Formiggini si era senza dubbio imbarcato in un’impresa molto più grande di lui

La ricerca si concentra sull’editore modenese ebreo Angelo Fortunato Formiggini (1878-1938), morto suicida in seguito alla promulgazione delle leggi razziali, proponendosi di valorizzare un aspetto peculiare della sua attività: il progetto, sentito come una missione al servizio della patria, di promozione del libro e della cultura italiana all’estero. Da un lato, si indagano le radici profonde degli ideali a fondamento delle sue imprese; dall’altro, le ripercussioni concrete sull’attività editoriale, via via più orientata alla ricerca di contatti che favorissero la diffusione internazionale dei prodotti intellettuali italiani.
[…] “Le mie modeste esperienze di propagandista del libro italiano mi hanno ben persuaso di questo: che cioè la simpatia è un’arma spesso più efficace della sopraffazione. I risultati conseguiti li debbo soprattutto a questo mio metodo e a questi miei genuini sentimenti. In una riunione universale di amici del libro, tutti animati appunto da vicendevole simpatia per la comunità degli intenti e delle aspirazioni, mi sembrava giusto che fosse affermato questo principio generale, perché ognuno di noi, ritornando al proprio posto di combattimento, non dimentichi di usare, come arma, quella che ho sperimentato come la più civile e la più efficace di tutte”. <1 Così Angelo Fortunato Formiggini si rivolgeva alla platea romana in occasione del primo Congresso mondiale delle biblioteche e di bibliografia, che ebbe luogo tra Venezia e Roma dal 15 al 30 giugno 1929: in quell’anno ricorreva il cinquantesimo anniversario della morte di Antonio Panizzi (1797-1879), figura che aveva rappresentato in modo emblematico «la professionalità bibliotecaria moderna, la collaborazione internazionale e i legami tra le culture bibliotecarie europee». <2 L’editore di origine modenese, ormai attivo sul Campidoglio dal 1916, pur non essendo un professionista del settore bibliotecario aveva manifestato profondo interesse e puntuale conoscenza delle questioni bibliografiche e biblioteconomiche <3 e aveva partecipato attivamente alle sessioni congressuali. Aveva anche ottenuto l’incarico dal Segretario generale del congresso, Vincenzo Fago, di ospitare sulla propria rivista di informazione bibliografica «L’Italia che scrive» tutte le comunicazioni ufficiali inerenti all’organizzazione dell’evento. Fago, dopo aver diretto per due anni l’Ufficio scambi internazionali del Ministero della Pubblica istruzione, aveva preso parte dal 1926 come bibliotecario alle attività internazionali che portarono alla nascita dell’IFLA, partecipando ai raduni di Atlantic City (1926) ed Edimburgo (1927), ed era stato eletto nel ’29 prima vicepresidente del Comitato internazionale delle biblioteche e di bibliografia e, in seguito, Segretario generale del congresso romano. <4 Il suggerimento del periodico formigginiano poteva essergli giunto da altri illustri membri del Comitato esecutivo italiano quali Domenico Fava o Giuseppe Fumagalli, entrambi già da tempo in contatto con l’editore, <5 oppure dettato semplicemente dalla notorietà e grande diffusione dell’ICS. In ogni caso, le strade di Fago e Formiggini si erano già incrociate nell’aprile 1902 nella Capitale, quando il primo era stato nominato direttore del Consolato romano della associazione internazionale studentesca “Corda Fratres” – che, come si vedrà, ebbe un ruolo di rilievo nella formazione del sistema di valori e ideali che guidò le scelte dell’editore – mentre, contestualmente, al giovane modenese ne era stata affidata la Segreteria. <6 Formiggini espresse immediatamente a Fago la propria adesione entusiasta all’incarico […] Gli anni universitari che Formiggini trascorse a Bologna produssero una brillante dissertazione volta a dimostrare che quel vincolo di affratellamento in grado di superare ogni confine, vagheggiato