Il paradosso della mia scrittura sta nel voler essere affermativa

Mariangela Gualtieri – Volterrateatro 2015 – photo Stefano Vaia – Immagine qui riresa da Michele Pascarella, art. cit. infra

Mariangela Gualtieri ha fondato il Teatro Valdoca con il regista Cesare Ronconi nel 1983 a Cesena, in Romagna. Del Teatro Valdoca è attrice e drammaturga; da Cattura del soffio, nel 1996, intraprende anche una serie di recital di poesia (tra gli altri Sue lame suo miele nel 2001, Non splendore rock nel 2002 o Misterioso concerto nel 2006) nell’intento di « entrare nella musica dei [suoi] versi e tenere le parole nel loro stato di nascita» <1. Questi reading di lettura e ascolto nel contempo, definiti da Gualtieri stessa come un «atto militante, […] millimetrico» che ha luogo nel «reame della sottigliezza» <2, si costruiscono spesso in un dialogo con la musica.
Fin dai suoi primi spettacoli (il silenzioso Lo spazio della quiete, 1983, ripreso nell’aprile 2009 e il cui nuovo finale «prende il passo di poesia pensante»), il Teatro Valdoca occupa uno spazio importante nella scena teatrale d’avanguardia, attraverso una ricerca dapprima incentrata sul corpo e sulla visione, tra danza e performance, e poi sempre più profondamente in accordo con la poesia di Mariangela Gualtieri, che dal 1986, con Ruvido umano, fino alle recenti esperienze di Sacrificale: suono+vuoto+eco, passando per il Parsifal (1999), s’intreccia costantemente alla ricerca registica, l’accompagna, la sollecita o ne viene ispirata, creando così una stretta collaborazione tra accadimento scenico e avvento della parola.
La scrittura drammaturgica che attraversa gli spettacoli della compagnia assume una dimensione più autonoma o, in ogni caso, uno statuto nuovo attraverso la paruzione presso noti editori di poesia. La trilogia Antenata esce nel 1992 per Crocetti, con prefazione di Franco Loi; nel 1995 I Quaderni del Battello Ebbro pubblicano Fuoco Centrale e Nei leoni e nei lupi due anni dopo. Più recentemente, la collana bianca di Einaudi ha pubblicato Fuoco Centrale e altre poesie per il teatro (2003) e Senza polvere senza peso (2006). A parte l’ultima raccolta, nata lontano dalla scena, tutte le altre scaturiscono dagli spettacoli della Valdoca.
Sempre a partire dagli anni ’90, quindi nel momento in cui la scrittura di Mariangela si dà una pagina prettamente poetica, comincia per la compagnia un lavoro sulla parola. Se gli attori della Valdoca si ritrovano spesso riuniti con giovani allievi della Scuola Nomade, sorta di fucina pedagogica da cui nascono i due noti spettacoli Fuoco Centrale e Ossicine, parallelamente l’azione teatrale entra in relazione con la parola nella Scuola di Poesia cui collaborano i maggiori poeti italiani. In questo doppio nodo sperimentale si fondono una volta per tutte sulla scena della Valdoca la danza, il canto, la parola, la musica dal vivo.
Non è certo possibile in poche pagine percorrere tutta la produzione della poetessa romagnola: i riferimenti principali messi in apertura alla nostra riflessione vogliono soprattutto sottolineare l’importanza, per leggere Mariangela Gualtieri, di uno sguardo attento al rapporto tra parola e teatro. È un’attenzione che dobbiamo a un connubio su cui si è già detto molto, ma che si rinnova ogni volta che viene tentato e in questo non è per nulla scontato. Ripercorrerne, di nuovo, gli intrecci, evidenti e nascosti, non può che predisporci alla lettura di una poesia per cui lo scrivere «dentro la scena» <3 è un evento centrale e sintomatico.
