La logica culturale del tardo capitalismo

L’articolo di Fredric Jameson Postmodernism, or, the Cultural Logic of Late Capitalism, segna uno spartiacque all’interno del dibattito sul postmoderno. L’articolo ha un percorso editoriale piuttosto complesso: pubblicato per la prima volta nel 1984 su New Lef Review, viene poi inserito in un libro omonimo, di cui diventa il capitolo introduttivo. Il libro viene ulteriormente sviluppato in altri otto capitoli, in cui le tesi dell’articolo vengono riprese e ampliate; si aggiunge una lunga conclusione intitolata “Elaborazioni secondarie” che rappresenta un tentativo di sintesi di tutto il lavoro. A questo lavoro si affiancano una serie di saggi e testi paralleli, che articolano ulteriormente le riflessioni di Jameson, molti dei quali vengono pubblicati nella raccolta The cultural turn (1998).
Attraverso l’analisi di numerose teorie di autori afferenti ad ambiti diversi, Jameson analizza il legame tra il sistema economico che è andato affermandosi a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e il campo della produzione culturale, interrogando tanto le pratiche degli artisti contemporanei quanto la ricezione dell’opera d’arte.
Sulla scia di Ceserani è possibile dunque proporre una distinzione dei diversi termini: laddove la parola “postmoderno” è riferita ad un sistema e ad un contesto culturale, «postmodernità [viene utilizzato] come nome inteso a definire un periodo storico e postmodernismo come movimento culturale e artistico fatto di programmi di poetica, pratiche retoriche e stilistiche» <39. Si tratta di una distinzione non sempre accettata in ambito critico e che tuttavia consente di distinguere diversi campi di riflessione all’interno dei dibattiti contraddittori che sono nati in merito a questi temi. I due termini sono assolutamente legati fra di loro: le pratiche postmoderniste possono essere ricollegate al contesto storico-economico in cui sorgono, così come lo è il ruolo che esse assumono all’interno del sistema culturale postmoderno. Segnalare questa differenza consente di porre l’accento su elementi differenti.
In questo caso ciò che si vuole indagare è prima di tutto il rapporto tra l’autore del prodotto artistico e il sistema all’interno del quale queste opere vengono prodotte e dunque, secondo le riflessioni di Jameson, il mercato nell’epoca del tardo capitalismo.
L’analisi di Jameson offre numerosi spunti di riflessione riguardo alle problematiche relative al posizionamento di un autore, o più in generale di chi produce un oggetto culturale, all’interno del mercato. Si tratta di un’indagine che nel corso della sua carriera Jameson rivolge anche nei confronti del suo stesso ruolo di critico militante. Come sottolinea Steve Helmling a proposito del libro Brecht and the method: “è questo il suo sottotesto costante, la sua preoccupazione, addirittura si potrebbe dire la sua forma di “autocoscienza”, dal momento che si tratta della domanda centrale della stessa ambizione critica: che cosa la critica (ossia, il tentativo come quello di Jameson) può fare o essere nel nostro periodo storico? A quali successi può aspirare? Di quali fallimenti è responsabile nello specifico? Come la scrittura della critica, il suo status che consiste nell’essere “un tipo di scrittura”, si pone all’interno di questi problemi? Come, se proprio è possibile, “gli effetti testuali” possono avere effetto o partecipare nella dialettica dei processi storici che la critica vuole illuminare? Più nello specifico, per un Marxista critico, come può un critico “rivoluzionario” essere di successo in un periodo in cui la stessa rivoluzione sta fallendo?” <40
Non è un caso che il saggio di Helmling termini la sua rassegna con una delle produzioni meno note di Jameson: un breve (relativamente alle altre sue produzioni) omaggio a Bertolt Brecht. Jameson definisce Brecht utile, «non solo per un incerto e possibile futuro, ma proprio adesso, nella situazione di una retorica, così fortemente legata al mercato, del dopoguerra-fredda, la quale è anche più anticomunista rispetto a quella dei bei vecchi tempi» <41.
Tuttavia il quadro è totalmente cambiato, è avvenuto anzi un passaggio che marca una radicale differenza con il contesto precedente alla Seconda Guerra Mondiale. La periodizzazione utilizzata da Jameson guarda da vicino gli sviluppi tecnologici avvenuti nel corso del Novecento: anche in questo caso le analisi di Daniel Bell in merito alla società “post-industriale” vengono sottoposte a critica facendo ricorso agli studi di Ernest Mandel sul cambiamento dei modi di produzione e sulle sue conseguenze all’interno del sistema culturale.
Mandel individua tre stadi del capitalismo che si differenziano tra loro a seconda delle innovazioni tecnologiche e dei cambiamenti dei modi di produzione: – la prima rottura risale al 1848 con l’invenzione della macchina a vapore; – la seconda risale agli anni ’90 del Diciannovesimo secolo ed è prodotta dall’invenzione del motore a combustione; – la terza avviene negli anni ’40 del Ventesimo secolo con la nascita della tecnologia elettronica e nucleare. L’ultimo stadio viene definito “tardo capitalismo” e viene descritto come «uno stadio del capitalismo più puro» <42. Esso comporta una rete di controllo burocratico («nelle sue forme più terrificanti» <43, sottolinea Jameson) e lo stretto legame tra governo e sistema affaristico sovranazionale.
Il tardo capitalismo è infatti caratterizzato da un mercato che supera i confini delle nazioni e che crea continui collegamenti fra nodi differenti, una rete che tende all’espansione tanto geografica quanto cognitiva, dal momento che arriva a coinvolgere tutti i settori della produzione materiale e immateriale. In questa forma di capitalismo saltano i parametri del marxismo classico: come è possibile immaginare la lotta di classe all’interno di una rete così espansa e così frammentata? Come è possibile analizzare una forma di imperialismo che si pone su un piano differente rispetto alla categoria di stato-nazione, pur senza che questo venga del tutto superato? Cosa vuol dire infine posizionarsi nella lotta politica contro un sistema che produce commodities, beni, piaceri?
[NOTE]
39 Giuliana Benvenuti, Remo Ceserani, La letteratura nell’età globale, Bologna, Il Mulino, 2012, p. 62.
40 Steve Helmling, The Success and the Failure of Fredric Jameson. Writing, the Sublime, and the Dialectic of Critique, New York, State University of New York, 2001, p. 2 (trad. mia).
41 Fredric Jameson, Brecht and Method, Verso, Londra-New York, 1998, p. 1 (trad. mia).
42 Fredric Jameson, Postmodernism, or, the Cultural Logic of Late Capitalism (1991), trad. it. Fredric Jameson, Postmodernismo ovvero La logica culturale del tardo capitalismo, Fazi Editore, Roma, 2007, p. 17.
43 Ivi, p. 14.
Paolo La Valle, Raccontare la storia al tempo delle crisi, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, 2015

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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