In Francia, infatti, ancora oggi, Hegel è vivo ed è l’Hegel di Kojève

[…] Hegel segna un passaggio epocale consegnando alla storia del pensiero (e della psicoanalisi lacaniana) l’intuizione fondamentale: la “Begierde” antropogena è strutturalmente destinata al desiderio dell’Altro e alla mediazione dell’alterità.
Sarà il maestro francese della rinascita parigina dell’hegelismo degli anni Trenta del Novecento, ovvero Kojève, a sviluppare fino in fondo questa intuizione antropologica (anticipata dalla cupiditas dell’Etica (1677) dello Spinoza che fece del desiderio l’essenza dell’uomo) consegnandola alla mediazione del futuro psicanalista Jacques Lacan sui banchi dell’École pratique des hautes études, dove il filosofo russo naturalizzato francese a soli trentun’anni si cimentava nell’interpretazione della “Fenomenologia dello Spirito” di Hegel con la genialità di un carisma che avrebbe condizionato i più grandi intellettuali francesi della seconda metà del Novecento riuniti dal 1933 al 1939 <263 attorno ai suoi Seminari.
In Francia, infatti, ancora oggi, Hegel è vivo ed è l’Hegel di Kojève.
La lama tagliente della critica ad Hegel nel segno di un parziale distanziamento dal maestro Kojève <264 e nel nome dell’opacità strutturale del desiderio e dell’illusione del sogno diurno dell’autotrasparente soggetto cartesiano sarà invece quella della spada psicanalitica della rilettura della “Fenomenologia dello Spirito” di Jacques Lacan che ci rivelerà che è proprio il soggetto ad introdurre la divisione nell’individuo. Proprio il Desiderio, infatti, mostra che il soggetto coerente non esiste perché un ricongiungimento interno è inesistente fin dall’origine, come ci è rivelato dallo stadio dello specchio.
Per questo motivo Lacan critica Hegel per aver limitato la sua analisi del desiderio all’autocoscienza senza volerne sapere dell’inconscio, come se vi fosse un’astuzia della ragione in grado di farci credere che sappiamo sempre esattamente quello che desideriamo a discapito dell’opacità strutturale dell’inconscio e quindi, almeno per Lacan, del nostro desiderio.
Commenta lo psicanalista francese:
«La promozione della coscienza come essenziale al soggetto nella sequela storica del cogito cartesiano, per noi è l’ingannevole accentuazione della trasparenza dell’Io in atto a spese dell’opacità del significante che lo determina, e lo scivolamento per cui il Bewusstsein serve a coprire la confusione del Selbst arriva appunto a dimostrare nella Fenomenologia dello spirito, col rigore di Hegel, la ragione del suo errore». <265
Come aveva, infatti, spiegato precedentemente Lacan:
«se restasse qualche cosa di profetico nell’esigenza, in cui si misura il genio di Hegel, della fondamentale identità del particolare coll’universale, è proprio la psicoanalisi ad apportarle il suo paradigma, individuando la struttura in cui questa identità si realizza come disgiungente il soggetto» <266.
Si tratterà allora di passare dalla favola diurna all’interpretazione dei sogni, dei lapsus, dello “zoppicamento” del soggetto e del suo linguaggio, laddove la verità diviene ciò che balbetta.
Il superamento della dialettica bisogno/Desiderio o, in termini hegeliani, Begierde animale/Begierde umana nel nome più alto del desiderio è ciò che permette di accedere al mondo dell’antropologia.
L’appetito onnivoro di una coscienza dalla brama animalesca lascia spazio puntualmente alla stessa insoddisfazione durante il cammino del divorare i suoi oggetti.
Il mondo conoscibile e appetibile dall’autocoscienza in quanto autocoscienza necessita, infatti, del nome dell’Altro.
[…] Fa irruzione nella sua pienezza la dimensione dell’intersoggettività che, allora, hegelianamente, era presente fin dall’inizio e diviene la vera e propria protagonista della Fenomenologia in quanto condizione di possibilità della narrazione stessa del romanzo di formazione della coscienza abitata fin dall’origine dall’alterità, e condizione di possibilità dello stesso svolgimento dello Spirito: “Io che è Noi, Noi che è Io” <269, come scriverà Hegel qualche periodo più avanti in chiusura della prima sezione de “La verità della certezza di se stesso”.
[…] Parafrasando Kojève <274 e tentando una riflessione e un commento generali a questi capitali passaggi hegeliani potremmo dire che questa lotta di puro prestigio è la condizione di possibilità del costituirsi dell’uomo in quanto umano. L’Io per Kojève è strutturalmente Desiderio (cosciente), ma il suo Esser-ci non passa dall’autonomia della posizione, bensì, piuttosto, dal riconoscimento dell’Altro. In questo senso si potrebbe dire che per sperimentare la benedizione della relazione con l’Altro che vede in gioco, anche dal punto di vista epistemologico, la verità della certezza di noi stessi, è necessario accettarne la minaccia o, fuor di analogia, la ferita.
Scrive Kojève:
«Desiderare il Desiderio di un Altro è dunque, desiderare che il valore che io sono e che io “rappresento” sia il valore desiderato da quest’altro: voglio che egli “riconosca” il mio valore come suo valore, voglio che egli mi “riconosca” come valore autonomo.
