In un clima bizzarro e festoso fu discussa e approvata la proposta di scioglimento dei gruppi preesistenti e la loro confluenza nella nuova organizzazione

Fonte: Laboratorio Simondo (laboratoriosimondo.blogspot.com)

A Torino nell’estate del 1962, con una lettera d’invito alla partecipazione, venne annunciata la costituzione del CIRA – Centro di Cooperazione per un Istituto Internazionale di Ricerche Artistiche. La lettera era firmata da un Comitato Direttivo di sei persone, forniva l’indicazione del suo “centro di lavoro”, un locale in zona Lingotto, e quella della Direzione, presso la casa dell’artista e insegnante Piero Simondo. Il CIRA si presentava qui come una cooperativa, autogestita e autofinanziata, dove indipendenza e lavoro di gruppo erano funzionali alla più libera sperimentazione artistica e a una sua efficacia sociale. Fatta circolare fra amici e conoscenti, la lettera si rivolgeva a chiunque volesse partecipare – artisti e non – e poneva al centro delle attività del CIRA i rapporti tra arte e scienza, arte e industria, politica e società, che il Centro voleva affrontare “dal punto di vista particolare delle attività artistiche nelle loro strutture metodiche e metodologiche”, oltre che nella loro “effettiva capacità di rinnovarsi e operare reali trasformazioni radicali”. <5 Due anni più tardi, nell’agosto 1964, l’Internazionale Situazionista, in polemica con Isidore Isou che aveva esposto a marzo all’International Center for Artistic Research di Torino, confuse l’associazione-galleria fondata da Michel Tapié con il CIRA coordinato da Simondo – “exclu de l’IS presque dès l’origine, pour crypto-catholicisme” <6 – che, invece, nello stesso mese aveva aperto la sua prima, e unica, collettiva alla Galleria del falò di Alba. <7 Dalla cooperativa di produzione artistica annunciata nel 1962 alla mostra del 1964, fino al suo scioglimento nel 1967, il progetto del CIRA mutò forma e componenti più volte, mantenendo tuttavia una sua coerenza interna: quella delle aspirazioni e dell’impegno entusiastico del suo principale animatore e teorico, Piero Simondo. Ostracismo e disinteresse dell’IS erano prevedibili: l’avanguardia coordinata dal rivoluzionario Guy Debord e il teorico del CIRA occupavano posizioni diametralmente opposte, anche se in parte scaturite dai medesimi incontri. Già nella lettera del 1962, il testo redatto da Simondo dichiarava da subito il legame del CIRA con le esperienze precedenti la fondazione dell’Internazionale Situazionista: il Mouvement International pour un Bauhaus Imaginiste (MIBI), promosso a metà degli anni Cinquanta dal danese Asger Jorn dopo lo scioglimento di CoBrA; il “Laboratorio Sperimentale” del MIBI ospitato da Pinot Gallizio ad Alba; il “Primo congresso mondiale degli artisti liberi” del 1956 nella stessa cittadina. Che il CIRA fosse stato pensato come un proseguimento, o piuttosto una risposta a quelle esperienze era chiaro, tanto che come prima cosa il Centro si proponeva di raccogliere fondi per la pubblicazione degli atti del Congresso del 1956. Pittore e ceramista ligure, insegnante e filosofo, Simondo aveva seguito una formazione irregolare – divisa fra la passione per l’arte e le scienze e problemi finanziari – tra istituto magistrale e liceo classico, Facoltà di Chimica e Filosofia, con una parentesi all’Accademia Albertina, spostandosi tra la natia Cosio di Arroscia sull’Appennino, Torino e Alba, città della sua compagna e futura moglie Elena Varrone, dove conoscerà il farmacista, chimico e archeologo amatoriale Pinot Gallizio. Qui l’artista ventenne e il cinquantenne Gallizio avevano incominciato a sperimentare con i materiali più disparati, tra cui resine, ceramiche e la tecnica seriale del “monotipo”, che consisteva nell’applicare la pittura su lastre di vetro da usare come matrici per l’impressione su carta. Il loro approccio indipendente e di ricerca collettiva “in laboratorio”, l’opposizione al mercato e la fiducia nell’accessibilità dei linguaggi artistici anche ai non professionisti – per Simondo intrinseca al lavoro dei maestri dell’“antica” Bauhaus Klee e Kandinsky <8 – si trovarono in immediata sintonia con le iniziative di Jorn, che i due incontrarono ad Albisola nel 1955. <9 Nella città ligure l’artista danese era arrivato l’anno precedente, tramite i suoi contatti con gli artisti italiani – in particolare con i “nuclearisti” Enrico Baj e Sergio Dangelo – e aveva organizzato in estate