Koch è innovativo anche per quanto concerne la critica poetica

Considerato uno dei tre principali componenti del gruppo della New York School of Poets insieme a John Ashbery e Frank O’Hara, Kenneth Koch si distinse per una serie di saggi e poesie da cui emerge un particolare genere di critica letteraria in versi (come si vedrà nel secondo capitolo). Professore universitario alla Columbia University, nella sua attività di docente di Inglese e Letterature Comparate influenzò le nuove generazioni di poeti con le sue proposte fertili di nuove prospettive. Come Direttore del Poetry Workshop alla New School (2), negli anni ’60, si impegna nella ricerca nell‘ambito dell’istruzione conducendo laboratori di poesia nelle scuole elementari americane che propose anche in Italia, Francia, Cina, Haiti e Malaysia.
Il primo capitolo introduce le opere visive in catalogo presso la Berg Collection of English and American Literature della New York Public Library e quelle custodite (e ancora sconosciute) presso l’ultima abitazione del poeta in Claremont Avenue a New York, esaminate grazie alla disponibilità della moglie Karen Culler.
Dalle opere dei primi anni della sua produzione emerge quel tipo di scrittura critica cui si è accennato, che prende le distanze dall’analisi poetica teorizzata dal New Criticism, di stampo accademico convenzionale legato, secondo l‘autore, a un passato statico e chiuso in strutture rigide; un genere di poetica che per Koch ormai non rappresentava più la vita e l‘uomo dei tempi moderni.
L’approccio puramente scientifico per Koch semplicemente non funziona: egli crede che la poesia debba essere messa in relazione alla persona del poeta e alle sue emozioni, nonché al contesto culturale e sociale, perché il lettore possa provare empatia e riconoscere quei sentimenti che sono anche i suoi.
Koch accenna alla differenza tra la sua poetica e quella del New Criticism: “Sometimes, too, people make the mistake of analyzing the poem word by word before they’ve got an idea of what the whole poem is like. This seems scholarly and scientific but misleading as analyzing each of a person’s words in a conversation before you know who he is and what he is talking about” (3).
La scrittura critica di Koch, prendendo spunto dal “close reading” teorizzato da I.A. Richards (4) e spostando l‘interesse dalla centralità del linguaggio tipico dello strutturalismo, persegue l’intento di Wallace Stevens di teorizzare e attuare un tipo di poesia che sia espressione della vita reale e la rappresenti come un processo in cui viene descritto il quotidiano attraverso il linguaggio comune.
Koch può essere annoverato tra quel gruppo di poeti definiti “poets of the open form” oppure “open poets”. Tale classificazione, che si rintraccia nel lavoro di David Perkins – A History of Modern Poetry (5), è stata proposta da Robert Duncan e Charles Olson che considerarono Paterson e i Pisan Cantos due opere in cui gli autori: “[…] opened out upon a new art where they were the first working” (6). Duncan e Olson dimostrano come le due opere non siano state pianificate bensì siano frutto di un atto spontaneo nel momento della scrittura.
Williams, secondo Perkins, sosteneva che la poesia, come la vita, deve sempre produrre “a fresh beginning” e non avere alcuno scopo se non quello di rendere la vivacità dell‘istante, non essere selettiva e rinunciare alla closure (7).
