Le Corbusier si sente attirato da tali luoghi in cui gli uomini vivono ancora in piena armonia con la natura

Lo studio del Partenone, la sua diretta lettura ed analisi, hanno costituito per Le Corbusier un momento altissimo di conoscenza che non ha segnato un punto di crisi con il passato bensì un generoso momento di continuità.
Giungere sull’Acropoli e qui passeggiare, riflettere e riportare su carta gli schizzi ha condotto Le Corbusier ad una riflessione profonda e lungamente elaborata che permetterà poi di sviluppare la capacità di integrare il paesaggio con la dimensione umana.
Si tratta di un paesaggio, di un ambiente naturale che Le Corbusier riconosce come elemento unificatore, quello del Mediterraneo. Le caratteristiche che egli scorge sono quelle imperiture che hanno permesso a tutti i popoli che vi si affacciano di riconoscersi simili. Una dimensione corale quella che l’architetto ne fa, altamente simbolica e che accanto al dato romantico possiede un paradigma empirico. Il mare così come il sole che si possono scorgere in questa particolare area della Terra possiedono la capacità di sviluppare una specifica dimensione sociale e dunque architettonica. Quello che riesce a sbalordire Le Corbusier è proprio la dimensione vernacolare del vivere di talune popolazioni della Grecia, un’arte del vivere e del costruire molto particolare. Tutto questo è stato intuito nel primo suo viaggio in Grecia, nell’area continentale di essa e poi confermato nella seconda missione greca.
In occasione del IV Congresso di Architettura Moderna tutti i membri mostrarono un acceso interesse per l’espressione dell’architettura greca, non solamente quella dell’Acropoli ma soprattutto per quella popolare, quella riscontrabile nelle piccole isole dell’arcipelago greco. <1 L’aspetto che più si è rivelato interessante è stato che, in larga misura, le abitazioni fossero state costruite secondo i principi ed i metodi verso i quali tendeva a servirsi proprio l’architettura moderna. Djelepy riscontra come gli abitanti delle isole dell’Egeo diedero priorità alle esigenze di coloro i quali avrebbero abitato tali costruzioni per i quali il problema dell’alloggio rappresentava una esigenza primaria andando oltre lo scopo estetico. Costruendo le loro case tennero in gran conto della precisa necessità di coloro i quali vi avrebbero risieduto. Questa libertà di spirito spinge i costruttori all’inventiva, alla ricerca di soluzioni impreviste. All’abitante dell’isola interessava adeguare il piano della casa alle proprie esigenze, senza curarsi che la dimora potesse risultare imponente oppure modesta: il superfluo cede il passo all’utile ed al razionale. Seguendo le regole del vivere secondo natura, prende forma l’idea di un’architettura semplice e talvolta originale, integrata con essa ed in piena armonia con il paesaggio.
Quello che viene raggiungo istintivamente, è quanto Le Corbusier aveva sostenuto e continuò a sostenere, ovvero una teoria paesaggistica intesa come ricerca dell’unità tra l’opera dell’uomo e la natura, principio che ha profonde radici negli abitanti delle isole greche. I costruttori di tali abitazioni, sebbene fedeli alle loro tradizioni, risultano sensibili all’innovazione; le case, all’apparenza molto modeste e prive di decorazioni, risultavano gradevoli alla vista. Ciò che stupiva, precisa Djelepy, è l’esito plastico di tali edifici. La bellezza delle facciate risulta dalle dimensioni delle masse cubiche di cui sono costituite e dai rapporti tra la massa principale e gli elementi secondari. Questa situazione, derivata dalle condizioni economiche molto modeste dei propri abitanti, realizza alla perfezione l’esempio della ‘casa al minimo’.
Tale dimensione dell’abitare ricalca, seppure inconsapevolmente, l’astrazione tipica del periodo lecorbuseriano ne “L’Esprit Nouveau”, che promuoveva le istanze del Purismo e da questo si dipanava in un ideale estetico artistico ed anche architettonico.
Nel suo testo “Viaggio in Grecia” lo stesso Le Corbusier precisa che già nel 1910 il Partenone aveva insegnato la sua verità impietosa, facendo di lui un ‘ribelle’ fino a portarlo a sostenere che le accademie mentissero. Critico nei confronti della contemporanea civiltà macchinista, che egli definisce insaziabile dominatrice, esorta con una potente metafora ogni uomo che si ritenga innamorato della vita ed angosciato per il lento naufragio della coscienza della tempesta del primo macchinismo ad imbarcarsi da Marsiglia per mettersi in rotta verso la Grecia al fine di ritrovare l’Acropoli, per leggere il Partenone.