i laboratori del primo “Incontro internazionale della ceramica” <10 del MIBI (tra gli altri, con Karel Appel, Corneille, Éduard Jaguer, Baj, Dangelo, Lucio Fontana, Roberto Matta, Emilio Scanavino, Agenore Fabbri e Franco Garelli). Lo stesso anno, una selezione delle ceramiche prodotte durante l’incontro era stata allestita in una sala laterale della X Triennale, al cui Congresso Internazionale dell’Industrial Design Jorn aveva pubblicamente contestato le teorie funzionaliste di Max Bill e della Hochschule für Gestaltung di Ulm. Lo stesso Movimento Internazionale per un Bauhaus Immaginista era nato dal contrasto con le teorie di Bill: al razionalismo della “buona forma” e alla formazione di talenti individuali, Jorn opponeva una “libera metodologia artistica”. Un apparente paradosso – tipico di Jorn – che, come chiarisce la storica dell’arte Karen Kurczynski, era intrinseco alla stessa pratica dialogica dell’artista, da lei definita un’“espressione singolare-collettiva”. <11 Nella metodologia degli artisti liberi, “amateur professionisti” secondo Jorn, era infatti necessario un contesto di lavoro ed esperienza collettivo perché da questo si potesse poi sviluppare l’espressione individuale. Non si trattava tuttavia di uno sviluppo armonioso: il messaggio di emancipazione sociale di Jorn abbracciava piuttosto la contraddizione e l’errore, secondo un approccio sperimentale che si dichiarava erede dei propositi dell’Arts and Crafts di William Morris, abbandonando però ogni anelito morale e spirituale. In quest’atmosfera di libera comunità, ma non necessariamente stretta collaborazione, si attuò il secondo “Incontro della ceramica” del 1955, questa volta trasferitosi ad Alba dopo l’incontro con Simondo e Gallizio. Oltre agli artisti presenti nel 1954 ad Albisola e a nuovi arrivati, come Constant, Pierre Alechinsky, Christian Dotremont, Wifredo Lam, Ettore Sottsass e il musicista Walter Olmo, fu invitato anche un gruppo di bambini che insieme alla famiglia di Jorn decorò decine di piatti. <12 Qui nacque il Laboratorio Sperimentale di Alba del MIBI, il cui manifesto fu pubblicato sulla rivista “Eristica” nel 1956 e i cui componenti si riunirono nello stesso anno con altri simpatizzanti italiani ed europei del Bauhaus Imaginiste e con la francese Internazionale Letterista, di cui faceva parte Debord, rappresentata ad Alba dal poeta e artista Gil J. Wolman in quel “Primo congresso mondiale degli artisti liberi” che pose le basi per la formazione dell’Internazionale Situazionista. Dalla creazione del Laboratorio ad Alba alla fondazione dell’IS, non trascorsero neanche due anni. <13 Simondo, in primo piano nella creazione del Laboratorio, fu immediatamente in disaccordo con le tesi e le conseguenze del “Rapport sur la construction des situations et sur les conditions de l’organisation et de l’action de la tendance situationniste internationale” presentato da Debord a Cosio nell’estate del 1957; nei mesi seguenti si ruppero i rapporti tra i due e la seconda conferenza dell’IS del gennaio 1958 sancì la sua esclusione dal movimento, insieme a quella di Elena Varrone e di Walter Olmo. <14 Comprendere il disaccordo tra i due giovani intellettuali è utile per chiarire i propositi che animeranno l’esperienza del CIRA negli anni Sessanta. Cosa fosse per Simondo il Laboratorio Sperimentale di Alba è riassunto nello stesso numero della rivista “Eristica” che ne annuncia l’apertura. Insieme alle linee programmatiche del MIBI, a un articolo di Jorn e uno della Varrone, furono qui pubblicati due testi dell’artista: un lungo articolo intitolato , e un trafiletto finale dedicato a “METODOLOGIA metodica – metodografia”. <15 L’articolo di Simondo discuteva l’utilizzo del concetto di “struttura” da parte dell’estetica e della critica d’arte e delle discipline tecnico-scientifiche, proponendone un nuovo uso in funzione della futura definizione di una “teoria generale delle attività figurative” (Kunsttheorie), che chiamò utilizzo “metodologico-operativo”. Per l’artista, l’estetica si avvaleva del concetto di “struttura figurativa” per operare un giudizio di valore – ne faceva cioè un uso “prescrittivo”, “morale, e non creativo” -; le scienze, in cui incluse l’architettura, ne facevano invece un utilizzo “descrittivo” per individuare le caratteristiche del prodotto finale di un processo, per esempio un’architettura dalla “struttura inorganica” (razionalismo) o “organica”.
