La rovina di Kasch è il più proteiforme dei libri di Calasso

L’opera più nota e riconosciuta a livello internazionale di Roberto Calasso (Firenze, 1941) è senza dubbio il catalogo di Adelphi. Entrato a far parte della casa editrice dei «libri unici» <1 di Luciano Foà e Bobi Bazlen fin dagli esordi, Calasso ha svolto un ruolo di primo piano nella sua crescita, arrivando in breve tempo a reggerne le fila: direttore editoriale nel 1971, consigliere delegato nel 1990, presidente dal 1999. Nel 2013, in occasione del cinquantenario della casa editrice, ha raccolto il plauso di sostenitori vecchi e nuovi per la gestione di una delle poche realtà editoriali che, conservando un profilo distinto nell’indistinto mare del mercato librario italiano, è riuscita a mantenere un buon andamento anche in anni di profonda recessione. Dietro questo successo si cela effettivamente la dedizione con cui, in più di mezzo secolo di lavoro, Calasso ha scelto e curato ogni singola pubblicazione marchiata dall’inconfondibile pittogramma della luna nuova.
All’attività editoriale, Calasso affianca da sempre quella di critico e scrittore. Il suo primo saggio, scritto all’età di vent’anni per «Paragone», riguardava Adorno. Per Adelphi, ha curato e tradotto Il racconto del pellegrino di sant’Ignazio di Loyola (1966), Ecce Homo di Friedrich Nietzsche (1969), Detti e contraddetti di Karl Kraus (1972), Aforismi di Zürau di Franz Kafka (2004); ha inoltre redatto postfazioni alle Memorie di un malato di nervi di Daniel Paul Schreber (1974), a Mine-Haha di Frank Wedekind (1975) e a L’unico e la sua proprietà di Max Stirner (1979). Al delirio allucinatorio del Presidente Schreber è dedicato anche il suo primo romanzo, L’impuro folle del 1974. Per gli stessi tipi sono uscite alcune raccolte di suoi articoli e testi di conferenze: I quarantanove gradini (1991), La letteratura e gli dèi (2001), La follia che viene dalle Ninfe (2005) e L’impronta dell’editore (2013). Nel 2003 ha pubblicato una selezione delle sue quarte di copertina dal titolo Cento lettere a uno sconosciuto.
Soprattutto, Calasso è autore di una serie di volumi facenti parte di quella che lui stesso ha definito, nei propri risvolti, un’unica «opera in corso». Questa singolare composizione prende l’avvio nel 1983 con La rovina di Kasch e si compone, a oggi, di nove volumi: al primo tassello seguono infatti Le nozze di Cadmo e Armonia (1988), Ka (1996), K. (2002), Il rosa Tiepolo (2006), La folie Baudelaire (2008), L’ardore (2010), Il cacciatore celeste (2016) e L’innominabile attuale (2017).
Per quanto le pubblicazioni di Calasso non siano passate inosservate, ricevendo apprezzamenti significativi – Brodskij, Ceronetti, Rushdie, fra gli altri -, esse non sono state oggetto di particolari attenzioni da parte della critica accademica; la letteratura sullo scrittore delle Nozze di Cadmo e Armonia si limita alle recensioni uscite sui principali quotidiani o a saggi di breve respiro, come quello, pur notevole, di Maria Di Salvatore, pubblicato nel 2010. <2 La prima monografia su Calasso, a opera di Valentino Cecchetti, risale al 2006: <3 edita presso Cadmo, essa ha un carattere sostanzialmente divulgativo e presenta un’appendice di riferimenti bibliografici piuttosto lacunosa. Incentrato per buona parte sulla vicenda biografica di Calasso, il lavoro sembra indulgere troppo spesso al tono agiografico. Inoltre lo studioso parla, inspiegabilmente, dell’«opera in corso» calassiana come di una «quadrilogia» conclusasi con K., quando, per esplicita dichiarazione del suo autore, essa è un mosaico non ancora terminato. Un taglio maggiormente scientifico e un più ampio respiro presenta invece la tesi dottorale di Lara Fiorani, <4 discussa nel 2009 presso lo University College di Londra. Questa ricerca, tuttora inedita, ripercorre l’intera opera calassiana all’epoca in circolazione, ma si concentra in modo particolare sulle Nozze di Cadmo e Armonia e utilizza una prospettiva critica condivisibile soltanto in parte. Fiorani, infatti, calca la mano sulla postmodernità di questo work in progress, ipotizzando elementi di contatto tra il pensiero di Calasso e quello di Derrida che ritengo, alla luce di una lettura approfondita dei volumi di Calasso, di dover minimizzare. Nel 2014 è uscita presso Aracne una monografia di Bruno Cumbo dedicata all’Opera in corso di Roberto Calasso. <5 Questo studio, che pure parte da premesse affini a quelle del presente lavoro, perviene a conclusioni che non mi sento di condividere. I problemi principali del volume mi sembrano l’assenza di una bibliografia critica sui macro-argomenti coinvolti dall’indagine di Calasso (i riferimenti di Cumbo sono solo interni all’«opera in corso» o alle recensioni sui suoi libri) e l’appiattimento della prospettiva critica sull’onda delle immagini suggerite dai testi calassiani. Dichiarando a più riprese la propria ammirazione per la scrittura dell’autore, lo studioso palermitano sembra farsi sopraffare dalla prosa di Calasso al punto da ritrovarsi «ad ascoltare un canto sugli dèi e gli eroi della mitologia greca come se la fonte Castalia non avesse mai smesso di ispirare i poeti». <6 Ciò fa sì che la sua lettura si arresti alla pura letteralità del testo, come si può evincere da questo passaggio sul tema del sacrificio, a proposito del quale Cumbo sente il bisogno di specificare che:
“L’autore non invita certo chi legge a sperimentare da par suo dei sacrifici cruenti con l’ausilio di un apparato liturgico che egli può apprendere attraverso il suo come tanti altri testi dell’India vedica. Questo sarebbe per noi più facile e farebbe entrare il nostro scrittore nell’alveo del satanismo letterario o settario. Ma il libro non si presta a queste letture di genere, per così dire. Soltanto perché in esso si parla continuamente dell’atto dell’uccidere, non significa che lo scrittore voglia incitare qualcuno a farlo”. <7
[…] Nel citato saggio su Nietzsche del 1969, Calasso accennava a «quel pensiero unico che è proprio soltanto dei grandi pensatori, gli altri di pensieri ne hanno tanti». <8 Mi sembra che tale formula, qui riferita al dispiegarsi delle grandi filosofie dell’Occidente, sia l’obiettivo ideale delle sue stesse creazioni. Vedo infatti in questa dichiarazione d’amore per il «pensiero unico», che si manifesta sotto molte vesti ma rimane fedele a se stesso nella molteplicità, un riflesso della fascinazione di Calasso per le ossessioni, per le immagini infestanti che agitano la psiche di tanti artisti da lui amati. Questo lavoro è un tentativo di bloccare sulla pagina alcune delle immagini che imperversano nell’«opera in corso», nella speranza che risulti più chiaro ed evidente il loro gioco di scambi.
La tesi si compone di quattro parti, suddivise a loro volta in capitoli. Il primo obiettivo che mi sono posta è quello di rendere ragione del legame fra i nove libri dell’«opera in corso». La vastità della materia trattata, che spazia tra i più diversi campi del sapere, dalla storia dell’arte alla scienza delle religioni, e l’approccio analogico-intuitivo prediletto da Calasso non offrono al lettore un percorso unitario immediatamente riconoscibile. Partendo dalle dichiarazioni che lo stesso autore ha rilasciato in diverse interviste nel corso degli anni, ho cercato di vedere nell’«opera in corso» innanzitutto un affresco del passaggio dalla multiforme modernità all’ancora più indefinibile mondo contemporaneo, che Calasso ha icasticamente definito «innominabile attuale». Tutte le riflessioni calassiane su questa nostra «età dell’inconsistenza» <9 acquisiscono un senso più profondo se accostate a quelle sul ruolo che, in tale scenario metamorfico, assume la letteratura. Pertanto, utilizzando anche le raccolte di articoli e saggi brevi come strumenti utili per una visione d’insieme, ho cercato di dare corpo all’ideale di letteratura che Calasso viene a costruire, cui egli stesso ha dato il nome di «letteratura assoluta». Ho provato, innanzitutto, a definire il concetto, ripercorrendo, nel primo capitolo, il volume di saggi La letteratura e gli dèi, che Calasso dedica per intero alla delineazione delle sue caratteristiche. Nel secondo capitolo, ho voluto enucleare sinteticamente i principali temi ricorrenti nella sua opera: in primo luogo con il proposito di dimostrare come essa possa e debba essere considerata un progetto unitario; in secondo luogo perché, raffrontando questi nodi concettuali con la letteratura assoluta precedentemente descritta, ho proposto di riconoscervi l’ideale trait d’union fra le diverse componenti del «libro unico». Una volta saggiata l’organicità di quest’ultimo, ho tentato di dare un saggio, nel terzo capitolo, della sua variegatezza. L’opera calassiana, infatti, si presenta come un vero e proprio «ventaglio di forme», in cui taglio saggistico e narrativo, citazione dotta e invenzione romanzesca, si intrecciano in un indistricabile groviglio letterario, difficilmente ascrivibile a un determinato genere. Maggiore spazio ho dato in questa sede al più proteiforme dei suoi libri, La rovina di Kasch, che ritengo la pietra angolare dell’intera costruzione: a livello concettuale, esso sembra infatti contenere in sé tutti i successivi. Nel quarto capitolo mi sono invece rivolta a delle forme particolari: quelle dei repertori iconografici che Calasso seleziona accuratamente come apparato dei propri volumi; lungi dall’avere un valore puramente esornativo, queste immagini contribuiscono come e più del testo stesso alla costruzione di senso dell’«opera in corso». Il quinto capitolo è dedicato al rapporto di Calasso con le proprie fonti e al suo particolare approccio alla storia e alla storiografia. Nell’ultimo mi sono interrogata sull’attualità e l’inattualità dell’«opera in corso», valutando, anche sulla scorta delle proposte di Fiorani, possibili implicazioni e ascendenze postmoderne nel pensiero di Calasso: in un primo momento vagliando la condivisibilità dei suggerimenti della ricercatrice, poi proseguendo in modo autonomo con un confronto con altri intellettuali contemporanei, come Calvino, Eco, o Baudrillard.
