La proibizione del nuovo romanzo di Alberto Moravia

Quando la rivista omonima del gruppo Giustizia e Libertà pubblicò nell’inverno del 1935, a Parigi, un lungo articolo dal titolo “La proibizione del nuovo romanzo di Alberto Moravia”, il riferimento era a “Le ambizioni sbagliate”, il secondo romanzo dello scrittore romano dopo il successo de “Gli indifferenti”. <399 L’anonimo estensore dell’articolo, come riporta Guido Bonsaver nel suo recente “Mussolini censore”, <400 denunciava così il «primo importante ‘provvedimento’ del regime nei confronti della giovane cultura italiana» <401 nelle forme della censura di un giovane scrittore: ciò non era vero; ma, paradossalmente, l’effetto dell’articolo di denuncia fu quello di assicurare che il romanzo fosse posto al bando per mano dello stesso Mussolini. La notizia era dunque infondata. Artatamente confezionata per colpire, da Parigi e quindi agli occhi dell’Europa liberale, il regime fascista nella più delicata delle sue funzioni, la politica culturale.
Di fatto, sino alla intempestiva segnalazione di Giustizia e Libertà, Moravia non ha mai avuto problemi di sorta con la censura fascista. Al contrario, il giovane scrittore fu invece, come abbiamo visto nel primo capitolo, sempre proclive a collaborazioni con riviste giovanili fasciste quali «Lupi» e «L’Interplanetario», nonostante la politica, per sua stessa ammissione, non fosse mai stata al centro dei suoi interessi, anche se è possibile immaginare, piuttosto, un certo e malcelato distacco dagli aspetti più ingenui e volgari del fascismo militante, così come riferito in un aneddoto ad Alain Elkann che gli chiedeva un ricordo personale della marcia su Roma:
“Quella l’ho vista proprio con i miei occhi. Me la ricordo benissimo, perché andai a piazza del Popolo, mi sedetti sul bordo di una fontana. Non si poteva passare dall’altra parte. Stavano sfilando i fascisti che sembravano tanti cacciatori, con la camicia nera, i pantaloni grigioverdi e le mollettiere. Molti con i fucili da caccia. Sembravano dei contadini che andassero per pernici. Ogni tanto c’era un fascista più decorativo. Ulisse Igliori, per esempio, su un cavallo bianco, un fascistone di Roma. Come ho detto, stavo seduto sul bordo di una fontana e guardavo. Ad un certo punto è avvenuta una cosa strana: un’ape mi ha punto, ho visto tutto nero come le camicie dei fascisti! E ricordo pure che, volendo attraversare la piazza, passai attraverso la colonna dei fascisti. Uno mi disse: “Ragazzo, via!” e mi diede una leggera scudisciata sulle gambe. Sentii anche due persone anziane che commentavano favorevolmente: “È l’Italia di domani”. / Che impressione ti fecero quel giorno i fascisti? / Mi fecero l’impressione di essere della gente di provincia. / Non ti fecero paura? No, per niente. Non ero politicizzato allora. Pensavo alla letteratura e basta”. <402
Eppure, quando si trattò di pubblicare il suo primo romanzo, “Gli indifferenti”, Moravia optò per una casa editrice di chiarissimo stampo fascista, l’Alpes, fondata a Milano nel 1921 e diretta dal fratello di Benito Mussolini, Arnaldo, il quale nel 1923, l’anno successivo alla marcia su Roma, ne aveva traslocato la sede nei vecchi uffici del «Popolo d’Italia». Alpes si distingueva, infatti, per intere collane dedicate alla pubblicistica di propaganda, tra le quali una collezione dei discorsi del Duce. <403