Seppure utile, questo impiego era per Simondo limitante; propose quindi per il concetto di “struttura” un modo d’uso metodologico, che definì come “strumentale” (intenzionale) e “tecnico”. Si trattava di “uno schema mentale”: “[…] uno strumento figurativo linguistico, che permetta di definire la DIREZIONE E LO SCOPO di una operazione e nello stesso tempo, di controllare le fasi successive di produzione fino all’evento finale, l’opera compiuta – come risultato provvisorio di un impianto produttivo sperimentale”. <16
Ancora di argomento metodologico era il trafiletto finale a firma di Simondo, che spiegava l’intitolazione della rivista: l’eristica degli antichi sofisti adottata come simbolo di un metodo sperimentale anti-idealista per eccellenza, un’“arte delle ipotesi di lavoro” <17 aperta a ogni possibilità, antagonista a qualsiasi forma di conoscenza unilaterale.
Assiduo frequentatore dei corsi universitari del filosofo Nicola Abbagnano, fondatore del Centro studi metodologici di Torino, con cui discuterà la sua tesi, <18 Simondo era attratto tanto dal pragmatismo quanto dalle posizioni anti-idealiste del “neoillumista” italiano, che unì in modo originale alle istanze degli “artisti liberi” del Bauhaus Imaginiste. Si può dire che per Simondo, il ruolo dell’artista negli anni dell’industrializzazione, della “crisi delle avanguardie” <19 – ma anche della repressione della Rivoluzione ungherese da parte dell’URSS -, non poteva essere quello politico del “rivoluzionario”, piuttosto quello del “metodologo”. Una figura che tentava di unire la prassi interrogativa del metodo scientifico a quella creativa dell’arte per verificarne tutte le possibilità; proponendosi così, in questa sospensione “in laboratorio”, di garantire la libertà del lavoro creativo da qualsiasi strumentalizzazione esterna – mercantile, di giudizio estetico o ideologico. <20
Nulla di più lontano dalle convinzioni e proposizioni di Debord, che nell’autunno del 1957, rigettando in una comunicazione interna una proposta di articolo inviata da Olmo, criticò ferocemente la tendenza emersa nella sezione italiana dell’IS, che chiamò “l’italo-expérimentalisme”. <21 Pur partendo da simili aneliti radicali, l’avanguardismo internazionale del francese e l’empirismo libertario di Simondo non potevano convivere. <22
I due ruppero i rapporti, tacciandosi a vicenda di “idealismo”: una fede “religiosa” nell’applicazione acritica e “salvifica” del metodo scientifico per Debord; <23 un attaccamento a posizioni “rivoluzionare” di carattere “angusto e sostanzialmente conservatore”, basate sulla nozione di un impossibile “sorpasso”, per Simondo. <24
Soprattutto, l’artista ligure disapprovò la sostituzione dell’idea iniziale di un “laboratorio di artisti liberi” con quella di un movimento internazionale rigidamente organizzato.
