Il dente di leone

Il Dente di leone

(Specie del Genere Taraxacum)

Taraxacum officinale: Piscialetto, Sciusciòn, Testa di Frate, Lampionetti, Insalata da porchi a Genova; Barba du Signù , Ti me voei ben, Ti me voei ma a Savona, Dente de can a Mele; Sciuscium, Muccalume ad Imperia, Muso d’porch a Briga; Lattusse a Levanto; Rosorella da bosco a Camporosso.

Taraxacum laevigatum

Pochi sanno che negli anni fra il 1925 ed il 1940 si tentò un esperimento dettato dall’impellente necessità di ricercare materie assolutamente necessarie al processo produttivo finalizzato ad attuare l’autarchia proclamata dal regime fascista.

Il Professor Mario Calvino, scienziato sanremese di fama mondiale, padre del celebre scrittore Italo, impegnato nella selezione di nuove specie esotiche utili, cominciò ad ambientare una particolare specie di Tarassaco, importata dal Turkestan, nei prati alpini a nord di Sanremo; secondo Libereso Guglielmi, uno dei suoi collaboratori più fidati, la località prescelta erano le pendici di Monte Ceppo.

Taraxacum kok saghitz

Il vegetale in oggetto era il Taraxacum kok-saghyz sfruttato in U.R.S.S per l’estrazione di caucciù, un materiale ancora oggi indispensabile per molte applicazioni industriali; lo era in misura assai maggiore a quei tempi, quando la plastica da idrocarburi era soltanto una remota ipotesi di lavoro.

Non è escluso che qualche esemplare di Taraxacum kok-saghyz  resista ancora in piena forma, nel ventunesimo secolo, sui prati di Ceppo un tempo coltivati per ottenere la doppia fienagione annuale, ma oggi completamente abbandonati.

Al proposito, si sa che in natura la gomma si estrae dal latice di diverse piante, la più importante delle quali è l’ Hevea brasiliensis, un’Euphorbiacea nativa del Sud America, ma ormai ampiamente coltivata anche in Indonesia, nella penisola malese e nello Sri Lanka. Non a caso è chiamata “Albero della gomma”.

Altri vegetali non tropicali contenenti latici tali da permetterne gli stessi usi, ma con procedimenti ben più costosi ed ancora economicamente remunerativi, sono il Parthenium argentatum ed il già nominato Taraxacum kok-saghyz.

Taraxacum officinale

Anche in un suo parente prossimo, il nostro Taraxacum officinale, sono presenti le preziose gomme alle quali si è accennato in quantità talmente esigua da comportare costi maggiori rispetto ai benefici ottenibili.

Le ipotesi sulla formazione della denominazione Taraxacum sono parecchie: la prima risale all’antico termine arabo “tharakhshagog”, usato per indicare un fiore, certamente una Composita oppure a “Tarah sagun” ossia la Cicoria.

Altra scuola di pensiero scomoda il persiano perché “Tharachacon” significa “erba amara”. Infine viene avanzata l’ipotesi della derivazione dal verbo greco “taraxé” unito ad “akeomai” (“calmo la confusione” in sostanza “guarisco”), tramutata in “Taraxacum” dal latino medievale; la ragione è fondata sulle note proprietà dei succhi lattiginosi estratti dal rizoma del nostro popolarissimo “Piscialetto”: una delle sei (o cinquantasette specie a seconda delle visioni sistematiche) che compongono l’omonimo raggruppamento di Genere.

La differenza nelle valutazioni numeriche è dovuta  allo spiccato polimorfismo di alcune specie, in particolare proprio del nostro Taraxacum officinale, il quale non viene classificato in realtà come un’entità unitaria, ma come un complesso di più ceppi, peraltro dichiaratamente non ancora studiati a fondo.

Il fenomeno compare per lo più in relazione a curiose procedure riproduttive; benché l’impollinazione avvenga seguendo i canoni usuali, non si perfeziona con la fecondazione. O meglio, osservazioni sperimentali dirette, ne hanno constatata il susseguente formarsi dei semi e la normale maturazione anche senza intervento di polline.

Viene attuato in pratica un processo insolito di procreazione chiamato “apogamia”, rilevato con maggiore frequenza nei vegetali sottoposti alle consistenti modificazioni ambientali operate dall’uomo; infatti, si è inoltre accertato che le medesime specie, quando vivono in nicchie più rispettate, sono regolarmente stabili.