Non deve sorprendere, anzi, sapere che “Gli indifferenti” fu ricevuto positivamente in diversi circoli letterari fascisti. Ad esempio, il 14 agosto 1929 ne uscì una recensione positiva sul «Popolo fascista», rivista del Sindacato professionisti e artisti, diretta dallo zio di Moravia, Augusto De Marsanich, e redatta da Gherardo Casini, il quale in anni successivi sarebbe divenuto un dirigente importante del ministero della Cultura popolare. Ancora più rilevante fu la recensione del 25 settembre 1929, uscita sul «Popolo d’Italia» per mano della prima consigliera del Duce, Margherita Sarfatti. Se è vero che nell’articolo si sottolineava la amoralità dei protagonisti, questa diveniva accettabile in consonanza con la critica fascista al decadimento della classe borghese. Chiaro segnale di approvazione fu il parallelo proposto da Sarfatti tra la maestria narrativa di Moravia e quella di importanti autori della tradizione letteraria italiana ed europea: Shakespeare, Manzoni, Balzac e Verga. <404
Si accennava poco più sopra alla figura dello zio di Moravia, Augusto De Marsanich, fratello della madre dello scrittore, a quell’altezza cronologica direttore di una rivista sindacale del tempo, quindi influente dirigente del regime (sottosegretario per le Comunicazioni prima, alle Poste e telegrafi poi) e al regime fedele sino alla caduta del fascismo. <405 Fu probabilmente il De Marsanich a proporre la casa editrice di Arnaldo Mussolini al giovane nipote che, com’è noto, in arte aveva assunto il cognome della nonna paterna, Moravia, discendendo da una famiglia della ricca borghesia ebraica; ma, ben più importante, sul versante politico, era il legame di parentela da parte di padre con la famiglia Rosselli e, in particolare, con i cugini Carlo e Nello Rosselli i quali, da Firenze prima e da Parigi poi, dirigendo il gruppo liberale antifascista Giustizia e Libertà, avevano provocato le “attenzioni” della polizia politica sui Pincherle sebbene, c’è da dire, le richieste di Moravia di rinnovo del passaporto per poter viaggiare all’estero come giornalista non fossero mai state rifiutate, e sino ai primi anni Trenta tutto ciò non comportò ostacoli alla sua attività letteraria e pubblicistica.
Difficoltà con il regime nasceranno, dunque, dopo la recensione parigina de “Le ambizioni sbagliate” e, più in là, nel ’38, con l’emanazione della legge antisemita nonostante, ancora, l’origine ebraica del padre (identità, com’è noto, genealogicamente matrilineare) non era di per sé ragione sufficiente a fare di lui un cittadino soggetto a misure antisemite, tenuto conto anche della sua educazione cattolica. Non è caso, dunque, che quando il 13 settembre 1938 si aprirono il lavori della Commissione per la bonifica libraria, il caso di Moravia fu all’ordine del giorno, anche se non vennero prese decisioni formali a riguardo; e quando – annota ancora Bonsaver, – tra febbraio e marzo 1939, furono prodotte le prime liste di libri e di autori non graditi, furono due le opere di Moravia ad essere identificate e punite con la proscrizione, “Le ambizioni sbagliate” per Mondadori e “L’imbroglio”, la raccolta di racconti del ’37, dallo stesso editore rifiutate (determinando in tal modo l’avvicinamento di Valentino Bompiani), così come ricordato dallo scrittore ad Alain Elkann:
“Dopo lunga attesa mi arrivò una lettera dalla Mondadori, su per giù di questo tenore: ‘Caro Moravia, spiacenti, ma non possiamo pubblicare il suo libro, perché dobbiamo pubblicare i diari del maresciallo Badoglio’. Questa lettera sottintendeva due fatti, l’uno pubblico e l’altro privato: il primo la conquista ormai compiuta dell’Etiopia da parte dell’esercito italiano guidato dal maresciallo Badoglio; il secondo il fatto che ‘Le ambizioni sbagliate’ erano state boicottate dal governo e che io ormai ero noto come antifascista. Portai il libro da Bompiani. Bompiani esitava, chiese il parere di Paola Masino, che era la compagna di Bontempelli, la quale disse: ‘Ma Moravia si pubblica’. E Bompiani pubblicò”. <406