Tornato dal 1959 con la moglie a Torino, colse quindi una nuova occasione per proseguire, e sviluppare ulteriormente, l’esperienza del Laboratorio Sperimentale. Questa si presentò con la richiesta di alcune persone estranee all’ambito dell’arte, tra cui alcuni operai FIAT, di formare e coordinare un gruppo che si dedicasse ad attività artistiche al di fuori degli orari di lavoro. <25
Tra la primavera e l’estate del 1962 fu quindi costituito il CIRA, che riprendeva inizialmente l’impostazione del Laboratorio Sperimentale del MIBI come descritta in “Eristica” nel 1956, aggiungendovi tuttavia un importante nuovo fattore: la partecipazione di “nuove energie” <26 di differente provenienza sociale ed
estranee al discorso dell’arte.
[NOTE]
5 Dattiloscritto di presentazione del CIRA, Torino 1962, APS.
6 Le mois les plus long (février 63 – juillet 64), “Internationale Situationniste” 9, agosto 1964, p. 35.
7 CIRA, Alba, Galleria del falò, bollettino n. 3, 1964, stampato in occasione della mostra presso la galleria (14 – 28 marzo 1964); Alla Galleria del falò espone il gruppo CIRA Centro di Cooperazione per un Istituto di Ricerche Artistiche. Alba, 14-31 marzo 1964, depliant, 1964, APS.
8 P. Simondo, Paul Klee attraverso i diari e la teoria della forma e della figurazione, appunti dattiloscritti per una lezione al CIRA [1963?], APS. Interessato alle esperienze pedagogiche della prima Bauhaus, Simondo legge e commenta, presumibilmente negli anni del CIRA, il libro di Argan a riguardo (Einaudi 1951), si ringrazia Luca Avanzini per aver rintracciato il volume nella biblioteca privata di Simondo.
9 P. Simondo, Ricordo Asger Jorn (1986), in L’immagine imprevista – rendiconti opere interviste, a c. di S. Ricaldone, Genova, Il Canneto Editore 2011, pp. 29-30.
10 K. Kurczynski, The Arts and Politics of Asger Jorn. The Avant-Garde Won’t Give Up, Farnham, Ashgate 2014, pp. 119-21.
11 Ivi, p. 131.
12 Ivi, p. 122.
13 Jorn, Gallizio e Simondo firmano l’atto di fondazione del Laboratorio il 29 settembre 1955, vedi Cosa noi vogliamo, “Eristica” 2, luglio 1956, s.p., riprodotto in Documents relatifs a la fondation de l’Internationale Situationniste, a c. di G. Berreby, Paris, Editions Allia 1985, p. 374. Il Congresso si riunisce ad Alba i primi di settembre 1956; Debord annuncia che l’I.S. è stata fondata nel luglio del 1957 – per l’intellettuale francese dopo la “conférence de Cosio d’Arroscia”, per Simondo durante una vacanza tra amici nella sua casa di Cosio dopo la celebrazione del matrimonio con Elena Varrone. Vedi, G. Debord, “Potlatch” 29, 15 novembre 1957, riprodotto in Documents relatifs a la fondation de l’Internationale Situationniste, cit., p. 249; P. Simondo, A modo di presentazione, in Una mostra: Jorn in Italia. Gli anni del Bauhaus Immaginista 1954-1957 (Biblioteca Civica “A. Arduino”, Moncalieri, 7 marzo – 24 aprile 1997), a c. di S. Ricaldone, Moncalieri, Edizioni d’Arte Fr.lli Pozzo, 1997, p. 28; R. Rumney, Le consul, Parigi, Allia 1999, p. 46.
14 Nouvelle de l’Internationale. Deuxième conference de l’I.S., “Internationale Situationniste” 1, giugno 1958, p. 27.
15 P. Simondo, Per una teoria generale delle arti figurative. L’uso metodologico del concetto di “struttura”, “Eristica” 2, agosto 1956, riprodotto in Documents relatifs a la fondation de l’Internationale Situationniste, cit., pp. 12-15; Id., METODOLOGIA metodica – metodografia, ivi, s.p.
16 P. Simondo, Per una teoria generale delle arti figurative, cit., p. 14.
17 P. Simondo, METODOLOGIA metodica – metodografia, cit.
18 Dopo aver frequentato brevemente la Facoltà di Chimica, Simondo si iscrive a Filosofia nel 1950. Interrotti gli studi nel 1952 per problemi finanziari, li riprenderà nel 1959 laureandosi nel 1962.
