L’antica pazienza

La figura materna nell’opera di Maria Luisa Spaziani è sempre presente, aleggia in quasi tutte le raccolte. Evoca il ricordo dei luoghi natii, diventa simbolo di grazia, del mare che dona la vita e ci richiama alle origini, è immagine dell’ “antica pazienza che scioglie ogni nodo della corda”. Sicuramente si può affermare che la madre è una figura di riferimento, che ha accompagnato la poetessa in un cammino di vita sia esistenziale che artistico.
Nella prima raccolta, Le acque del Sabato, la figura materna viene associata principalmente al paesino di nascita, Mongardino d’Asti, che viene descritto ora con toni nostalgici, ora con toni gioiosi.
Il paese di mia madre <128, secondo quanto ricorda l’autrice, fu scritto intorno ai vent’anni e fu inserito nella raccolta come se fosse un “talismano”. Questa dichiarazione denota l’attaccamento della poetessa alla madre e a tutto ciò che le ricorda l’infanzia. L’uomo è fatto di passato ed è inevitabile che esso penetri nella poesia e si stratifichi, fino a diventare un topos letterario. <129
Il componimento si articola in una gittata unica che alterna versi endecasillabi a settenari e quinari. La natura descritta perde la sua determinatezza, tipica de Le acque del Sabato, e sembra essere sofferente: “la vite s’attorce nella bruma con mani disperate”, “l’erba è risecchita”, “il silenzio di gelo impietrisce”. Sembra di percepire la descrizione di un fantasma, il paese viene visto nel suo lato di natura morente piuttosto che rigogliosa e quindi legata alla vita.
Il componimento è strettamente congiunto alla lirica successiva, Sere di vento, nella quale ritorna l’evocazione fatiscente del paese materno.
I toni hanno sicuramente un gusto ermetico <130, per quanto riguarda l’attenzione al dettaglio e alla parola che crea uno squarcio in una realtà sottostante, ma dall’altra parte hanno un sapore montaliano, rintracciabile nell’immagine del falchetto che piomba dentro i pozzi. <131
Sere di vento
Sere di vento al mio paese antico,
dove piomba il falchetto dentro i pozzi
d’aria, tra l’uno e l’altro campanile.
Sere rapite a un’onda di sambuchi
invisibili, ai vetri dei muretti
d’ultimo sole accesi, dove indugia
non so che gusto d’embrici e di neve.
Vorrei cogliervi tutte, o mie nel tempo
ebbre, sfogliate voci lungo l’arida
corona dell’inverno,
e ricomporvi in musica, parole
sopra uno stelo eterno. <132
Troviamo la prima dichiarazione di poetica della Spaziani, ed è interessante notare che essa viene espressa proprio in un componimento “dedicato” alla madre (la quale diventerà più avanti grazia, oceano e poesia). L’autrice aspira alla musicalità del verso, vorrebbe cogliere la natura circostante e ricomporla in parole poetiche da immolare “sopra uno stelo eterno” <133. Questa immagine ha un gusto sia simbolista, per quanto riguarda la musica che sottende al verso, sia neoclassica per quanto riguarda l’esplosione finale del verso. <134
Il concetto di musicalità ritornerà molte volte nella poesia della Spaziani: vorrei ricordare in particolare la silloge La radice del mare, di cui abbiamo parlato nel capitolo precedente.
Legata alle due liriche vi è anche Case di sera, dove ritroviamo la descrizione del paese materno sempre con tinte scure, invernali e autunnali. La scrittrice si sofferma sul tema della casa, è possiamo trovare anche una ripetizione anaforica che pone l’accento su tale motivo (“Case di sera”, “Case di notte”). La seconda strofa riprende direttamente la lirica Il paese di mia madre: “[…] l’edera copre, terra di mia madre/ dove nacquii e morii[…]”.
La figura materna la incontreremo di nuovo in Utilità della memoria, dove invece del paese materno emerge la personalità della donna. La poetessa ci aiuta a conoscere la madre e ne descrive la delicatezza connaturata.
L’antica pazienza
Tu che conosci l’antica pazienza
di scogliere ogni nodo della corda
e allevi un pioppo zingaro venuto
a crescere nel coccio dei garofani,
lascia ch’io senta in te, come la sorda
nenia del mare dentro la conchiglia,
la voce della casa che il perduto
tempo ha ridotto in cenere.
Ma è cenere il pane scuro, sacro,
-quello che alimentavi col tuo soffio,
nel forno buio della guerra- e reca
imperitura in sé la filigrana
dei tuoi ciliegi dilaniati.
L’allegria rialza la sua cresta
di galletto sui borghi desolati,
come il lillà che ti cresce alle spalle
passo a passo, baluardo sul massacro.
