La ragazza di nome Giulio

Milena Milani

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lucio Fontana, Ritratto di Milena Milani, 1952 – Museo d’Arte di Palazzo Gavotti, Savona (Collezione Milena Milani in memoria di Carlo Cardazzo) – Fonte: Artribune

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Se Milena Milani sottoscrive anche il Manifesto del Movimento Spaziale per la Televisione del 17 maggio 1952 (VI Manifesto spaziale), così come Spaziali alla XXIX Biennale di Venezia (VIII Manifesto dello Spazialismo) creato nel 1958 in occasione della rassegna veneziana e della mostra di Giuseppe Capogrossi alla Galleria del Cavallino, firmato anche da Giani, Joppolo, Tullier e Toni Toniato, di fatto però non espone mai con loro se non alla «Mostra Spaziale» nel Salone degli Specchi di Ca’ Giustinian a Venezia nel 1953, alla presentazione del manifesto Lo Spazialismo e la Pittura italiana nel secolo XX composto da Anton Giulio Ambrosini, tantomeno alla Biennale, dove gli Spazialisti sono tutti uomini (Fontana, Morandis, Edmondo Bacci, Roberto Crippa, Bruno De Toffoli, Emilio Scanavino). Scrive però nel 1952 con Cardazzo, Guidi, Joppolo e Morucchio nel catalogo della mostra Artisti spaziali, organizzata alla Galleria Casanova di Trieste, e verrà chiamata a far da testimone di quel tempo più tardi, nel 1972, per l’esposizione «Luce e Spazio» allo Studio d’Arte Moderna di Roma e nel 1987 per «Carlo Cardazzo, Fontana et le Spatialisme» al Centre Georges Pompidou di Parigi. Se di quel rapporto speciale, in particolare con Lucio Fontana, resta anche un Ritratto di Milena Milani (1952; Savona, Pinacoteca Civica di Palazzo Gavotti «Collezione Milena Milani in memoria di Carlo Cardazzo») in maiolica bianca con interventi di colore nero, lo Spazialismo non dilaga però nella sua produzione artistica, sebbene avrebbe potuto essere invece una suggestione interessante, se si paragona al suo itinere artistico e la sensualità della pittura magmatica di Bruna Gasparini, un artista che al contrario non firma i manifesti degli Spazialisti ma è la compagna di uno di loro, Luciano Gaspari, e come loro dipinge, in modo anzi talora più intenso e lirico.
[…] Le frequentazioni di Cardazzo portano Milena Milani a conoscere personalità come Joan Miró (del quale nel 1964 traduce Lavoro come un giardiniere per le Edizioni del Cavallino), Sonia Delaunay, Hans Arp, Jean Dubuffet, Asger Jorn, a esperire presto la pittura di Jackson Pollock grazie alla presenza di Peggy Guggenheim a Venezia, a relazionarsi con altri noti galleristi come Aimée Maeght, Leo Castelli e Ileana Sonnabend, con personalità come Gualtieri di San Lazzaro, critico d’arte, editore della rivista XX Siècle e gallerista a Parigi, che è il tramite di Cardazzo per esporre nel 1951 e 1952 a Milano e a Venezia l’opera grafica di Kandinskij (cf. Nicoletti 2011, 78).
Nella capitale francese Milani diventa anche amica della moglie del pittore russo (lui è già mancato nel 1944) e su sua commissione traduce Sguardi sul passato, scritto da Kandinskij nel 1913 e già trasposto dal russo al francese da Gabrielle Buffet-Picabia nel 1946, dal quale lei lo trae per le Edizioni del Cavallino che lo pubblica. Per certi versi la sua posizione nel sistema dell’arte (anche per ragioni anagrafiche) è vicina a quella di altre donne galleriste come la scrittrice e giornalista Irene Brin, che gestisce la Galleria L’Obelisco a Roma insieme al marito Gaspero del Corso (cf. Caratozzolo, Schiaffini, Zambianchi 2018), ma anche alle inquietudini di autrici che frequentano gli artisti e sono al contempo compagne di personalità ingombranti, nel cui desiderio di affermazione convive una dipendenza in primis psicologica da uomini rassicuranti, come Lea Quaretti, moglie di Neri Pozza, che è collezionista dalle ampie possibilità e scrittrice di modesto successo. Con quest’ultima condivide pure un ambito di frequentazioni, da Venezia come panorama delle storie d’amore e ambiente culturale
