Passando poi dalle società arcaiche alla contemporaneità – attraverso Vladimir Propp, Claude Lévi-Strauss e lo strutturalismo -, Calvino rammenta come anche le pratiche ascrivibili allo scripturalisme del noveau roman fossero «riconducibili a combinazioni tra un certo numero d’operazioni logico-linguistiche» <327 e, in definitiva, come anche la letteratura sia sostanzialmente un gioco combinatorio di possibilità.
Senza addentrarci nello specifico dell’arcinoto saggio in questione, sottolineiamo solo come in questo discorso Calvino faccia emergere la centralità della combinatoria – nella pratica letteraria a lui contemporanea – come “tecnica” capace di render conto della frammentarietà e discontinuità di un pensiero-mondo fatto di «combinazioni di impulsi su un numero finito (un numero enorme ma finito)» <328 di cui solo i “cervelli elettronici” possono rendere conto. Per introdurre e auspicare l’incremento dei nuovi mezzi tecnologici a supporto della letteratura (tema che caratterizza il cuore pulsante del saggio in diretta connessione con quanto bramato dai membri dell’Oulipo che, a loro volta, avevano la “vocazione” di automatizzare i processi combinatori a partire dalle strutture individuate/create <329), Calvino usa, non a caso, la metafora della scacchiera, dicendo che: «come nessun giocatore di scacchi potrà vivere abbastanza a lungo per esaurire le combinazioni delle possibili mosse dei trentadue pezzi sulla scacchiera, così […] neppure in una vita che durasse quanto l’universo s’arriverebbe a giocarne tutte le partite possibili. Ma sappiamo anche che tutte le partite sono implicate nel codice generale delle partite mentali» <330.
E, subito dopo, aggiunge che, «anche la numerabilità, la finitudine, stanno avendo la meglio sull’indeterminatezza dei concetti che non possono essere sottoposti a misurazione e delimitazione […]: ogni processo analitico […] tende a dare del mondo un’immagine che si va via via complicando […]. Ma la complicazione matematica può essere digerita istantaneamente dai cervelli elettronici […] a loro basta contre su due dita per far giostrare velocissime matrici di cifre astronomiche. Una delle più ardue esperienze intellettuali del medioevo solo ora trova la su piena attualità: quella del monaco catalano Raimondo Lullo e della sua “ars combinatoria”» <331.
È in questo senso che si affermava l’evidenza analogica tra combinatoria, Possibile (per come l’abbiamo inteso fin ora) e relative teorie del passato. Se in questi passaggi la posizione calviniana rispetto all’aporistico rapporto tra indeterminazione e determinazione è più che manifesto, così come pure il rapporto con il “lullismo passato”, fondamentale ai fini del nostro discorso è il passaggio in cui afferma che «tutte le partite sono implicite nel codice generale delle partite mentali». Qui abbiamo, ancora, un infinito “impossibile”, “chiuso” nella scacchiera delle possibilità combinatorie in cui tutte le combinazioni possibili, sebbene inattuabili, sono “già contenute” nel codice delle partite mentali. Un’affermazione che concorda con straordinaria esattezza con quanto detto a proposito degli “elenchi sospesi” e dei possibili “non ancora” attuati ma sempre ulteriori.