Raccoglie ancora e sempre il pigolante
nido abbattuto dal vento di marzo
e ripara le falle della chiglia.
Nessuno è senza casa se l’attende
a sera la tua voce di conchiglia. <135
In questa lirica emerge per la prima volta l’unione della madre con l’elemento mare, motivo destinato a diventare uno dei temi più riconoscibili nella poesia della Spaziani. La figura materna sembra essere associata ad un marinaio che con grande calma cerca di sciogliere i nodi delle corde (vv.1-2), ma ella è anche una conchiglia che, con la sua concavità, amplifica le voci e rimanda il suono del mare. Vi è un continuo richiamo al mondo naturale associato alle cure materne verso il mondo vegetale che diventano un “baluardo sul massacro”. Questa espressione non è da associare solo alla guerra (citata al v.11) bensì anche alla caducità delle cose e delle emozioni che le hanno nutrite.
In una intervista del 1999 la Spaziani ci svela l’occasione spinta del componimento: “Nella poesia L’antica pazienza c’è mia madre viva, giovane, che prepara il pane durante la guerra. Era germogliata una pianticina in un vaso e qualcuno disse che doveva essere un’ortica, mentre mia madre affermò che doveva essere un pioppo in un piccolo vaso. Insomma questo pioppo cresceva e l’abbiamo dovuto svasare per salvarlo”. <136
Il riferimento alla madre unito al tema del mare continua in Stella polare e Quando il ghiaccio comincia a assottigliarsi: la madre è una stella polare che guida è conduce il marinaio alla salvezza, è colei che permette l’inversione di marcia e di continuare il cammino sulla strada della vita.
La figura materna diviene quindi simbolo dell’esistenza, della creazione, della protezione: ella assume i tratti di una figura angelica e salvifica che dall’alto controlla e guida.
È una presenza che dona anche l’ispirazione poetica, e non a caso in due componimenti de La stella del libero arbitrio, sia associata alla parola. Sia in Mia madre in visita che Accanto ai vetri, possiamo ritrovare il tema dei morti o per essere più chiari si tratta del motivo del revenant diffuso nella poesia e nella narrativa del XVIII secolo. Queste due liriche sono posizionate nella sezione Cimitero di prima Porta dedicata all’amico Azziz e alla madre e composta da quattordici componimenti che propongono un fitto dialogo con tra i vivi e i morti.
La madre è morta da un anno eppure la sua unione con la natura rimane indissolubile, ella ritorna proprio nel periodo primaverile quando la natura si risveglia.
Mia madre in visita
Mia madre morta da un anno, ancora qualche visita mi giunge,
smuove a grandi bracciate la primaverapolline,
incenso e nuvole si mischiano danzando
e parole impigliate ai rami[…] <137
Nella lirica Accanto ai vetri ritroviamo il motivo della luna, analizzato ne Le acque del Sabato, i suoi raggi filtrano dalla finestra e portano un messaggio, avvertono che la presenza della madre preme sul vetro.
Ella è portatrice di parole che vengono paragonate a palle da tennis, con le quali la poetessa gioca. L’immagine richiama in modo figurativo il botta e risposta tipico di un dialogo fra due interlocutori.
Accanto ai vetri
È l’ora della luna, il suo raggio di latte mi avverte
che a premere ai vetri è mia madre, non il solare piccione.
Viene a portarmi parole di puro silenzio
da fare impallidire i dizionari.
Le sue parole sono palle da tennis,
gioco che non sussiste senza il partner.
È vero. Ma io sto accanto ai vetri, nelle sere di luna,
ben disposta a giocare, a giocare.
Il motivo della lontananza dalla madre, ormai morta da tempo, ritorna ne I fasti dell’ortica, dove la Spaziani ricorda l’infanzia ormai troppo lontana nel tempo e lo stesso andamento delle tre liriche, poste in serie sotto il titolo di Il dopo, segna un “movimento regressivo del cuore”. <138
Molto interessante è la lirica successiva, Mia madre, dove viene descritto un momento di vita quotidiana segnato da una amara dolcezza. Il motivo centrale è la paura della perdita di una persona amata, la paura di non poterla rivedere e ancora peggio non poterne sentire la voce. Quest’ultima affermazione fa riaffiorare alla mente la lirica L’antica pazienza, precedentemente analizzata, in quanto qui la voce della madre ha una valenza profonda, “nessuno è senza casa se l’attende a sera la sua voce di conchiglia”.
Mia madre
Le dicevo buonanotte al telefono.
Rispondeva un sussurro, buonanotte.
La sua voce staccata dal suo volto.
E a tradimento io la registravo.
