Ho sentito Pasolini parlare con amore di Bach

Spartito originale della canzone “Cosa sono le nuvole”, depositato presso la SIAE, Sezione Musica, Roma – Fonte: Claudia Calabrese, Op. cit. infra

Un ricordo di Pasolini. Intervista a Dacia Maraini
CC:
Lei conosceva bene Pier Paolo. Nella biografia scritta da Siciliano il suo nome compare parecchie volte. Come vi siete conosciuti? Com’era con lei e con Moravia? Com’era nei rapporti di amicizia?
DM:
Rapporti molto intensi, di vera amicizia. Il che vuol dire avere voglia di viaggiare insieme, come abbiamo fatto per anni, vuol dire potere restare vicini per ore senza parlarsi, leggendo ciascuno un libro. Oppure ridere insieme e camminare e cenare, senza dirsi niente di speciale ma con la sensazione di stare bene insieme. Abbiamo anche costruito una casa insieme a Sabaudia. Purtroppo lui l’ha goduta poco perché è morto due anni dopo averla inaugurata. Ma quando eravamo lì, d’estate, lui veniva a pranzo e a cena da noi. Spesso perfino la mattina appena alzato, quando era solo, perché senza la mamma non sapeva neanche accendere il fuoco per farsi un caffè.
CC:
Siciliano racconta la vicenda del suo attacco d’ulcera, scrivendo di una cena al portico d’Ottavia con lei e Moravia. Scrive che quando si è accasciato e lei l’hai preso tra le braccia, continuava a dirle: “Non mi lasciare … Non mi lasciare”. Immagino che l’ulcera sia frutto anche delle durissime prove che per tutta la vita ha dovuto sostenere, della persecuzione che ha patito, ecc… In tante delle sue poesie – Il Poeta delle Ceneri in primis – ci sono continui
accenni a queste persecuzioni. Quanto hanno inciso su di lui e sulla sua opera secondo lei?
DM:
Certo l’ulcera è una malattia psicosomatica e lui con quelle piaghe nella pancia mostrava di portare dentro delle sofferenze che non guarivano. Sanguinavano come sanguinava la sua immaginazione. È vero quello che racconta Siciliano. Eravamo da “Gigetto” al ghetto e Pier Paolo è caduto per terra svenuto in un lago di sangue. Nessuno si è alzato per assisterlo, forse pensavano che fosse morto, forse erano spaventati, non so. Io l’ho preso in braccio e lui ripeteva: “tienimi, tienimi”. E io l’ho tenuto cercando di fare in modo che la testa fosse sollevata, che potesse respirare, ma anch’io pensavo che stesse per morire. Avevo chiesto con insistenza un’ambulanza, ma ci ha messo quasi mezz’ora ad arrivare, e lo vedevo boccheggiante. Ogni tanto sveniva e poi si riprendeva. Era una pena guardarlo. Non sapevo che fare. Mi ha riempito il vestito di sangue e per tre giorni non sono riuscita a mangiare. Per fortuna si è ripreso. Ma dopo ha dovuto fare una dieta ferrea. Ricordo ancora i pranzi e le cene a base di latte, prosciutto crudo e bieta bollita. In quei tre mesi che non ha potuto muoversi da casa, ha scritto cinque testi teatrali. Il mio preferito è Calderon.
CC:
Nel 1978 viene pubblicato un suo libro di interviste, che ne comprende una a Pasolini. Focalizza l’attenzione sui suoi rapporti con il padre, con la madre e con Guido. Come li inquadra quei rapporti dentro la formazione dell’uomo e dell’artista, al di là di quanto ne scrive lui nelle sue poesie?
DM:
Come tutti, Pier Paolo era stato molto condizionato dai suoi primi anni: il rapporto d’amore e di confidenza col padre, che poi si è trasformato in paura e rancore l’ha ferito per sempre. Il rapporto di amore viscerale e assoluto con la madre, con cui ha convissuto fino alla morte, ha sostituito in maniera morbosa ogni altro rapporto affettivo e familiare. Tutta la sua vita di adulto è stata condizionata da queste prime relazioni. E ha continuato a narrarle nelle sue
poesie e nel suo cinema, anche se in forme simbolizzate.