Detto altrimenti, ogni desiderio umano, antropogeno, generatore dell’autocoscienza, della realtà umana, è, in fin dei conti, funzione del desiderio di riconoscimento. (…) Senza questa lotta a morte di puro prestigio, non ci sarebbero mai stati esseri umani sulla terra. Infatti, l’essere umano si costituisce solo in funzione di un Desiderio che si dirige su un altro Desiderio, cioè- in fin dei conti- di un desiderio di riconoscimento. L’essere umano può dunque costituirsi solo a patto che almeno due di questi Desideri si affrontino. E poiché ciascuno dei due esseri dotati di un tale Desiderio è pronto ad andare fino in fondo nel perseguimento della sua soddisfazione, cioè è pronto a rischiare la vita- e a mettere, di conseguenza, in pericolo quella dell’altro- per farsi “riconoscere” dall’altro, per imporsi all’altro come valore supremo, – il loro scontro non può che essere una lotta a morte. (…) Soltanto in e mediante una tale lotta la realtà umana si genera, si costituisce, si realizza e si rivela a se stessa e agli altri. Essa non si realizza dunque e non si rivela se non come realtà “riconosciuta”. (…)
Perché la realtà umana possa costituirsi come realtà “riconosciuta”, occorre che i due avversari restino in vita dopo la lotta. Ora, questo non è possibile se non a condizione che, in questa lotta, essi si comportino in maniera diversa. Con atti di libertà irriducibili, anzi imprevedibili o “indeducibili”, essi devono costituirsi come ineguali in e mediante questa stessa lotta.
(…) Ecco perché parlare dell’origine dell’Autocoscienza è necessariamente parlare “dell’autonomia e della dipendenza dell’Autocoscienza, della Signoria e della Servitù”» <275.
In questa direzione, allora, anche l’hegeliano circolo dei circoli è dinamicamente abitato dal desiderio che può estrinsecarsi nel luogo del riconoscimento intersoggettivo. Tutto ciò che merita la familiarità con l’umano necessita della mediazione del desiderio che è sempre e solo desiderio di riconoscimento e rende quindi possibile, di nuovo, una più vera circolarità dialettica.
Analoga sorte spetta alle realtà sociali umane e alla storia umana intesa come storia dei “Desideri desiderati” <276.
Lo rottura radicale della dialettica, come dicevamo, avviene invece ad opera dello psicanalista francese, pur debitore di Hegel e kojèviano nella prima fase della sua formulazione teorica su “Desiderio e riconoscimento”.
Per Lacan, infatti, è il soggetto stesso ad introdurre la divisione nell’individuo.
Tale presa di posizione nota come “lo stadio dello specchio” si fonda sulla critica al solipsismo psicanaliticamente mediata dalla teoria freudiana del narcisismo e dell’identificazione ed è filosoficamente vicina alla concezione del soggetto tipica dell’esistenzialismo, nella sua mediazione sartriana in particolare.
Secondo questa teoria il soggetto (bambino) che si trova davanti allo specchio è condannato a rimanere imprigionato in una alienazione immaginaria. Tramite lo specchio, infatti, il soggetto in questione, caratterizzato in verità da un’immagine frammentata, da un corpo di frammenti, proietta fuori di sé il suo miraggio di unità in una immagine speculare che diventerà l’ideale dell’Io strutturalmente impossibile da ri-raggiungere.
Come suggerisce M. Recalcati fornendo un’efficace sintesi del passagio da Hegel a Lacan attraverso Kojève:
«Se lo stadio dello specchio recepisce la lezione hegeliana secondo la quale non si dà umanizzazione della vita se non tramite la risposta- il desiderio- dell’Altro, se esso accoglie la dialettica Servo-Padrone come una sua fonte d’ispirazione fondamentale, introduce altresì un motivo tragico che spezza il circolo dialettico e ci introduce verso una nozione di soggetto più vicina a quella della filosofia dell’esistenza che non a quella della filosofia dialettica. (…) Ciò che infatti rompe irreversibilmente lo schema dialettico del riconoscimento è proprio la sfasatura originaria tra la situazione di “discordia primordiale” in cui si trova il soggetto nel mese successivo alla sua nascita e l’anticipazione (solo immaginaria) di una sua totalizzazione illusoria (…) L’immagine speculare è un’immagine che se per un lato determina il senso dell’identità dell’Io, per un altro lato mette in scena un’alienazione irreversibile, poiché il soggetto non arriverà mai a congiungersi con l’Ideale che lo rappresenta. (…) Questo, abbiamo visto, è il punto di massima distanza di Lacan dallo schema hegeliano del riconoscimento dialettico: lo scarto che separa l’al di qua e l’al di là dello specchio appare come uno scarto inassimilabile, come una sfasatura che nessun movimento (del concetto) potrà mai riassorbire» <277.
Questo punto di non ritorno epocale che, in linea con la filosofia francese contemporanea, sancisce l’interdizione post-moderna del medium, è per Lacan insuperabile, pena l’uscire (impossibile) dall’epoca e dalla cultura.
[NOTE]
263 Cfr., A. Kojève, Introduction à la lecture de Hegel, cit.
264 «Pour Kojève, qui fut mon maître (vraiment le seul)» scrive Lacan sul volume J. Lacan, La Psychanalyse, 1 (Travaux des années 1953-1955), Paris, PUF, 1956, BNF, Réserve des livres rares, Rés Z Kojève.
265 J. Lacan, Scritti, cit., p. 812.
266 Ibi, p. 215.
269 Ph.G. 175, Trad. it., pp. 150-151
274 Cfr. A. Kojève, Introduction à la lecture de Hegel, cit.
275 Ibidem, pp. 21-23.
276 Ibi., p. 20.
277 M. Recalcati, Jacques Lacan. Desiderio, godimento e soggettivazione, cit., pp. 28 e 31.
Claudia Cimmarusti, Dalla relazione: Desiderio e legge nell’opera di Alexandre Kojève, Tesi di dottorato, Università Cattolica del Sacro Cuore, Université Paris I Panthéon-Sorbonne, 2017

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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