[…] L’assenza di Carlo Cardazzo, che muore nel novembre del 1963, muta bruscamente la vita di Milena Milani. La galleria di Milano resta al fratello di lui, Renato, e quella di Venezia ai figli di Carlo. Quella impensata solitudine la porta a intensificare il suo ruolo di scrittrice – uscirà infatti nel 1964 La ragazza di nome Giulio che causerà un grande scandalo – ma anche di artista. In Io donna e gli altri, pubblicato nel 1972 ma scritto tra dicembre 1963 e il 1965, sublima indizi della loro vita insieme, elenca i luoghi del ricordo di una esistenza privilegiata. Non si vedranno mai più a Parigi al caffè Deux-Magots, né a Roma in Piazza del Popolo, né al mare alla cabina numero 1 dei Bagni Sport o al Bar Testa di Albisola, né a Nizza sulla Promenade, né a New York all’angolo 2 East 86 Street, ma nemmeno a cena alla Colomba a Venezia. Lo sogna come se fossero a Parigi nell’estate precedente, mentre lui le dice che è «come una donna di van Dongen» con i capelli corti, il «cappellino rosso con un nodo sulla destra, grandi occhi bistrati», la bocca piccola e rossa. Presa dalla stessa malinconia, nella casa di Milano svuotata dopo il trasloco è costretta a lasciarla, evoca Pollock scomparso nel 1956, che «era più di un pittore come ce ne sono tanti, rappresentava qualcosa oramai di simbolico» (Milani 1972, 154, 168-9). Una scultura africana Dogon che possiede (un genere di espressione etnografica e artistica trattata anche dalla Galleria del Cavallino), che accarezza spesso e che dice di amare «pazzamente», diventa così una delle poche presenze «in grado di interpretare» le sue preoccupazioni e quando un estate, invece di andare a Albisola Marina dove i ricordi le fanno male, si ferma a Savona, intravede sulla spiaggia «le panettiere di via Montenotte» che le paiono donne dipinte da Paul Delvaux. Diventano «esseri surreali» che indossano costumi interi e avanzano sulla sabbia con sandali dai tacchi alti, una bionda e l’altra bruna. Le evocano i disegni dell’artista esposti nel Padiglione del Belgio proprio alla Biennale di quel 1964 in cui scrive, ma anche un quadro dello stesso che ha nella casa di Milano, Le viol (1945), che non si stanca mai di guardare: raffigura una donna in primo piano, appoggiata a una colonna, mentre un altra con lunghi capelli neri che le coprono il volto sta sfuggendo sullo sfondo. Hanno «occhi grandissimi, immensi», sono «statue viventi che cercano senza pace una risposta che non troveranno mai», come se una dannazione pesasse su di loro; sono nude, ma «senza impudicizia, abbigliate d’innocenza, e di inconoscenza» (Milani 1972, 76-9). La carriera espositiva di Milani prosegue comunque carsicamente attraverso tutti quegli anni, passando da una pittura-scritta all’inserzione di collage ad altre tecniche artistiche.
Stefania Portinari (Università Ca’ Foscari Venezia, Italia), Per un ritratto di Milena Milani. Quadri scritti e «soltanto amore» in Venezia Novecento. Le voci di Paola Masino e Milena Milani, a cura di Arianna Ceschin, Ilaria Crotti, Alessandra Trevisan, Italianistica 11, Edizioni Ca’ Foscari, 2020