Soprannominate “agamospecie”, nei testi specifici sono solitamente trattate come raggruppamenti collettivi, accorpati sotto la denominazione della specie maggiormente rappresentativa.

La distribuzione geografica del Genere Taraxum, composto da piante perenni e rustiche adattate a condizioni ambientali variabili, nonché ad ogni tipo di terreno, è enormemente estesa in tutte le regioni temperate; sia dell’emisfero settentrionale, sia di quello meridionale, spingendosi nel continente europeo ed asiatico sino al limite del territori artici.

In Italia i Taraxacum sono diffusi dovunque con 17 specie, particolarmente numerosi negli incolti e nei prati ricchi di sostanze; la Liguria ne rivendica sette compreso il Taraxacum officinale ed il suo insondato, ma numeroso codazzo di stirpi. Appare particolarmente gradito agli apicoltori sia per il  nettare ricco di zuccheri, che  per il polline arancione, quotidianamente disponibile  subito dopo  il levar del sole e per alcune ore, perché nel pomeriggio il Tarassaco chiude bottega.

E’ stato calcolato che ogni singolo flosculo ne produca circa 5 mg, composti dall’11,1% di proteine, 35% di zuccheri, 14% di grassi e dallo 0,9% di sali minerali.

Nelle opere dei medici Greci e Romani si incontrano già riferimenti all’uso medicinale del Tarassaco, ma è a partire dal Medioevo, e nelle epoche successive, che diventa un comune ausilio curativo molto apprezzato sia dalla medicina dotta che da quella popolare; indicato specificatamente come diuretico.

Federico il Grande è stato uno degli ammalati più illustri guariti dall’idropisia con infusi della radice e del fiore.

Un consiglio molto frequente di quel tempo era di “mangiare molte insalate di Tarassaco e di bere molti caffè preparati con la sua radice finché si è in vita per non doverlo fare da sotto terra quando sarà il momento”.

Il Dottor Kneipp, assertore delle famose cure preventive primaverili, raccomandava di preparare le minestre di stagione con Tarassaco, Cicoria, Bardana, Centaurea e Saponaria  per rigenerare l’organismo in vista del cambio di stagione.

Il Tarassaco ha curato molte generazioni di italiani, soprattutto gli assidui lettori del Corriere della sera del periodo fra le due ultime guerre mondiali, i quali seguivano ed apprezzato i famosi “Consigli del Dottor Amal” che a proposito del Taraxacum officinale precisa quanto segue:“In ogni prato, in ogni campo, in ogni bosco sbucano in primavera, fra tutte le altre erbe, anche le pianticelle  che hanno anche i nomi comuni di Radicchella, Cicoria selvatica, Dente di leone, e persino quello francese di “Pisse-au-lit”, a causa dell’evidentissima e spesso infrenabile conseguenza del suo primo pregio medicinale. Ebbene, quest’erba selvatica che costa la sola fatica di strapparla, e che non deve nemmeno essere cercata con cura talmente è diffusa, utilissima per chi voglia, a primavera, depurare il sangue. E se un giorno tu avessi bisogno che i reni funzionassero di più se non volessi vedere più, sulla pelle, certi rossori; né sentire certi pruriti, certi foruncoletti, e certe erpeti (molte volte sono l’effetto di intossicazioni) basterebbe far bollire g 50 di radici di Tarassaco in un litro d’acqua, oppure lasciarne in infusione dentro un litro d’acqua bollente quindici grammi di foglie, per avere pronto sia il decotto, sia l’infuso, da sorseggiare durante tue giornate; inoltre saranno entrambi tonici, rinfrescanti, lassativi, colagoghi e diuretici in modo superlativo”.

Infatti nei fusti, foglie e radici del Tarassaco esiste la Tarassacina, un principio  amaro eccitante per l’intero organismo; i sali  assorbiti dal terreno, rielaborati dai suoi succhi esercitano un’azione rinfrescante sull’apparato intestinale, tanto da divenire lassativi in dosi più abbondanti per la presenza del Tarassisterolo capace di risvegliare anche l’intestino più pigro.

L’insieme dei suoi principi attivi eccita le contrazioni delle parete della cistifellea favorendo il defluire della bile; nello stesso tempo la ricchezza di sali di potassio stimola le corrette funzioni dei reni giustificando il battesimo di “Piscialetto” usato a Genova.

