Il tortuoso cammino dell’esordio di Beppe Fenoglio

Il primo riscontro ufficiale del rapporto di Fenoglio con Einaudi è la lettera che gli scrive Italo Calvino, in data 2 novembre 1950, nella quale viene espresso un giudizio sulla ‘Paga del sabato’ decisamente favorevole: “Sai centrare situazioni psicologiche particolarissime con una sicurezza che davvero mi sembra rara. (…) Hai coraggio, hai idee chiare su quello che fa e che pensa la gente, e lo dici. (…) Non ultimo merito è quello di documento della storia di una generazione; l’aver parlato per la prima volta con rigorosa chiarezza del problema morale di tanti giovani ex-partigiani. Tu non dai giudizi espliciti, ma, come dev’essere, la morale è tutta implicita nel racconto, ed è quanto io credo debba fare lo scrittore”. <26
Non mancano le riserve, che vanno in due direzioni: da una parte Calvino accenna, riguardo alle scene fra Ettore e Vanda, a “cose che urtano il gusto -specie nelle scene amorose”; dall’altra critica le “storie di banditi”, dietro cui a suo dire ci sarebbe “molto di già scritto, molto cinematografo”.
Calvino conclude dicendo che non può ancora prendere impegni precisi per la pubblicazione, perché per questo si renderanno necessari la lettura e il pronunciamento di altre persone. Ma promette di dare risposta a breve e incoraggia Fenoglio, che accoglie la lettera in modo senz’altro positivo. Nella sua risposta del 10 novembre 1950 infatti definisce il giudizio di Calvino “centrato, sincero ed… energetico”, e come già annotato fa cenno al fatto che sta “rifinendo, per raccoglierli poi in volume, una quindicina di racconti: racconti di partigiani e di preti, di mendichi, di paesani e di reduci, di suicidi e di piccoli pittori”, e si dichiara intenzionato a farli avere a Einaudi una volta terminati. <27
Le “altre persone” che dovranno vagliare il testo di Fenoglio sono Natalia Ginzburg, a sua volta redattrice presso la Einaudi, ed Elio Vittorini, consulente della casa editrice torinese, che vive e lavora a Milano, ma che ha avuto dalla Einaudi l’incarico di curare la collana di nuovi narratori italiani, che prenderà forma dei “Gettoni” all’inizio del 1951. Quanto alla quindicina di racconti cui fa riferimento Fenoglio, si tratta evidentemente di una raccolta che si è molto arricchita, nel numero e nella varietà di temi, rispetto al nucleo originale dei ‘Racconti della guerra civile’, e i brevi cenni rimandano a taluni racconti “civili” che usciranno nei ‘Ventitré giorni’, e ad altri di cui si perderanno le tracce.
Prima ancora di ricevere risposta da Fenoglio, l’8 novembre Calvino invia a Vittorini ‘La paga del sabato’, che nel frattempo ha ottenuto l’approvazione anche della Ginzburg. Nella lettera di accompagnamento ribadisce i vivi apprezzamenti espressi nella lettera che ha appena scritto all’autore, auspicando che possa essere ritenuto adatto a entrare nella nascente collana. Ribadisce anche taluni presunti limiti del testo, ora accentuando e ora attenuando i termini e i toni usati con Fenoglio, ma nell’insieme, come pure nella conclusione, si pronuncia di nuovo in modo decisamente favorevole: “Caro Elio, ti mando il manoscritto de ‘La paga del sabato’, di un certo Beppe Fenoglio di Alba. Natalia ed io l’abbiamo letto con molto piacere. E’ un libro che ha molti difetti di lingua e di gusto (in certi punti rasenta la pornografia); ma tutti difetti locali, eliminabili con poche correzioni. E ne salta fuori un robusto narratore, fuori da ogni compiacimento letterario, con un sacco di cose da dire. Ci sono certi litigi con la madre, certi desinari in famiglia, tante cose di rapporti familiari o amorosi o umani, che davvero mi sembrano molto belle. L’argomento era molto difficile da trattare: ex partigiani che diventano banditi; e lui spiega tutto coi fatti, con una moralità tutta implicita; quando non è alle prese con una situazione psicologica, fa del cinema, ma del buon cinema, credo di quello che tu definisci ‘secco’. Insomma spero che ti piaccia e che vada bene per la tua collana, perché – benché possa essere considerato un ‘neorealista’ di stretta osservanza – non rifà il verso a nessuno e dice delle cose nuove”. <28
