esse rappresentano un punto di partenza ineludibile per chiunque voglia misurarsi con le opere di Tozzi. E con la sua biografia travagliata, essenziale per comprendere l’autore, seppur per molto tempo troppo ingombrante per una sua lettura scevra da fraintendimenti e da semplificazioni <3.
L’altro critico che ha rivestito un ruolo pionieristico e fondamentale per gli studi tozziani è stato senza dubbio Luigi Baldacci. Il quale a partire dagli anni Settanta ha definitivamente elevato l’autore toscano a titolo di uno dei grandi padri della modernità novecentesca <4. E, potremmo aggiungere a questo punto, anche del modernismo italiano, come hanno dimostrato i contributi di Romano Luperini, di Massimiliano Tortora e di Riccardo Castellana <5, senza poi ribadire la decisività delle ricerche di Marco Marchi per quanto concerne la cultura psicologica (tutta europea) di Tozzi <6. A Castellana si deve inoltre una rassegna bibliografica del 2008 in cui viene dato conto della vastità della produzione critica e accademica intorno alle opere tozziane <7. Vastità che, come prevedibile, ha conosciuto un ulteriore allargamento negli oltre dieci anni intercorsi da quella pubblicazione: ciò a dimostrazione di come Tozzi venga ormai ritenuto un classico della nostra tradizione, su cui non si smette di indagare e di discettare.
Moltissime sono state e sono tuttora le prospettive impiegate per analizzare i testi del senese, da quella antropologico-tematica, fino a quella dei gender studies, così come altrettanto numerose sono state anche le questioni già sviscerate e le piste battute. Inoltre, a definitiva testimonianza della centralità ormai riconosciuta di Tozzi, si tenga presente che attualmente è in corso di stampa l’edizione nazionale della sua opera omnia. La prima pubblicazione di questa serie è stata la raccolta di novelle Giovani, curata da Paola Salatto <8. Non stupisce che si sia scelto proprio tale volume per inaugurare l’impresa di riedizione. Come avremo modo di appurare fra non molto, in questo titolo così incisivo si trova condensata e riassunta gran parte della produzione tozziana, dal momento che la giovinezza viene rappresentata dallo scrittore toscano come una malattia. Questa deve essere intesa sia nel senso della patologia del non poter crescere ben individuata da Kozma <9 per i personaggi maschili di Deledda, sia come un concetto più ampio, ossia come un’immagine che si delinea per contrasto e in negativo. A partire da un capovolgimento a centottanta gradi di un mito già cristallizzato e diffuso.
Andiamo ora a vedere in che modo Federigo Tozzi, lo scrittore crudele, il “palombaro” delle profondità emozionali dell’uomo novecentesco <10, come l’ebbe a definire il suo amico ed estimatore Borgese, abbia fatto della malattia della giovinezza uno dei tratti più peculiari della sua narrativa. La sua spina dorsale, nei temi e così nelle forme. Come abbia infettato per sempre la più dolce stagione della vita. «Una primavera che in vece dei fiori ha veleni di cose lontane e veleni, anche più potenti, di cose attuali» (Un ragazzo, p. 439) <11.

  1. «Come la coda della lucertola»
    Proprio di recente Massimiliano Tortora ha ricordato che, insieme al padre dispotico e alla violenza onnipervasiva, quella del giovane è una delle figure e dei temi più ricorrenti nella produzione del toscano, quasi il suo marchio di fabbrica precipuo e inconfondibile <12. E in effetti, Tozzi proietta nella particolare età della giovinezza, un’età per suo statuto liminare e di passaggio – e proprio per questo motivo ancora informe – tutto ciò che egli reputa assimilabile a una certa psicologia manchevole, monca e disturbata. Secondo Tozzi, infatti, coerentemente con la tendenza propria del suo tempo e con le coeve considerazioni di Pirandello e Svevo, la giovinezza è una condizione dell’essere, un modo distorto di sentire e soprattutto di spaventarsi di fronte ai movimenti della propria «anima». Quest’ultimo termine è tanto ricorrente quanto criptico in Tozzi, da lui impiegato in maniera perfino compulsiva, dalle prime prove poetiche fino alla produzione saggistica e critica <13. Un termine che però risulta assai difficile da ingabbiare in un significato certo. Non si riesce a racchiuderlo in un concetto preciso in quanto congiunge in sé ricerca psicologica e ricerca religiosa. Le quali, in Tozzi, vanno sempre e inevitabilmente a coincidere.
