Contatti tra alleati e partigiani nella I^ Zona Operativa Liguria

Vallecrosia; sullo sfondo Bordighera
Vallecrosia; sullo sfondo Bordighera

Il 20 dicembre 1944 doveva sbarcare a Vallecrosia (IM) il capitano Bentley (n.d.r.: Robert “Bob” Bentley, che doveva assumere la funzione di ufficiale di collegamento degli Alleati con la I ^ Zona Operativa della Resistenza in Liguria), ma fu tutto rinviato per via del mare in tempesta. Dapprima arrivarono due collaboratori del capitano e finalmente la notte fra il 6 e il 7 gennaio 1945 sbarcò Bentley con il radio-telegrafista Mac Dougan.
Il Gruppo Sbarchi al completo si incaricò di accompagnare l’ufficiale inglese e il suo telegrafista ai Negi e consegnarlo ai garibaldini di Curto (n.d.r.: Nino Siccardi, già comandante della II^ Divisione Partigiana Garibaldi “Felice Cascione”, ma a quella data ormai responsabile della I^ Zona Operativa della Liguria, mentre comandante della Divisione era diventato Vittorio ” Vittò” Guglielmo) e di Gino Napolitano (n.d.r.: in quel momento vice comandante della V^ Brigata Partigiana Garibaldi”).
Il tragitto fino ai Negi non fu agevole: la radiotrasmittente era nascosta in un carretto con ceste di fiori condotto da Eraldo Fullone, Aldo Lotti e Achille “Andrea” Lamberti, che precedeva Ampeglio “Elio” Bregliano che accompagnava i due inglesi. Vennero fermati da un tedesco.  Achille passò senza problemi.  Aldo Lotti usò tutta la sua loquacità per distogliere le guardie e consentire a Bentley e Mac Dougan di passare. Superato l’ostacolo del tedesco, il capitano con il più smagliante dei sorrisi fece notare a Elio che, se fossero stati catturati, loro, sotto il pastrano borghese fornitogli dai partigiani, indossavano la regolare divisa inglese e quindi avrebbero potuto invocare il rispetto della Convenzione di Ginevra e essere considerati prigionieri di guerra, mentre lui sarebbe stato fucilato sul posto. Fuori paese, lungo il sentiero della collina che portava a Negi, uno dei due inglesi accese una sigaretta, inglese naturalmente. Elio sconsolato si fermò apostrofando gli inglesi in modo brusco ricordando che al momento dello sbarco per poco annegavano, che non contenti giravano con la divisa inglese, e da ultimo tanto per complicarsi ancor più la vita, fumavano tabacco Virginia, il cui profumo si sentiva da Perinaldo a Seborga. Se qualche tedesco fosse stato nei paraggi non avrebbe faticato ad individuarli. L’inglese spense la sigaretta e chiese scusa. Tutto andò nel migliore dei modi.

Da sinistra, Francesco Garini e Ampeglio "Elio" Bregliano nel rifugio di Negi
Da sinistra, Francesco Garini e Ampeglio “Elio” Bregliano nel rifugio di Negi
Con lo sbarco del capitano Bentley si strinsero ancor più i rapporti tra il Gruppo Sbarchi di Vallecrosia e il gruppo di “Leo” Carabalona, del quale faceva parte Giulio “Caronte” (n.d.r.: ma anche “Corsaro”) Pedretti, che per primi avevano preso contatto con le forze alleate.
Gli sbarchi si susseguirono con invio di anni e anche di agenti radiotelegrafisti per azioni di spionaggio.
Tra queste operazioni vi fu la tragica “Operazione Leo” a seguito della “Operazione Gino” (n.d.r.: quella in cui perse la vita il capitano Gino Punzi che aveva già combattuto con il maquis francese), di cui non conosco i particolari, ma che mise a repentaglio tutta la nostra organizzazione.
Stefano “Leo” Carabalona e Luciano “Rosina” Mannini erano coinvolti in queste missioni di spionaggio, credo dei servizi americani, e vennero individuati dal controspionaggio tedesco nella casa di Vincenzo Biamonti in via Verbone (adesso via Matteotti) di Vallecrosia, dove erano in attesa del ritorno da Sanremo della staffetta partigiana Irene.
Nel conflitto a fuoco “Leo” venne ferito, ma riuscì a fuggire e anche “Rosina” che avvisò del pericolo Aldo Lotti e tutta l’organizzazione.
Alcune settimane dopo da Renzo Rossi apprendemmo che era necessario preparare una barca per trasportare il ferito “Leo” in Francia.
La barca fu predisposta e “Leo” fu trasportato al di là delle linee nemiche e ricoverato in ospedale.
L’operazione più importante alla quale partecipai fu la fuga dei 5 prigionieri alleati che trasportammo in Francia.
I 5 soldati erano 2 americani, 2 inglesi e un francese. Gli inglesi erano: Michael Ross  – cap. Welch Regiment; Cecil “George” Bell – ten. Highland light infantry. Il francese: Fernand Guyot – pilota. Gli americani: i piloti Erickson e Klemme, ma non ne so né il nome, né il reparto, né altri dettagli, solo che erano “piloti” (nota di Fiorucci: da ricerche presso l’Istituto Storico dell’US Air Force si apprende che si trattava di Lauren Erickson,  ten. pilota di P38 Lightnings – 1° Gruppo 270 Squadrone – e di Ardell Klemme, ten. pilota di bombardieri B25 – 340° gruppo 4890 Squadrone -; aggiungeva Fiorucci che all’epoca – 2008 c. – Ardell Klemme era ancora vivente in una cittadina del Wisconsin). Dopo l’8 settembre erano fuggiti dai campi di prigionia e vagarono per l’Italia settentrionale alla ricerca di un passaggio per la Svizzera o per la Francia liberata.
dorgia.piloti
La Resistenza li nascose a Taggia per qualche tempo, sperando nell’arrivo di un sottomarino per metterli in salvo.
Nel febbraio del 1945 il Comando decise di tentare la loro fuga da Vallecrosia.
Fui incaricato di prelevare i 5 al solito posto vicino a Negi.
dorgia.cagadine
Il solito posto è una grotta naturale in località “Cagadiné” sul monte Caggio, dalla quale sgorga anche una piccola sorgente, sopramonte al sentiero che conduce in Borello di Sanremo. Si  racconta che in quella grotta si nascosero anche dei disertori della guerra 1915-18.
Era il punto di incontro con i partigiani garibaldini che operavano in montagna.
I partigiani di Gino Napolitano e Curto accompagnarono i 5 dalla grotta fino a Negi, e poi per attendere l’oscurità nella casa del padre di Vittorio Cassini di Bordighera.
Presi in consegna dai partigiani di Gino Napolitano i 5 soldati alleati e iniziai con loro il viaggio verso Vallecrosia, revolver in pugno e dito sul grilletto.
Il viaggio non fu agevole. Mi lamentai anche che i 2 americani tendevano a defilarsi e a rimanere troppo staccati dal gruppo.
Per precauzione mi ero portato un paio di pantofole; dopo Vallebona obbligai i 5 a togliersi gli scarponi e a marciare solo con le calze ai piedi.

testimonianza di Renato “Plancia” Dorgia” in GRUPPO SBARCHI VALLECROSIA, realizzato a cura di Giuseppe Mac Fiorucci

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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