Per chiarire il concetto di closure si devono ricordare le qualità formali della poesia del New Criticism: grammatica corretta, logica, metrica regolare, rima, strofa, coerenza, condensation e polisemia. Dunque la “chiusura” in poesia è intesa come realizzazione di un testo che deve seguire una logica definita da canoni prestabiliti. La open form implica, invece, qualità opposte alla chiusura come l’immediatezza, la spontaneità e la libertà da schemi prefissati per cui la poesia è espressione di un processo nel suo divenire che non necessariamente porta ad alcuna conclusione intesa come risoluzione e compimento. Sempre seguendo le considerazioni di Perkins, l‘open form in poesia nasce proprio come reazione, a livello storico e psicologico, alla closure prodotta dal New Criticism, associata invece a un ethos rigoroso e pessimista e all’idea che l’intelletto dovesse disciplinare l‘impulso; inoltre il poeta doveva scrivere sempre con autocritica e revisionare costantemente il testo. I poeti di open form invece, riguardo alla revisione, la consideravano “self-repressive; moreover, it was false to the instantanousness and uncertainty of life” (8).
Robert Duncan e Charles Olson, autori di open form, rappresentano il poeta cosciente di vivere nell’istante, che vuole sperimentarsi in nuove forme poetiche e riprodurre nella scrittura gli eventi del vivere quotidiano tra loro connessi, disposti in una sequenza temporale così come accadono: “[…] writing a poem was for these poets not different from any spontaneous act of living” (9).
Perkins spiega che nella seconda fase del modernismo, dopo la seconda guerra mondiale, molte delle poesie americane e inglesi furono scritte in open form ma non sempre è stato possibile riconoscerle poiché le implicazioni del termine non sono ancora definite chiaramente. L’autore fa l‘esempio di “Notebook 1967-68” di Robert Lowell e asserisce che pur essendo il notebook una open form contiene alcuni “unrhymed sonnets”.
Anche “Howl” di Ginsberg può essere classificata tra le opere in open form ma si distingue da quelle di Olson e Duncan, che a loro volta hanno caratteristiche diverse.
I poeti della open form mettevano in discussione l’importanza che il New Criticism dava alla persona, ovvero l‘idea che la voce parlante, l’Io lirico, non è il poeta stesso ma sempre un personaggio immaginato.
Per Eliot la poesia non è un‘espressione della personalità del poeta ma “escape from personality” (10), sicchè le impressioni e le esperienze più importanti per l‘uomo possono non realizzarsi in poesia.
L’open poet è il poeta-uomo che dialoga con se stesso oltre che con gli altri, è l’elemento chiave per una reale comunicazione che prende in considerazione più punti di vista senza che l’uno prevalga sull‘altro.
L’arte di Koch come open form esprime e sollecita sensazioni e sentimenti ed è, prima di tutto, manifestazione non intellettuale ma emotiva, che nasce dall’esperienza personale dell’uomo-poeta.
Koch propone di spostare l‘attenzione del critico dagli aspetti stilistici del testo: “[…] when first reading a poem, you don‘t have to be concerned with its technique, with how it is made that is to say, its rhyme, its meter, its imagery and so on” (11). La sensazione provocata dal suono delle parole e dalla loro combinazione e la musicalità che ne nasce è essenziale in quanto dà maggiore rilevanza alle emozioni.
Con i suoi testi di critica poetica e le “Antologie” (12) Koch si prefigge di rinnovare il concetto di poesia, abbandonando principalmente la rima e la metrica, considerate limitanti anche dalla maggior parte dei giovani poeti dell’epoca.
Koch è innovativo anche per quanto concerne la critica poetica sia nella forma in cui viene prodotta (l’autore usa la poesia per parlare di poesia) che nei contenuti, dato che ne teorizza una del tutto originale.
E’ fondamentale per Koch rivedere il concetto di poesia come arte unicamente “letteraria”, per offrirla al pubblico come strumento di comunicazione universale, principalmente emotiva, per dialogare con l’altro e con se stessi.
Il messaggio fino ad allora veicolato che la poesia sia per pochi esseri pensanti dotati di una particolare sensibilità e conoscenza, è messo in discussione da Koch: l’obiettivo del poeta-critico, come si evince dalle opere critiche o didattiche e dalle Antologie di poesia moderna, è quello di rendere la poesia accessibile a tutti.