Sapeva, la gentile, a cosa pensavo’
che un certo aprile era all’agguato,
che presto l’aspettava un chissà dove,
oltre la terra e il tempo.
Un aprile? In che anno? Avevo letto
che aprile è il più crudele dei mesi.
E venne la sua voce, un buonanotte
ultimo il giorno cinque.
Mi resta quella voce registrata.
Viene da altre ere, altri pianeti.
Pura essenza in cui lei si trasfigura,
profumo vivo di fiore sprofondato. <139
In una intervista del 1999 la Spaziani spiega l’occasione spinta della poesia: “Avevo una grande paura che mia madre ancora giovane, in quanto aveva settant’anni, morisse. Lei venne a stare a Roma e ci sentivamo, per cui ho registrato la sua voce, pensando di ascoltarla per quando lei non ci sarebbe stata più. L’ho fatto a tradimento, ed era il famoso mese di aprile. T.S. Eliot dice: “Aprile è il più crudele tra i mesi”. Era l’otto di aprile e mia madre è morta all’improvviso in due giorni: ha avuto un ictus ed è scomparsa. E allora il ricordo di quella telefonata ha dato origine a questa poesia. La poesia è una grande metafora della morte, come la morte lo è della poesia, però di quella morte che ci fa riprendere tutto dall’inizio immettendoci in un nuovo ciclo di nascita e trasformazione.” <140
In La radice è lunga, la figura della madre viene rappresentata sotto forma di radice <141 che dona vita. La poetessa riflette sul passaggio da figlia a madre e dirà che mettere al mondo un figlio è stato per lei come mettere una radice. Vi è insito nella poesia il replicarsi continuo della vita, il miracolo della Creazione.
[NOTE]
128 Cfr. p.63.
129 Immagine suggeritami dalla lirica Inutilità della memoria, v.1-2 ( Cfr. p.41).
130 Cfr. G. Pontiggia, Profili delle raccolte e note di commento in M.L. Spaziani, Tutte le poesie, cit., p.1400: “l’ermetismo è sempre stato un fantasma, qualcosa di evanescente. […] L’ho accolto come una lezione di rigore, di purezza del suono, di altezza della metafora, e ho sempre scritto come mi veniva spontaneo scrivere. Se tuttavia Baldacci vuol dire che ogni poesia ha una sua struttura questo sì, e questo è molto importante. E poi che ogni struttura deve essere breve, perché nessuno degli ermetici ha mai scritto un poema. Ogni poesia doveva essere un piccolo gioiello, in cui ogni parola aveva esattamente il suo peso specifico. In questo senso, nella ricerca della sonorità, della allusività e delle sinestesie, la mia poesia può essere ricondotta ad una certa scuola ‘ermetica’”
131 Alla lirica fa riferimento una lettera di Montale del 6 febbraio 1952, qui troviamo l’espressione “vari muretti e falchetti che forse dovrai sopprimere per non attirarti taccia di orsismo”. L’orso è Montale stesso, nel linguaggio privato usato fra i due amici. Inoltre, in Ossi di seppia si trova la poesia Non rifugiarti nell’ombra, la quale sembra essere stata motivo di ispirazione: “Non rifugiarti nell’ombra/ di quel folto di verzura/ come il falchetto che strapiomba/ fulmineo nella caldura.”
132 M.L. Spaziani, Le acque del Sabato, cit., p.19.
133 Cfr. Colle oppio, in Utilità della memoria, cit., p.100.
134 Cfr. M.L. Spaziani, Tutte le poesie, cit., p.1399: “la tensione al canto è sempre dettata dall’amore per la vita, ma si nutre anche di una cospicua e misurata memoria letteraria, mai ideologica, libera di sconfinare dalle origini della poesia greco-latina alla produzione contemporanea, passando per gli amatissimi francesi del Cinquecento-Seicento.”
135 M.L. Spaziani, Utilità della memoria, cit., p.83.
136 T. Montone, Qualcosa di vitale. Intervista a Maria Luisa Spaziani, in Poesia nonostante tutto, cit., pp.61-68
137 M.L. Spaziani, La stella del libero arbitrio, cit., p.582.
138 M.L. Spaziani, I fasti dell’ortica, cit., p.1613.
139 M.L. Spaziani, I fasti dell’ortica, cit., p.849.
140 T. Montone, Qualcosa di vitale. Intervista a Maria Luisa Spaziani, in Poesia nonostante tutto, cit., p. 64.
141 Ricorda ancora una volta la silloge La radice del mare, dove la madre è assimilata all’elemento marina e dove la radice e simbolo di linfa vitale.
Giulia Dell’Anna, L’universo poetico di Maria Luisa Spaziani, Tesi di laurea, Università Ca’ Foscari, Venezia, Anno Accademico 2011/2012

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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