C’è da dire che il dietrofront di Mondadori alla pubblicazione de “L’imbroglio” nasceva dal fatto che l’editore, ben introdotto nei palazzi del regime, aveva integrato la politica come momento essenziale della sua produzione (i gerarchi più in vista figuravano nel suo catalogo) e che, nel conteggio dei suoi costi e ricavi, il fascismo stesso era «al tempo stesso un committente, un mercato, un sistema di regole». <407
Lecito dunque chiedersi quale fosse il rapporto di Alberto Moravia con il fascismo e, più in particolare, con la censura. <408 Un rapporto che occorre sviluppare, con miglior dettaglio cronologico, <409 a far data dal luglio del 1929, nei mesi seguenti l’uscita de “Gli Indifferenti”, allorquando i cugini Rosselli, insieme a Emilio Lussu e Fausto Nitti, evadono dal confino di Lipari e si rifugiano a Parigi: è, pertanto, sulla scorta di tali relazioni parentali ‘pericolose’, che dal dicembre di quell’anno la questura di Roma, in contatto col Ministero degli Interni, apre una cartella su Moravia. Che, sulle prime, trascorre un periodo tra Perugia e Firenze, dove visita Bernard Berenson, cui legge “Gli indifferenti”. Fatto degno di nota. Perché l’amicizia con Berenson gli varrà decine di lettere di presentazione per l’Inghilterra presso il prestigioso ambiente intellettuale di Bloomsbury: inviato da «La Stampa», sarà a Londra nel novembre del ’30 sino al febbraio dell’anno successivo. Quando rientra a Roma, lo scrittore riprende a frequentare i salotti della capitale, in particolare quello di Letizia Pecci Blunt dov’è la cosmopolita élite politica e culturale del suo tempo, e della sua Galleria della Cometa, per molti aspetti alternativa alla linea ufficiale delle Biennali veneziane e delle Quadriennali romane. Conosce Longanesi, Pannunzio e Guttuso, coi quali stringe durature amicizie: è su «L’Italiano» di Longanesi che nel marzo del ’31 pubblica “Andreina”, finale, poi ampliato, dell’ancora inedito romanzo “Le ambizioni sbagliate”.
Intanto nei riguardi di Moravia la questura romana esercita il controllo della corrispondenza. Per necessità e per diporto, riprendono abbrivo i suoi viaggi all’estero: in estate è in Cecoslovacchia, ricavando articoli che escono sulla «Gazzetta del Popolo», iniziando così una collaborazione, che pur con lunghe interruzioni, è la principale tra quelle prima della guerra. <410 Quindi è di nuovo a Londra, poi a Parigi. <411 Al ritorno dalla Francia inizia un più stretto legame con Roma di cui – notazione interessante – non conosceva che il solo quartiere di residenza, quello dov’è ambientato il già ricordato racconto “Villa Mercedes”: <412 è il periodo di sodalizio con Pannunzio, Chiaromonte e Morra. Agli inizi del ’33 compie un ulteriore viaggio, stavolta in Austria e Germania, ritornando nuovamente in Cecoslovacchia. Al rientro, la sua abitazione romana è perquisita in seguito alle indagini su Carlo Rosselli. <413 Così una nota della questura datata 1934: «da indagini esperite non si sono raccolti elementi per far ritenere che il Pincherle abbia nella Capitale svolto attività antifascista. Il Medesimo però non risulta iscritto alla Federazione Fascista dell’Urbe e nel riguardo del Regime tiene contegno riservato. Vive in floride condizioni economiche, unitamente alle sorelle Adriana, Elena, il fratello Gastone e i suoi genitori». <414
Durante il periodo estivo compie una nuova serie di viaggi. Visita Malaparte a Viareggio, dove lo scrittore toscano è da un anno relegato al confino in seguito a dissensi con le gerarchie fasciste; e insieme a Malaparte intraprende un viaggio a Parigi, pernottando prima a Torino presso Giacomo e Renata Debenedetti. In agosto col fratello Gastone e con un amico di lui compie un viaggio in Olanda, mentre in settembre è a Capri, il primo di una serie di lunghi soggiorni nell’isola. Singolare la sua amicizia con Malaparte, la cui attività letteraria era curiosamente disseminata sia in riviste del fascismo estremista, sia in riviste notoriamente antifasciste, come «La Rivoluzione liberale» di Gobetti, <415 diversamente da Moravia che ha sempre pubblicato su riviste (filo) fasciste. <416 Valga, da questo punto di vista, la posizione di Paolo Pillitteri, invero assai severa, sulla lettera di Moravia inviata a Galeazzo Ciano perché questi consentisse la pubblicazione de “Le ambizioni sbagliate”. Secondo Pillitteri, Moravia, nella lettera:
“esplicita la sua poetica, il suo pensiero ‘politico’, le sue tendenze di fondo, la sua non indifferenza alla missione rinnovatrice del fascismo, la sua ‘sottomissione’ letteraria alle linee culturali fissate dal Littorio. Il fatto è, però, che Moravia sapeva di essere un borghese e dunque appartenente a quel ceto che aveva subito e accettato il fascismo, vuoi per servirsene contro la paura del bolscevismo e del massimalismo, vuoi per condividere quell’aura di restaurazione della legge e dell’ordine dopo anni di disordini e di violenze, da una parte come dall’altra. Di certo chi si servì del fascismo fu proprio lui, Alberto Moravia, magari senza condividere a fondo gli ideali e forse, disprezzandoli in forza dei cedimenti piccolo borghesi del fascismo stesso. Il suo è un vero e proprio atteggiamento di cinismo e di sfrenato egoismo, un misto di tollerato frondismo e di captatio benevolentiae dei gerarchi fra i quali, non dimentichiamolo, spiccava per potere e autorevolezza lo zio, Augusto De Marsanich”. <417
Di contro, René De Ceccatty giudica la posizione di Pillitteri «una sovrainterpretazione malevola e gratuita», <418 argomentando che questa sarà, in particolare durante le prime forme di contestazione del ’68, l’accusa preferita dei nemici dello scrittore una volta venuto fuori che la sua opera prima fu pubblicata presso un editore fascista.
Ad ogni modo, nel 1935, con “Le ambizioni sbagliate”, esce per l’editore Carabba la raccolta di racconti “La bella vita”: ma è un periodo di scoramento, dovuto come abbiamo visto alle difficoltà incontrate con la censura e, certo, all’insuccesso del romanzo. Accetta così l’invito di Giuseppe Prezzolini alla Casa Italiana della Columbia University di New York per tenervi alcune conferenze. In tralice, va osservato almeno un giudizio, oramai lontano dai fatti, di Prezzolini secondo cui ne “Gli indifferenti” l’assenza di ogni nota politica non poteva che tradursi tout-court come antifascismo: «L’assenza nel romanzo di ogni nota politica al tempo del Fascismo mi aveva colpito; chi nulla diceva del Fascismo a quel tempo non poteva essere che un avversario del Fascismo». <419 Terminati gli impegni alla Columbia University (ed esasperato dall’inverno newyorkese), Moravia si reca alfine un mese in Messico, da cui rimane profondamente colpito: se ne ricorderà, insieme all’incendio del Reichstag del febbraio ’33, quando di lì a qualche anno comporrà il suo terzo romanzo, “La mascherata”.
In aprile fa rientro verso l’Italia. «L’inverno 1935-36 costituisce “una specie di cesura nella mia vita”, dopo la depressione dei mesi precedenti: “non importa se in America non ho fatto molto lavoro” scrive durante il viaggio di ritorno, “certe riflessioni e la serenità e la fiducia recuperate valgono bene qualche novella e una decina di articoli d’attualità”». <420 Per cui, dopo una breve permanenza a Roma, raggiunge a Positano una donna inglese, Helen, conosciuta sulla nave durante il viaggio di ritorno. A Positano, Moravia ritrova la facilità di scrittura perduta nella faticosa elaborazione de “Le ambizioni sbagliate”, scrivendo alcuni racconti lunghi che insieme a “L’imbroglio” e a “La tempesta”, già pubblicati, andranno a comporre un nuovo volume. La questura, intanto, lo tiene sotto controllo.