Vittorini, secondo quanto si ricava dall’Archivio Einaudi, riceve il manoscritto il 9 novembre, e il 27 novembre risponde a Calvino quanto segue: “Caro Calvino, l’ultima parte del Fenoglio mi persuade meno. Diventa film sempre di più, e non sa più essere altro che film. La fine poi non è resa necessaria da niente che sia nella situazione o nei caratteri. Che dobbiamo fare? Se non ci fossero i primi capitoli, e soprattutto il rapporto teso fra madre e figlio, direi di non farne niente. Ne parleremo il 6 dicembre, spero anche con Natalia che ancora non ho sentito direttamente”. <29
Ne consegue la decisione di organizzare un incontro a Torino, a cui dovranno partecipare Calvino, Vittorini e la Ginzburg, ed è quest’ultima a darne notizia a Fenoglio con una lettera del 15 dicembre. L’incontro viene poi caldeggiato dallo stesso Giulio Einaudi in una lettera inviata a Vittorini il 19 dicembre 1950. E nell’incontro, fissato per il 3 gennaio e poi slittato al 4 gennaio, dopo una discussione su ‘La paga del sabato’ che per Fenoglio deve risultare piuttosto onerosa, questi consegna i racconti di cui aveva parlato a Calvino nella lettera del 10 novembre. A questo punto è però Calvino a non essere convinto dei racconti, e infatti il 31 gennaio scrive a Vittorini di averli letti ma di non avervi trovato materia per un libro, e di essere invece più convinto del romanzo. I racconti vengono di conseguenza accantonati, in attesa di una nuova versione del romanzo che Fenoglio ha promesso a breve termine, per andare incontro alle critiche che Vittorini gli ha mosso nell’incontro del 4 gennaio. Fenoglio infatti sembra ora già pronto a riconoscere nel romanzo quei limiti che Calvino prima e Vittorini poi gli hanno segnalato. Già nella lettera inviata a Calvino, a proposito delle riserve da questi espresse scrive: “Il Suo giudizio concorda pressoché in ogni punto con la mia purtroppo tardiva autocritica: è tragico, benché umano, che degli errori, piccoli o grandi che siano, ci si accorga sempre tardi, un minuto o una vita troppo tardi”. <30
E in una successiva lettera del 3 febbraio 1951, dopo essersi scusato per il ritardo con il quale sta procedendo alla revisione del romanzo, aggiunge: “Mi pare di avere abbastanza rinforzato e sostanziato i due ultimi capitoli che erano certamente i più deboli: vi ho aggiunto un episodio per ognuno dei due capitoli. E mi pare anche di essere riuscito ad eliminare in parte quel che di ‘ovvio’ che lamentava il Sig. Vittorini”. <31
Il 14 febbraio Fenoglio invia a Calvino ‘La paga del sabato’ nella nuova stesura, che sarà poi l’ultima, corrispondente a quella che uscirà postuma nel 1969. Calvino gli risponde il 6 marzo, e nella lettera scrive fra l’altro: “Ho letto ‘La paga del sabato’ nella nuova stesura e l’ho mandata a Vittorini. L’aggiunta del pranzo è buona, così, così quell’altra. I tagli negli altri capitoli potevano forse essere migliori, ma su quelli è facile mettersi d’accordo. Ho letto i racconti. Dei partigiani mi piace moltissimo ‘I ventitré giorni della città di Alba’, moltissimo. Anche gli altri son piuttosto buoni, specialmente qualcuno. (…) Non so cosa deciderà Vittorini; a ogni modo, forse non è escluso un volume con ‘La paga del sabato insieme ai racconti più belli’”. <32
Fenoglio risponde immediatamente ribadendo la sua massima disponibilità, ma da quel momento non saprà più nulla dalla Einaudi, vivendo come si può facilmente immaginare un’attesa incresciosa. La sua attività di scrittura, centrale a vitale per lui, a cui dedica tutto il tempo disponibile, continua a essere vista in famiglia e fuori come un vizio improduttivo. Per quanto sia tenace la sua vocazione, nutre un bisogno vitale di una prova che attesti il valore di tanto lavoro. Ma l’orgoglio lo aiuta ad attendere. Da parte sua Vittorini, come attestato dall’Archivio Einaudi, riceve da Calvino la nuova stesura della ‘Paga del sabato’ il 12 maggio, e il 15 giugno gli altri racconti.
