Il romanzo modernista nella teoria del romanzo

In accordo con la filosofia della storia letteraria tracciata da Auerbach in “Mimesis” <162 – poi rielaborata di recente da Federico Bertoni, da Guido Mazzoni e Romano Luperini <163 – e con la storia del romanzo del Novecento delineata da Debenedetti, <164 sposo la tesi secondo cui il modernismo rappresenterebbe il terzo stadio della modernità che, dalla fine del XVIII secolo, intercetta una frattura con la cultura e con i modelli classicisti. <165
Se la prima fase della modernità letteraria è impersonata dai romantici, la seconda prende forma con quegli autori che si potrebbero definire “maestri del moderno”: Flaubert, Baudelaire e subito dopo Zola e Verga. Poi, un ulteriore passo determinante nell’introdurre all’epoca modernista viene compiuto anche sul piano filosofico, politico e psicanalitico dall’opera dei tre “maestri del sospetto”: Nietzsche, Marx e Freud. La forma romanzo (per cui anche il romanzo modernista), genere «atmosferico e provinciale» – secondo la definizione di Ortega y Gasset <166 – rientra in quel sistema di generi della letteratura moderna che non ha precedenti nella poetica antica e classicistica, ma anzi si oppone a quest’ultima. Per questo motivo, la teoria della letteratura, per rintracciare una genealogia del romanzo, ha coniato a posteriori le etichette di romanzo greco, romanzo latino e romanzo antico nell’indicare quelle opere, comunque rarissime (vale la pena ricordare le “Etiopiche” di Eliodoro per la letteratura greca, il “Satyricon” di Petronio e le “Metamorfosi” di Apuleio per quella latina), che non rientravano nei canonici contenitori classici dell’epos, della lirica o del teatro. <167 La tripartizione nei generi della narrativa, della lirica e del dramma nasce nel Cinquecento e diventa egemone nella seconda metà del XVIII secolo.
La letteratura moderna non ha precedenti nella continuità che va dalla letteratura greca alla metà del XVIII secolo. Da metà Cinquecento a metà Settecento convivono vecchie e nuove forme, poi le forme nuove attaccano le vecchie dichiarandone l’anacronismo. <168 Fino alla seconda metà del Settecento non era dato per scontato che le storie degli uomini privati e comuni fossero degne di attenzione pubblica e di interesse problematico. <169 Fino all’inizio dell’Ottocento il romanzo moderno cerca di venire a patti con la poetica classicistica, poi fa a meno di fingere questa continuità vacua. Il romanzo mette in discussione la “Stiltrennung”, la suddivisione e la gerarchia degli stili, specialmente sulla base del rapporto che si instaura tra materia narrativa e la classe sociale rappresentata. Il romanzo rompe il decorum, ovvero la corrispondenza fra stile e argomento. <170 Per questa ragione, spesso nei primi romanzi, quelli sei-settecenteschi, si trovano alcune excusationes, in particolar modo negli incipit e nelle prefazioni delle narrazioni”. <171
Con l’inizio dell’Ottocento il romanzo si afferma definitivamente come il genere principe della modernità (Vargas Llosa e Claudio Magris hanno posto l’accento sull’insita corrispondenza biunivoca tra romanzo e mondo moderno) <172, quello che meglio la rappresenta e che anzi costituisce – secondo la definizione hegeliana – la «moderna epopea borghese», in una realtà ormai «ordinata a prosa»:
“In modo interamente diverso stanno invece le cose nei riguardi del romanzo, la moderna epopea borghese. Qui ricompare da un lato la ricchezza e la multilateralità degli interessi, delle condizioni, dei caratteri, dei rapporti di vita, il vasto sfondo di un mondo totale ed insieme la manifestazione [Darstellung] epica di avvenimenti. Quel che manca è però la condizione del mondo [Weltzustand] originariamente poetica da cui si origina l’epos vero e proprio. Il romanzo nel senso moderno presuppone una realtà già ordinata a prosa, sul cui terreno stesso, nella propria cerchia e riguardo sia alla vivacità degli avvenimenti che agli individui e al loro destino, cerca di ridare alla poesia, nei limiti in cui ciò è possibile con i presupposti dati, il diritto da lei perduto”. <173
Dunque, il romanzo è il genere che tenta, nel mondo moderno disertato dagli dei e abitato dai demoni, di ricomporre asintoticamente quella totalità perduta, consentita nella civiltà classica dalla consonanza tra l’io e il mondo: “Il romanzo è l’epopea di un’epoca nella quale la totalità estensiva della vita cessa di offrirsi alla percezione sensibile [nicht mehr sinnfällig ist] e la viva immanenza del senso [die Lebensimmanenz des Sinnes] diventa problematica; un’epoca in cui, tuttavia, persiste la disposizione emotiva [Gesinnung] alla totalità”. <174