Carlo Cardazzo e Milena Milani – Fonte: blog Bruno Porro pittore

 

 

 

Milena Milani è stata una pluri-artista del proprio tempo, capace di muoversi senza condizionamenti tra scrittura, arte contemporanea, organizzazione di eventi, editoria, politica e il moderno influencing. Riportarla oggi all’attenzione e alla lettura – seppure in modo parziale – è un’operazione che può essere resa possibile dalla scelta di alcuni suoi testi, affrontando parallelamente la biografia legata a essi.
Da considerare è soprattutto il primo periodo di produzione, il ventennio 1944-1964 circa: ci si troverà immersi in un momento in grado di svelare tratti di stile e particolarità uniche che pertengono all’autrice in tutte le forme artistiche da lei sperimentate, soprattutto in campo poetico e prosastico, tenendo a mente che le qualità dell’attività scrittoria si sono rivelate anche nel campo del giornalismo, della critica d’arte e nella produzione di quadri-scritti e ceramiche-scritte grazie ai quali, fino al 2013 (anno della sua scomparsa), ha ottenuto riconoscimenti internazionali.
Nell’ultimo decennio alcuni critici hanno alimentato un dibattito nutrito sull’opera dell’artista, soprattutto in Inghilterra, Stati Uniti e Italia. In particolare, risulta corposo e completo il contributo di Gianfranco Barcella che, nella monografia Invito alla lettura di Milena Milani <1, traccia un percorso tematico in grado di far emergere quelli che si potrebbero definire i “movimenti remoti” autoriali – parafrasando un emblematico titolo di Goffredo Parise risalente al 1948, anno che, se tenuto sottotraccia in termini di etichetta, gioca a favore in questa sede.
Molti motivi che si andranno a sviscerare nell’opera di Milani, almeno fino alla pubblicazione di La ragazza di nome Giulio per Longanesi nel 1964, confermano uno sguardo e un taglio autoriale capace di cogliere, dal punto di vista letterario, tendenze coeve; il riferimento ad altre scritture e forme d’arte contemporanee, che possano per affinità palesare un’intertestualità in grado di trovare riferimenti in Italia e in Francia (ma anche altrove), sarà importante per tracciare un impianto di rimandi tenuti insieme dalla pratica scrittoria.
L’aspetto della marginalità di Milani rispetto al canone letterario del Novecento non è da sottovalutare; questa prospettiva, tuttavia, sarà affrontata con l’assunzione di posizioni più vicine alla critica tematico-testuale, sia per ragioni di partecipazione solo sporadica dell’autrice al femminismo sia per tenere aperto il campo delle possibilità di dialogo virtuoso tra contesto e testi.
Nel “fare” di Milena Milani si riconosce a più livelli un contributo fondamentale al panorama del suo tempo: l’adesione in prima persona a correnti, movimenti e alla vita artistica del secondo Novecento è attestata da documenti, articoli apparsi su quotidiani e fotografie <2. Un probabile successivo oscuramento o una mancanza di seguito sono dovuti, forse, alla sua vicenda privata: da un lato, il legame, nel ventennio qui considerato, con il mercante d’arte Carlo Cardazzo – all’epoca già sposato – e il comune lavoro nella Galleria del Naviglio in via Manzoni 45 a Milano (come già nella Galleria del Cavallino a Venezia, dove fu lanciata); dall’altro, lo scandalo che seguì la pubblicazione del suo più importante romanzo già citato, in cui la narrazione di un amore omosessuale le valse la censura e un processo <3.
