Il Gruppo 63 tendeva anzi a ricadere nella sfera di azione della vecchia società letteraria

Proprio la mancanza di un’imposizione di lettura determinata, creando una voluta ambiguità espressiva, riveste un’importanza fondamentale in sede di poetica dei due autori, in quanto l’apertura di un’opera non riguarda soltanto la forma con cui essa viene resa, ma è anche indice di un particolare rapporto tra autore e mondo, tra il soggetto e le strutture culturali e scientifiche del mondo che hanno prodotto questo determinato tipo di struttura. La maniera in cui le forme dell’arte si concretizzano nel tempo è pur sempre segno (benché metaforico) di una volontà epistemologica, è ‹‹il modo in cui la scienza o comunque la cultura dell’epoca vedono la realtà››. <52
Per cui la crisi che Sanguineti e Balestrini evidenziano nel percorso dei “Novissimi” non riguarda propriamente la poesia in quanto attività artistica; piuttosto è crisi del linguaggio, divenuto inabile ad interpretare in modo adeguato una realtà storica in profonda trasformazione.
La loro risposta alla crisi del linguaggio si ottiene tramite l’abbandono delle forme tradizionali, muovendosi su un piano che trasgredisce i moduli linguistici dominanti (ecco perché è fondamentale l’asintattismo e l’annullamento di ogni riferimento semantico immediato) in modo da ricavare, mediante questa distruzione, uno sguardo in grado di fornire ‹‹una luce nuova sulle cose››.
Seguendo le espressioni di “secondo grado” che permeano le poesie dei due novissimi, non fermandosi cioè a una prima lettura dei testi, non è difficile rintracciare una critica alla società borghese e conformista degli anni Sessanta, tant’è che mentre Balestrini fa appunto una “apologia” dell’evasione non solo dal precedente modo di fare poetico, ma anche dal mondo attuale dominato da ‹‹la piccola borghesia colata/ nelle piazze fiorite e nei dì/ di festa che salvi c’ignora››, Sanguineti descrive il labirinto della palude che è allo stesso tempo «per quei rimandi non meccanicistici tra gli uomini e il proprio tempo, la realtà effettuale e la dimensione interna, psicologica, l’io dell’uomo del tardo capitalismo» <53. Anche se non c’è possibilità di trovare un’azione sociale precisa che contrasti la corsa al benessere di quegli anni, l’ invito che può fare il poeta è a compiere una duplice azione che si esplica sul piano formale in una destituzione del senso del materiale utilizzato per la composizione dei testi; mentre per il lettore si trasforma in un invito a far sì che ogni lettura diventi un percorso di ricerca del senso. Attraverso il ‹‹disordine organizzato›› <54 della poesia, nel quale il poeta suggerisce al lettore di immergersi (come se dovesse intraprendere un viaggio metaforico simile alla discesa agli inferi praticata dal protagonista del “Laborintus”), si potrà tendere alla trasformazione del soggetto da alienato a conscio di sé.