La connessione con la scena segna la scrittura nel suo farsi. Che sia nella poesia stessa, dove la mano che scrive (seppur impersonale, come Nei leoni e nei lupi: «So che la scrivente mano non è mia»), e l’azione della scrittura appaiono qua e là, come in questo distico di Senza polvere senza peso: «A scrivere si fa così: si dorme un pochino / si resta in attesa con mani perfette vuote» <4. Che sia nella riflessione attorno a uno spettacolo in fieri, dove si mostra anche la difficoltà della scrittura di fronte alla visione teatrale (come in Grande aperto, appassionante racconto della creazione di Paesaggio con fratello rotto i cui personaggi «sono nati prima delle parole che pronunciano» e quindi degli scarti e delle collisioni tra la « necessità violenta» della scena e il «compito inaggirabile» <5 di portarle un testo), o dove si insiste sull’importanza di una discesa agli inferi della parola poetica prima che possa fondersi con l’apparizione dei corpi.
Nell’introduzione al suo Parsifal, prodotto dal festival di Santarcangelo dei Teatri, Mariangela Gualtieri parla di una «crepa del racconto», di un «buco» nella vicenda del protagonista che si fa punto di partenza e di riferimento dello spettacolo. È «in ciò che la storia non vuole e non può raccontare, che si prepara quella condizione di totale abbandono grazie alla quale, a volte, la comprensione si dilata e i sensi, come in un bagno di calce viva, prendono nuovo splendore» <6.
È possibile che proprio nell’idea di abbandono si trovi un centro nevralgico che associa scena della Valdoca e parola poetica, come se fosse nel cortocircuito del dire, o nel suo misterioso passaggio dallo scritto all’orale, che il teatro, ma anche la poesia, discoprano la loro fonte primaria. È un dire paradossale, non lontano da quello indagato da Carmelo Bene per i suoi Canti Orfici di Dino Campana: «la lettura, lungi dalla pretesa noiosissima di riferire lo scritto del morto orale, la lettura, dico, è non più ricordare, è non-ricordo, oblio» <7.
[…] Tornando quindi al gesto doppio di giubilo e oblio già menzionato, pensiamo che la «parola luminosa» <41 di Mariangela Gualtieri trovi proprio in questo suo farsi cosa e corpo una forza di affermazione che mantiene e ingloba la ferita, senza liquidarla. È «netta la ferita che porta», come per il corpo siamese «deforme e regale» dell’ultima parte di Paesaggio con fratello rotto. Il saper «dare ferite perfette» è appunto un sapere prettamente corporeo che dice la «rottura come segno di cesello». Che esso venga praticato sulla scena o che sia percorso nella scrittura, vale in entrambi i casi il principio evocato da Cesare Ronconi del «lavoro fisico come demolitore della retorica» <42. È in questo sapere fisico che si muove la poesia di Gualtieri nel suo ostinato annuncio: «Il paradosso della mia scrittura sta nel voler essere affermativa, nel voler caparbiamente trovare armonia in mezzo a questi cocci. Si è sempre a un centimetro dalla retorica e questo è il prezzo da pagare se si vuole tentare una scrittura esortativa. Non è un tentativo, in realtà, è piuttosto un destino: io non posso fare altro che questo» <43. Questa affermazione non retorica sgorga perciò da una positività senza via di scampo, che brucia della luce di un incendio, di un fuoco centrale, definita in Canto di Ferro «senza ristoro d’ombra» <44. Crediamo sia proprio in questo senso che Franco Loi, nella sua prefazione ad Antenata, primo libro della poetessa, evocasse un’«estasi della luce», indicando una poesia «tutta sollecitata dalla luce, persino nel fondo dell’orrore».
