Grande interesse riscontrava “La specola delle arti”, terza pagina a cadenza settimanale del quotidiano “Il Secolo XIX”, curata da Attilio Podestà

La stagione della scultura tra le due guerre fu invece dominata, oltre che dai già ricordati De Albertis e Baroni, dalla presenza di Arturo Martini e Francesco Messina, personalità importanti, attive solo parzialmente nella nostra regione. Il primo, a Vado Ligure dal 1920 – oltre a influenzare alcuni artisti savonesi, come Mario Raimondi, Nanni Servettaz, Renata Cuneo – ebbe un ruolo fondamentale nell’indirizzare la ricerca plastica verso una semplificazione delle forme, aliena da recuperi di classicismo e naturalismo e proiettata piuttosto verso un originale arcaismo, con una particolare predilezione, a metà degli anni Venti, per l’impiego della terracotta nelle piccole dimensioni, ovvero per forme di scultura applicata all’oggetto, che trovarono ad Albisola, e poi anche a Genova, interessanti opportunità di realizzazione.
Il secondo – che a Genova e in Liguria compì la propria formazione, partita da istanze simboliste e moderniste e poi arricchita da influenze espressioniste e martiniane – ancor prima del definitivo trasferimento a Milano, avvenuto nel 1930, ebbe modo di giungere ad una personale sintesi di classicismo e naturalismo, spesso imbevuta di ricordi ottocenteschi.
Tra stilizzazioni arcaiste ed esiti realisti si colloca l’opera di molti scultori liguri dell’epoca, taluni dei quali, come Guido Galletti, Guido Micheletti, Francesco Falcone e Rodolfo Castagnino, giunsero ad accentuare progressivamente il secondo aspetto, mentre altri, come Armando Vassallo, Adolfo Lucarini, Cesare Giarrusso rimasero più legati a sintesi déco.
In quest’epoca, come di recente si è avuto modo di approfondire, un ruolo importante di promozione della modernità e sprovincializzazione viene assunto dai futuristi, presenti nel territorio ligure con un’interessante articolazione “policentrica”, che vide affiancarsi, alle prime e saltuarie esperienze genovesi, le vicende chiavaresi, albisolesi, spezzine e savonesi.
A Genova tali esperienze assunsero maggior consistenza tra la fine degli anni Venti e l’inizio dei Trenta, sotto la guida di Alf Gaudenzi, Dino Gambetti e del gruppo Sintesi, culminando nell’organizzazione della Prima Mostra Nazionale di Plastica murale del 1934.
Albisola, soprattutto per merito di Tullio Mazzotti, divenne la capitale della ceramica futurista, attraendo verso le sue fornaci artisti come Nicolaj Diulgheroff, Mino Rosso, Bruno Munari, Nino Strada, Fillia, presenze che prelusero ad altre successive sperimentazioni d’avanguardia (Fontana, Sassu, il gruppo COBRA …).
Anche La Spezia, tra il 1932 e il 1934, grazie a Marinetti e soprattutto a Fillia, visse un momento felice, che si manifestò con la nascita di diverse iniziative, quali la Casa d’Arte, la rivista «La Terra dei Vivi», l’istituzione di esposizioni, premi di pittura e di poesia, nonché alcune importanti imprese decorative per edifici pubblici.
Savona, infine, in stretto contatto con Albisola, ma anche con Altare e Zinola (luoghi di ardite utilizzazioni creative di materiali come il vetro e la latta), fu centro importante dei secondi anni Trenta, con significativi apporti anche nel campo della poesia e della letteratura, e protagonisti come Giovanni Acquaviva, Farfa, Maria Ferrero Gussago, Gigi Caldanzano.
L’impegno del secondo futurismo nell’ambito delle arti applicate, soprattutto della ceramica, va comunque valutato insieme con altre esperienze, anch’esse apparentemente “minori”, come quelle di Arturo Martini e Francesco Messina, che, in maniera diversa, ma altrettanto personale e creativa, si erano avvalsi di questo stesso tipo di materiale. O come i contributi nel campo dell’arredamento dei pittori Emanuele Rambaldi, Oscar e Fausto Saccorotti, Paolo S. Rodocanachi, realizzati soprattutto grazie all’intelligente promozione dell’architetto e critico Mario Labò, fautore della fondazione della D.I.A.N.A. (Decorazioni Industrie Artistiche Nuovi Arredamenti) e della I.L.C.A. (Industria Ligure Ceramiche Artistiche), ditte che, in stretto contatto con la M.I.T.A. (Manifattura Italiana Tappeti Artistici), furono presenti alle manifestazioni espositive nazionali e internazionali, specializzate nel settore, dalla fine anni Venti. Tutti questi apporti, nel loro complesso, costituirono infatti uno strumento importante di sprovincializzazione del gusto, contribuendo a preparare il terreno per le più radicali innovazioni razionaliste dei pieni anni Trenta, che ebbero a Genova rappresentanti importanti in Luigi Carlo Daneri, Gigi Vietti, Robaldo Morozzo della Rocca e lo stesso Labò.
A fianco di quest’avanguardia architettonica, anche la pittura e la scultura – grazie al ruolo attivo delle gallerie d’arte, Vitelli, Valle, Rotta, più tardi Euro Romano, e in particolare, dalla seconda metà di quel decennio, con la nascita della «Galleria Genovese d’Arte» poi «Galleria Genova», fondata da Stefano Cairola – avrebbero trovato spazio per esprimere scelte decisamente antiufficiali e antinovecentiste.
Pittori come Libero Verzetti, Dino Gambetti, Luigi Bassano, Raffaele Collina, Giovanni Battista De Salvo, Franco Diomede, Guido Chiti, e scultori quali Agenore Fabbri, Edoardo Alfieri, Sandro Cherchi, Angelo Camillo Maine, Lorenzo Garaventa, accanto a numerosi esponenti dei gruppi romani e milanesi, come Guttuso, Mafai, Sassu, Birolli, Manzù, Mirko e Afro, ne avrebbero tratto sostegno, promossi vuoi da un collezionismo intraprendente e coraggioso (si pensi ad Alberto Della Ragione e a Emilio Jesi, ma anche ai meno noti Carlo Suppo ed Emilio Libero), vuoi da una critica aggiornata, come quella rappresentata da Attilio Podestà. Giornalista de «Il Secolo XIX», e responsabile, nel 1932-33, de «La Specola delle Arti», straordinaria rubrica interdisciplinare e internazionale, sede di un approfondito dibattito su temi d’arte e architettura «all’ordine del giorno» e dimensione europea, egli fu poi collaboratore, spesso accanto
al già citato Labò, di alcune delle riviste italiane più impegnate nella battaglia per l’affermazione delle avanguardie, come «Casabella», «Domus» ed «Emporium», di cui fu direttore.
Mentre, nel corso degli anni Trenta, il fascismo al potere, consolidandosi gradualmente, dava vita a una miriade di manifestazioni espositive e occasioni concorsuali, nel tentativo di un controllo della produzione artistica, per mezzo di questo circuito, costituito da gallerie d’arte di tendenza, collezionismo illuminato e critica militante, Genova sarebbe quindi entrata a far parte, a pieno titolo, di quella fitta rete di contatti che collegava le maggiori città italiane, Milano, Roma, Torino, Firenze e Palermo e i relativi centri di ricerche antinovecentiste e di opposizione ai sempre più pesanti condizionamenti imposti dal regime, preparando un fertile terreno per la nascita delle nuove esperienze del secondo dopoguerra.
Caterina Olcese Spingardi, La cultura figurativa a Genova e in Liguria dall’inizio dell’Ottocento alla seconda guerra mondiale in (a cura di) Dino Puncuh, Storia della cultura ligure, Società Ligure di Storia Patria – biblioteca digitale – 2016 – Nuova Serie – Vol. XLV (CXIX) Fasc. II

