I primi Francescani nell’estremo Ponente Ligure‏

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Dall’analisi di due atti del notaio di Amandolesio (3-4 maggio 1263) apprendiamo il nome di due Crociati, tali Michele de la Turbie e Guglielmo di Voltaggio, ma soprattutto si viene a sapere che alla stesura dei documenti, come testimoni e consiglieri, eran presenti dei monaci FRANCESCANI. La presenza di Frati minori in Val Nervia si può datare con certezza dal 1230 perchè il I marzo di tale anno un certo fra Giovanni, accompagnato dai confratelli Zenone e Brito, aveva pronunciata una sentenza arbitrale per rimettere concordia fra gli uomini di Pigna ed Apricale relativamente ai confini amministrativi dei monti ansa et marcola (G. Rossi, Storia del Marchesato di Dolceacqua… cit., doc. V): il religioso aveva pronunciato il suo parere in via ad passum bonda (doc. ricavato dal Rossi da pag. 89 verso del Libro del notaio Lorenzo Borfiga di Isolabona , ora conservato in “Biblioteca Rossi” in I.I.S.L.S di.Bordighera).

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Dal rescritto è possibile apprendere che tale località alpestre era un bene indiviso fra Pigna ed Apricale mentre alcune sue aree limitanee costituivano una bandita degli uomini de rocchetta” ed un’altra degli “uomini de Argeleto”.

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Dalla lettura dell’atto si intende che i Francescani erano stati fatti intervenire, oltre che per le controversie territoriali, onde dirimere un vecchio nodo giurisdizionale pei diritti di pedaggio sui tragitti della zona. La presenza dei FRANCESCANI in Val Nervia dal 1230 aveva costituito un evento importante e precoce, tenendo conto che il Fondatore era morto da poco, nel 1226: il fatto sarebbe vieppiù interessante se si potesse provare la contemporanea esistenza di una Domus di frati minori a Ventimiglia o nel Contado.

La tradizione locale e qualche storico di valore come G. Rossi ( Storia della città di Ventimiglia… p. 469) avvalorano in verità questa ipotesi che collocherebbe nel distretto intemelio un Convento francescano molto antico, eretto in concomitanze colle storiche Case di Torino (1228), Moncalieri (1232), Acqui (1244).
Tuttavia la DOMUS SANCTI FRANCISCI risulta legalmente documentata a Ventimiglia solo dalla II metà del Duecento: si apprende ciò dal testamento di Alassina, moglie di Oberto de Dandolo, che dimorava nel forte del Colle di Ventimiglia e che, come fece scrivere, avrebbe voluto esser sepolta presso la chiesa di San Francesco.
La Casa conventuale nel 1258 sorgeva ” extra moenia ” cioè fuori circuito murario di Ventimiglia e certo Bonifacio ne era frate guardiano mentre un frater Rainerius occupava tra i monaci un soprendente prestigio morale (secondo altri studiosi il nome di Porta Sancti Franciscii in Ventimiglia medievale deriverebbe dalla casa dei Frati Minori che avrebbero abbandonato il primitivo convento, nei pressi di S. Paolo, onde trasferirsi verso il XIV sec. in questa zona ove si trovano, oltre l’arco romanico della porta originaria, le ampie porzioni murarie ad essa collegate).

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La popolazione locale faceva molti lasciti a questo Convento di Francescani ed al suo Ospedale pei poveretti: la chiesa inoltre stava a capo di un’area cimiteriale ormai “prediletta” dalla popolazione per le inumazioni, a scapito dei vecchi cimiteri di matrice benedettina o canonicale dell’ “Oliveto” o “S. Michele”, “S. Maria” (not. di Amandolesio, doc.42, del 16 marzo 1259: si veda il caso di Raimondo Soranda che il 19-XII-1260 lasciò a questo convento 20 soldi, il doppio che ad ogni altra Casa intemelia – doc.334).

La rapida comparsa di Francescani nell’agro intemelio era probabilmente connessa sia al fenomeno “Crociato”, sia ai “pellegrinaggi nei Luoghi Santi” che alla riscoperta viaria del Ponente ligustico.

I Francescani, che pure mal vedevano certe devianze imperialistiche delle Crociate, erano accetti dalle autorità e già amati dal popolo per il soccorso che portavano in ogni pubblica emergenza: dal concordato che ebbe arbitro il citato fratello Giovanni si apprende inoltre che costui aveva ormai tal conoscenza topografica della valle del Nervia da far pensare che l’avesse percorsa più volte.
Al riguardo può indirettamente convenire lo studio di un testamento, del 29-XII-1258, fatto redigere al di Amandolesio per volere di un certo Ugo Botario.

Questo lasciò 10 soldi genovini all’ospedale de Clusa ed a quello de Rota: tali somme sarebbero servite per comprar “sacconi”, cioè giacigli per il riposo degli stanchi pellegrini.

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Il Botario lasciò pure 10 soldi all’ opera della chiesa di San Michele (presso il cui chiostro voleva esser sepolto) ed altrettanto donò alla cattedrale di S.Maria. All’opera della chiesa di San Francesco dei frati minori il testatore stabilì invece che spettassero 20 soldi genovini: intendeva egli che con quei danari si vestissero dieci poveri con tuniche, un pari numero con camicie ed altrettanti ancora con pantaloni. Anche il Botario, pur senza dimenticarsi degli altri Ordini, aveva quindi risentito del messaggio francescano: sì da lasciare a questo Convento il doppio di quanto aveva stabilito per le altre chiese. Egli lasciò contestualmente 10 soldi sia all’pellegrinaggi religiosi ma pure per le importanti relazioni commerciali.

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I porti di Ventimiglia, gli Ospedali, le vie costiere e vallive, soprattutto i ponti lignei da restaurare in continuazione su quei due ribelli corsi fluviali, costituivano ai tempi del Botario un promettente arabesco di porte spalancatesi da poco sul resto del mondo. Il lascito ai Francescani, relativamente cospicuo, ribadisce a suo modo una giusta ipotesi della Nada Patrone secondo cui la rapida affermazione dei Frati Minori in Piemonte e Liguria era legata alle nuove esigenze economiche, ai processi di urbanizzazione e soprattutto ai riscoperti bisogni di comunicazione internazionale (A.M. NADA PATRONE, Il Piemonte medievale IX,1-2 in PATRONE-AIRALDI, Comuni e Signorie nell’Italia Settentrionale: il Piemonte e la Liguria, in Storia d’Italia, V, Torino, 1986).

Per questa partecipazione alla vita comunitaria i Francescani, più dei Canonici della Cattedrale, risultarono dal 1230 impegnati a conciliare e guidare la borghesia imprenditoriale ed i popolani del territorio intemelio: ancor più dei Benedettini svilupparono l’idea di una grande via di costa che surrogasse il faticoso percorso di sublitorale e si andarono impegnando costantemente alla salvaguardia di quel flusso di viandanti che da ogni dove giungevano sin Ventimiglia onde prender via per le destinazioni più lontane.

da Cultura Barocca

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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