Il Taraxacum officinale è una di quelle erbe con le quali in passato ci si curava a tavola presentandolo sulle mense come insalata cruda o cotta, preparandolo come gli spinaci.

E’ un modo semplice poco costoso di utilizzare la sua ricchezza di di sali minerali e  vitamine fra le quali eccelle la C.  L’analisi dei componenti della radice rivela oltre alla tarassicina la presenza di un eteroside, di colina, di resine, di levulina, di inulina (sino al 24% ed in quantità maggiore  durante l’autunno), di acidi grassi diversi, di sterine, levulosio mannano, inosite; questi due ultimi principi hanno indicato le radici di Tarassaco, dopo una corretta torrefazione, quale gustoso succedaneo del caffè, alla pari della Cicoria ritornata prepotentemente di moda nei bar italiani.

Il battesimo più pittoresco del Tarassaco è quello nato molti anni fa in alcune regioni dell’Italia meridionale: “Capo ‘e monaco”, dedicato alla fruttificazione  globosa.

Quando i piccoli frutti lanuginosi vengono portati via naturalmente dal vento o da una soffiata per attuare il tradizionale gioco infantile, lasciano il ricettacolo  completamente nudo e somigliante alla tonsura di un religioso.

I Taraxacum sono piante perenni e  rustiche; l’estrema adattabilità ad ogni condizione ambientale con l’efficace ed abbondante disseminazione spiegano la loro vasta diffusione. La pianta è dotata di una radice fittonante pregna di lattice amaro. Le foglie sono radicali, in rosetta, intere, dentate, sinuate, o roncinato pinnatofide, molto variabili di forma nelle differenti specie. I capolini gialli, ed omogami, spuntano solitari alla sommità degli scapi cavi, privi di foglie, nascendo direttamente dal rizoma; molto raramente accade che si ramifichino ed allora portano due o tre soli, capolini.

I fiori sono tutti ligulati e perfetti, sempre numerosi, con  i periferici a sommità troncata e dentata. Le logge delle antere sono prive di codette, la parte superiore dello stilo è  pubescente ed i suoi sottili bracci diventano alla fine ricurvi. L’involucro campanulato ed oblungo, è formato da due serie di brattee; nell’interna sono strette, erette ed eguali fra loro mentre le  esterne sono poche, embricate, piccole, caliciformi a volte patenti o riflesse. Il ricettacolo è piano ma in seguito diventa convesso. I frutti sono glabri, con pappo piumoso, semplice e capillare, portato da uno stipite che opposto al termine di un achenio fusiforme allungato ed angoloso. Le specie più importanti della Liguria sono:

Taraxacum glaciale Hand-Mazz., ex Huet. Si tratta di una pianta piccola bassa con le foglie appressate al suolo. E’ l’unica specie diploide (2n = 16), quindi un tipo ancestrale. Rappresenta una stirpe isolatissima, localizzata esclusivamente sull’Appennino abruzzese; per la sua rarità e per il suo significato evolutivo è una pianta da conservare accuratamente, evitandone tassativamente la raccolta.

Taraxacum megalorrhizon

Taraxacum megalorrhizon Hand-Mazz. (IX- VI. Nasce negli incolti sino ai 2000m). Pianta quasi sempre bassa, alta sino a 20cm. con grossa radice ramificata in alto con molte rosette fogliari. Ha foglie profondamente divise, irregolarmente dentate. I capolini sono a base cilindrica e con pochi fiori a ligule brevi e gialle lineate di scuro; si raddrizzano con la fioritura sino a diventare eretti. Le squame esterne all’involucro hanno il margine arrossato e sono in genere appressate. Gli acheni, marrone grigio o arrossato sono aculeati lunghi poco più del becco appuntito

Taraxacum obovatum DC. (V- VII. Nasce negli incolti e lungo i sentieri dai 1500 sino ai 2000m). Pianta gracile, alta sino a 10cm. con radice con fibre rade. Le foglie sono lucide, aderenti al suolo, tenui e color verde intenso; sono obovate  ed appena dentate. I capolini, sorretti da peduncoli lanosi sono numerosi con ligule giallo  chiaro  lineate di grigio. Le squame esterne all’involucro sono pruinose hanno il margine membranoso. Gli acheni, marrone grigio tubercolati ed aculeati con becco appuntito

Taraxacum palustre Symons. (III. IV. Nasce nei prati umidi e torbosi sino ai 1000m). Pianta gracile, alta sino a 25cm. con radice poco ramificata. Le foglie sono picciolate, lucide,  verde intenso, lanceolate  ed appena dentate in sommità. I capolini  hanno ligule giallo limone lineate di rosso. Le squame esterne all’involucro hanno cornetti evidenti, sono verde scuro, quasi nere ed appressate. Gli acheni sono sottili ed allungati a denti acuti verso il  becco appuntito.