dalle ideologie cordafratrina e massonica, nonché sostenuto dall’unitarietà della componente ebraica della sua formazione culturale, poteva essere ricondotto, in concreto, a una pratica condivisa fra tutti gli uomini e largamente presente nelle esperienze di gioventù del modenese: il riso. Con accurata analisi logica ed etica, egli costruì nella propria Filosofia del ridere <68 una sorta di «sociologia della risata», individuando nell’umorismo l’elemento comune, centrale e costitutivo dell’animo umano <69 e, pertanto, quello in grado di cementare il vincolo ideale tra tutti gli uomini. Non solo: nel disegno formigginiano, esso assunse una dimensione di «riso umanitario», che «conducesse lontano dalla conflittualità pura e atroce», <70 consentendo agli uomini di superare le divergenze grazie alla generale attitudine di «serena fraternità e di sorridente pacifismo». <71 Molti anni più tardi, quando già l’ombra del regime fascista si allungava su di lui, Formiggini stesso ribadì tale convinzione, riallacciandosi agli studi giovanili: “Nel periodo della mia vita che dedicai agli studi, la sola cosa, forse, a cui volsi l’animo particolarmente attento fu il ridere, e mi parve che esso, oltre ad essere la più emergente caratteristica dell’umanità (risus quoque vitast), è il più specifico elemento diagnostico del carattere degli individui (dimmi di che cosa ridi e ti dirò chi sei), forse anche il tessuto connettivo più tenace e il più attivo propulsore della simpatia umana”. <72 […] Il biennio 1921-1923 segnò l’inizio di un momento cruciale nella carriera (e nella vita) di Formiggini, così come nella storia d’Italia. Il disappunto per la mancata presentazione dell’Istituto per la Propaganda della Cultura Italiana al pubblico milanese di potenziali sottoscrittori era stato in parte mitigato dal suo riconoscimento ufficiale da parte dello Stato, che, come rilevato da Gabriele Turi, aveva individuato immediatamente l’utilità dell’«intento di sviluppare all’estero la conoscenza della cultura italiana» che animava l’operato dell’editore modenese per concretizzare «le prospettive nazionalistiche degli organi statali preposti alla stampa e alla propaganda». <137 […] per ottenere un’immagine più convincente sotto il profilo culturale e credibile allo schieramento di governo, Gentile compilò il noto “Manifesto”, che sottintendeva il ruolo dello Stato come unico soggetto incaricato di unificare e coordinare tutte le iniziative e attività culturali. Il documento segnò uno spartiacque significativo nel rapporto tra il regime, gli intellettuali e l’editoria, alla quale fu affidato il compito cruciale di incarnare l’industria di quella cultura. Da questo momento in poi essa, proprio in virtù del suo essere «una categoria intellettuale ma anche un’impresa economica e produttiva» venne investita dal regime di un ruolo fondamentale: in quanto «partecipe del proprio tempo» essa aveva il dovere di contribuire «alle realizzazioni del regime e, in primo luogo, alla formazione del consenso nei suoi confronti», svolgendo una «funzione educativa» complementare a quella degli altri organismi e istituzioni (casa, scuola, Chiesa) che dovevano contribuire a formare «quell’“italiano nuovo” voluto da Mussolini, che legittimasse il fascismo negli anni a venire. <153 L’ideale di poter perseguire una sola «politica del libro» in virtù della quale fosse possibile tenersi al di sopra della politica vera e propria, che muoveva Formiggini, si rivelò meno praticabile del previsto in tale scenario, come dimostrarono la «marcia sulla Leonardo» e la tragica fine dell’editore. Nei primi anni Venti, però, durante l’intensa attività promotrice di Formiggini, erano ancora forti e fiduciosi «l’entusiasmo, la consapevolezza, l’orgoglio di fare parte di un più ampio progetto di divulgazione della lettura in Italia e all’estero, di cui “L’Italia che scrive” doveva essere il portavoce