Fenoglio lascia passare ben sette mesi prima di decidersi a scrivere di nuovo a Calvino, l’8 settembre 1951, <33 e lo fa appoggiandosi a un pretesto: l’incontro che ha appena avuto ad Alba con un agente della Einaudi, Roberto Cerati, ed è in seguito all’invito di questi che si propone alla casa editrice torinese nella veste di traduttore. Certo è una prospettiva di lavoro che gli interessa, ma con tutta evidenza avanza tale proposta soprattutto per riallacciare i contatti dopo un silenzio che per lui dev’essere diventato assordante. E a riprova dell’orgoglio di cui si è detto, nella lettera non fa alcun cenno alla trattativa sulla pubblicazione dei suoi testi. Calvino però intende, e prima di rispondere sollecita una risposta definitiva da parte di Vittorini, di cui si trova riscontro nel Fondo Fenoglio dell’Archivio Einaudi, con un testo che sebbene non firmato né datato appartiene di certo a lui, e che recita: “I difetti del romanzo mi sembra che risultino confermati nella seconda versione. Il cartonaccio del cinematografo non lo leva più nessuno di lì dentro. L’Arpino ha fatto un capolavoro al confronto col suo romanzo su Genova e tra due della stessa misura io vorrei scegliere il migliore, cioè l’Arpino. Invece i racconti di Fenoglio riletti, mi persuadono più di prima. Proporrei di pubblicare solo un volume di racconti scelti tra guerrieri e borghesi. Si potrebbero chiamare per il filo piemontese che li unisce ‘Racconti barbari’ (e scusatemi se chiamo barbaro il Piemonte, con questo, ma lo è, e il Fenoglio lo sa mostrare). Del resto racconti e romanzo insieme erano un po’ un pasticcio. Fenoglio può trovare un editore facilmente (per il romanzo) dopo la pubblicazione dei racconti nei Gettoni”. <34
Calvino risponde a Fenoglio in data 26 settembre, con una lettera editoriale in cui accoglie con favore il suo proporsi come traduttore. Poi è lui a sollevare la questione del libro, al cui proposito scrive: “Vittorini s’è sempre più deciso che nel romanzo c’è troppo cinematografo, e vuol fare solo i racconti, pensando che per il romanzo troverai di sicuro un altro editore. Io non sono del suo parere perché come sai il romanzo mi piace, ma la collana la dirige lui e pubblica solo cose che lui si sente di difendere fino in fondo”. <35
Quindi Calvino riporta testualmente i passi principali scritti da Vittorini, e conclude dicendo che sarà a questo punto opportuno che questi e Fenoglio si incontrino nuovamente di persona per discutere e decidere. In data 30 settembre arriva la risposta di Fenoglio, che come vedremo si presta a vari interrogativi: “Caro Calvino, mi ha fatto piacere ricevere la tua del giorno 26. Non vorrei far torto a te ed anche alla Sig.ra Ginzburg che avete sempre difeso il mio romanzo, ma non ha forse ragione, in fondo, il Sig. Vittorini? Non so se ricordi, ma nella prima lettera che ti inviai, io sostenevo l’opportunità di pubblicare, se pubblicar si doveva, i racconti anziché il romanzo, perché evidentemente i primi sono meno attaccabili di quest’ultimo in sede critica. Dispiace anche a me sacrificare il mio romanzo, ma, specie se guardo al futuro, non posso non condividere la tesi del direttore de ‘I Gettoni’. ‘La paga del sabato’ è il frutto, piuttosto difettoso anche se magari interessante, di una mia cotta neoverista che ho ormai superata. Il nuovo romanzo al quale sto attivamente lavorando è, e per stile e per ispirazione, la discendenza ideale dei miei racconti. La pubblicazione di questi altro non farebbe che aprire la strada a questo romanzo, e vedi anche tu quanto ciò giovi all’unità del mio scrivere e come mi eviti di figurare come tanti che cambiano scuola ad ogni romanzo che metton fuori (Coccioli, per fare un nome). Per quanta facoltà di decisione sta in me, sono dunque approvati i ‘Racconti Barbari’: il titolo mi va. Ho ritoccato il racconto ‘Il Trucco’ che desidererei veder incluso nei ‘Barbari’: te ne allego la nuova stesura e Voi sceglierete tra questa e quella che è nel volume in vostre mani. Non intendo presentare ‘La paga del sabato’ ad alcun altro editore, farò un lungo e solido racconto intitolato ‘Ettore va al lavoro’ col meglio dei primi tre capitoli de ‘La paga del sabato’. Quest’idea in me non è nuova e per la fine dell’entrante settimana il racconto sarà pronto”. <36
E conclude la lettera indicando i titoli dei racconti che potrebbero comporre il volume e la loro successione, mentre il “nuovo romanzo” a cui fa riferimento è ‘La malora’.
