Fiori del Ponente Ligure: breve excursus

I fiori nel Seicento erano un ornamento naturale del Ponente Ligure il cui patrimonio botanico era considerato degno del leggendario “Monte Baldo” anche se vere e proprie oasi floreali anticamente si concentravano in aree particolari come i Grandi Giardini Signorili, quale ad esempio quello annesso al Castello di Dolceacqua (IM), peraltro arricchito di “nuove meraviglie botaniche” frutto della scoperta e conquista del Nuovo Mondo (Americhe).  La coltura dei fiori non costituiva ancora un’attività economica (data anche l’assenza di mercati e di uno specifico sistema viario): prevaleva senza dubbio la raccolta di piante per erboristeria e fitoterapia, anche se si trattava sempre di un’attività sospesa tra fiducia e sospetti, attesi i presunti coinvolgimenti di magia e stregoneria connessi sia a paure antiche ed all’aleggiare di indubbi superstiti relitti di quel paganesimo tanto legata sia al culto della natura ed alla religione del’habitat naturale. Non esclusi appunto i fiori.

Quanto a quella diffusa superstizione che inibì a lungo ed anche in periodi drammatici, mentre la gente moriva di fame per guerre e carestie, l’utile fruizione di nuove piante introdotte dalle Americhe o Nuovo Mondo di modo che, ad esempio, la “Patata” o “Pomo di Terra” era coltivata in Giardini ed Orti Botanici come una rarità. Dai più fu temuta sino alla fine del ‘700 come pianta maledetta ricercata in particolare da streghe malefiche ed Untori diabolici propagatori di Peste mentre le Tomate alias Pomi d’Amore alias Pomodori – parimenti introdotti dal Nuovo Mondo – prima che per le qualità alimentari furono apprezzati solo come piante ornamentali dei giardini patrizi.

A dimostrazione della generale condizione e superstizione – a titolo esemplificativo di una situazione sostanzialmente panitaliana – si può ricordare, a fine XVII secolo, come nel Dominio della Serenissima Repubblica di Genova un suddito possidente nel “Ponente Ligure” mandato a giudizio su denunzia anonima secondo il doppio Diritto in quanto reo di aver messo a coltura con patate un suo terreno per stregonesche connivenze venne per due anni Messo al Bando (Esiliato) fuor dello Stato.

Ancora fra XVI e XVII secolo, in un’età difficile in cui la sopravvivenza per i più era lo scopo basilare, il lato edonistico rappresentato dai fiori era ancora secondario rispetto alla coltura di altre specialità vegetali prioritarie per fini economici – commerciali o di sussistenza.

E’ pur vero che nessuno disconosceva la valenza estetica dei fiori, ma la loro ostentazione, a prescindere dai ceti magnatizi, rientrava in una consuetudine periodica connessa alle stagioni calendariali dell’anno ed in particolare alla qui proposta sequenza dei tempi di festa da celebrare secondo i precisi regolamenti concessi.

Ed a prescindere dall’aspetto ornamentale è da dire – come si evince da tanti elementi documentari- che la FESTE RELIGIOSE E CIVILI costituivano l’occasione per procedere ad una PULIZIA DI CITTA’ E LUOGHI PER COSTUMANZA EPOCALE POCO CURATI DAL LATO IGIENICO di modo che, dopo una pulizia finalmente condotta con l’ausilio di tutti in assenza di forze specializzate, la disposizione di fiori (MA ANCHE DI ALTRE PIANTE ORNAMENTALI) ERA UN ULTERIORE CORREDO AMBIENTALE MENTRE IL NATURALE PROFUMO SOFFOCAVA GLI ODORI MALEODORANTI.

Magari può sorprendere, ma tra le tante città che oggi, in ben altro contesto storico,commemorano la bella stagione con CORTEI FIORITI proprio una città celebre per la sua BATTAGLIA DI FIORI fruisce di un singolare vanto.
Ci si riferisce a Ventimiglia (IM), che, in un romanzo del Seicento parzialmente  ambientato in questa “città di frontiera”, ebbe celebrato (con il recupero di dati reali della sua storia civile ed urbana) un particolare evento, una festa di riconciliazione alla fede nel corso della quale il popolo onde rendere più iridescente il paesaggio ne abbellì gli edifici sacri, i palazzi civili e le vie con FIORI, ARAZZI, PALME, ULIVI ED ALTRE PIANTE SIN A CREARE UNA SUGGESTIVA COREOGRAFIA.

Occorre comunque ribadire che, anche quanto venne descritto in questo romanzo un tempo celebre il cui autore aveva avuta esperienza diretta e mediata delle tradizioni intemelie, era l’amplificazione di una COSTUMANZA CONNESSA ALLA RITUALITA’ e a quella delle “INFIORATE”.

Le cose non mutarono sostanzialmente fino all’epoca dei TEMPI NUOVI CONSEGUENTI ALLA CADUTA DELL’ANTICO REGIME, allorquando in ragione di molte trasformazioni e certo non ultima (ai fini del commercio) la realizzazione di un sempre più sofisticato SISTEMA VIARIO E DI COMUNICAZIONI SIA SU SCALA ITALIANA CHE EUROPEA QUANTO SULL’INTIERO ARCO LIGURE si assistette ad una decisa innovazione socio-economica al punto che le stesse COSTUMANZE, IL FOLKLORE, LE TRADIZIONI RISENTIRONO DELLE TRASFORMAZIONI ECONOMICHE GARANTITE DAL SUCCESSO DI UNA NUOVA SCELTA PRODUTTIVA, IMPRENDITORIALE E COMMERCIALE: QUELLA DELLA FLORICOLTURA DESTINATA A SEGNARE A LUNGO LA STORIA AGRONOMICA ITALIANA SPECIE QUELLA DEL “PONENTE DI LIGURIA”, NON CASUALMENTE DENOMINATO POI RIVIERA DEI FIORI.

di Bartolomeo Durante, da Cultura-Barocca

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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