e il suo editore l’alfiere», <154 e furono sufficienti a portarlo verso quella zona grigia, la permanenza nella quale diventerà di lì a poco tutt’altro che facile. Su questa direttrice, con lo scopo di «intensificare in Italia e far nota all’estero la vita intellettuale italiana», <155 l’Istituto per la Propaganda della Cultura Italiana veniva eretto ad Ente morale con Regio Decreto già il 21 novembre 1921 con significative trasformazioni e un rinnovato Consiglio direttivo. Ferdinando Martini ottenne la presidenza; Orso Mario Corbino, la vicepresidenza; il filosofo Giovanni Gentile la rappresentanza del Ministero della Pubblica istruzione e Amedeo Giannini quella del Ministero degli Esteri; Roberto Almagià e Giuseppe Chiovenda furono nominati consiglieri, insieme con Angelo Fortunato Formiggini, consigliere delegato alle pubblicazioni. La prima e più evidente modifica fu il cambio di denominazione dell’ente in “Fondazione Leonardo per la cultura italiana”. […] L’azione sistematica di exhibitions operata dalle istituzioni del governo fascista alla fine degli anni Venti aveva dimostrato senza dubbio uno spirito di conquista – culturale, almeno sulla carta – estremamente proattivo verso le città statunitensi e il loro mercato librario, con una inusitata energia ed efficacia. Ben sei anni prima della mostra inaugurata alla Casa Italiana di New York, tuttavia, un’altra esperienza aveva fornito una vetrina ufficiale al libro italiano oltreoceano. Nel 1922 si era svolta una Fiera internazionale a Rio de Janeiro, in occasione del primo centenario dell’indipendenza del Brasile, all’interno della quale era stata allestita per la prima volta in assoluto la «Sala della produzione intellettuale italiana», <192 grazie all’iniziativa dell’Anonima Libraria Italiana (ALI). La città brasiliana era sede di un’antica e nutrita colonia italiana, con flussi di immigrazione via via più consistenti a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, <193 e il fervore della comunità italo-brasiliana era testimoniato anche dalla presenza, agli inizi del Novecento, di numerose testate giornalistiche espressamente rivolte a quel pubblico sorte tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. <194 A riprova dei legami già esistenti tra Rio e l’Italia, si ricorda che nel 1920, agli albori della costruzione della rete di contatti che doveva supportare le attività del costituendo Istituto per la Propaganda della Cultura Italiana, l’Ambasciatore, il Console e gli Agenti consolari di Rio de Janeiro erano stati tra quelli espressamente citati dal ministro Sforza nell’interpello ufficiale della sua circolare Ai RR. Agenti Diplomatici e Consolari, per sollecitare la loro collaborazione nel futuro disegno di promozione culturale che si andava delineando. <195 A fronte del coinvolgimento della colonia brasiliana nelle attività dell’Istituto fin dall’inizio, non stupisce incontrare il nome di Formiggini nelle vicende legate alla fiera di Rio, che ebbe luogo da settembre 1922 a marzo 1923: l’apertura internazionale e il precoce interessamento verso la promozione culturale e libraria all’estero, di concerto con l’attività dell’Istituto da lui recentemente ideato, non potevano che incentivarlo nella partecipazione a un evento così significativo in tal senso. Tanto più che esso era stato organizzato sulla scia delle osservazioni scaturite dal già ricordato viaggio all’estero dell’ex presidente del Consiglio Orlando, effettuato proprio in Brasile nel 1921. Di fronte alla sua insistenza sulla necessità di trovare nuove strategie per far conoscere maggiormente il libro italiano in quei territori, Formiggini si era attivato immediatamente e si era fatto promotore, insieme con il ministro uruguayano Bernárdez, della citata «azione pro libro italiano in Sud America», di cui il padiglione del Libro Italiano di Rio fu una parte fondamentale. Troviamo dunque riportata, con