19 P. Simondo, testo di presentazione nel depliant “Alla Galleria del falò espone il gruppo CIRA”, cit., sp.
20 Ibidem. Anche, L. Avanzini, Piero Simondo et le groupe CIRA : une expérience d’artiste-pédagogue à Turin dans les années 1960, Memoire de Master 2, Université Paris 1-Panthéon-Sorbonne, 2014, pp. 37-38.
21 G. Debord, Remarques sur le concept d’art expérimental, 15 ottobre 1957, documento interno all’IS in 17 esemplari, riprodotto in Textes et documents situationnistes, a c. di G. Berréby, Paris, Allia 2004, pp. 26-33. Il documento rispondeva all’articolo di W. Olmo, Per un concetto di sperimentazione musicale, approvato dai membri della sezione italiana, eccetto Gallizio e figlio, nel settembre 1957.
22 “Noi siamo un po’ rivoluzionari, un po’ anarchici, anche un po’ interplanetari ma sufficientemente tradizionalisti, cioè dentro la civiltà Occidentale, forse anche dentro quella dell’Oriente, dentro la Civiltà Cristiana e dentro non importa quale altra civiltà (autoelogio anti-ideologico)”, P. Simondo, METODOLOGIA metodica – metodografia, cit.
23 Già nella citazione di Johan Huizinga che introduce ironicamente il testo, Debord si riferisce a Simondo come esperto di “casuistica”: la branca della teologia morale cattolica adibita all’analisi dei diversi “casi di coscienza” e alla formulazione di indicazioni generali basate sui dettami della Rivelazione. Ancora: “La pensée idéaliste est naturellement portée à accorder le valeur primordiale à la conception d’une idée; et celui qui participe à cette illusion […] tend à tout remettre à son extraordinaire mérite personnel qui a, le premier, trouvé l’idée – les précurseurs étant en quelque sorte diminués de n’y avoir pas pensé: si Léonard de Vinci avait été un peu plus génial, il nous eût épargné d’attendre Piero Simondo.” G. Debord, Remarques sur le concept d’art expérimental, cit., p. 29. Che i Remarques fossero indirizzati alle teorie di Simondo si desume, oltre che dai contenuti, da una successiva lettera di Debord a Olmo, Pour un concept d’expérimentation musical, 18 ottobre 1957, in cui dice di apprezzare la sua ricerca musicale, ma di rigettare i concetti sottesi al suo articolo; Textes et documents situationnistes, cit., p. 31-3.
24 P. Simondo, testo di presentazione nel depliant “Alla Galleria del falò espone il gruppo CIRA”, cit., s.p.; P. Simondo, Il Rapport di Debord, in Id., Guarda chi c’era, guarda chi c’è. L’infondata fondazione dell’Internazionale Situazionista, Genova, Ocra Press 2004 pp. 49-137.
25 Il gruppo di giovani operai è mezionato in F. De Bartolomeis, Jorn e l’arte come inadattamento, “Rivista filosofica” LIII 2, aprile1962, pp. 204-13.
26 P. Simondo, testo di presentazione nel depliant “Alla Galleria del falò espone il gruppo CIRA”, cit., s.p.
Sara Catenacci, Dalla distruzione dell’oggetto all'”ambiente come sociale”. Esperienze in Italia tra arte, architettura e progettazione culturale (1969-1978), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Roma La Sapienza, Anno Accademico 2015-2016

Non è probabilmente il caso di spiegare a un pubblico d’esperti che cosa significasse o che cosa significhi il nome “Bauhaus immaginista”, anche se una spiegazione del genere non è mai stata data esplicitamente e soprattutto in positivo. Come è ben noto, d’altra parte, è molto più facile parlare di ciò che non è una certa cosa piuttosto che dire ciò che essa sia. Nel caso specifico poi, quella della Bauhaus immaginista era molto più una “opposizione” che una “posizione”; un negativo appunto.