Se il distico iniziale di una poesia dell’ultima raccolta di Mariangela, agli antipodi cronologici di Antenata, convoca questa costante sollecitazione, il luminoso invito continuo:«Spargiti piccola esca di luce, abbocchiamo / ai tuoi ami d’oro e siamo contenti», il titolo di uno spettacolo del 2003 uscito dalla Scuola di Teatro, Imparare è anche bruciare, ribadisce, all’opposto della «solfa nichilista», la scommessa totale di questo abbandono alla luce e «conduce dalla parte opposta, lì dove si brulica, si scoppia, si brucia, si ha la febbre alta, si desidera follemente una consegna d’amore. Lì dove c’è meraviglia e pietà. Lì dove c’è la voglia di pronunciare una parola salutare». […]
[NOTE]
1 Presentazione di Misterioso Concerto. Le citazioni che non hanno un riferimento in nota sono tratte dalle schede degli spettacoli presenti nel ricco sito ufficiale della compagnia www.teatrovaldoca.org dove è possibile consultare testi, immagini ed estratti sonori delle varie produzioni. Nel 2003 l’editore Rubbettino ha pubblicato un volume collettivo sul Teatro della Valdoca, dal titolo omonimo, estremamente utile per ripercorrere il lavoro della compagnia, curato da Emanuela Dellagiovanna e Soveria Mannelli, con scritti di Mariangela Gualtieri, Cesare Ronconi, Valentina Valentini, Emanuela Dellagiovanna, Oliviero Ponte di Pino, Luciana Rogozinski e Francesco Scarpelli.
2 Presentazione di Portare bene e Misterioso Concerto.
3 Mariangela Gualtieri, Paesaggio con fratello rotto, Roma, Luca Sossella editore, 2007, p. 21.
4 Mariangela Gualtieri, Senza polvere senza peso, Torino, Einaudi, 2006, p. 94.
5 Paesaggio con fratello rotto, cit., p. 87.
6 Mariangela Gualtieri, Fuoco Centrale e altre poesie per il teatro, Torino, Einaudi, 2003, p. 57.
7 Dino Campana-Carmelo Bene, Canti Orfici, Milano, Bompiani, 2002.
41 Così leggiamo nel preludio a Paesaggio con fratello rotto : « Ringrazio chiunque mi porti una parola luminosa. So quanto sia difficile farlo senza cadere in un’Arcadia di retorica e miele. Ma, mi pare, non si può più fare a meno di questa nominazione del bene. […] Sono stanca di un’arte che inscena tragedie senza catarsi […]. Ora l’impresa più alta e rischiosa è parlare della gioia… ». [Paesaggio con fratello rotto, cit., p. 9]
42 Cesare Ronconi, «La lingua della terra», cit., p. 107.
43 Fuoco centrale, cit., Note a Parsifal, p. 122.
44 Paesaggio con fratello rotto, cit., p. 47.
Giorgia Bongiorno, Una luce «senza ristoro d’ombra». La poesia di Mariangela Gualtieri, Italies, 13-2009, 1 dicembre 2011

[…] In che modo Cesare Ronconi guida i tuoi “riti sonori”?
Anche se i miei riti sonori sono in apparenza semplicissimi, essenziali, vi è una tessitura ritmica molto importante nel determinare l’attenzione del pubblico e il mio agio nel proferire, una tessitura calibrata nelle venature minime. In questo Cesare viene sempre interpellato, e ogni volta porta le sue critiche, fa le sue lodi, propone e disfa e io lo ascolto sempre con grande attenzione.
Preferisci definirti poeta, piuttosto che poetessa. Eppure il tuo sguardo è profondamente femminile.
Voglio pensare che la parola “poeta” comprenda entrambi i generi. Poeta è una parola bellissima e la preferisco, mi pare della famiglia di atleta, di asceta, parole che stanno molto bene vicino al poeta, quasi ad indicare che è di secondaria importanza il genere, in certi casi.
A proposito: alcune donne hanno concorso alla composizione di Le giovani parole.
Ho chiesto aiuto a Giovanna Rosadini, mia prima editor einaudiana e ora lei stessa poeta. Avevo molti dubbi: mi sembravano troppe le sezioni, troppe le poesie, e così dopo aver fatto una mia prima composizione, ho lavorato una giornata con lei e abbiamo messo a punto ogni cosa. Giovanna ha una lucidità poetica formidabile e ogni suo consiglio è stato accolto con gratitudine. Come scrive Milo de Angelis “basta una lacrima per rovinare tutto” e penso sia proprio vero. Giovanna mi ha aiutato ad affinare, soprattutto a togliere, e poi conosce bene le mie possibili cadute.