la consueta accuratezza, la descrizione dell’iniziativa sull’ICS del novembre 1922, in un articolo di pugno di Formiggini, L’Esposizione di Rio de Janeiro, in cui il modenese tesseva le lodi della persona che materialmente si era occupata dell’allestimento del padiglione, Davide Todros, collaboratore della casa editrice Treves ed esponente dell’Anonima Libraria Italiana, nominato membro del Comitato esecutivo dell’esposizione brasiliana su suggerimento di Formiggini stesso. <196 Todros, a detta dell’editore, avrebbe dovuto ricevere «un monumentino» per il grande impegno speso per la causa: “ha saputo farsi assegnare un vasto padiglione, ha saputo ottenere i trasporti e quel po’ di aiuti che in Italia si possono ottenere dallo Stato per imprese di questo genere, ha indotto 80 editori italiani e 200 periodici italiani ad assecondarlo, ha saputo dissimulare le più grandi lacune facendo esporre tutto ciò che è davvero importante anche se di editori non aderenti, ha costruito gli scaffali in istile «rinascimento», ha inventata una geniale collocazione di libri alfabetica e per materie che consentirà ai commessi e al pubblico dei visitatori di trovare subito quanto potrà loro interessare, ha fatto dipingere i cartelli, ha stabilito dove ogni opera deve essere collocata, come il padiglione debba essere ornato, con tessuti e con piante, ha scelto la qualità delle piante, tutto insomma… stando a Torino. Vedendo gli schizzi del Todros sembra già di vedere la mostra tanto sono precise le istruzioni e la cura dei particolari, pur prevedendo… l’imprevedibile per ogni singolo caso”. <197 […] Dopo il 1925, tuttavia, la progressiva infiltrazione del regime fascista in ogni branca della cultura, dalla stampa periodica all’editoria, innescò una modifica lenta ma inesorabile a quella dimensione ideale e «fraterna» della diffusione del libro italiano all’estero su cui Formiggini aveva impostato l’attività originaria del suo Istituto e che era sembrata essere, nelle prime iniziative concrete come quella di Rio de Janeiro, motivo trainante dell’esportazione intellettuale italiana. Una promozione, insomma, che si fece via via propaganda nel vero senso della parola, un senso che per Formiggini non era mai stato carico di significati politici, anzi: l’unico partito di cui si era esplicitamente dichiarato membro, lo ricordiamo, era stato il «partito del Libro» nel 1923, per cui non occorrevano «nessuna domanda e nessuna tessera». <221 Il regime, invece, attraverso l’operato di figure come Gentile e Ciarlantini, si appropriò della rete di connessioni faticosamente costruita da Formiggini attraverso l’Istituto poiché ne intuì la novità e il grande potenziale per i propri scopi espansionistici e le conferì una dimensione più incisiva. Si svilupparono in questa direzione i contatti con gli Stati Uniti che portarono alla Italian Book Exhibition presso la Casa Italiana di New York e alla catena di mostre che seguirono, negli anni tra il 1928 e il 1930. La promozione del libro italiano si sbilanciò sempre più verso un’accezione nazionalista forte, che mirava non più tanto a cercare di introdurre e fare accettare e apprezzare i prodotti dell’intelletto italiano all’interno del milieu culturale americano, quanto piuttosto a mostrare la capacità del Governo e dei suoi collaboratori di gestire la loro diffusione capillare, come prova della solidità, potenza e compattezza dell’Italia come nazione, sotto tutti i punti di vista. In questo senso si possono rileggere i resoconti relativi alle mostre satellite aperte in diverse città minori del territorio nordamericano, con l’enfasi posta sull’«azione», sulla costruzione di rapporti concreti con le istituzioni sul territorio, che andava ben oltre l’originaria missione di portare il libro e il pensiero italiano agli occhi e all’interesse di culture diverse. La lente deformante del regime stava in qualche modo sottraendo