[…] A nostro avviso Koch ha dimostrato che la conoscenza delle emozioni di un poeta permette di essere fedele alla sua verità. Ecco ciò che apporta la critica poetica di Koch: il poeta è considerato una persona, quell’individuo unico e singolare con le proprie dinamiche. La scelta del titolo del manuale, “Making Your Own Days”, esprime questa considerazione del poeta-uomo ed è da questa che bisogna cominciare per analizzare e apprezzare una poesia, non solo dal testo. La sua interpretazione deve essere open rispetto alla vita e alle sue dinamiche; Koch ci insegna che il critico deve conoscere il poeta come uomo nella sua unicità/diversità e non deve essere solo uno studioso che applica astrattamente delle teorie scientifiche.

[NOTE]

2 La New School fu fondata a New York nel 1919 da un gruppo di educatori progressisti tra cui Charles Beard, John Dewey, James Harvey Robinson e Thorstein Veblen. La loro idea era quella di proporre un nuovo tipo di istituzione accademica che sapesse confrontarsi con i problemi della società del XX° secolo. Crearono così una scuola che promuoveva l‘incontro tra quegli studenti e quei cittadini che volevano meglio comprendere alcuni temi sociali attraverso incontri, dibattiti e discussioni. L‘intenzione era anche quella di fare ricerca sociale, i fondatori diedero infatti poi a questa istituzione il nome di The New School for Social Research.
3 Kenneth Koch, Sleeping on the Wing: An Anthology of Modern Poetry with Essays on Reading and Writing, New York, Random House, 1981, p. 10.
4 I.A. Richards, Practical Criticism: A Study of Literary Judgment, London, Kegan Pane, Trench, Trubner, 1929, p. 203.
5 David Perkins, ―The Theory of Open Forms‖, A History of Modern Poetry: Modernism and After, Harvard, Belknap Press of Harvard University Press, 1987, pp. 486-527.
6 Ibidem.
7 Ibidem, p. 489.
8 Ibidem, p. 490.
9 Ibidem, p. 493.
10 T.S.Eliot, Tradition and the Indvidual Talent, The Sacred Wood: Essays on Poetry and Criticism, New York, Alfred A. Knopf, 1921.
11 Kenneth Koch, Sleeping on the Wing: An Anthology of Modern Poetry with Essays on Reading and Writing, cit., p.10.
12 Koch ha scritto testi di critica poetica e Antologie. Quella che segue è una mia suddivisione in cui sono elencati in ordine cronologico.
I libri di critica poetica sono: Wishes, Lies and Dreams: Teaching Children to Write Poetry (1970), Rose, Where Did You Get That Red? Teaching Great Poetry to Children (1973), I Never Told Anybody: Teaching Poetry Writing to Old People (1977), Desideri, sogni e bugie (1980), Making Your Own Days: The Pleasures of Reading and Writing (1998), The Art of Poetry: Poems, Parodies, Interviews, Essays and Other Works (1996).
Le Antologie sono: Sleeping on the Wing: an Anthology of Modern Poetry with Essay on Reading and Writing (1981), Talking to the Sun: an Illustrate Anthology of Poems for Young People (1985).
La critica poetica è anche presente in alcune poesie: Fresh Air, The Artist, The Art of Poetry e l‘inedita poesia The Idea of a University, che rivoluziona l’idea di Università e dell’insegnamento accademico.

Cristina Chetry, Kenneth Koch: per una critica poetica, Tesi di Dottorato, Università degli Studi Roma Tre, Anno accademico 2013/2014

NEW YORK – DECEMBER 19: American poet, playwright, and educator Kenneth Koch (February 27, 1925 – July 6, 2002) poses for a portrait on December 19, 1971 at PS61, a public school in the Bronx, New York City, New York, where the poet is leading a student poets workshop. In 1970, Kenneth Koch released a pioneering book in poetry education, ‘Wishes, Lies and Dreams: Teaching Children To Write Poetry’. Over the next 30 years, he followed this book with other books and anthologies on poetry education tailored to teaching poetry appreciation and composition to children, adults, and the elderly. Along with major American poets John Ashbury, Frank O’Hara, Kenneth Koch’s poetry is identified with the New York School of poetry. Kenneth Koch was a popular professor of poetry at Columbia University for over forty years. (Photo by David Gahr/Getty Images)