1.3 La neoavanguardia: nascita e poetica del Gruppo 63
La pubblicazione de “I Novissimi” è dunque il preludio letterario della nascita di quella che sarebbe stata definita dalla critica la Neoavanguardia italiana e che prende il nome, sull’impronta del tedesco “Gruppo 47”, di “Gruppo 63”. Ricordano Nanni Balestrini e Alfredo Giuliani, il prestito non si limita al nome, ma si estende anche alle forme organizzative del gruppo tedesco:
“Fu un compositore, Luigi Nono, a suggerirci la formula impiegata dagli scrittori tedeschi per gli incontri annuali del Gruppo 47. Nella Germania del dopoguerra i giovani scrittori si erano trovati davanti al compito di ricostruire una tradizione letteraria spezzata dal nazismo e dalla guerra, e il Gruppo 47 era stato lo strumento di lavoro messo in piedi a tale scopo. Strumento semplice, agile e facile da allestire periodicamente: un seminario annuale in cui gli scrittori confrontavano i loro lavori in corso, leggendoli e criticandoli reciprocamente, non per riconoscersi su orientamenti e pratiche comuni, ma per rifondare in tempi brevi la loro letteratura”. <55
Sebbene riconoscendo le diverse matrici storiche dei due gruppi, ciò che gli italiani cercano di rintracciare è la comune motivazione ideologica letteraria che fa muovere gli ambiti di ricerca sotto il segno del rinnovamento di una tradizione culturale «asfittica» e «antiquata»:
“Il modello tedesco ci sembrò molto interessante perché rispondeva ad un bisogno nostro costante di confrontarci e di discutere. Certo i connotati storici della nostra tradizione erano diversi da quelli in cui era nato il Gruppo 47; eppure nella sostanza le nostre intenzioni erano abbastanza consimili. I giovani scrittori tedeschi del dopoguerra erano partiti da una situazione di rovine e di deserto culturale, non sentivano dietro di sé una tradizione recente da superare, una generazione letteraria con cui fare i conti.[…] Da noi, invece, il fascismo aveva più blandito e addomesticato che non perseguitato gli scrittori. […] Transitati senza grandi scosse dalla guerra al dopoguerra, dalla dittatura alla democrazia, nel mezzo del boom economico esploso alla fine degli anni Cinquanta, anche noi sentivamo di dover ricominciare daccapo; solo che, in luogo del deserto, avevamo di fronte un sistema culturale antiquato, asfittico e potente che occupava pressoché tutti gli spazi della comunicazione, ostacolando ogni tentativo di rinnovamento”. <56
Il movimento neoavanguardista trae il suo nucleo organizzativo dalla cerchia dei collaboratori più stretti di Luciano Anceschi (Renato Barilli, Nanni Balestrini, Angelo Guglielmi, Umberto Eco, Edoardo Sanguineti, Alfredo Giuliani, Fausto Curi, Elio Pagliarani ed Antonio Porta) che nelle pagine de «Il Verri» pubblicano, appunto, le opere e danno luogo alle prime discussioni sul rinnovamento della letteratura; per cui almeno all’inizio, come scrive Lucio Vetri, è possibile tracciare una «linea importante di continuità – quanto a motivazioni, a interessi e a strategia di ricerca» che collega l’“esperienza” de «il Verri», quella de “I Novissimi” e (in maniera riconoscibile, almeno per qualche tempo) quella del “Gruppo 63”, mediante un tramite individuato nell’istanza costruttiva e «intellettualmente funzionale della letteratura e della cultura, che proprio “il Verri” aveva proposto e reso operante, e che ha orientato e garantito fruttuosa la ricerca più qualificata dello “sperimentalismo” nei suoi vari campi di applicazione» <57.
La prima riunione del Gruppo si tiene a Palermo nell’ottobre 1963 <58, in occasione di una manifestazione di giovani compositori d’avanguardia, quando Francesco Agnello, l’organizzatore della “Settimana internazionale della Nuova Musica”, invita a partecipare alcuni esponenti del nucleo organizzativo in qualità di scrittori che seguono un itinerario di rinnovamento parallelo a quello intrapreso dai musicisti:
“Invitati a partecipare […] oltre alle nostre reciproche letture dei lavori in corso (a porte chiuse), organizzammo un mulinello di undici atti unici, messi in scena alla sala Scarlatti del conservatorio, e partecipammo a un movimentato ciclo di conferenze a più voci su teatro, teatro musicale, musica, pittura, poesia, narrativa. L’insieme suscitò un inaspettato frastuono che rimbalzò sulle pagine di quotidiani e settimanali”. <59
Il clima dell’incontro (al quale partecipano anche scrittori e critici non propriamente legati a «Il Verri», come Amelia Rosselli, Francesco Leonetti, Massimo Ferretti, Giuseppe Guglielmi e Giorgio Manganelli) in cui ogni autore legge i propri testi ed espone i propri punti di vista teorici, è efficacemente descritto da Umberto Eco come un primo atto di fondazione di una poetica comune basata su una «disposizione morale di ricerca collettiva volta all’approfondimento ed alla discussione», privilegiando gli aspetti dove le prospettive e le soluzioni divergono <60.