CC:
Tra la sua opera e la vita mi pare non ci sia soluzione di continuità, come invece si può rintracciare in altri artisti e intellettuali. Ho notato anche un’evoluzione, con il mutare del tempo, verso una disperazione sempre più manifesta e dichiarata. Mi può dire qualcosa di più in proposito?
DM:
È vero, Pasolini era sempre più disperato, perché il mondo che aveva amato e di cui aveva scritto, il mondo del sottoproletariato, si stava trasformando sotto i suoi occhi. Da mito canagliesco ma tenero e pieno di vitalità innocente, stava diventando una realtà meschina, volgare e senza carattere.
CC:
È vero che si può parlare grosso modo di due Pasolini diversi: uno friulano, immerso nella gioia quasi metafisica di un mondo contadino mitizzato, e l’altro romano, immerso invece nell’inferno della Storia e sempre più disperato?
DM:
Non direi. Se ci sono due Pasolini, uno è quello felice di vivere e, come ho già detto, preso dal mito del sottoproletariato che per lui coincideva con la gioventù di un popolo povero e innocente. L’altro Pasolini è segnato dalla delusione, dalla scoperta di una borghesia violenta e ipocrita che aveva corrotto quella cultura innocente e lo aveva portato la disperazione e allo sconforto.
CC:
Avete scritto insieme la sceneggiatura del film Le mille e una notte. È importante la musica nei suoi film? Che funzione ha secondo la sua esperienza?
DM:
Non è un caso che nei suoi film mettesse soprattutto i classici: Bach, Mozart… A volte invece chiedeva a un autore di comporre delle musiche apposta, come nel caso di Che cosa sono le nuvole? per cui si è affidato a Modugno e in Uccellacci e uccellini dove ha utilizzato le deliziose musiche di Ennio Morricone.
CC:
Quanto si interessava Pasolini al processo compositivo delle musiche delle sue canzoni? Lo ha mai visto lavorare con i compositori (Morricone, Panni, Umiliani, Fusco, Modugno…)? Le ha mai raccontato qualcosa di com’erano i loro rapporti?
DM:
Di solito si affidava. Naturalmente si affidava quando conosceva e stimava l’autore.
CC:
Si sa che le poesie di Pasolini, ad eccezione per sua scelta delle ultime, sono molto musicali. Anche per lui le arti, pur avendo linguaggi specifici, sono compatibili tra loro: musica e poesia, cinema e pittura, poesia e cinema… tutte insieme sembrano fondersi nella sua poetica.
DM:
Il mio compagno che purtroppo ora è morto, Giuseppe Moretti, ha composto delle canzoni sulle poesie di Pier Paolo. E mi dispiace che non l’abbia conosciuto. Credo che si sarebbero intesi. Giuseppe è entrato con morbidezza e intelligenza nel ritmo delle parole pasoliniane.
CC:
Non c’è molta letteratura sul tema delle canzoni scritte da Pasolini. È molto difficile, ad esempio, trovare qualcosa di utile sulle due canzoni che avete scritto per Sweet Movie: C’è forse vita sulla terra? e I ragazzi giù nel campo. Leggo che sono due adattamenti. Quali furono le circostanze e che rapporti avevate con il regista Dusan Makavejev e con il compositore Manos Hadjidakis? Vi occupavate anche di altro nella lavorazione del film?
DM:
Pasolini ed io abbiamo lavorato su alcuni doppiaggi. Il che voleva dire che io traducevo e poi lui sceglieva le voci, e quindi io mi mettevo alla moviola a trasportare le parole italiane sulla bocca degli attori stranieri. L’abbiamo fatto con il film di Dusan Makavejev e anche con altri film.