Avete contribuito a tenermi insieme.
Mi piacerebbe che voi foste ancora qui.
Smettetela di parlare o di fare qualsiasi altra cosa per un minuto.
Anzi, per favore, per tre, magari, cinque minuti.
Ditemi che sentiero prendere oltre la collina.
C’è un ponte lì? Vorrò compagnia?
Raccontatemi dei vecchi che hanno costruito il ponte.
Che cosa è “l’economia giapponese”?
Dove avete nascosto le fatture del medico?
Quanto vi ammiro!
Potete aiutarmi a buttare via tutto?
Posso aiutarvi a buttare tutto?
Avete finito con questa cosa?
Chi è il venditore di auto?
Il baldacchino che avevamo fatto per il cane.
Ho bisogno di qualche abbraccio senza fine.
Il mare non è mica tanto lontano.
Sei venuto a ovest con questo tempo?
Sono stato seduto in casa scalzo.
Stai portando una croce!
Quella panchina, guarda! Là sotto che bei cucciolini!
Potrei avere un bicchierino di scotch?
Immagino volessi fare impressione su di voi.
Sta nevicando.
L’uomo Revlon è venuto da oltremare.
Questo fracasso è fastidioso.
Non volevamo che il bambino venisse qui per via del falco.
Cosa stai leggendo?
Con quale stile vorresti che l’umidità si spiegasse?
Mi dà un po’ fastidio, ma non molto. Puoi fumare un sigaro.
Genuinità è una parola che non ho mai usato.
Hai visto, che gonna corta! Hai mica una macchina fotografica?
La luna è un mollusco.
Non posso parlare a molte persone. Mi mangiano vivo.
Ad ogni modo, chi sei?
Voglio guardarti tutto il giorno, perché sei mia.
Ti andrebbe di fare un salto al Pizza Hut?
Grazie d’avermi detto il tuo segno.
Questo sole mi riempie di gioia!
La tartaruga avanza ma l’aragosta resta indietro. Il silenzio ha vinto la partita!
Beh, accidenti a te e al termometro!
Non voglio chiedere al medico.
Non sapevo cosa intendevi quando hai detto questo.
Sta arrivando il freddo, ma mi sento terribilmente pigro.
Se vuoi possiamo andare là
dove c’è un po’ più di luce.
Kenneth Koch, Parlando a diverse persone contemporaneamente