La sua «Difficulté d’être» – parafrasando Jean Cocteau e un certo senso del tragico – riguarderebbe l’apertura verso ciò che, di recente, Laurie Anderson ha affermato a proposito dell’incarnare la figura dell’«artista multimediale»: «I’m an artist because I wanna be free. I hate when people tell me what to do. Whatever makes you feel free and really good – that’s what to do. It’s really simple» <4. Come anticipatrice, Milani coglie questo netto significato della “libertà” che percorre l’opera prima dell’avvento del femminismo <5.
È possibile indagare le poesie di Ignoti furono i cieli <6 e La ragazza di fronte <7, le prose brevi di L’estate <8, confluite in Emilia sulla diga <9, e i romanzi Storia di Anna Drei <10 e La ragazza di nome Giulio come opere dichiaratamente riferite al sé e alla propria esperienza secondo una definizione di Anna Maria Mariani che, nel saggio Sull’autobiografia contemporanea <11, scrive: «L’autobiografia è il racconto della memoria che un individuo ha della propria vita». Si parlerebbe di “auto riferibilità”, validando le parole chiave qui riportate unite a un’“ipseità” con cenno alla “coscienza” artistica che Milani manifesta anche come personaggio dei propri testi. Si percorrono, così, gli stessi, ponendo l’accento – già evidente in Barcella – sulla poesia come fondante dell’opera, con una rapida e ampia virata, di lì a poco, verso il racconto lirico.
Il testo poetico – per forma storicamente legato all’oralità – propone Milani come voce in versi il cui accoglimento si manifesta possibile, addirittura precoce; le difficoltà di pubblicazione, infatti, sembrano non appartenere alla vicenda di quest’autrice, che esce con la prima raccolta in un momento storico in cui le donne pubblicavano pochissima poesia – o non ne pubblicavano affatto. Si pensi ai casi di Goliarda Sapienza, Fabrizia Ramondino e Maria Occhipinti che, invece, non avranno uguale destino <12.
Esiste già in Milani, come nelle autrici citate, uno stretto legame narrativo con i luoghi della vita, che figura a partire dalla poesia: esso continuerà fino al 1980, quando uscirà l’ampia raccolta per Rusconi Mi sono innamorata a Mosca – ma anche in seguito. La sua poesia è da cogliersi in una dimensione lirico-prosastica e sarà, con continuità, “a sistema” di un’esistenza plurale, figurando dapprima in volume accompagnata da disegni (di Capogrossi, nel caso della pubblicazione del ’53), poi su quadri e ceramiche scritte.
Fondamentale è stato per Milani l’insegnamento ricevuto dai grandi maestri frequentati negli anni giovanili; soprattutto Vincenzo Cardarelli le fornirà spunti di stile e tematici: dallo sradicamento alla ricerca dell’identità, all’osservazione del mutare del tempo biologico. Proprio “l’incresciosa intimità” cardarelliana è tra i tratti dell’opera di Milani la quale, nelle sue liriche e narrazioni, pone sotto l’occhio del lettore un diagramma fitto di personaggi e luoghi che afferiscono alla sua stessa vicenda, registrando il proprio presente autobiografico e bio-psicologico.