Ricordo molto bene che ai tempi dell’ormai famoso (?) micro-congresso internazionale di Alba del ’56, gli architetti milanesi, coinvolti più o meno consenzienti da Asger Jorn nelle vicende immaginiste, che erano inoltre o si ritenevano ovviamente molto meno “micro” di quanto non ci ritenessimo noi, tendevano a considerare tutta la storia del Bauhaus immaginista una storiella e il nome stesso del Movimento poco più di una boutade.
Non è detto che in fondo non potessero aver ragione, certo è che non avrebbero allora scommesso una lira, non dico su di me, non dico su Pinot Gallizio, che aveva appena iniziato il suo apprendistato d’artista e si autoproclamava “bidello” del Laboratorio, ma nemmeno su Asger Jorn, biondo vichingo d’assalto che veniva giudicato da un autorevole esponente della Triennale, una macchietta (a causa dell’intervento di Jorn contro Max Bill alla Triennale dell’54) una specie di nordico pulcinella, salvo salutare in lui, pochi anni dopo uno dei grandi maestri (in pulcinellerie?) dell’arte europea postbellica. Ovviamente non nego a nessuno il diritto, democratico e progressista, di cambiare opinione.
Vorrei tuttavia evitare l’aneddotico e lo storico, entrambe le specializzazioni non fanno direttamente parte della mia esperienza professionale: sono un pessimo raccontatore d’aneddoti e non sono storico d’alcunché; desidero soprattutto evitare di cadere nel tranello del farsi la storia da sé: come a dire pisciarsi sui piedi o meglio scavarsi la fossa con le proprie mani.
L’argomento che più potrebbe interessare, a mio avviso e di cui potrei parlare, è propriamente l’idea del laboratorio sperimentale; dico esplicitamente l’idea, non per partito preso idealistico, che anzi s’era allora – e si è ancora – anti-idealisti, ma perché quel Laboratorio sperimentale per una Bauhaus immaginista rimase molto più in idea che nel fatto ed ebbe inoltre, in quel suo relativo non essere, una vita brevissima.
Per poter parlare del Laboratorio sperimentale d’Alba, devo tuttavia premettere alcune ulteriori considerazioni, non escludendo neppure che tutto l’intervento si riduca ad essere la premessa d’un intervento futuro: il gioco dell’intervento e del post-intervento (post-modern), il gioco del Laboratorio, l’in-lusione: non esiste una teoria del Laboratorio d’Alba, non esiste forse una teoria del “laboratorio” tout-court […]
Piero Simondo (Torino, marzo 1986), Cosa fu il laboratorio sperimentale di Alba, opuscolo, Sileno editrice in collaborazione con Pink Moon, Genova, art. qui ripreso da Biblioteca dell’egoista

L’incontro tra il Mouvement e l’Internazionale Lettrista – e il loro comune interesse per un’urbanistica e un’architettura fondate sulle passioni umane, insieme alla volontà di saldare la ricerca artistica alla critica rivoluzionaria della società – determinò il principiarsi dell’esperienza situazionista. Quest’ultima è dunque frutto di quel percorso di ricerca delle diverse avanguardie artistiche post surrealiste unite dal comune intento di costituire una nuova (e ultima) Internazionale di artisti liberi contro le tendenze retrograde e conservatrici in campo culturale <8 e di mettere radicalmente in discussione l’ordine sociale vigente.
L’“Internationale Situationniste” nasce ufficialmente il 28 luglio 1957 a Cosio d’Arroscia, un paesino in provincia di Imperia, durante il piacevole soggiorno di Guy Debord, Michèle Bernstein, Ralph Rumney, Asger Jorn, Pinot Gallizio <9, Walter Olmo ed Elena Verrone (un gruppo realmente cosmopolita di artisti e intellettuali) nella casa di famiglia di Piero Simondo, tra qualche bicchiere di vino buono, utopie amorose e disertori dell’arte mercantile […] un gruppo di artisti avvezzi alla disobbedienza e poco inclini alla mondanità del successo […] gettano lì i fiori, le pietre e gli architravi dell’Internazionale Situazionista <10.
L’anno seguente uscirà a Parigi il primo numero di Internationale Situationniste, la rivista semestrale di diffusione delle teorie e delle pratiche del gruppo.