Koch è stato insomma un modello di educatore innovatore, capace di stimolare la creatività nel suo significato più vivo e spontaneo, anche perché era dotato della capacità di trasmettere agli altri le proprie competenze educative senza fare eccessivamente ricorso a categorie teoretiche e astrazioni, ma rimanendo quanto più possibile nell’ambito che lo ispirava e animava (la poesia e, più in generale, la letteratura, intese anche nella loro dimensione performativa, per certi aspetti, fisica), e da cui traeva le sue idee e le sue prassi pedagogiche.
Attraverso la pratica della composizione poetica, intesa come attività quasi pre-verbale e piuttosto musicale, Koch educava i suoi allievi, fossero essi scolari, anziani ricoverati, o aspiranti discepoli.
Li educava alla bellezza, li educava alla libertà (che per lui era in primo luogo libertà di espressione), li educava ad avere fiducia in sé stessi, nelle proprie intuizioni, nelle proprie capacità di esprimerle e elaborarle, ottenendo sempre risultati artisticamente dignitosi. Li educava a esplorare il mondo “in penombra” dei contenuti ineffabili dell’inconscio, uscendone sempre con dei tesori: i versi (capaci di gettare un poco di benefica luce, attraverso la poesia, su quei mondi altrimenti nascosti e incontrollabili che albergano nell’intimo inesplorato di ognuno di noi).
1.2. Un “retroterra culturale” ricco e complesso
Questo plesso di particolari capacità Koch lo traeva, oltre che da quel misterioso coacervo di poteri della persona che usiamo chiamare “talento”, anche dal particolare humus culturale nel quale si muoveva come educatore e come artista.
Come già accennato, egli fu un esponente della cosiddetta New York School (1), un movimento centrale nel panorama delle avanguardie artistiche statunitensi tra gli anni ’50 e ’60 del secolo scorso.
I poeti associati alla New York School includono oltre a Koch, tra gli altri anche Frank O’Hara, John Ashbery, James Schuyler, Ron Padgett, e Joseph Ceravolo.
Koch, pur condividendo più o meno con gli altri l’impostazione stilistica ed estetica di base, si differenziava dal gruppo per una serie di motivi, tra cui spicca l’impegno pedagogico (condiviso dal suo allievo Ron Padgett).
Koch, che ebbe un momento di notorietà anche da noi a cavallo degli anni ’70-’80 (proprio per la sua pionieristica attività di educatore attraverso la poesia) (2), è oggi quasi dimenticato in Italia, anche se in campo letterario vi sono alcuni ricercatori che si interessano alla sua opera (3).
Anche nel mondo anglosassone il suo lavoro di educatore spesso viene trascurato.
Perciò vorrei, come accennavo, dare un contributo ad un giusto rilancio della sua figura, analizzando alcuni aspetti salienti del suo metodo e della sua attività.
In tal senso, cercherò di usare un approccio in parte comparativo, esponendo successivamente le tre fasi principali dell’attività educativa di Koch: quella originaria dell’insegnamento ai bambini (con le sue radici nei laboratori universitari tenuti da Koch presso una delle più prestigiose università di NYC (4), (la New School); quella intermedia, della divulgazione ai bambini della grande poesia; quella conclusiva, in cui Koch cercò di insegnare la composizione poetica agli anziani.
Per rendere più accessibili questi straordinari e singolari contenuti, alla fine del libro ho inserito un capitolo nel quale espongo degli appunti relativi a un mio metodo (in fase di sviluppo), ispirato in parte al lavoro di Koch e mirante a colmare una sorta di lacuna che lo stesso ha lasciato, con riferimento all’uso educativo della poesia.
Egli infatti ci ha trasmesso vari scritti sulla relazione educativa basata sull’insegnamento della composizione poetica ai bambini e agli anziani, nei quali soprattutto racconta la sua personale esperienza di educatore, e nei quali sembra suggerire al lettore: “chi mi ama, mi segua”.
Leggendo le pagine del presente volume tuttavia si evincerà come Koch fosse un singolare artista, un uomo fuori della norma, dotato di un idiosincratico talento. Ma a giudicare dai suoi scritti (come pure dall’intervista che mi ha concesso) egli sembrava non esserne del tutto consapevole, nel senso che egli pensava che la sua esperienza di educatore potesse essere ripresa di punto in bianco da qualsiasi insegnante, non solo privo dei suoi medesimi talenti, ma
anche digiuno di composizione poetica. Chiaramente non è così, e l’esperienza mi ha mostrato come sia necessario fornire agli aspiranti insegnanti di composizione poetica “secondo il modello Koch”, almeno un’infarinatura di base, che possa palliare quantomeno la mancanza di esperienza personale nello scrivere versi.
I miei appunti finali allora mirano a costruire una sorta di “iniziazione rapida” alla pratica di quel particolare tipo di poesia (a verso libero, a volte ermetica, basata sulla musicalità del linguaggio, ecc.) che l’esempio educativo di Koch presuppone (spesso in termini impliciti) e che non tutti gli insegnanti disposti a seguirne le orme, conoscono.
[NOTE]
1 Per avere un quadro di questo movimento artistico, cfr. D. Lehman, The Last Avant-Garde: The Making of the New York School of Poets, New York, Doubleday, 1998.
2 Cfr. la traduzione in Italiano del suo primo volume sull’educazione dei bambini alla poesia: K. Koch, Desideri, sogni, bugie: un poeta insegna a scrivere poesia ai bambini, Milano, Emme, 1980. Il libro di Koch è ancora oggi utilizzato ad esempio nel corso di Didattica della letteratura italiana presso l’Università di Milano Bicocca. Koch venne brevemente in Italia nel 1978 per sperimentare tra mille difficoltà il suo metodo a Genzano e in altre due scuole di Roma, una sulla via Cassia e l’altra al quartiere Talenti.
3 Cfr. ad es. C. Chetry, Kenneth Koch, per una critica poetica…
4 New York City.
Anselmo R. Paolone, Crescere e vivere con la poesia. Spunti dal modello educativo di Kenneth Koch, Edizioni ETS, Pisa, 2018

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.