Come una volta
Mi sei venuto incontro
tiepido e freddo mare
in mezzo a quei velieri
logori e stanchi di cammino
e mi hai parlato, mare,
come nei miei mattini
liguri con le luci danzanti
quando non c’era nessuno.
Se ricordi, ascoltavo
e mi dicevi
di lunghe ore bianche
profumate di azzurro
di ciottoli e di fresche ventate di maestrale
di vele gonfie
e di canzoni ansiose.
Pian piano dolcemente
anch’io chiudevo gli occhi
sognando la carezza
lontana inafferrabile infinita
della sua mano che non torna più.

Dove sei se ti chiamo
Dove sei se ti chiamo.
Perduto tra la nebbia
della laguna, debbo
raggiungerti per non morire.

Improvvise le zattere
Improvvise le Zattere e uno sgomento
mi serra; notte, nel buio così stanca
la strada di chi non dorme.
In un cantiere aperto la fiamma
ossidrica stride, rossi si avvicendano
uomini. E quanto grande,
gelida l’acqua. Scomparvero
i gradini se cosciente affondavo.

Il primo testo è stato scelto dalla sezione Poesie liguri (in Ignoti furono i cieli) e gli altri due veneziani sono propri della seconda raccolta (La ragazza di fronte) <13. Una poesia, questa, che ingloba il contesto, segnata da una sintassi poetica – con la presenza del verbo spesso in finale di verso – e da una metrica in grado di sottolineare la malinconia di fondo.
Non sono casuali i titoli nominali L’estate ed Emilia sulla diga, una caratteristica di Milani forse derivante dall’attività di giornalista.
In quegli anni le scrittrici pubblicavano racconti in volume; non possiamo non ricordare almeno Le donne muoiono di Anna Banti <14 e Il mare non bagna Napoli di Anna Maria Ortese <15. Se la presa sulla realtà risulta la stessa, in termini di stile Milani pare più vicina a prove diverse. Similitudini si avrebbero con Le metamorfosi di Lalla Romano <16, anche se l’onirismo dell’autrice piemontese è talvolta scarnificato da Milani, che si approccia al testo per registrare la realtà come cronaca; si avvicina, così, alla Goliarda Sapienza della raccolta postuma Destino coatto <17 e alle Piccole cronache di Maria Giacobbe <18 con un percorso che oscilla tra due poli: le “nevrosi” dell’io (già pirandelliane) da un lato e dall’altro la “storia”, ossia il noi. Una simmetria si avrebbe anche con La strada che va in città e altri racconti di Natalia Ginzburg <19; nella prefazione al Meridiano dell’autrice <20, è sempre Garboli a parlare di «disappartenenza, di esilio e di confino nella solitudine. […] il rapporto casa/città [è] sentito dalla Ginzburg come l’espressione a embrice di uno stesso diritto di ciascuno alla vita […] [in un] rapporto fisiologico col mondo».
Tutte le peculiarità considerate si accentrano nell’opera di Milani, con un rinvio vivo rivolto al tema dell’amore-odio nei confronti dell’altro sesso, ricorrente in tutta la produzione considerata, e al problematico rapporto con il corpo connesso inevitabilmente alla questione identitaria. Secondo questa direzione, si presenterebbe una sorta di dichiarazione di poetica espressa da lei stessa-personaggio: «Perché io, curiosa, taciturna ragazza, credevo che per scrivere bisognasse dire la verità» <21.
Si trovano già nelle liriche – come si è notato – e nei racconti le città imprescindibili nella lettura dell’opera: Savona (dov’è nata) o la costa ligure, Milano, Roma, Venezia e Cortina, trascurando Albisola, che fu una sorta di Bloomsbury dell’epoca <22.
Alcune immagini proprie di questi spazi generano una vastità quasi caleidoscopica di visioni multiple metropolitane. Più che di analogie si dovrebbe parlare di continuità narrativa, registrata in viaggi o permanenze che hanno segnato l’esistenza e l’opera, disegnando una mappatura che “r-esiste” nell’aspetto della relazione strettamente garboliana fra letteratura e vita, ma anche di un percorso articolato e mai chiuso attinente a quella che Giuliana Bruno ha definito, nel 2002, nel suo Atlante delle emozioni, come «geografia emozionale». I «territori emotivi» di Milani vivificano il “movimento” contenuto etimologicamente nel sostantivo “emozione”.