Infine, questo fondamentale passaggio evocativo di umbratili, persistenti esistenze mentali, ci permette di accennare all’altrettanto fondamentale posizione teorica espressa da Arturo Mazzarella nel suo “La grande rete della scrittura” (2008) che ha al centro l’analisi del concetto di virtualità formulato da Deleuze (proposto, come abbiamo visto, in alternativa al Possibile) sulla scia del bergsonismo; concetto magistralmente ripreso negli anni Novanta da Pierre Lévi <332 dove la virtualità, come ci ricorda Mazzarella, «non cancella la realtà ordinaria, né la sostituisce, ma si limita a scomporla nei fasci di relazioni percettive che la compongono (inafferrabili, sappiamo bene da Leibniz in poi); fino a mostrare ogni oggetto non più come un dato, bensì come il prodotto di una tra le innumerevoli modalità di percezione possibile» <333. Si tratta di «un dispositivo concettuale prima che tecnologico» <334, scrive lo studioso indicandoci come esempio massimo di virtualità proprio l’ipertesto calviniano “Se una notte di inverno un viaggiatore”. Nelle pagine precedenti aveva pur sottolineato «l’attenzione prevalente di molti autori contemporanei […] verso
tutte le variazioni che è possibile operare sul tronco della morfologia del racconto». Tra questi citava anche i “nostri” Borges, Calvino, Perec e Manganelli cui aggiungeva, tra gli altri, Henry James: quell’Henry James che in “Ritratto di signora” (1881) aveva scritto che «la casa della narrativa […] non ha una finestra sola ma un milione – un numero quasi incalcolabile di possibili finestre, ognuna delle quali è stata aperta, o è ancora da aprire» <335. Nell’esegesi di questo passaggio, Mazzarella sottolinea come queste “finestre” «siano semplici possibilità […] pure ipotesi virtuali» e che, «se riusciamo, di volta in volta, a vederne aperte un numero esiguo, non significa che le altre siano chiuse ma, più semplicemente, è un effetto dei limiti ai quale soggiace l’estensione del nostro campo visivo. Che, se non può essere allargato, sopporta tuttavia di essere forzato, sollecitato in direzione di un antagonismo interno, il quale non si rassegna facilmente a vincoli e restrizioni» <336.
In effetti il concetto di virtuale adottato da Mazzarella ha una stretta parentela (se non, addirittura, una totale coincidenza) con la nozione di “punto di vista”. Ed è mediante questa intersezione tra virtualità e punto di vista che il critico ci riconduce a Calvino il quale, con “Palomar” (1983), attraverso la continua dislocazione e riposizionamento del punto di vista, era arrivato a frantumare e polverizzare la coesione identitaria e il punto di vista e dello scrittore. Con “Palomar”, «Siamo di fronte allo scoglio dove puntualmente si infrangono tutte le congetture, ordinate e lineari fino al paradosso […]. Qualsiasi ipotesi di ordine viene di colpo revocata, si decompone, affondando nelle sabbie mobili del possibile» <337.
E allora: «Perché non ribaltare la fragilità che mina e incrina qualsiasi punto di vista in una risorsa finora sconosciuta? Magari nel principio di un nuovo ordine, capace di contemplare “possibilità praticamente illimitate” di combinazioni. Palomar, infatti, è ormai convinto che: “Ogni processo di disgregazione dell’ordine del mondo è irreversibile, ma gli effetti vengono nascosti e ritardati dal pulviscolo dei grandi numeri che contiene possibilità praticamente illimitate di nuove simmetrie, combinazioni, appaiamenti […]. La regola del signor Palomar a poco a poco era andata cambiando: adesso gli ci voleva una gran varietà di modelli […] secondo un procedimento combinatorio” (I. Calvino, Palomar)». <338
[NOTE]
327 I. Calvino, Cibernetica e fantasmi, in Una pietra sopra, cit. (e-book), p. 256.
328 Ivi, p. 257.
329 Si veda il testo di Claude Berge, For a Potential Analysis of Combinatory Literature, citato nei capitoli precedenti.
330 Ivi, p. 258.
331 Ibidem.
332 Si veda, ad esempio, il suo Il virtuale, pubblicato in Italia da Cortina, Milano 1997.
333 Arturo Mazzarella, La grande rete della scrittura, Bollati Boringhieri, Milano 2008, p. 51
334 Ivi, p. 86-87.
335 Henry James, Ritratto di signora, in Ivi, p. 48.
336 Ibidem.
337 Ivi, p. 57.
338 Ibidem.
Arianna Agudo, Nei limiti del Possibile. Su alcune pratiche artistico-letterarie degli anni Sessanta, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Bergamo, Anno accademico 2023-2024