Nel 1926 Le Corbusier pubblica il suo primo articolo all’interno dei “Cahiers d’Art” e questo evento segna un momento preciso nel quale ufficialmente l’architetto collabora con la rivista. Trattandosi di una rivista esplicitamente avanguardista è naturale osservare questo contributo e leggerlo come un atto formale della propria adesione a determinate istanze. Si sa infatti che “Cahiers d’art” è stata una dimensione editoriale che ha abbracciato molti campi ed al cui interno convivono esperienze che mirano a portare alla luce i principi delle avanguardie artistiche. In particolare lo stesso Christian Zervos ha promosso fin da subito l’azione tesa al portare alla luce i veri semi delle prime Avanguardie, ossia l’attenzione verso le culture del lontano passato, le culture primitive, le culture preclassiche porgendo massima cura nello studio dell’archeologia. È inoltre importante riconoscere che Le Corbusier ha aderito a tale progetto editoriale e soprattutto ha avuto al contempo l’occasione di intensificare alcuni fra i rapporti con altri esponenti di spicco della realtà parigina che ruotavano attorno alla galleria di rue du Dragon, entrando in piena sintonia con molti di questi eminenti personaggi.
Stanislaus von Moos ricorda come dall’esperienza del CIAM del 1933 l’Acropoli sia stata per Le Corbusier la manifestazione dello ‘splendore esteriore’ non rimanendo più come opera architettonica l’unico fulcro del suo interesse. In questa occasione sia l’architetto che lo stesso S. Giedion e J.L. Sert ed un nutrito gruppo di intellettuali che condividevano le sue istanze anti-accademiche si scinsero per dirigersi ad esplorare terre affascinanti e per loro ancora sconosciute: Delo, Micene, Santorini e altre isole dell’Egeo. Tale scissione all’interno del CIAM dovette rivelarsi straordinariamente ricca di conseguenze. Rimarcando il distacco che lo stesso «Le Corbusier aveva già tracciato a partire dalla sua visita nelle Favelas di Rio (1929) e dal suo viaggio del Nord Africa, culminante nella permanenza di otto ore in Ghardaja (1931). Poco più tardi si potè rileggere in La ville radieuse come nei discorsi di Le Corbusier, sotto l’impressione dell’arcaica cultura costruttiva delle Cicladi, fossero prese in considerazione nuove edizioni (1935)». <2
È in questa occasione che Le Corbusier tiene ad Atene una conferenza dal titolo “Air, son, lumière”. Egli ricorda di aver trascorso ventun giorni, durante il suo primo viaggio, proprio sull’Acropoli rimanendo scosso dagli aspetti sovrumani di questo luogo, travolto da una verità che non è né sorridente né leggera ma forte e implacabile. Tutto questo, sostiene, lo ha plasmato interiormente spingendolo a elaborare quanto studiato attraverso un lavoro onesto, ostinato e sincero. Ciò lo ha reso un ribelle, spingendolo alla riflessione riguardante l’Accademia. Infatti, al ritorno dal suo viaggio, giunge in Occidente ed inizia a studiare gli insegnamenti delle scuole, rilevando che tutte portavano il nome dell’Acropoli. Ha valutato che l’Accademia mentiva e fu per questo che iniziò a riflettere e a rivolgersi al fondo della questione. Le Corbusier sosteneva addirittura che fosse stata l’Acropoli a fare di lui un rivoluzionario, specie nel momento in cui egli ricordava il Partenone netto, pulito, intenso e violento. È qui che vive lo spirito greco, dal rigore matematico e dal canone scaturiscono i rapporti di armonia. Si trattava, per Le Corbusier, di riuscire a trovare questa armonia nel suo insieme per poter scorgere gli elementi essenziali, del costruire e del vivere. Per Le Corbusier era necessario, rivolgendosi all’Acropoli, in nome di questa armonia, tradurre nel mondo intero ed armonizzare i tempi moderni cercando questa qualità di uomini: gli armoniosi di oggi.