Non è casuale che si possa individuare nell’autrice il «sillabare» poetico, temporale e geografico di Goffredo Parise, soprattutto nella relazione con un Veneto (terra vissuta da lei, natale per lui) narrato negli anni della guerra e successivi, fino al post-Boom. Ciò trova ragione nelle numerose coincidenze biografiche tra i due e, per una volta, si potrebbe parlare di una parentela tra un’autrice e un autore detta in quest’ordine, e non viceversa.
Simbolico il rapporto con la “città-mondo” di Venezia per Milani <23 anche dal versante del mare, il dove di molti Sillabari <24 (si tratta del Lido), con una comunanza di rimandi e rifrazioni pregnanti. La stessa città lagunare – che precede il trasferimento milanese – intride, aprendola e chiudendola, la prosa di La ragazza di nome Giulio, ed è il microcosmo di testi che toccano il periodo 1948-1963, evocato nei Sei racconti veneziani <25 e nei volumi del ’47 e del ’54. La città, tra Fascismo e dopoguerra, è proposta con scorci lidensi che compaiono, spesse volte, dentro un tempo lento, immobile: è il caso di Compleanno di Tommaso, Rolando e la maglia bianca, Il ferragosto e Il ragazzo Bughi (tutti in Emilia sulla diga). In particolare, quest’ultimo racconto sembra creare un parallelismo culturale e stilistico con lo scrittore vicentino il quale, non solo nei Sillabari ma anche in prose giornalistiche, ritorna sulla città come fulcro del proprio mondo-presente, quasi al limite di un orizzonte che poi sarà la provincia trevigiana. La storia e la temperatura emotiva dell’epoca, in Milani, vengono restituite da pochi dettagli, in prose liriche e neorealiste; la periferia, nei particolari descritti, diventa perciò centro.
Si veda un esempio dal primo racconto citato:
“[…] a un certo punto, ero già arrivata verso il Bacino, mi fermai in riva all’acqua, con la sensazione che i miei occhi si dilatassero a contener quella soavità. I gondolieri subito presero a dir gon-dola, gon-dola, ma io dovevo raggiungere Tommaso e andai via svelta.
Ora vedo come in un film due figure che camminano accanto lungo la Riva, sino ai Giardini. […] Al ristorante dei Giardini non c’era nessuno sotto il pergolato, ai tavolini che guardano la grande laguna. Lì ci sedemmo come due fanciulli, impacciati come a un primo incontro. […]
Vedevo Venezia lontana, scorgevo vagamente il campanile nella nebbia un po’ diradata: tutto il cielo era grigio, uniforme, anche l’acqua era di quel colore: solo qualche volta al passaggio di una barca, di un vaporino scopriva il suo azzurro segreto” <26.
In una scena quotidiana lo scorcio di tre punti vicini: il Bacino di San Marco, Riva degli Schiavoni e i Giardini della Biennale. Particolarmente d’effetto – pittorico – l’uso dei colori già nelle liriche riportate in precedenza.
Poche donne hanno scritto di Venezia negli anni Quaranta-Cinquanta. Tra queste, Lea Quaretti oltre che Paola Masino, che ha vissuto «un rapporto conflittuale con la città» <27. Milani è una sorta di prima autrice veneziana e ricorda non tanto il Luzi descrittivo-immaginifico di Trame <28 bensì i fratelli Pasinetti: il documentarista Francesco ritrae lo stesso momento storico-culturale poi ripreso dal fratello Pier Maria nel suo romanzo Dorsoduro <29.
Il cinema – e il genere documentario – come riferimento nella costruzione del testo può dirsi rilevante per più di una generazione che opera nel dopoguerra; in particolare, la costruzione dell’immaginario passa, sia per Milani sia per Goliarda Sapienza <30, per il cinema, come si avrà modo di verificare in seguito. Un ulteriore ponte fra le due autrici sarebbe anche la concezione della città come “pre-testo”, mutuando una suggestione suggerita dal saggio di Virginia Woolf Passeggiando per le strade di Londra <31, la cui prima traduzione italiana risale al 1963 per Il Saggiatore. E, circa la presenza woolfiana in entrambe nonché sull’influenza della scrittrice inglese su autori italiani coevi, sono presenti studi già affrontati – e altri sono da compiere ˗ per quanto concerne Milani <32 […]