CC:
La posizione di Pasolini nei confronti della canzonetta di consumo, come si sa, è fortemente critica: pur essendo strumento della ‘rivoluzione antropologica’, tuttavia, combinandosi con la memoria, segna la vita di un individuo. Perciò Pasolini non ha ignorato questa forma espressiva? O invece le canzoni sono state solo un divertimento passeggero?
DM:
Ma no: Pasolini era cresciuto, come me, in un’epoca in cui ancora non esisteva la canzone d’autore. C’era solo la musica classica da una parte e le canzonette melense dall’altra. La canzone d’autore che nobilita e politicizza la musica leggera, è un fenomeno che nasce credo negli anni ‘60.
CC:
Pensa che le sue canzoni, come quelle scritte da altri intellettuali dell’epoca, come Moravia, Calvino, Fortini ecc… insieme all’esperienza di Cantacronache e dei diversi Canzonieri abbiano influenzato la produzione successiva dei cantautori e del cabaret impegnato?
DM:
Certo l’esperienza di Cantacronache, come quella di Ornella Vanoni con le canzoni della mala o di Milva che cantava per Strehler, hanno avuto una certa importanza per la creazione dei cantautori. La canzone usciva dal concetto di melodia pura e intrattenimento, per entrare nell’ottica di una critica sociale. Cantare gli umili, i diversi, è diventata una nuova forma di poetica sociale. Ma non sono una storica della canzone e non so come stiamo a date. Se fosse vivo Gianni Borgna che sapeva tutto sulla storia della canzone italiana – d’altronde ha scritto diversi libri in proposito – saprebbe rispondere con più precisione.
CC:
Lo ha mai sentito cantare una canzone? Avete mai cantato, magari con gli amici, una sera, in allegria con la chitarra e la gioia di trovarvi insieme?
DM:
Pier Paolo si considerava stonato e non cantava mai. Forse per questo ammirava sconfinatamente chi aveva una bella voce ed era intonato. Si era innamorato della Callas soprattutto per la sua voce.
CC:
Pasolini scrive, in gioventù, un saggio su Bach. Cerca anche di suonare il violino, poi abbandona l’impresa. Nel Poeta delle Ceneri afferma di volersi ritirare nella torre di Chia a comporre musica. Lo ha mai sentito parlare di musica?
DM:
L’ho sentito parlare con amore di Bach. Di cui ammirava gli spazi interiori e la pace sublime che ispirava. Ma anche di Mozart, di cui gli piaceva la parte buffonesca, teatrale, ma anche la profondità dolorosa. Non so se avrebbe mai composto musica. Era più portato alla pittura. Ma l’amore per le note lo accompagnava.
CC:
Nella biografia di Siciliano viene affrontato con una certa insistenza il tema del rapporto di Pasolini con l’universo femminile, sottolineando ovviamente il ruolo profondamente incisivo giocato dalla madre. Dalle sue poesie (della raccolta Trasumanar e organizzar, in particolare) risulta molto problematico, ma non caratterizzato da barriere del tutto insuperabili, tant’è vero che si parla, nelle sue biografie, di tentativi con alcune donne (Bemporad? Mauri? Callas?) di costruire legami impegnativi. Ne scrive anche lei in un articolo del Corriere della Sera, nel quale accenna al famoso viaggio in Africa, in compagnia della Callas. Cosa ne pensa in proposito e com’era nella vita quotidiana con le donne?
DM:
Pier Paolo aveva molto rispetto per le donne. Ma le voleva madri più che compagne. Infatti, in ciascuna delle donne che ha amato, ha cercato la madre. Anche con me, e l’ho sentito soprattutto in quel famoso momento del “tienimi, tienimi”, ho sentito che per lui ero soprattutto una madre, anche se ero più giovane di lui. […]
Claudia Calabrese, Pasolini e la musica, La musica e Pasolini. Cammino sonoro attraverso l’opera di Pasolini e le intonazioni di Bussotti, De Carolis e Modugno, Tesi di dottorato, Sapienza Università degli Studi di Roma, Anno accademico 2017/2018

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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