È proprio Luciano Anceschi a tenere a battesimo il convegno con un intervento in cui esprime la necessità da parte della letteratura nuova, «della letteratura che si dice d’avanguardia», di trovare «nuovi parametri, nuovi criteri, nuove istituzioni» <61; quali siano e come debbano essere perseguiti questi nuovi modi, diviene l’oggetto principale della discussione di Palermo, dalla quale emergono sostanzialmente tre posizioni, articolate e contrastanti tra loro, enunciate rispettivamente da Angelo Guglielmi, Edoardo Sanguineti e Renato Barilli. In apertura però è Alfredo Giuliani che traccia la linea di ricerca generale del dibattito e, richiamando quanto già espresso nell’introduzione ai “Novissimi”, sottolinea l’importanza predominante del fatto linguistico, del rifiuto della lingua colta e di quella d’uso comune nelle sue strutture semantiche e sintattiche (prodotti della società borghese e, per questo, dotati di un valore puramente storico e quindi mai elevabili ad una naturalità, o razionalità, assolute) praticate dalla tradizione letteraria che «ne accetta l’esistenza come una garanzia». Per cui la funzione della letteratura d’avanguardia deve essere caratterizzata dall’esibire la sua struttura «in maniera eteronoma rispetto alla percezione del mondo» e cioè:
“Mostrando immediatamente i tralicci e sapendo di essere letteratura, essa rimanda all’apparenza reale in una maniera diversa della letteratura comune, che è sempre un tipo di letteratura mimetico, o esplicativo, o semplicemente razionalistico nel senso illuministico o razionalistico della parola. In un certo senso potremmo definire la nozione in modo allegorico, dicendo che si ha letteratura d’avanguardia là dove la delucidazione del linguaggio si presenta come enigma e interrogazione oltre la mistificazione dei falsi enigmi, cioè senza prendere per buona fino in fondo né l’apparenza reale né la letteratura in quanto tale”. <62
Certo, Giuliani è ben conscio che privilegiando il momento formale, il momento della scrittura, sulla ormai degradata «mera credibilità empirica» possono aver luogo risultati molto vicini ad opere che definisce «buffonate»; ma essendo il reale, il normale (cioè «ciò che è direttamente comunicabile») non più trasmissibile in maniera diretta con i vecchi strumenti realistici, subentra allora una «nuova idea dei rapporti tra immaginazione e percezione» che, mediante un «realismo dell’invenzione» su cui la nuova avanguardia deve far perno, può essere in grado di produrre possibili «sublimità» in grado di controbilanciare le «buffonate».
Da questa impostazione di Giuliani, Angelo Guglielmi arriva ad una esplicita dichiarazione di resa al caos che forma il mondo contemporaneo, rilevando l’assoluta inadeguatezza di una visione storicistica della realtà:
“[…] la linea avanguardistica della cultura contemporanea tende a prospettarsi il mondo come un centro invincibile di disordine. Il polo positivo è sparito, determinando l’impossibilità di ogni giuoco dialettico, quindi l’impossibilità della Storia. (Mai l’uomo si è sentito maggiormente senza futuro come oggi, quando le possibilità di futuro, grazie al meraviglioso progresso della scienza, paiono tanto prossime e suggestive.) Al posto della Storia è subentrato uno spazio in cui tutto ciò che accade diventa insensato e viene falsificato” <63.
A questa situazione la linea avanguardistica non può («e non deve») opporsi tentando di istaurarne una nuova, né può rappresentarla (anzi sottolinea Guglielmi che «nel nostro caso la migliore rappresentazione sarebbe il silenzio»). Essendo il reale «caotico, incrostato, imbrogliato» l’intento che uno scrittore potrebbe concepire nei suoi riguardi è, al più, quello di demistificarlo mediante una formula, già adottata da alcuni scrittori contemporanei (Gadda, Robbe-Grillet, Borges) che si richiama al pastiche; formula che, intrecciando vari piani conoscitivi spesso tra loro contrastanti, decreta in sostanza «la morte delle ideologie», rifiutandole come «piani di conoscenza»:
Il pastiche ha, per proprie virtù fisiologiche, una forte carica svalorizzante (nei riguardi degli ingredienti di cui si alimenta) che, in questo caso, diventa una carica demistificante in quanto impegnata a svalorizzare significati che oggi si presentano come falsi significati <64.