Nel successivo scambio di lettere fra Fenoglio e Calvino, fra l’ottobre del 1951 e i primi giorni del 1952, il volume di racconti prende la sua forma definitiva, con l’aggiunta del già annunciato racconto ‘Ettore va al lavoro’, tratto da ‘La paga del sabato’, quindi con la sostituzione del racconto ‘Nella valle di San Benedetto’ con ‘Gli inizi del partigiano Raoul’. Motivo più evidente dell’esclusione del racconto è la sua diversità dagli altri, ispirato com’è a una vicenda autobiografica e unico a essere scritto in prima persona. Sappiamo come in quel periodo Fenoglio guardasse con scarso interesse alle narrazioni dell’esperienza partigiana che erano state pubblicate a profusione negli anni del dopoguerra, poste in chiave memorialistica o di resoconto diaristico e segnate da un accentuato autobiografismo. Entra poi a far parte della raccolta il racconto ‘Nove lune’, che su consiglio di Vittorini Fenoglio ricava dal sesto capitolo della ‘Paga del sabato’, mentre continua a inviare a Einaudi nuove redazioni di altri testi già acquisiti, come si può ben arguire dalla lettera inviata a Calvino il 2 gennaio 1952. <37
Calvino ha ancora un appunto da fare riguardo ai due racconti tratti dal romanzo, riferiti a certi aspetti scabrosi sui quali si era già espresso negativamente in precedenza, e scrive: “In ‘Nove lune’ io toglierei nella prima pagina la rievocazione dell’incontro in cui è successo il fattaccio, perché tanto come succede quando nasce un bambino lo sappiamo tutti… (…) Un’osservazione simile vorrei farti per ‘Ettore va al lavoro’. Lì è tutto l’episodio d’amore che salterei a piè pari (tu sai che non c’è mai piaciuto)”. <38
Fenoglio accetta apparentemente di buon grado i tagli, ma poi si prende una sorta di rivincita con l’aggiunta, in extremis, del breve racconto langhigiano ‘Quell’antica ragazza’, incentrato sulla inquieta e torbida scoperta del sesso dei giovani di un paese, con una ragazza venuta dalla città.
L’ultima querelle, quando il volume è ormai in dirittura d’arrivo, riguarda il titolo. Il 5 maggio 1952 Fenoglio riceve copia del contratto di edizione, in cui è ancora riportato il titolo: ‘Racconti barbari’, ma con le bozze già in tipografia interviene Giulio Einaudi che non è convinto e propone invece ‘I ventitré giorni della città di Alba’. Fenoglio ne rimane non poco contrariato, tant’è che dopo aver ricevuto la notizia dalla Ginzburg il 19 maggio, non risponde, e solo il 3 giugno, a una successiva lettera di sollecito di questa, si decide a inviare un telegramma, che recita: “Preferisco barbari ALT comunque rimettovi decisione definitiva”. <39
Il volume viene quindi stampato senza che l’autore abbia chiaro con quale titolo, finché il 26 giugno Giulio Einaudi in persona comunica a Fenoglio che gli sono state inviate in omaggio dieci copie del suo libro ‘I ventitré giorni della città di Alba’. La svolta finale viene accolta con sorpresa anche da Vittorini, che ha già redatto il consueto risvolto di copertina, connotato da riferimenti a un titolo che non c’è più, in cui si legge fra l’altro: “Fenoglio della sua provincia sa cogliere più ancora che un paesaggio naturale, un paesaggio morale, il piglio in cui s’articolano i rapporti umani, un gusto ‘barbarico’ che persiste come gusto di vita non solo nel costume del retroterra piemontese. Ed è questo sapore ‘barbaro’ a caratterizzare i racconti che ora presentiamo, rievocanti episodi partigiani o l’inquietudine dei giovani del dopoguerra. Sono racconti pieni di atti, con una evidenza cinematografica, con una penetrazione psicologica tutta oggettiva e rivelano un temperamento di narratore crudo ma senza ostentazione, senza compiacenze di stile ma asciutto ed esatto”. <40
E mi pare degno di nota il fatto che, sebbene stavolta in chiave non negativa, Vittorini abbia voluto che il riferimento al cinematografo anche qui non mancasse. Il volume contiene, nella sua versione definitiva, i racconti:
I ventitré giorni della città di Alba
L’andata
Il trucco
Gli inizi del partigiano Raoul
Vecchio Blister
Un altro muro
Ettore va al lavoro
Quell’antica ragazza
L’acqua verde
Nove lune
L’odore della morte
Pioggia e la sposa
.