Non outsider – al contrario accolta nel proprio milieu –, Milani si è mossa come vorace e dinamica intellettuale in un’epoca di mutamenti sociali e culturali, andando letterariamente controtendenza come molte altre letterate coeve. I suoi personaggi (talvolta dichiarate controfigure) mettono in luce alcune deviazioni autoriali, sollecitati da forti legami con l’ambiente autobiografico e da attinenze con forme artistiche contemporanee. L’attitudine di Milani è quella del: «Tutto trabocca/ come al fuoco l’acqua/ che bolle, tutto non ha/ un suo posto» (La ragazza di fronte). L’assenza di collocazione e di inquadramento permette di conservare la necessità di incarnare un’etica artistica incontrovertibile.
1 Empoli, Ibiskos Ulivieri, 2008.
2 Difficile riportare in poche battute le presenze più significative di Milani in ambienti mondani e d’arte; il volume di Barcella e numerose immagini reperibili in rete testimoniano la frequentazione da parte dell’autrice di contesti prestigiosi. Da citare, ad esempio, il «Premio Strega» del 1966: lì, con Donnini, ha presentato il romanzo di Cesira Fiori Una donna nelle carceri fasciste (Milano, Editori Riuniti, 1965). Nel maggio del ’68 ha tenuto, invece, un comizio in piazza Duomo a Milano dopo essersi candidata nelle liste del PRI; come attesta «La Stampa» (7/5/1968), Milani «ha esortato le donne a valersi della loro forza elettorale per tendere alla “parità dei sessi in ogni campo, culturale, sociale, economico”».
3 Il fatto di cronaca è testimoniato in alcuni articoli dell’epoca apparsi, ad esempio, su «La Stampa» il 24 marzo 1966 (Milena Milani condannata a sei mesi per la ragazza di nome Giulio) e su «L’Unità» con la stessa data e una deposizione di Giuseppe Ungaretti a difesa della scrittrice: «avendo una certa esperienza dell’arte posso confermare la mia convinzione […] nell’opera di M. M. non c’è nessun tentativo di offesa al pudore. C’è solo ricerca di espressione d’arte». Milani è stata, in seguito, assolta.
4 Polistrumentista e artista poliedrica, Anderson si è espressa in un video realizzato da «Louisiana Channel» presso il Louisiana Museum of Modern Art che ha sede a Humlebæk, in Danimarca: cfr. la URL https://vimeo.com/169060945 (ultima consultazione: 30/11/2017).
5 Tra le prime donne a pubblicare i propri racconti in rivista e su quotidiani (forse, un parallelo può essere fatto con Grazia Deledda), dal 1952 al 1964 ha tenuto una rubrica senza titolo su «La Stampa»; nel ’64 alcune sue prose brevi sono uscite sul «Corriere della Sera» e sul «Corriere d’Informazione», mentre un’anticipazione dal titolo Una ragazza di nome Jules è comparsa già su «La Fiera Letteraria», a. VII, il 27 aprile 1952.
6 Venezia, Edizioni del Cavallino, 1944.
7 Venezia, Edizioni del Cavallino, 1953.
8 Venezia, Edizioni del Cavallino, 1946.
9 Milano, Mondadori, 1954.
10 Milano, Mondadori, 1947.
11 Roma, Carocci, 2011.
12 Milani è stata una poetessa del GUF; a tal proposito si legga F. CIRILLI, Scrivere nel Ventennio. Appunti sulla presenza femminile ai Littoriali della cultura e dell’arte, in «Quaderni del ’900», 2005, n. 5, pp. 71-78. Circa la mancata affermazione storica delle altre autrici si può leggere il contributo contenuto in Voce di donna, voce di Goliarda Sapienza. Un racconto di Anna Toscano, Alessandra Trevisan e Fabio Michieli (Milano, La Vita Felice, 2016). Su Occhipinti, invece, la recensione alla sua raccolta postuma pubblicata sul lit-blog «Poetarum Silva» è consultabile alla URL: https://poetarumsilva.com/2016/10/14/maria-occhipinti-anni-di-incessante-logorio/ (link verificato il 30/11/2017). Un approfondimento aggiuntivo del binomio tematico voce-poesia è in A. TREVISAN, Goliarda Sapienza: una voce intertestuale (1996-2016), Milano, La Vita Felice, 2016, pp. 133-47.
13 Già Barcella analizza alcuni testi delle rispettive raccolte nel suo volume cit., pp. 188-195, ponendo l’accento sui luoghi e sui modelli di riferimento, dal Decadentismo al Montale degli Ossi di seppia (1925), sia per la presenza del «non» sia per lo «sgomento» della terza lirica.
14 Milano, Mondadori, 1951.
15 Torino, Einaudi, 1953.
16 Torino, Einaudi, 1951.
17 Roma, Edizioni Empirìa, 2002.
18 Firenze, Vallecchi, 1961.