Con l’abbrivio del XX secolo l’arte perde la sua ovvietà: <175 il definitivo crollo dell’antico e della poetica classicista coincide con la nascita del feticcio estetico della novità. Così, l’idea che il rinnovamento delle arti sia un dovere dello scrittore diventa il topos del XIX e del XX secolo e trascina con sé il principio dell’obsolescenza: l’artista del presente deve usare l’arte per la sua generazione senza riusare l’arte passata, propria della tradizione. Infatti, Ezra Pound sosteneva che «no good poetry is ever written in a manner twenty years old» <176, sbandierando il principio del Make it new. Il romanzo modernista nasce dunque nel clima di decenni, i primi del Novecento, dominati dal culto del nuovo, e la cultura stessa del modernismo ha fiducia nel fatto che esistano regioni letterarie inesplorate, cose mai scritte prima. Scrittori come Joyce, Woolf, T. S. Eliot, Proust sono, infatti, innovatori radicali. <177 Invece, negli ultimi decenni il mito della modernità ha perso charm. Il racconto postmoderno è il racconto della fine della modernità in cui l’innovazione letteraria non è più un valore decisivo. Nell’arte questo processo è ancor più radicale: è ormai tale l’assuefazione all’oltranza, alla trasgressione artistica, che ogni avanguardia è depotenziata, ha perso il potere di creare nel fruitore d’arte l’effetto di shock. Faulkner e Auden, se paragonati a Joyce ed Eliot, sono meno innovatori, si comportano come chi viene dopo il grande maestro sperimentatore, come in arte accade con Pontormo rispetto a Michelangelo. <178
[NOTE]
162 E. Auerbach, Mimesis, cit.; e cfr.: R. Castellana, La teoria letteraria di Erich Auerbach: un’introduzione a ‘Mimesis’, cit; G. Mazzoni, Auerbach: Una filosofia della storia, in «Allegoria», n. 56, 2007, pp. 80-101;
163 F. Bertoni, Realismo e letteratura, cit.; G. Mazzoni, Teoria del romanzo, cit., in part. pp. 307-10; R. Luperini, L’incontro e il caso: narrazioni moderne e destino dell’uomo occidentale, cit.
164 G. Debenedetti, Il romanzo del Novecento, cit.
165 E. R. Curtius in Letteratura moderna e Medio Evo latino (cit.) ha più volte riflettuto sulla frattura culturale che nella letteratura moderna disturba il risveglio dell’antico.
166 J. Ortega y Gasset, Meditaciones del Quijote, cit.; e Id., Ideas sobre la novela, cit., p. 194.
167 Cfr. M. Bachtin, Epos e romanzo, cit., pp. 445-82; Id., Le forme del tempo e del cronotopo nel romanzo, in Id. Estetica e romanzo, cit., pp. 231-405; G. Lukacs, Teoria del romanzo, cit., pp. 49-85; M. Fusillo, Fra epica e romanzo, cit., vol. II., pp. 5-34; T. Adorno, Sull’ingenuità epica, cit., pp. 31-37; Id. Teoria estetica, cit., pp. 200ss.
168 I concetti che qui riassumo in modo drastico sono costantemente ribaditi nella filosofia della storia del realismo tracciata in Mimesis, in cui metodo prevedeva di disseminare le riflessioni teorico-critiche in ogni capitolo intercalandole alla analisi filologica del testo-campione. R. Luperini, Metodo e utopia in ‘Mimesis’, in «Moderna», XI, n. 1, 2009, pp. 53-63. Cfr. R. Castellana, Sul metodo di Auerbach, cit. Questi processi di lunga durata sono lucidamente esposti con sistematicità nella recente Teoria del romanzo di Guido Mazzoni (Teoria del romanzo, cit., pp. 80-105) e in F. Bertoni, Realismo e letteratura, cit.
169 Cfr. G. Mazzoni, Teoria del romanzo, cit., pp. 162-64, 173-75 e 177-90; F. Bertoni, Realismo e letteratura, cit., pp. 155-65.
170 Cfr. ivi, pp. 196-205.
171 J. Herman – M. Kozul, Il romanzo legittimato, o la retorica della prefazione, in Il romanzo, a cura di Franco Moretti, cit., vol. IV, pp. 133-53. E cfr. G. Mazzoni, Teoria del romanzo, cit., pp. 137-44.
172 M. Vargas Llosa, È pensabile il mondo moderno senza il romanzo?, in Il romanzo, cit., vol. I, pp. 3-17; C. Magris, È pensabile il romanzo senza il mondo moderno?, in Il romanzo, cit., vol. I, pp. 869-881.
173 G. W. F. Hegel, Estetica, cit., vol. II, p. 1223.
174 G. Lukacs, Teoria del romanzo, cit., p. 49.
175 T. Adorno, Teoria estetica, cit., p. 3.
176 E. Pound, A Retrospect (1913-18), in Id., Literary Essays of Ezra Pound, Westport, Greenwood Press, 1979, p. 11.
177 Questa è un’interpretazione largamente condivisa dai critici del modernismo e dalle storie letterarie che ne derivano.
178 Per queste brevi osservazioni sul rapporto tra modernismo e postmodernismo, rimando agli studi sul postmoderno citati in precedenza (supra, pp. 31-33), oltre che a G. Mazzoni, Teoria del romanzo, cit., pp. 355-59.
Maurizio Capone, Giuseppe Antonio Borgese, Rubè e il modernismo. Il romanzo modernista, la poetica del romanzo in Borgese critico e le emersioni moderniste di Rubè, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, Anno accademico 2018/2019

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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