In un clima bizzarro e festoso, ampiamente innaffiato dal dolcetto locale, ribattezzato da Debord “cosiate”, con il sottofondo musicale dei Platters e di Vivaldi, fu discussa e approvata la proposta di scioglimento dei gruppi preesistenti e la loro confluenza nella nuova organizzazione <11.
Nel Rapport sur la construction des situations et sur les conditions de l’organisation et de l’action de la tendance situationniste, presentato da Debord ai compagni della “Conferenza” di Cosio, si legge:
L’unione di diverse tendenze sperimentali per un fronte rivoluzionario nella cultura, cominciata al Congresso tenuto ad Alba, in Italia, alla fine del 1956, presuppone che noi non trascuriamo tre fattori importanti. In primo luogo, si deve esigere un completo accordo tra le persone e tra i gruppi che partecipano a questa azione unita; e non facilitare questo accordo permettendo si dissimulino alcune conseguenze. Si devono cacciare i buffoni e gli arrivisti che abbiano l’incoscienza di voler procedere su una tale via. In seguito, si deve ricordare che se ogni attitudine realmente sperimentale è utilizzabile, l’impiego abusivo di questa parola ha molto spesso cercato di giustificare un’azione artistica in una struttura attuale, cioè trovata prima da altri. Il solo procedimento sperimentale valido si fonda sulla critica esatta delle condizioni esistenti, e sul loro deliberato superamento. Deve essere chiaro, una volta per tutte, che non si può chiamare creazione ciò che non è che espressione personale in un quadro creato da altri. La creazione non è combinazione di oggetti e di forme, ma l’invenzione di nuove leggi su tali combinazioni. Infine, si deve liquidare tra di noi il settarismo, che si oppone all’unità d’azione con possibili alleati, per scopi definiti, che impedisce l’infiltrazione di organizzazioni parallele.
E ancora, Insieme dobbiamo eliminare tutte le sopravvivenze del passato prossimo. Oggi riteniamo che un accordo per un’azione unitaria dell’avanguardia rivoluzionaria nell’ambito della cultura debba essere condotto sulla base di un tale programma. Non possediamo ricette né risultati definitivi. Proponiamo soltanto una ricerca sperimentale da condurre collettivamente verso alcune direzioni che stiamo definendo in questo momento e verso delle altre che devono essere ancora definite <12.
Il Rapport… doveva quindi servire da base per traghettare le esperienze dei vari gruppi in un unico movimento. Si trattava di un testo che Debord aveva stampato a Parigi poco più di un mese prima e che, a quanto pare, almeno così ebbe a dire Piero Simondo, non venne mai discusso né approvato nei due giorni di Cosio. In ogni caso, il Rapport… viene generalmente identificato come la carta costitutiva dell’I.S. (e Debord lo definiva esplicitamente l’expression théorique adoptée à la conference de fondation de l’Internationale situationniste) e nella prefazione al Rapporto… pubblicato a Torino nel maggio 1958 da «Notizie», lo stesso Pinot-Gallizio scrive: Il rapporto di Debord è stato pubblicato a Parigi, nel giugno 1957, in quanto documento preparatorio per una conferenza di unificazione che doveva riunire il mese seguente l’Internazionale Lettrista, il Movimento Internazionale per una Bauhaus Immaginista e un Comitato psico-geografico di Londra. I delegati di questi movimenti alla conferenza di Cosio d’Arroscia (27-28 luglio 1957) hanno fondato l’Internazionale Situazionista. Tale organizzazione ha in questo momento sezioni in Algeria, Belgio, Francia, Germania, Italia e Scandinavia. Dobbiamo dunque intraprendere traduzioni e riedizioni in ciascuno di questi paesi […]. Bisogna capirci subito, perché le nostre esperienze andranno sempre più lontano.
Il Rapport…, in cui si esplicita la necessità di superare i movimenti d’avanguardia formatisi dopo il 1945 – e che si chiude a tal proposito con la frase «si sono interpretate a sufficienza le passioni: si tratta ora di trovarne di altre», si apre invece con un’affermazione che fa risaltare da subito, è bene mettere le cose in chiaro, quale fosse l’intento fondante del futuro movimento situazionista:
Noi pensiamo innanzitutto che bisogna cambiare il mondo. Noi vogliamo il cambiamento più liberatorio della società e della vita in cui ci troviamo rinchiusi <13.