al libro quel ruolo di nobile mezzo attraverso cui – per usare ancora le parole di un ispirato Sorani – si potesse creare «una legittima confraternita spirituale tra il popolo e la civiltà italiani con altri popoli ed altre civiltà», <222 rendendolo al contrario «uno strumento politico» atto ad «educare tutto un popolo in patria e operare una efficacissima penetrazione all’Estero». <223 […] Formiggini si era senza dubbio imbarcato in un’impresa molto più grande di lui, con idee straordinarie ma mezzi inadeguati ad assicurare loro una struttura efficace. Il fatto stesso che la casa editrice da lui costituita fosse rimasta per tutta la sua durata a conduzione, sostanzialmente, familiare, <230 senza che il suo direttore si fosse mai interrogato su quali assetti imprenditoriali, effettivamente, gli sarebbero occorsi per aiutarlo nelle sempre più complesse questioni gestionali che un’impresa, di qualunque genere, avrebbe richiesto, è di per sé indicativo. L’incapacità di Formiggini di adeguarsi alle nuove logiche editoriali di un mercato che voleva più ampio – di dotarsi, ad esempio, di un ufficio che gestisse i diritti d’autore e le controversie legali, o di professionisti che si occupassero del piazzamento delle sue opere sul mercato estero e delle questioni legate alle traduzioni – lo portò a conservare sempre un potere decisionale accentrato e discrezionale che faceva dell’azienda Formiggini una sorta di “casa editrice persona”, proprio come l’ICS era una «rivista persona», nell’accezione evidenziata da Luisa Mangoni. <231 Ma un uomo solo non poteva occuparsi, in modo adeguato, di un progetto di espansione editoriale, e culturale, così esteso. In questo, forse, va individuato il motivo del fallimento sostanziale delle aspirazioni internazionali di Formiggini, nonostante gli inizi brillanti e in anticipo sui tempi: invece di dotarsi di strumenti interni per portare avanti la sua impresa ideale, di suddividere e specializzare maggiormente il lavoro o di imparare a delegare, <232 si era rivolto all’esterno, a Roma, alla ricerca di appoggi istituzionali, senza comprendere di rendersi volontariamente, in quel modo, un mero strumento nelle loro mani, per tutt’altri propositi. Una Roma, tra l’altro, a cui rimase legato indissolubilmente fino alla fine, con la convinzione tutta ottocentesca che la capitale romana fosse ancora il centro dell’Italia e del potere – proprio lui, che per altre cose aveva invece avuto intuizioni così avanti coi tempi -, quando invece era già evidente che le nuove capitali industriali e culturali italiane fossero Milano <233 e Torino. <234 Un errore logistico che altre case editrici, che sarebbero sopravvissute a Formiggini, guidate da animatori altrettanto brillanti ma con uno spirito imprenditoriale decisamente più spiccato e lungimirante, non avrebbero commesso: si pensi, ad esempio, ad Arnoldo Mondadori o a Giulio Einaudi, monarchi illuminati di una nuova industria dell’editoria che avevano saputo circondarsi di valenti collaboratori, non diversamente da Formiggini, ma erano poi stati capaci di affidare in modo oculato la gestione di tutti gli aspetti più strettamente giuridici, burocratici e organizzativi per creare un insieme armonico di professionalità che li sostenesse e aiutasse nell’espansione e nella crescita della casa editrice stessa. […] Nonostante il fatto che egli si definisse sempre «per temperamento e per convinzione antirivoluzionario», <242 in realtà riuscì a operare, attraverso il «linguaggio pacato, disadorno, sereno, non enfatico» di un amante del libro, una piccola, grande rivoluzione intellettuale che seppe suscitare «quella corrispondenza di affetti e di consensi per parte di tutti gli stranieri colti» che spalancò le porte del dialogo culturale e librario internazionale, che non si è più fermato da allora e, come Formiggini stesso avrebbe auspicato, non si dovrebbe arrestare mai.