Per tanto, ribadisce Guglielmi, l’unica avanguardia inserita nella linea culturale contemporanea deve essere «a-ideologica» e «disimpegnata»:
“La linea “viscerale” della cultura contemporanea in cui è da riconoscere l’unica avanguardia oggi possibile è a-ideologica, disimpegnata, astorica, in una parola “atemporale”; non contiene messaggi, né produce significati di carattere generale. Non conosce regole (o leggi) né come condizione di partenza, né come risultati di arrivo”. <65
Il pensiero di Guglielmi è oggetto di contestazione da parte di Edoardo Sanguineti il quale muove anche la logica critica che dietro l’apparente rifiuto di qualsiasi ideologia ci sia invece una ideologia ben precisa, l’ideologia del rifiuto, appunto. <66
Sanguineti formula la sua nozione di avanguardia come tensione conoscitiva in grado di esprimere «la verità ultima della situazione dell’intellettuale nel mondo presente», individuando in tutta l’arte europea del Novecento una «sorta di naturale tensione verso l’avanguardia», che può venire esplicitata dall’intellettuale nel momento in cui egli prende coscienza del rapporto che ha con la società borghese in cui è collocato.
Rispondendo poi sia a Giuliani che a Guglielmi, nega che ciò che caratterizzi l’avanguardia sia l’assunzione del linguaggio contro l’ideologia; piuttosto rileva una corrispondenza tra ideologia e linguaggio, in quanto:
“Non si dà operazione ideologica che non sia, contemporaneamente e immediatamente, verificabile nel linguaggio. Ed è anche troppo evidente che per linguaggio non si ha da intendere, con una sorta di riduzione materia, la mera superficie stilistica dell’opera, ma la sua struttura stilistica, in generale.[…] L’avanguardia esprime quindi, in generale, la coscienza del rapporto fra l’intellettuale e la società borghese, portata al suo grado ultimo ed esprime contemporaneamente, in generale, la coscienza del rapporto tra ideologia e linguaggio, e cioè la consapevolezza del fatto che ciò è proprio dell’operazione letteraria in quanto tale è l’espressione di una ideologia nella forma del linguaggio”. <67
L’operazione condotta da Sanguineti è mirata, in sostanza, a dare una collocazione politica alla neoavanguardia, mettendo l’accento sul carattere non neutrale del linguaggio: il potere coincide, come già aveva affermato Antonio Gramsci, con l’egemonia della classe al potere che impone il suo linguaggio ed esercita il diritto di dare i nomi alle cose. Lo scrittore, pertanto, utilizzando un determinato tipo di linguaggio piuttosto che un altro compie una deliberata operazione ideologica in forte contrasto con la tradizione culturale a lui precedente:
“La polemica contro il naturalismo non sta nell’usare un linguaggio stravolto rispetto a un linguaggio normale, ma nel tener conto che il linguaggio è sempre uno stravolgimento. Cioè un modo di interpretare la realtà: un’ideologia. […] L’ideologia borghese ha perfettamente deciso per conto proprio che cosa è razionale e che cosa non lo è, che cosa appartiene all’ordine della realtà e che cosa appartiene invece alla sfera della sfrenata fantasia dell’immaginazione privata.[…] Per essere autenticamente critica, e autenticamente realistica, l’arte deve energicamente uscire dai limiti della normalità borghese, cioè dalle sue norme ideologiche e linguistiche”. <68
Si può quindi interpretare che il linguaggio naturalistico rappresenti la normalità borghese, e il linguaggio dell’avanguardia divenga anormale solo se considerato nei confronti di quella norma; è dunque un modo, quello dell’avanguardia, di porsi in contrasto con la tradizione sociale e letteraria dominata dalla borghesia, portando a una percezione «autentica del reale» <69.