Alcune poesie sono esplicitamente autobiografiche. Quali parti della tua vita non possono essere contenute in un libro?
Forse le parti che chiamano in causa la vita intima di persone che sarebbero facilmente riconoscibili. Per il resto credo che tutto ciò che è vissuto con veridicità e pienezza possa fare parte di un libro. Ho pubblicato le poesie su mia madre perché mia madre non è più in grado di leggerle, perché ciò che la connotava sta sfumando, e perché quello che sta capitando a lei e a me appartiene a gran parte della mia generazione, e sarà sempre più frequente. C’è qualcosa che i nostri vecchi ci stanno suggerendo: ci invitano a ripensare non solo la morte, ma tutta la lunga scia di uscita dalla vita. […]
Michele Pascarella, Le giovani parole. Conversazione con Mariangela Gualtieri, Artribune, 8 novembre 2015

La scrittura della Gualtieri è generosa, aperta, ariosa e le sue parole, come icone sonore capaci “di esprimere urgenze e di tracciare connotati e confini contemporanei alla bellezza”, mostrano il suo rapporto con il mondo. D’altra parte, però, c’è la consapevolezza che, se esse venissero gettate inconsciamente sul foglio, potrebbero sprigionare “qualcosa di avido”. Lei stessa ci spiega che, questo ‘qualcosa’ “oltreché essere avido, non funziona, produce un’autocombustione che brucia ciò che dovrebbe finire sul foglio. Dopo pochi giorni non rimane niente di quella meraviglia che hai sentito e volevi fissare: le parole ti hanno tradito. Allora io ho imparato ad essere più umile, più povera, a non voler sempre prendere, ed è arrivata la certezza che quel forte sentire che tutti conosciamo deve decantare, si mette da qualche parte e viene fuori da solo quando è ora, se è nel tuo destino che venga fuori”.
Per evitare di cadere in quest’avidità, allora, la Gualtieri propone una pratica d’altri tempi, quella dell’ascolto: bisogna, cioè, diventare esperti del silenzio che precede e prosegue il suono. Infatti, sia lei che Ronconi percepiscono la poesia come susseguirsi di silenzio-parola-silenzio, così come la musica è da intendersi come pausa-suono-pausa. È solo dopo aver praticato e abitato quel silenzio, che la parola può restituire le giuste sfumature di suono sulla pagina. Solo così, essa diventa o, meglio, torna ad essere entità fisica, restituita alla dimensione del canto e della musica: diventa quindi ‘poesia nello spazio’.
La poesia per il teatro nasce, insomma, proprio dalla necessità sempre più urgente di un corrispettivo visivo di quella parola spesso desueta, dialettale, inventata, e sempre detta nel giro di forze del presente. Essa è perfettamente calzante per i corpi che devono pronunciarla, poiché scritta appositamente per loro a ridosso delle prove. Gli attori, dunque, non possono venire sostituiti, perché quelle parole, movenze e attitudini sono state create esattamente per loro, e, se messe in scena da qualcun altro, non avrebbero la stessa rilevanza.
La partecipazione di figure come quella della Gualtieri all’evento scenico tramite il mezzo della parola è di tale importanza che Gerardo Guccini parla di “attore testuale”: “La composizione del testo si nutre (…) delle difficoltà che affronta; e mai la parola scritta è apparsa così compiutamente teatrale come quando ha dovuto lottare per conquistare al dramma concreti spazi d’esistenza”.
Sofia Longhini, Tra le nicchie del tempo e dello spazio: Mariangela Gualtieri e la relazione tra linguaggio poetico e scenico nel Teatro Valdoca, Tesi di laurea, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Anno accademico 2017-2018

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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