Marinetti apre il suo intervento – naturalmente – magnificando le glorie del Futurismo, la cui «rivoluzione plastica iniziata 26 anni fa e continuata dai gruppi dei pittori scultori italiani con accanite battaglie e vittoriose realizzazioni» ha a suo dire diffuso a macchia d’olio le fondamentali linee guida del Futurismo, che «sono attualmente accettate, utilizzate parzialmente o integralmente da tutti gli artisti novatori italiani e stranieri».
Poi, dopo aver posto ad ulteriore premessa alcune considerazioni sulla Prima Mostra Nazionale di Plastica Murale per l’edilizia fascista <208, Marinetti suddivide le opere esposte «in due categorie che rivelano le nostre preoccupazioni immediate»:
1) VITA FASCISTA, cioè creare una plastica che nella Storia d’Italia esprima nettamente la forza varia multiforme e instancabile del Regime Fascista.
2) AEROPITTURA, cioè creare una plastica che esprima nettamente la vita aviatoria italiana con i suoi infiniti stati d’animo.
208 Prima Mostra Nazionale di Plastica Murale per l’edilizia fascista, catalogo della mostra Genova, Palazzo Ducale, novembre-dicembre 1934, Torino, Stile futurista, 1934 (oggi disponibile anche in fac-simile nell’edizione Latina, Associazione Novecento, 2008). Marinetti sostiene che i principi guida della mostra di plastica murale possono essere considerati il «logico riassunto di tutte le ricerche futuriste precedenti», e che allo stesso tempo le opere esposte in Quadriennale costituiscono «nuove ricerche atte a preparare il sempre più vasto arricchimento spirituale e immaginoso della plastica murale»: «Fedeli […] al concetto dell’arte-vita e del soggetto pittorico estratto dalla civiltà meccanica, noi futuristi abbiamo sempre pensato che quadri, sculture o complessi plastici fossero ricerche novatrici dirette a preparare la casa-macchina gigantesca, dove architettura e arti plastiche funzionassero armoniosamente» (FILIPPO TOMMASO MARINETTI, in II Quadriennale d’arte nazionale. Catalogo generale, catalogo della mostra Roma, Palazzo delle Esposizioni, febbraio-luglio 1935, Roma-Milano, Tumminelli, 1935, pp. 136-138: 136-137).
Paolo Sacchini, Regina Bracchi (1894-1974). Dagli esordi al Secondo Futurismo, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Parma, 2012