L’intervento di Renato Barilli al convegno è volto al tentativo di superare sia l’idea di distruzione delle ideologie, avanzata da Guglielmi, che quella marxista di Sanguineti. Ferma restando la necessità di una visione ideologica, essa non va di certo identificata con quella proposta da Sanguineti in quanto, tale visione, avrebbe impedito di valutare in maniera adeguata i problemi che di più si avvicinano al campo artistico e letterario, ossia quelli legati alla ragion pura, alla psicologia, all’antropologia, all’epistemologia ed avrebbe erroneamente privilegiato i problemi pratici, etici, politici o sociali:
“C’è un altro modo di intendere la nozione di ideologia. Una “visione del mondo” non ha da rispondere solo sul piano sociale, cioè proporre una teoria -poniamo- sulle classi sociali, proporre un sistema economico, un sistema politico. Una visione del mondo coerente deve rispondere su tanti altri punti: ci sono tutti i punti che, sempre kantianamente, si potrebbero dire della ragion pura, ma non spaventi questo termine, non sembri troppo astratto; si sa che per Kant la ragion pura riguarda la percezione, il conoscere, lo spazio, il tempo. […] E’ avvenuto che i problemi della ragion pura, cioè i problemi relativi al conoscere, i problemi di ordine psicologico, gnoseologico, epistemologico, antropologico in genere sono stati sistematicamente depressi a favore di problemi etico-politici, mentre si dà il caso che le arti visive e la letteratura siano molto più prossime ai problemi appunto di ordine gnoseologico, cioè in genere conoscitivo, percettivo, antropologico, che non ai problemi di ordine politico economico”. <70
Richiamandosi a una linea ideologica novecentesca antipositivista che ha nella psicanalisi, nel pragmatismo e nell’intuizionismo bergsoniano le sue espressioni più valide e prendendo atto della crisi che esse esprimono, la normalità, per Barilli, non è più data da un solido mondo di valori gerarchizzati, bensì da una problematicità assoluta dei soggetti nei confronti di una realtà sconvolta anch’essa in tutti i suoi valori canonici. Si tratterebbe, quindi, di prendere atto di questa situazione e di assumerla come reale, superando l’atteggiamento di rivolta, che caratterizzerebbe invece l’avanguardia primo-novecentesca, in vista di una «normalizzazione dei dati» <71. Per cui, secondo Barilli, il caos, il disordine, sono tali solo agli occhi di chi non possiede gli strumenti per afferrarne la razionalità odierna, che, successivamente, sarà ovvia e canonizzata, per tanto una qualsiasi «anormalità» non va intesa in senso assoluto, ma riferita ad una crisi precisa delle strutture storiche ed ideologiche.
Non rottura sostanziale, ma un rinnovamento, sia pure enfatizzato e radicale, che si pone però sotto il segno della continuità.
Come ha osservato Giancarlo Ferretti:
“Il Gruppo 63, insomma, non si poneva come una proposta radicalmente innovativa nei confronti della vecchia società letteraria (e non), ma tendeva anzi a ricadere nella sua sfera di azione”. <72
[NOTE]
52 «L’arte, più che conoscere il mondo, produce dei complementi del mondo, delle forme autonome che s’aggiungono a quelle esistenti esibendo leggi proprie e vita personale. Tuttavia ogni forma artistica può benissimo essere vista, se non come sostituto della conoscenza scientifica, come metafora epistemologica: vale a dire che, in ogni secolo, il modo in cui le forme dell’arte si strutturano riflette – a guisa di similitudine, di metaforizzazione, appunto, risoluzione del concetto in figura – il modo in cui la scienza o comunque la cultura dell’epoca vedono la realtà». (cfr. U. Eco, Opera aperta cit., p. 50.)
53 E. Risso, Laborintus di Edoardo Sanguineti… cit., p. 18.
54 «Il poeta contemporaneo propone un sistema che non è più quello della lingua in cui si esprime, ma non è neppure quello di una lingua inesistente: introduce moduli di disordine organizzato all’interno di un sistema per accrescerne la possibilità di informazione”. (Cfr. U. Eco, Opera aperta cit., p. 118).