È una frase che, come sottolinea anche Sandro Ricaldone nel sopracitato articolo, rimanda all’asserzione di Breton «Transformer le monde», a dit Marx; «Changer la vie», a dit Rimbaud: ces deux mots d’ordre pour nous n’en font qu’un», e che sancisce la necessità di un’arte imperniata sulle ricerche per un’azione diretta sulla vita quotidiana nell’ambito delle sole costruzioni che in definitiva ci interessano: situazioni capaci di sconvolgere tutti gli astanti.
L’intento principale è dunque quello di trasformare la vita quotidiana in una vita di qualità superiore, è questo il vero e unico compito dell’artista: Un’azione rivoluzionaria nella cultura non potrà avere come scopo tradurre o spiegare la vita, ma ampliarla. Si deve far arretrare l’infelicità ovunque. Con lo sfruttamento dell’uomo devono morire le passioni, le compensazioni e le abitudini che ne erano i prodotti. Si deve intraprendere ora un lavoro collettivo organizzato, tendente a un impiego unitario di tutti i mezzi di stravolgimento della vita quotidiana. <14
È un testo importante, che porta in grembo le principali tematiche in seguito sviluppate dall’I.S. e che facevano già parte, per lo più, del corredo delle pratiche elaborate dall’Internationale Lettriste: la dérive e la psicogeografia, il détournement, l’urbanismo unitario e la costruzione di situazioni. Noi dobbiamo mettere avanti le parole d’ordine dell’urbanismo unitario, del comportamento sperimentale, della propaganda iperpolitica, della costruzione di ambienti <15.
L’idea di situazione viene inoltre qui connessa al concetto di spettacolo, introdotto nella sua prima formulazione e destinato a diventare il cardine della lucida analisi di Debord:
la costruzione di situazioni comincia al di là del crollo moderno della nozione di spettacolo. È facile vedere in che modo sia legato all’alienazione del vecchio mondo il principio stesso di spettacolo: il non-intervento. […] La situazione è così fatta per essere vissuta dai suoi stessi costruttori. <16
Ma la novità più ricca di futuro del Rapport, non sta forse in questo […], quanto piuttosto nella cornice di analisi sociale e politica che Debord disegna attorno alle ipotesi d’azione dell’Internazionale situazionista: lo scenario di una società che non ha saputo comprendere le trasformazioni epocali in atto e che (non molto diversamente da oggi) rimane costretta in logiche superate anziché affrontare il nodo di una rivoluzione necessaria <17.
[NOTE]
8 Gianfranco Marelli, L’ultima internazionale, i situazionisti oltre l’arte e la politica, Torino, Bollati Boringhieri, 2000, p. 15
9 Partigiano della Resistenza e ora partigiano della “pittura industriale”, farmacista cattolico, assessore comunale…scompare improvvisamente nel 1964. Si porta dietro i baffi da zingaro e la bellezza cospiratrice della sua vita/opera, dove il sovvertimento culturale è inscindibile dal disvelamento della falsa felicità della società corrente. Pino Bertelli, Guy-E. Debord, Il cinema è morto, La Fiaccola, Ragusa, 2005, p. 33
10 Pino Bertelli, Guy-E. Debord, Il cinema è morto, La Fiaccola, Ragusa, 2005, p. 31
11 Sandro Ricaldone, La calata dei situazionisti a Cosio, http://www.alfabeta2.it/2014/07/27/calatadei-situazionisti-cosio/
12 Guy-E. Debord, Rapport …, in Guy Debord, OEuvres, Quarto Gallimard, 2006, pp. 321, 322 e 327
13 Guy-E. Debord, Rapport …, in Guy Debord, OEuvres, Quarto Gallimard, 2006, p. 309
14 Guy-E. Debord, Rapport …, in Guy Debord, OEuvres, Quarto Gallimard, 2006, pp. 320, 321
15 Ibidem, p. 328
16 Ibidem, p. 325
17 Sandro Ricaldone, articolo citato
Serena Becherucci, Guy Debord e l’Internazionale Situazionista: pensieri e “derive” nella società dello spettacolo, Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno accademico 2013/2014

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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