La specola delle arti in “Il Secolo XIX”, 11 gennaio 1933, p. 3 – immagine qui ripresa da Tomaso Lanteri Minet, Op. cit. infra

Ad eccezione di Labò, formatosi a Torino e con importanti rapporti professionali con i più noti esponenti dell’architettura milanese, l’elité della cultura architettonica ligure nel periodo compreso tra le due guerre risultava essere influenzata dal ruolo egemone svolto dalla capitale.
[…] Negli stessi anni grande interesse riscontrava “La specola delle arti”, terza pagina a cadenza settimanale del quotidiano “Il Secolo XIX”, curata da Attilio Podestà. La rubrica, pubblicata a partire dal 19 ottobre del 1932 <3, diventava nel panorama culturale ligure un elemento di diffusione e di testimonianza delle mutazioni nelle arti e nel gusto. Essa guardava al contesto nazionale ed europeo fornendo al lettore recensioni su quanto di più significativo veniva prodotto nel campo dell’architettura. Era nella terza pagina de “Il Secolo XIX” che si potevano leggere articoli firmati da Fillìa (Luigi E. Colombo), Antonio Giulio Bragaglia, Gino Levi Montalcini, Alberto Sartoris, Enrico Prampolini e altri <4. Dunque, la “Specola” aveva un ruolo di primo piano nella diffusione del verbo razionalista in Liguria; attraverso un numero importante di scritti, traspare un sentimento d’attesa per il nuovo e un impegno costante nella divulgazione delle istanze artistiche <5. Particolarmente interessante è l’osservazione dell’attività pubblicistica di Attilio Podestà in quanto si può notare una certa affinità nei temi trattati rispetto al lavoro di studio portato avanti da Labò nel campo prima delle arti figurative e poi nella diffusione delle idee razionaliste. Era proprio lo stesso Podestà a recensire alcuni progetti dell’architetto genovese <6 e dare risalto e visibilità a quanto presentato in occasione delle Biennali e Triennali di Monza, ma anche al progetto imprenditoriale de la D.I.A.N.A. <7. Inoltre, nel periodo compreso tra il 1933 ed il 1943, proprio a Podestà si deve la pubblicazione sulle pagine di “Casabella” diretta da Pagano dell’inquadramento in un’ottica nazionale e internazionale del lavoro svolto da Labò e da Daneri, portando i due architetti ad una sempre maggiore notorietà fuori dall’ambito locale <8. Un’amicizia, quella tra Labò e il critico genovese, che li vedeva coinvolti entrambe nella collaborazione con “Casabella” e “Emporium” <9, ma anche nella stesura del volume “Colonie marine, montane e elioterapiche” che viene cofirmato <10.
Gli interessi di Labò non riguardavano solamente le opere d’arte realizzate nei secoli precedenti in Liguria, come dimostrato dai suoi scritti, ma erano rivolti ad osservare con attenzione quanto succedeva in Europa in campo architettonico. Una ricerca portata avanti sul tema delle preesistenze (nachhaltigkeit) e sullo spirito del tempo (zeitgeist) che si manifesta nell’opera progettuale e in una dialettica formale che oscilla tra modernità e tradizione. Tuttavia, ciò non deve essere considerato un rimando ad una visione autarchica rivolta ad un sentimento nazionalista capace di produrre architetture con caratteri formali propri del Paese, ma anzi alle istanze del movimento moderno europeo <11.
Tra i momenti di dibattitto culturale più significativi sviluppatesi in Liguria negli anni Trenta ricordiamo il salotto letterario, nato per iniziativa di Lucia Morpurgo Rodocanachi <12 e la manifestazione del “Giugno Genovese”, organizzata dall’Associazione per lo Sviluppo del Turismo Ligure.