55 Gruppo 63. L’antologia, a cura di A. Giuliani e N. Balestrini, Testo & Immagine, Torino 2002, p. XII.
56 Gruppo 63. L’antologia cit., pp. XII-XIII.
57 L. Vetri, Il verri: alcuni temi e una “ questione”, in «Il Verri», 8, dicembre 1974.
58 I convegni del Gruppo 63 furono cinque. Dopo il primo (Palermo 3-8 ottobre 1963, presso l’Hotel Zagarella) dedicato alla lettura dei testi ed al dibattito teorico, sono seguiti: il secondo (Reggio Emilia 1-3 novembre 1964, presso il teatro municipale) dedicato alla lettura e discussione dei testi; il terzo (Palermo 3-6 settembre 1965, presso una sala del Circolo del Banco di Sicilia) dedicato al dibattito sul romanzo sperimentale; il quarto (La Spezia 10-12 giugno 1966, presso la Sala Dante del Palazzo degli Studi) dedicato alla lettura ed alla discussione dei testi; il quinto (Fano 26-28 maggio 1967, presso la sala grande del Palazzo Malatestiano) caratterizzato dalla presenza predominante di autori nuovi rispetto ai precedenti anni, dedicato alla lettura ed alla discussione dei testi. Per l’elenco dei partecipanti si vedano le pagine 319-320 del già citato volume curato da N. Balestrini e A. Giuliani: Gruppo 63. L’antologia.
59 Gruppo 63. L’antologia cit., p. XVI
60 Cfr. U. Eco, La generazione di nettuno, in Sette anni di desiderio, Bompiani, Milano 2000.
61 Cfr. L. Anceschi, in Gruppo 63, a cura di N. Balestrini e A. Giuliani, Feltrinelli, Milano 1964, pp. 371–372.
62 A. Giuliani in, Gruppo 63 cit., pp. 372–376.
63 A. Guglielmi in Gruppo 63 cit., p. 377.
64 Id., in Gruppo 63 cit., p. 378.
65 Ivi, p. 378
66 E’ vero anche che Guglielmi, prevenendo questa probabile obiezione, aveva già affermato nel suo intervento che l’avanguardia non è «così ingenua e cieca da cedere al sofisma che una non visione del mondo possa essere a sua volta una nuova visione, il caos una nuova forma di ordine»; eppure, come afferma Manacorda «che non si tratti di un sofisma, bensì di una reale contraddizione immanente a siffatto estremismo irrazionalistico fu provato dalle voci discordi che si levarono anche a Palermo contro la posizione di Guglielmi» (cfr. G. Manacorda, Storia della letteratura italiana contemporanea 1940-1996, Editori Riuniti, Roma 2000, p. 485).
67 Cfr. E. Sanguineti in Gruppo 63 cit., pp. 381–382.
68 Ivi, pp. 382–383.
69 Manacorda rileva però come Sanguineti finisca in fondo per «ipostatizzare dei valori assolutamente positivi e negativi o, in ogni caso, a prendere norma e termine proprio dalla condizione borghese». Per cui l’opposizione teorizzata sarebbe riduttiva e limitata ad un contrario della razionalità borghese ossia una «irrazionalità senza aggettivi, assoluta (onirismo)». Mentre si tratterebbe non «di addormentarsi in dimensioni astratte ma di esser desti colla ragione e il coraggio entro le dimensioni della realtà esistente se si vuol evitare, come si vorrebbe, la funzione di copertura borghese, sia pure una copertura indiretta, di chi non si fa sostegno cosciente della borghesia, ma si limita a sgomberarle il campo dagli impegni che vanno disputati sul terreno della concreta situazione storica». (Cfr. G. Manacorda, op.cit., p. 490).
70 Cfr. R. Barilli, in Gruppo 63 cit., pp. 389-390.
71 Ibidem.
72 G. Ferretti, La letteratura del rifiuto, Milano, Mursia, 1968, p. 288.
Claudio Brancaleoni, Letteratura e contestazione. Il ’68 nella letteratura italiana tra neoavanguardia e postmoderno, Tesi di dottorato, Bangor University, 2017

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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