Viene stampato con una tiratura di 1750 copie, come “Gettone” n. 11, preceduto da ‘Sei stato felice, Giovanni’ di Giovanni Arpino, e seguito da ‘Diario di un soldato semplice’ di Raul Lunardi. Uscirà poi in successive edizioni: nei “Coralli” Einaudi nel ’63, nella collana “Il Bosco” di Mondadori nel ’64, di nuovo da Einaudi nel 1970, negli “Oscar Mondadori” nel 1970, nei “Nuovi Coralli” Einaudi nel 1975, sempre insieme a ‘La malora’. Quindi nel 1986, insieme a ‘Una questione privata’, nei “Tascabili” Einaudi, con successive riedizioni e ristampe, comprese quelle legate a iniziative editoriali di quotidiani (ad esempio come allegato al quotidiano “La Stampa”, nel 2005).
[NOTE]
26 in Italo Calvino, Lettere. 1940-1985, a cura di L. Baranelli, Mondadori, Milano, 2000, p. 311-312
27 in Beppe Fenoglio, Lettere 1940-1962, op cit p. 22-23
28 I. Calvino, Lettere 1940-1985, op cit p. 313-314
29 In Elio Vittorini, Gli anni del Politecnico, Lettere 1945-1951, a cura di Carlo Minoia, Einaudi, Torino, 1977
30 Lettera del 10 novembre 1950, in Beppe Fenoglio Lettere 1940-1962 p. 22
31 In Beppe Fenoglio, Lettere 1940-1962, op cit p. 27
32 in Italo Calvino, Lettere 1940-1985, op cit p. 317
33 in Beppe Fenoglio, Lettere 1940-1962, op cit p. 31
34 riportato in Beppe Fenoglio, Lettere 1940-1962, op cit p.36
35 in Italo Calvino, Lettere 1940-1985, op cit, p. 317
36 in Beppe Fenoglio, Lettere 1940-1962, op cit p. 35-36
37 ivi pp.44-45
38 Non presente in Italo Calvino, Lettere 1940-1985, op cit; riportata in Beppe Fenoglio, ‘Lettere 1940-1962’, op. cit., p. 46-47
39 ivi p. 55
40 Risvolto al volume di Beppe Fenoglio ‘I ventitré giorni della città di Alba’, Einaudi, Torino, 1952
Alessandro Tamburini, L’uomo al muro. La visione della guerra nei “Ventitré giorni della città di Alba” di Beppe Fenoglio, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Trento, 2014

Beppe Fenoglio per lungo tempo si reputò inadeguato al romanzo e condannato alla forma breve: “molto probabilmente non posseggo ancora, se mai lo possiederò, il fondo del romanziere. Non conosco ancora le 4 marce, per esprimermi con termine automobilistico” <141, scriveva in una lettera a Elio Vittorini (9 giugno 1953). Questo lo si può comprendere se pensiamo che Fenoglio aveva dovuto smembrare ‘La paga del sabato’ (unico romanzo presentato ad Einaudi a quella data) per trarne dei racconti, pratica che diverrà consueta negli anni seguenti, infatti continuerà a prelevare singoli capitoli da libri già compiuti o semi-compiuti per ricavarne delle prose di misura più contenuta e adatte ad una circolazione indipendente, magari su rivista.