[NOTE] 1 A.F. FORMIGGINI, Coscienza libraria e propaganda del libro, cit., p. 37. 2 MAURO GUERRINI, ANTONIO SPECIALE, Il primo Congresso mondiale delle biblioteche e di bibliografia, Roma-Venezia, 15-30 giugno 1929, «AIB studi. Rivista di biblioteconomia e scienze dell’informazione», LII, 3, settembre-dicembre 2012, p. 279-290: 283. 3 V. PONZANI, Dalla filosofia del ridere alla promozione del libro: la Biblioteca circolante di A.F. Formiggini (Roma 1922-1938), cit., in part. il primo capitolo; così come ANNA ROSA VENTURI, Formiggini e le biblioteche popolari, in Angelo Fortunato Formiggini. Un editore del Novecento, cit., p. 425-436. 4 Le informazioni su Vincenzo Fago (1875-1940) si trovano nel Dizionario bio-bibliografico dei bibliotecari italiani del XX secolo, versione on line tratta da GIORGIO DE GREGORI, SIMONETTA BUTTÒ, Per una storia dei bibliotecari italiani del XX secolo: dizionario bio-bibliografico 1900-1990, Associazione italiana biblioteche, Roma, 1999, liberamente consultabile sul sito http://www.aib.it/pubblicazioni/. 5 Fava dal 1913 era direttore della Biblioteca estense universitaria di Modena, l’istituto culturale della città natale a cui Formiggini era più legato e che aveva frequentato con assiduità, negli anni modenesi; prima di lui, l’incarico era stato ricoperto proprio dal Fumagalli, che aveva inoltre redatto per la collana delle “Guide bibliografiche” ideata da Formiggini il volume La bibliografia nel 1923. 6 Formiggini aveva raccolto diversi ritagli di quotidiani romani del 19 e 20 aprile 1902 che riportavano la notizia, all’interno della sezione Grafica del suo Archivio editoriale, in un fascicolo da lui intestato «Cose Personali», che contiene anche una parte dedicata alla sua militanza nella “Corda Fratres” (AEF, Grafica, cartella 3, fasc. 18, Formiggini Angelo Fortunato. Cose personali, c. 15v). 68 ANGELO FORTUNATO FORMIGGINI, Filosofia del ridere. Note ed appunti, a cura di Luigi Guicciardi, CLUEB, Bologna, 1989. 69 Secondo Formiggini, l’umorismo rappresentava «la massima manifestazione del pensiero filosofico», come si legge nella minuta dattiloscritta indirizzata ad Alfredo Panzini dell’11 novembre 1910 (AEF, fasc. Panzini, Alfredo). 70 EZIO RAIMONDI, I Classici del Ridere, in Angelo Fortunato Formiggini. Un editore del Novecento, cit., p. 207-225: p. 212. Le parole di Raimondi riprendono quelle di Formiggini stesso, nel corso di alcune conferenze tenute a Modena, Bologna e Rimini dopo la laurea bolognese, riproponendo il tema del ridere. 71 A. CASTRONUOVO, Angelo Fortunato Formiggini, cit., p. 420. 72 ANGELO FORTUNATO FORMIGGINI, La Ficozza filosofica del fascismo e la marcia sulla Leonardo. Libro edificante e sollazzevole, Formiggini, Roma, 1923, p. 331. 137 GABRIELE TURI, Il fascismo e il consenso degli intellettuali, il Mulino, Bologna 1980, p. 27. 153 N. TRANFAGLIA, A. VITTORIA, Storia degli editori italiani. Dall’Unità alla fine degli anni Sessanta, cit., p. 229-231. 154 G. TORTORELLI, L’Italia che scrive 1918-1938, cit., p. 45. 155 G. LAZZARI, L’Enciclopedia Treccani, cit., p. 15. 192 La definizione è del «Giornale della Libreria» (XXXV, 16-20, 15-30 giugno, 1-8 luglio 1922, p. 234). 193 Nel 1843 Teresa Cristina Maria Borbone, contraendo matrimonio con Don Pedro II, aveva acquisito il titolo di Imperatrice del Brasile: la migrazione della famiglia e della sua corte diedero inizio a un flusso di immigrazione via via più intenso anche sia di piccoli commercianti, professionisti, operai specializzati sia di mestieranti più umili in cerca di fortuna (Cfr. La presenza italiana nella storia e nella cultura del Brasile, a cura di Rovílio Costa e Luis Alberto De Boni; edizione italiana a cura di Angelo Trento, M.T. Schorer Petrone et al., Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 1991). 194 Una ricognizione dei principali periodici italiani a Rio de Janeiro tra il 1836 e il 1921 è stata effettuata da DANÚSIA TORRES DOS SANTOS nel suo articolo L’immigrazione italiana a Rio de Janeiro: tracce storiche, disponibile on line all’url: < http://www.emigrazione-notizie.org/public/upload/downloads/L%20immigrazione%20a%20Rio.pdf>.