    Del resto sembra essere proprio questo l’insegnamento di uno dei suoi principali modelli culturali, William James, autore di tre volumi decisivi per la sua formazione culturale e per la composizione dei suoi scritti: Gli ideali della vita, Principi di psicologia e Varie forme dell’esperienza religiosa <14. Come ha messo in luce Aldo Rossi, per comprendere la costruzione dei personaggi tozziani si deve guardare soprattutto al secondo di questi titoli <15. Ma procediamo con ordine, mettendo da parte le possibili implicazioni riguardanti la fede e la concezione della religione tozziana – pur così sfaccettata e incidente, se si considera la sua profonda ammirazione per i mistici medievali e l’esperienza oltranzista del periodico neoguelfo «La Torre», diretto insieme a Domenico Giuliotti.
    Focalizziamoci piuttosto su un dato importante che in parte è già iniziato a emergere in filigrana. Abbiamo infatti affermato che Tozzi prende spunto per dare sostanza alla sua produzione anche dallo studio e dalla rielaborazione di determinate teorie scientifiche e psicologiche a lui contemporanee. Si è fatto riferimento a James, frequentato da Tozzi – come dimostra la corrispondenza con la sua futura moglie Emma Palagi <16 – addirittura a partire dai suoi diciannove anni. Al nome del pragmatista statunitense debbono aggiungersi anche quelli altrettanto significativi di Bergson, Darwin, Ribot, Lombroso, Mosso, Janet e, soprattutto, di Gabriel Compayré <17.
    Stando a quanto ha dimostrato Marchi, insomma, Federigo Tozzi può essere ritenuto a tutti gli effetti uno “scrittore di cultura”, ossia un artista che parte sì da istanze autobiografiche, da questioni mai sopite e mai del tutto risolte (e quindi in certo modo ossessive), ma solo per inserirle e restituirle in una dimensione che non è più soltanto quella restrittiva del racconto ininterrotto e mal camuffato della propria vita e dei propri traumi. Né, tantomeno, solo quella di un crudo resoconto narrativo di fatti di cronaca realmente verificatisi, come per il caso del romanzo Tre croci, ispirato a una vicenda accaduta veramente a un suo vecchio amico libraio di Siena, suicidatosi a causa di debiti insoluti e alla cui morte seguirono quelle dei suoi due fratelli <18. In tal senso, Luperini ha parlato giustamente di «nuclei tematici» derivanti dalle esperienze vissute da Tozzi, in prima persona o meno, ma trasformati proprio grazie alla «funzione di mediazione […] esercitata dagli strumenti culturali, dai programmi di una poetica letteraria e anche dal modo di vivere e di concepire la religione» <19.
    Queste precisazioni sono funzionali per comprendere il perché e in che misura sia possibile collocare Tozzi in quella temperie culturale a cavallo tra XIX e XX secolo secondo la quale il giovane, o meglio l’adolescente (apparentemente queste due figure coincidono, ha affermato Luperini), rappresenta nient’altro che un caso clinico, un oggetto di studio analizzato attraverso la lente medicalizzante e igienizzante della scienza positivista. Certo, Tozzi vi contribuisce in maniera trasversale e marginale, da autodidatta e da provinciale, trasfigurandola ed estremizzandola anche, per dare forma alle sue opere. Opere pure così poco inquadrabili in un clima letterario e culturale italiano come quello del primo Novecento, conteso da una parte dagli ultimi sostenitori di un certo dannunzianesimo e, dall’altra, dagli espressionisti vociani e dai futuristi.
    [NOTE]
    2 Cfr. G. Debenedetti, Il personaggio-uomo, Garzanti, Milano, 1970, pp. 83-103; G. Debenedetti, Il romanzo del Novecento: quaderni inediti, presentazione di E. Montale, Garzanti, Milano, 1971.
    3 Nato e cresciuto nella Siena provinciale di fine Ottocento, figlio di una madre malata e remissiva e di un padre dispotico e violento; riluttante a gestire i beni familiari, di primo acchito l’autore sembra condividere molte delle caratteristiche dei suoi personaggi, sebbene la sua vicenda personale non rappresenti altro che uno spunto per la successiva invenzione letteraria. Per la biografia di Tozzi cfr. almeno la “canonica” P. Cesarini, Tutti gli anni di Tozzi, Editori del Grifo, Montepulciano, 1982 e la recente, sintetica ed efficace M. Marchi, Un classico del Novecento, in Id. (a cura di), Stagioni di Tozzi, Le Lettere, Firenze, 2010, pp. 15-50.