La specola delle arti in “Il Secolo XIX”, 29 marzo 1933, p. 3 – immagine qui ripresa da Tomaso Lanteri Minet, Op. cit. infra

[NOTE]
3 L’ultimo numero della rubrica viene stampata il 13 settembre del 1933.
4 Paolo Cevini, Genova anni ’30. Da Labò a Daneri, Sagep, Genova, 1989, pp. 50-68.
5 Gli articoli trattano argomenti che vanno dalla pittura alla letteratura, dall’architettura alla musica, dal cinema alla psicologia con una presenza costante di temi legati alle avanguardie.
6 Per l’elenco completo si rimanda alla bibliografia degli scritti su Mario Labò.
7 Alla Triennale di Monza. La “Diana” nella galleria dell’arredamento, in “Domus”, n. 34, ottobre 1930, p. 34.
8 Sui progetti recensiti da Podestà di Labò si veda la bibliografia di questa tesi. I maggiori architetti di ispirazione razionalista in Liguria erano: Mario Labò, Luigi Carlo Daneri, Luigi Vietti, Francesco Monsutti, Gino Miozzo, Camillo Nardi Greco.
9 Per un maggiore approfondimento si rimanda all’interno di questa tesi al capitolo I, paragrafo V. Podestà scrisse un numero importante di articoli sulla rivista “Casabella” e assunse la direzione della rivista “Emporium” dal 1943 al 1962. Con la partenza di Pagano per la guerra come volontario nel 1941 pur rimanendo direttore di “Casabella” una serie di architetti e critici collaborarono nella redazione della rivista. Tra questi troviamo impegnati ad operare insieme a Matricardi: Irenio Diotallevi, Franco Marescotti, Mario Labò, Attilio Podestà, Giulia Veronesi. Giuseppe Pagano, La cronaca contro la storia?, in “Casabella”, n. 118, 1937, pp. 2-3.
10 Mario Labò, Attilio Podestà, Colonie marine, montane e elioterapiche, Editoriale Domus, Milano, 1942.
11 Labò aveva una visione opposta da quella sostenuta da Ardengo Soffici sulla necessità di un’arte nazionale. Ardengo Soffici, Arte Fascista, in “Periplo dell’Arte”, Firenze, 1928; poi pubblicato in Barocchi Paola, Dal Novecento ai dibattiti sulla figura monumentale 1925-1945, in “Storia Moderna dell’Arte Italiana”, Einaudi, Torino, 1990, p. 27.
Tomaso Lanteri Minet, Mario Labò. La produzione architettonica e il ruolo di promotore culturale nella prima metà del XX secolo, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, 2017

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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