La seconda parte della ricerca è dedicata al macro-tema della mente, uno dei più ricorrenti nell’«opera in corso». Con la mia indagine ho provato innanzitutto a rendere conto della vastità delle ricerche calassiane sull’argomento e a individuare, all’interno della grande rete di motivi che lo scrittore intesse a partire da questo, alcuni degli snodi più importanti. Ho quindi isolato un concetto che mi sembrava particolarmente significativo, quello di coscienza, e vi ho dato spazio nel secondo capitolo. Nel terzo, attraverso le figure di Edipo e della Sfinge, ho cercato di far luce su alcune delle convinzioni di Calasso in merito alla natura della conoscenza. Il quarto capitolo si concentra sulle modalità con cui la nostra mente indaga il mondo e lo interpreta, cioè alla dicotomia fra analogico e digitale che è uno dei cardini di tutta la costruzione calassiana. A essa si riallaccia la natura per così dire fantasmatica del pensiero, oggetto del quinto capitolo, in cui ho provato a tratteggiare le idee di Calasso in materia di cognizione e linguaggio. Infine, mi sono occupata di una tipologia di immagini di cui è raffinato estimatore e conoscitore, investigando il mito nelle sfumature che Calasso vi attribuisce.
La terza parte della tesi è incentrata sul secondo macro-argomento più importante dell’«opera in corso», quello del sacrificio. Nel primo capitolo ho riportato alcune riflessioni di Calasso sulle metamorfosi del sacro nel mondo moderno e contemporaneo. Mi sono quindi interrogata sulle ragioni dell’interesse di Calasso per il rito sacrificale e ho cercato di delineare i molti significati che esso assume nella sua visione del mondo. Partendo dalle considerazioni di Calasso su quest’atto liturgico, ho potuto desumere alcuni elementi fondamentali della sua estetica, che ho raccolto nel terzo capitolo.
Con la parte conclusiva del mio lavoro ho tentato di dare un’interpretazione globale della complessa architettura dell’opera calassiana. Ho dapprima dedicato un capitolo a delineare una sua poetica usando come punto di partenza il saggio del 1992 La follia che viene dalle Ninfe, incentrato sul tema della possessione. Ho poi indagato il senso di due immagini che compaiono ricorsivamente nei libri di Calasso, quella della foresta e quella del serpente, che mi sembrano esprimere in maniera diversa ma con pari intensità alcune delle caratteristiche della letteratura assoluta tratteggiate nei capitoli precedenti. Per finire, non ho potuto che mettere in rilievo la componente religiosa che contraddistingue l’idea di letteratura propugnata da Calasso. È una religiosità, beninteso, che non ha nulla di confessionale. Come sperano di dar prova le ultime pagine di questo lavoro, si tratta piuttosto di una professione di fedeltà a un’idea, altissima, dello stile. Esiste per Calasso la convinzione che la letteratura sia una forma suprema di conoscenza, un valore, uno spazio mentale di comunione e compartecipazione con qualcosa che ci appartiene, ma al tempo stesso ci sopravanza. In questa convinzione risiede, a mio avviso, il senso profondo dell’«opera in corso», dell’intera produzione calassiana, e della sua carriera editoriale.
[NOTE]
1 Cfr. IE, pp. 13-76.
2 MARIA DI SALVATORE, Letteratura e storia ne “La rovina di Kasch” di Roberto Calasso, in «Italica», vol. 87, 4, inverno 2010, pp. 637-645.
3 VALENTINO CECCHETTI, Roberto Calasso, Firenze, Cadmo, 2006.
4 LARA FIORANI, Deconstructing Mythology: a reading of Le nozze di Cadmo e Armonia, Doctoral Thesis, UCL, 2009. Consultabile all’indirizzo: http://discovery.ucl.ac.uk/18522/, visitato il 9 dicembre 2017.
5 BRUNO CUMBO, L’opera in corso di Roberto Calasso, Ariccia, Aracne, 2015.
6 Ivi, p. 53.
7 Ivi, cit., p. 137.
8 QG, p. 26.
9 Cfr. IA, p. 14.
Elena Sbrojavacca, Il Libro Unico di Roberto Calasso, Tesi di dottorato, Università Ca’ Foscari di Venezia, 2018

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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