    4 Cfr. L. Baldacci, Tozzi moderno, Einaudi, Torino, 1993. Si tratta di una raccolta di saggi scritti da Baldacci nell’arco di un ventennio, tra gli anni Settanta e gli anni Novanta. A tal proposito cfr. anche M. A. Grignani, Luigi Baldacci lettore di Tozzi, in Ead. (a cura di), Tozzi: la scrittura crudele, Atti del Convegno internazionale (Siena, Santa Maria della Scala, Palazzo Pubblico, 24-26 ottobre 2002), num. monografico di «Moderna», IV, 2, 2002, pp. 23-30.
    5 Cfr. almeno R. Luperini, Federigo Tozzi. Le immagini, le idee, le opere, Laterza, Roma-Bari, 1995, imprescindibile per le riflessioni di questo lavoro; R. Castellana, Parole cose persone. Il realismo modernista di Tozzi, Fabrizio Serra, Pisa-Roma, 2009.
    6 Alcuni dei numerosi contributi tozziani di Marchi sono stati raccolti e ristampati in M. Marchi, Federigo Tozzi. Ipotesi e documenti, Le Lettere, Firenze, 2015 [1993].
    7 Cfr. R. Castellana (a cura di), Bibliografia delle opere e della critica 1901-2007, con la collaborazione di P. Salatto e A. Sarro, Bibliografia e Informazione, Pontedera, 2008.
    8 Cfr. F. Tozzi, Giovani, edizione critica a cura di P. Salatto, prefazione di R. Luperini, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2018 [1920].
    9 Cfr. J. M. Kozma, Grazia Deledda’s Eternal Adolescents, cit.
    10 Cfr. G. A. Borgese, Tempo di edificare, Treves, Milano, 1925.
    11 Per le novelle si citerà sempre a testo riportando, quando non già specificato, il titolo del racconto e il numero di pagina desunto dall’edizione F. Tozzi, Le novelle, a cura di G. Tozzi, con un saggio introduttivo di L. Baldacci, Rizzoli, Milano, 2008, 2 voll.
    Riportiamo anche una considerazione di Baldacci: «La cosa che conta è che niente nella narrativa di Tozzi, è innocuo. Tutto ha un peso, tutto ha un veleno. E ciò nonostante niente ha una funzione». L. Baldacci, Tozzi moderno, cit., p. 23 [corsivo del testo].
    12 Cfr. M. Tortora, Federigo Tozzi, in G. Alfano, F. de Cristofaro (a cura di), Il romanzo in Italia III. Il primo Novecento, Carocci, Roma, 2018, pp. 127-129.
    13 Sulla questione cfr. almeno L. Melosi, Anima e scrittura. Prospettive culturali per Federigo Tozzi, Le Lettere, Firenze, 1991; R. Luperini, Federigo Tozzi, cit., pp. 58-64; F. Boccaccini, Uno scetticismo triste. Tozzi e la cultura psicologica del primo Novecento, in R. Castellana, I. De Seta (a cura di), Federigo Tozzi in Europa. Influssi culturali e convergenze artistiche, Carocci, Roma, 2017, pp. 136-142.
    14 Per uno studio sistematico sulla questione cfr. almeno M. Martini, Tozzi e James. Letteratura e psicologia, presentazione di G. Luti, introduzione di M. Marchi, Olschki, Firenze, 1999.
    15 Cfr. A. Rossi, Modelli e scrittura di un romanzo tozziano: «Il podere», Liviana, Padova, 1972, p. 32-46.
    16 Cfr. F. Tozzi, Novale. Diario, Mondadori, Milano, 1925, p. 14. Lettera datata 13 dicembre 1902.
    17 Oltre agli studi di Marchi compiuti sui documenti della Biblioteca degli Intronati di Siena, frequentata da Tozzi fin da giovanissimo, per quanto concerne i testi presenti nella sua biblioteca personale cfr. C. Geddes da Filicaia, La biblioteca di Federigo Tozzi, Le Lettere, Firenze, 2001 e, per una biblioteca “desunta” anche dalle tracce presenti nei suoi stessi testi, cfr. P. Benzoni, Le biblioteche di Federigo Tozzi, in A. Dolfi (a cura di), Biblioteche reali, biblioteche immaginarie. Tracce di libri, luoghi e letture, Firenze University Press, Firenze, 2015, pp. 307-323.
    18 Sulla questione, in contrasto con l’ipotesi debenedettiana del complesso edipico come motore immobile e nucleo originario di tutta la produzione del senese (e quindi anche di Tre croci), cfr. P. Pieri, Il padre supplente in Tre croci e l’errato problema della “roba”, «Otto/Novecento», 1, 2012, pp. 55-71.
    19 R. Luperini, Federigo Tozzi, cit., p. 3.
    Luca Chiurchiù, Primavera d’incertezza. Mito e malattia della giovinezza in Federigo Tozzi, Alberto Moravia e Vitaliano Brancati, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2020

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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