Taraxacum alpinum  Hegetschw. (VI. VIII. Nasce nei pascoli alpini e pendii franosi dai 1500 sino ai 2800m). Pianta alta sino a 15cm, ha radice fittonante non ramificata, sottile con foglie verde scuro, ellittiche a pochi denti non profondi. I capolini  numerosi hanno ligule giallo carico appena arrossato e lineate di grigio o rosso. Le squame esterne all’involucro sono verde nerastro ed appressate. Gli acheni sono aculeati nella parte superiore con un corto  becco appuntito.

Taraxacum alpestre DC. (VI. VII. Nasce nei pascoli alpini rupestri dai 1500 sino ai 2500m). Pianta alta sino a 15cm, ha radice fittonante ingrossata  ramificata in alto,  con foglie verde chiaro, largamente lanceolate con denti molto profondi e lobo terminale grande. I capolini  numerosi e piccoli hanno ligule arancio carico arrossato. Le squame esterne all’involucro sono verde scuro e cerose, più o meno appressate,. Gli acheni grigio chiaro o marroncini sono aculeati con un becco lungo ed appuntito.

Taraxacum cucullatum Dahlst. (VII. VIII. Nasce nei pascoli alpini dai 1900 sino ai 2500m). Pianta alta sino a 15cm, ha radice molle divisa  in alto,  con foglie appressate a terra, ellittiche molli e con denti grosolani molto profondi a lobo terminale grande. I capolini  hanno ligule gialle e brevi, gli stimmi sono  giallo grigi. Le squame esterne all’involucro sono scure  e verdi. Gli acheni hanno un becco molto lungo ed appuntito.

Taraxacum laevigatum DC.  (III. V. Nasce negli incolti aridi sino ai 1800m). Pianta piccola e gracile è alta sino a 10cm, ha radice fittonante divisa,  con foglie molli verde chiaro, aderenti al suolo, a denti profondi. I capolini  numerosi e piccoli hanno ligule giallo limone. Le squame esterne all’involucro sono patenti all’antesi a bordo bianco con cornetti rossicci. Gli acheni sono molto aculeati verso la sommità con un becco lungo e delicato.

Taraxacum hoppeanum Griseb. (VI. VII. Nasce nelle fessure rupestri dai 100 sino ai 2200m). Pianta robusta, alta sino a 15cm, ha radice ingrossata,  con foglie sdraiate verde chiaro, ellittiche con denti ineguali o seghettature molto profonde. I capolini  numerosi ed eretti hanno ligule gialline. Le squame esterne all’involucro sono bordate di bianco con cornetti evidenti. Gli acheni sono grossi e rosso marroncini, rugosi in alto e con un becco lungo ed appuntito.

Taraxacum officinale Weber.  (I. XII. Nasce nei pari coltivati e negli incolti sino ai 1700m). Pianta polimorfa, alta sino a 30cm. ha radice fittonante è grossa e fusiforme tendente a ramificare. Le foglie tutte basali presentano reticoli e sono generalmente molto incise. I capolini sono grossi,  ligule giallo dorate, alla cima di molti steli fistolosi. Le squame esterne all’involucro sono lineari e ripiegate all’ingiù. I frutti sono acheni allungati bianco grigiastri o scuri aculeati o tubercolati nella metà superiore con un lungo becco acuto.

Come raccoglierli e coltivarli

Il Taraxacum officinale ed i suoi fratelli non occorre andarli a cercare distante da casa. In ogni casi si semina da marzo a giugno-luglio a dimora ed interrando lievemente il seme, diradando le piante in eccesso. Vegetale rusticissimo, si accontenta di qualunque terreno senza richiedere altre cure colturali che qualche zappatura o ripulitura delle erbe infestanti.

di Alfredo Moreschi

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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