19 Torino, Einaudi, 1945.
20 Milano, Mondadori, 1986.
21 M. MILANI, Il bambino sulle nuvole, in EAD., Emilia sulla diga, op. cit., p. 42.
22 Non la sola Italia, ma anche Parigi e gli Stati Uniti, per varie ragioni, assumono una centralità particolare nella vicenda artistica di Milani. In maggior misura, quei luoghi riguardano l’attività di ceramista-scultrice e, dapprima, il suo ruolo nel Movimento dello Spazialismo inaugurato da Lucio Fontana nel 1950. Fu l’unica donna firmataria del Manifesto.
23 Farò riferimento, in questo passaggio, all’intervento di Arianna Ceschin e mio: Visioni multiple di città nelle voci di Paola Masino, Alba de Céspedes, Milena Milani e Goliarda Sapienza, discusso nell’ambito del Convegno La città-mondo: riflessioni attraverso le frontiere del tessuto urbano, Università Ca’ Foscari di Venezia, 8-9 giugno 2017.
24 I due tomi di Parise usciti rispettivamente nel 1972 per Einaudi (Sillabario n. 1) e nel 1982 per Mondadori (Sillabario n. 2) contengono narrazioni d’ambientazione veneta. In questa sede sarà utile segnalare, per quanto riguarda Venezia, Bambino, Grazia e Paura; in riferimento a Cortina si rimanda a Bontà e Donna con un excursus che può toccare invece, per Milani, la prosa breve Larieto (Emilia sulla diga), località delle Dolomiti nei pressi della città-‘perla’. Di notevole interesse, tra i saggi di Ilaria Crotti dedicati a Parise, almeno Epifanie dei paesaggi critici di Zanzotto: il profilo di Goffredo Parise, in Andrea Zanzotto tra Soligo e Laguna di Venezia, in Viaggi e paesaggi di Guido Piovene, Atti del Convegno, a cura di G. Pizzamiglio, premessa di F. Zambon, Firenze, Olschki, 2008, pp. 169-92.
25 Firenze, Editoriale Sette, 1984.
26 M. MILANI, Emilia sulla diga, op. cit., p. 116, corsivo mio.
27 Il riferimento è al diario di Lea QUARETTI, Il giorno con la buona stella, Vicenza, Neri Pozza, 2016. Per Masino la citazione deriva dagli studi di Arianna CESCHIN e dall’intervento tenuto al Convegno citato. Cfr. “Veder chiaro è sempre stato il mio difetto”. Paola Masino, scrittrice e giornalista del Novecento, in AA. VV., Siamo partite in tre. Storie di donne, Trieste, Vita Activa, 2016.
28 Firenze, Vallecchi, 1942. Cfr. la URL: https://poetarumsilva.com/2016/03/05/mario-luzi-venezia/ (link verificato il 30/11/2017).
29 Milano, Rizzoli, 1983.
30 Cfr. A. TREVISAN, Goliarda Sapienza: una voce intertestuale (1996-2016), op. cit., p. 39.
31 Per questo prezioso suggerimento ringrazio la Professoressa Michela Rusi del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.
32 Una comparazione con l’autrice inglese è contenuta nel saggio Orlando and Modesta: Two Voices for the Freedom of Women di María Belén HERNÁNDEZ GONZÁLEZ, in Goliarda Sapienza in context. Intertextual Relationships with Italian and European Culture, a cura di A. Bazzoni, E. Bond, K. Wehling-Giorgi, Vancouver, British Columbia, Farleigh Dickinson University Press 2016.
Alessandra Trevisan, La “ragazza di nome” Milena Milani: visioni di città e temi “altri”, fra poesia e prosa (1944-1964), Diacritica, Anno III, fasc. 6 (18), dicembre 2017

Fonte: Portinari, Op. cit.

Dall’anziano Barrili, attivo ancora ad inizio secolo, al suo “discepolo” Alessandro Varaldo, divenuto, fra l’altro, prima firma italiana di polizieschi nella neonata collana « Libri Gialli » di Mondadori, per arrivare alle giornaliste-scrittrici (Flavia Steno, Willy Dias, Irene Brin, Marise Ferro), che conferiscono e mantengono inalterato alla regione un primato di consistenza rispetto al fenomeno della scrittura al femminile (dal dopoguerra, per richiamare alcuni nomi, Milena Milani, Camilla Salvago Raggi, Beatrice Solinas Donghi, Gina Lagorio, Elena Bono).
Federica Merlanti, La letteratura in Liguria fra Ottocento e Novecento. 4. L’altra storia: la Liguria e i suoi narratori in Storia della cultura ligure (a cura di Dino Puncuh), Società Ligure di Storia Patria – biblioteca digitale – 2016 – Nuova Serie – Vol. XLV (CXIX) Fasc. II

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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