Certo il rapporto tra romanzo e racconto non si riduce solo alla dialettica tra lungo e breve, ma vi sono delle tecniche specifiche che coinvolgono un genere e non l’altro. Fenoglio purtroppo non ci ha lasciato riflessioni teoriche, ma sembra che una delle sue maggiori difficoltà riguardasse la fine dei romanzi: non sapeva mai come chiudere le sue storie. E’ possibile riscontrarlo nelle varie stesure delle sue opere (compiute e incompiute): si trovava infatti sempre di fronte alla stessa incertezza, al problema di finali che dovevano essere corretti artisticamente ma anche eticamente (altrimenti avrebbe tradito il senso dell’esperienza partigiana). Allora di fronte a queste indecisioni, le varie redazioni delle sue opere sembrano testimoniare un’evoluzione molto simile: dopo aver previsto un finale positivo, l’autore si convinceva che qualsiasi conclusione che non prevedesse la morte del protagonista fosse inadeguata. <142
Fenoglio appare quindi dedito alla forma breve quasi per forza; ma ai racconti si legherà anche la fama (non molta a dir la verità) avuta in vita, e proprio a questi dedicherà alcuni dei suoi ultimi pensieri prima di morire (diede infatti disposizioni su come organizzare una raccolta complessiva). Insomma, vediamo un rapporto particolare con questo genere.
Nonostante i racconti siano stati così importanti nella sua vita dobbiamo però segnalare che oggi l’attenzione dei critici è rivolta soprattutto ai romanzi postumi, mentre la forma breve viene generalmente solo sfiorata in quanto anticipazione dei grandi capolavori. <143 In questa sede ci concentreremo allora soprattutto sul racconto, senza dimenticare però di tratteggiare le caratteristiche principali dei romanzi di argomento resistenziale.
Per quanto riguarda i dati biografici, così Fenoglio stesso rispondeva a Calvino che gli chiedeva qualche riga di presentazione da inserire nel risvolto di copertina del suo primo libro, ‘I ventitre giorni della città di Alba’: “Circa i dati biografici, è dettaglio che posso sbrigare in un baleno. Nato trent’anni fa ad Alba (1° marzo 1922) – studente (Ginnasio-liceo, indi Università, ma naturalmente non mi sono laureato) – soldato nel Regio e poi partigiano: oggi, purtroppo, uno dei procuratori di una nota ditta enologica. Credo che sia tutto qui”. <144
Si tratta di una presentazione decisamente scarna, che però riproporrà molto simile diversi anni dopo, nel 1960, aggiungendo solo qualche riga sul perché scrive: “Scrivo per un’infinità di motivi. Per vocazione, anche per continuare un rapporto che un avvenimento e le convenzioni della vita hanno reso altrimenti impossibile, anche per giustificare i miei sedici anni di studi non coronati in laurea, anche per spirito agonistico, anche per restituirmi sensazioni passate; per un’infinità di ragioni, insomma. Non certo per divertimento. Ci faccio una fatica nera. La più facile delle mie pagine esce spensierata da una decina di penosi rifacimenti. Scrivo “with a deep distrust and a deeper faith”. <145
In queste poche righe, che in fondo rispecchiano l’indole del loro autore, così taciturno, vi sono comunque i momenti fondanti della sua vita: il liceo e la lotta partigiana.
[NOTE]
141 Lettera di Fenoglio a Elio Vittorini, da Alba, 9 giugno 1953, in P. NEGRI SCAGLIONE, Questioni private, Torino, Einaudi, 2006, p. 167.
142 Cfr. G. PEDULLA’, La strada più lunga. Sulle tracce di Beppe Fenoglio, Roma, Donizzelli, 2001.
143 Paradossalmente lo stesso L. BUFANO nel suo saggio Fenoglio e il racconto breve (cit.) si sofferma molto sulla ricostruzione delle vicende editoriali, mentre tralascia ogni analisi dei singoli racconti.
144 Lettera di Fenoglio a Italo Calvino, da Alba, 9 febbraio 1952, in P. NEGRI SCAGLIONE, Questioni private, p. 155-156.
Adele Cavestro, Oralità e temporalità nei racconti della Resistenza, Tesi di Laurea Magistrale, Università degli Studi di Padova, Anno accademico 2017/2018

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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