In agosto va a Capri, Helen lo raggiunge, ma la storia si chiude drammaticamente nel giro di un giorno: e, tuttavia, nei paesaggi capresi è la genesi del bel racconto “L’amante infelice” del 1942, come meglio vedremo nel quarto capitolo.
[NOTE]
399 Strepitoso, inatteso successo, tanto che alla prima edizione ne vengono fatte seguire diverse altre, con una grande risonanza sulla stampa, moltissime recensioni a partire da quella assai positiva, quasi un battesimo, di Giuseppe Antonio Borgese su «Corriere della sera», il 21 luglio 1929, ora in F. CONTORBIA (a cura di), Giornalismo italiano. 1901-1939, II, Milano, Meridiani Mondadori, 2007, pp. 1288-1289.
400 Cfr. G. BONSAVER, Mussolini censore. Storie di letteratura, dissenso e ipocrisia, Roma-Bari, Laterza, 2013.
401 Ivi, p. 162.
402 A. MORAVIA – A. ELKANN, Vita di Moravia cit., p. 34.
403 Cfr. G. BONSAVER, Mussolini censore cit. Spiace non rinvenire la notizia della casa editrice Alpes alla voce ‘Mussolini, Arnaldo’ in AA.VV, Dizionario del fascismo, a cura di V. DE GRAZIA e S. LUZZATO, vol. II, L-Z, Torino, Einaudi, 2003. Ciò non scalfisce l’eccellenza del dizionario, come si vedrà, ampiamente consultato.
404 Cfr. G. BONSAVER, Mussolini censore cit. Inoltre, conversando con Yvon De Begnac, Mussolini stesso aveva confessato il suo apprezzamento per il romanzo moraviano, giudicandolo «oscenamente e antiborghese al medesimo tempo», il cui valore è quello di aver rivelato di un intero mondo di passivo antifascismo. Le tre ristampe del romanzo vendettero bene, dopodiché i diritti di pubblicazione passarono nel 1933 all’editore Andrea Dall’Oglio, il quale ne stampò un’edizione per la casa Corbaccio.
405 Al quale sopravvisse diventando figura centrale del Movimento sociale italiano nel secondo dopoguerra; cfr. G. BONSAVER, Mussolini censore cit.
406 A. MORAVIA – A. ELKANN, Vita di Moravia cit., p. 401.
407 AA.VV, Dizionario del fascismo cit., p. 153 alla voce ‘Mondadori, casa editrice’.
408 Ivi, cfr. voce ‘Censura’: «La censura fascista si estese sopra un territorio vasto e accidentato. Assoggettò al suo controllo i circuiti della diffusione delle idee e la conversazione privata, lo stile degli scrittori e le condotte individuali; e come tale funzionò da potente meccanismo regolativo nei rapporti tra la sfera pubblica e la sfera privata nell’Italia del Ventennio. Vi capo un apparato istituzionale, che si venne via via perfezionando nel corso degli anni, e una pluralità di pratiche e di attori. / I censori innanzitutto: in origine funzionari di polizia, in seguito addetti della Stampa e Propaganda – poi ministero della Cultura popolare (Minculpop). Spesso erano giornalisti, a volte scrittori, tra loro ci fu anche qualche poeta. Con la guerra, impiegati civili di specchiata moralità e di non dubbia fede politica sarebbero stati chiamati, insieme ai militari, a un meticoloso lavoro di censimento dello spirito pubblico attraverso la corrispondenza privata degli italiani. Ma questa è un’altra storia. In tempo di pace gli avvertimenti, o, meno minacciosamente, i segnali su come muoversi e in che direzione, nel cinema, a teatro e nella letteratura, arrivavano da altre fonti: dai critici, dai direttori delle riviste, dai gerarchi più prestigiosi, quelli – per dirla con Longanesi – che tenevano i cordoni della borsa e decidevano sulle carriere individuali. Qualche volta fu Mussolini in persona a dettare la linea. Per questo, negli anni della dittatura, le polemiche letterarie, le dispute estetiche, i giudizi su autori e opere non contennero mai, solo, un’indicazione di rapporti intellettuali. Ridefinirono di volta in volta la mappa mutevole e instabile delle affiliazioni politiche, della distanza e della prossimità ai centri del potere. Con effetti decisivi sulle scelte dei singoli, sui progetti individuali, sulla vita e sull’opera degli autori. / Si può dire, in termini schematici, che l’edificazione della censura fascista si realizzò nella direzione di un progressivo trasferimento di poteri dall’apparato periferico di polizia all’ufficio del capo di governo: per mezzo di una cauta ma decisa espropriazione di compiti e prerogative tradizionalmente esercitate dal ministero dell’Interno attraverso la rete delle prefetture, a vantaggio di un organismo istituzionale in fieri qual era l’Ufficio stampa. Il discorso vale ovviamente per la censura libraria, ma si può estendere anche al cinema, alla radio, alla musica: metteva in gioco un processo di centralizzazione delle funzioni del controllo degli strumenti e dei circuiti della comunicazione culturale e la loro subordinazione a un principio esplicito di direzione politica unitaria».