195 Si rimanda al secondo capitolo, per il testo della circolare ivi citato.
196 L’intervento di Formiggini nella nomina si evince da una lettera di ringraziamento dello stesso Todros: «Tu hai raccomandato molto vivamente il mio nome alla Fiera Internazionale del Libro: mi son veduto designato nientemeno che per il Comitato Esecutivo» (AEF, fasc. Todros, Davide, doc. 20, lettera del 07.08.1921).
197 A.F. FORMIGGINI, L’Esposizione di Rio de Janeiro, «L’Italia che scrive», V, 11, novembre 1922, p. 199.
221 A.F. FORMIGGINI, Intermezzo, cit.
222 A. SORANI, Il libro italiano, cit., p. 118.
223 Insegnamenti di una inchiesta, «Il Libro italiano», I, 9-10, 1937, p. 193, citato in N. TRANFAGLIA, A. VITTORIA, Storia degli editori italiani, cit., p. 247.
230 Perfino al momento di recarsi al fronte nel 1915, lo ricordiamo, Formiggini aveva lasciato senza battere ciglio l’intera casa editrice nelle sole mani della moglie Emilia.
231 L. MANGONI, Le riviste del Novecento, cit., p. 946.
232 Forse, se si fosse dotato di un ufficio legale che lo avesse tenuto aggiornato sulle questioni dei diritti d’autore e di traduzione, occupandosene direttamente in modo sistematico, alcuni dei tentativi falliti (come, ad esempio, l’edizione italiana di Kipling, o la traduzione delle “Apologie” in tedesco) avrebbero avuto un esito diverso. D’altronde, l’ammissione di tale mancanza venne anche, seppur tardiva, dallo stesso Formiggini, in chiusura delle sue memorie editoriali: tra i «requisiti che sono necessari per un editore, e che a me fecero difetto», egli individuò proprio «la competenza amministrativa e quell’accortezza critica che permette di valutare l’opera dei consulenti e guidarla; opera indispensabile, perché il direttore non può, materialmente, far tutto da sé e, d’altra parte, non può fidarsi alla cieca dei collaboratori» (A.F. FORMIGGINI, Trent’anni dopo, cit., p. 161).
233 Una Milano in cui, difatti, Formiggini non era riuscito a penetrare in modo efficace come avrebbe voluto, come dimostra l’episodio del Circolo Filologico, poiché evidentemente non aveva saputo coltivare gli agganci giusti, restando più ancorato alle conoscenze romane.
234 A proposito di Roma, infatti, Tranfaglia e Vittoria riconoscono che, pur essendo «città del terziario, della burocrazia, del cinema e della televisione ma anche sede di grandi giornali, quotidiani e settimanali, e di conseguenza di grandi gruppi editoriali», essa «non è mai diventata in centotrenta anni un centro importante dell’editoria libraria» (N. TRANFAGLIA, A. VITTORIA, Storia degli editori italiani, cit., p. 14).
242 «L’Italia che scrive», VII, 8, agosto 1924, p. 142.
Elisa Pederzoli, Un «privato editore dilettante» nel sistema internazionale. Angelo Fortunato Formiggini e la diffusione della cultura italiana nel mondo, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, 2019

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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