409 Il riferimento è a S. CASINI, Cronologia, in A. MORAVIA, Opere cit.
410 Contestualmente, ha una turbinosa (e romanzesca) relazione con Lélo Fiaux, giovane pittrice svizzera, il cui fidanzato in autunno muore suicida: un evento che contribuirà a rendere ancor più difficili quei primi anni trenta; i due, Lélo e Moravia, trascorrono, probabilmente fra il 1932 e il 1933, l’inverno insieme; rimasta incinta, Lélo abortisce a Ginevra e in seguito parte per Tahiti, da cui farà ritorno soltanto nel 1935: si tratta, ad ogni modo, di una storia che ossessionò a lungo lo scrittore. Cfr. anche DE CECCATY, Alberto Moravia cit.
411 «A questo viaggio potrebbe risalire una frequentazione a Versailles dove incontra Valéry e tutto il gruppo destinato a chiamarsi ‘Art 1926’», in S. CASINI, Cronologia, p. XXXII.
412 Ibidem. «Fino al ’32 si può dire che non la conoscevo. Conoscevo il quartiere dove abitavo».
413 Ivi, p. XXXIII.
414 Ivi, p. XXXIV.
415 Cfr. Dizionario del fascismo cit., p. 79 alla voce ‘Malaparte, Curzio’.
416 Il pensiero va anche alla sospensione del «900» bontempelliano in lingua francese, «il cui originario programma cosmopolitico si colorava di sfumature imperialistiche», in Dizionario del fascismo cit., p. 185 alla voce ‘Bontempelli, Massimo’.
417 P. PILLITTERI, Il conformista indifferente e il delitto Rosselli, pp. 61-62, in R. DE CECCATTY, Alberto Moravia cit., p. 211.
418 R. DE CECCATTY, Alberto Moravia cit., p. 211. Per una verifica puntuale del rapporto di Moravia con il fascismo attraverso la corrispondenza, cfr. S. CASINI, Moravia e il fascismo. A proposito di alcune lettere a Mussolini e a Ciano, in R. DE CECCATTY, Alberto Moravia cit. In effetti, Moravia si compromette più volte, stando al ritrovamento di Renzo Paris di tre lettere nel 2004, di cui in una – riportata nella biografia di de Ceccatty – testualmente è detto: «Ammiro l’opera del Regime in tutti i vari campi in cui si è esplicitata e in particolare in quello che come artista a me più interessa, cioè quello delle lettere e della cultura». Ma per il biografo francese, nonostante l’evidente, riconosciuta, compromissione politica e culturale, ciò sarebbe «un modo di rivendicare una maggiore libertà di espressione e niente più», ivi, p. 243.
419 A. MORAVIA – G. PREZZOLINI, Lettere, Milano, Rusconi, 1982, p. 5.
420 S. CASINI, Cronologia, p. XXXVI.
Annibale Rainone, Interni moraviani. Immagini dell’abitare in romanzi e racconti di Alberto Moravia, Tesi di dottorato, Università ‎degli ‎Studi di ‎Salerno, Anno accademico 2012/2013

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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