Le Corbusier di ritorno dalle isole e dalla Grecia non poté sottrarre ormai le sue imprese alla verifica di questi valori umani qui manifestatisi chiaramente. <3 E inevitabilmente si chiede se mai si potrà avere coscienza della grande quantità di artifici che ingombrano la comune conoscenza delle cose. Tutti questi artifici, i riti, le manie installate senza esame preliminare nel nostro pensiero rappresentano solamente deformazioni manuali ed intellettuali che falsificano, sin dalla nascita, le nostre invenzioni, le nostre creazioni, le nostre imprese, le sovraccaricano di parassiti. È come un’amnesia della misura che ci fa disproporzionare in troppo grande o in troppo piccolo, alla rinfusa e si trova lontana da ogni scala umana.
Considerando i villaggi greci e le case nei loro villaggi la lezione di armonia appare chiara, e inchioda l’uomo e le sue opere al suo pensiero, alla sua saggezza o alla sua sregolatezza «ici, harmonie. Ici, échelle humaine». <4
Questa armonia è strettamente legata alla purezza delle forme delle loro abitazioni, delle loro creazioni, della loro concezione della realtà; è dunque la loro accezione di bello. È una purezza di forme che «la pureté n’est pas le compassé […], c’est le haut rendement, l’intensité obtenue par le moins grand nombre de gestes possibles, l’effet optium donné par un minumum de moyens». <5
«Les oeuvres de l’esprit ne vieillissent pas». <6 Così Le Corbusier apre il suo libretto d’invito alla mostra allestita presso il suo appartamento, dal titolo “Les arts dits Primitifs dans la maison d’aujourd’hui”. <7
Secondo Le Corbusier le arti dette primitive sono quelle dei periodi creatori, quando una società costruiva i propri utensili, <8 il proprio linguaggio, il proprio pensiero, le proprie divinità, quando una civiltà sbocciava piena di energia. <9 In questa realtà nuova «ogni gesto, nella sue necessità, era lo stile stesso. Niente si ripeteva, tutto avanzava». <10 Solamente in un secondo momento sono arrivati gli stili ed un’altra realtà si apprestava ad esistere: «gli dei erano inventati; non restava altro da fare che spolverarli». <11 Oggi, secondo Le Corbusier “un monde nouveau se crée; tout recommence. L’architecture qui apparaît actuellement est contemporaine des oeuvres de ces autres cycles; leur énergie, leur force crue, le vrai qui est en chacune d’elles sont sa vérité, sa force, son énergie mêmes”. <12
La mostra nell’appartamento di Le Corbusier si tenne nel luglio del 1935 e si colloca perfettamente nell’ambiente culturale al quale si fa riferimento. Moos individua proprio in questa esposizione l’esatto momento del ‘coming out’ ufficiale di Le Corbusier quale artista dell’Ellenismo primitivo – del Modernismo grecoarcaico, questa sarebbe da individuare nel 3 luglio 1935. Tale evento è la manifestazione definitiva dell’adesione alla corrente primitivista che tuttavia aveva avuto dei prodromi di qualche anno precedenti, come testimoniano tanti episodi, tanto il far parte dei redattori dei già citati “Cahiers d’art”, intento primitivista che si fece concretamente evidente soprattutto dalle fine degli anni Trenta così come il suo linguaggio scultoreo, l’attenzione per gli arazzi e soprattutto la curiosità nei confronti della pittura parietale come mezzo espressivo pittorico oltre che strumento di reinvenzione architettonica.
In questo contesto ‘primitivista’ sia privato che pubblico, in questo approfondimento delle culture preclassiche e nel tentativo di ricostruire e comparare espressioni artistiche di varie fasi e di diversi ambiti del bacino del Mediterraneo si può contestualizzare l’interesse rivolto alle aree prospicienti la Costa Azzurra. Tale luogo venne scelto da Le Corbusier come il più attinente alle proprie ricerche e alle personali intuizioni e che ora avrà un peso nella sua vicenda architettonica. Sono rintracciabili nei documenti d’archivio, tra le lettere private ed i documenti pubblici, le intenzioni di Le Corbusier relative al Mediterraneo. <13 Dietro all’attaccamento per il Sud, per il ‘Midi’ della Francia c’era in realtà un reale e profondo legame con il Mediterraneo. <14 Tale legame di Le Corbusier con il Mediterraneo venne rinforzato dalle sue regolari visite a Cap Martin. Qui costruì il suo ‘Cabanon’, quello che non ha esitato a chiamare il suo ‘castello’, per lui e la moglie Yvonne. Le Corbusier ha trattato il ‘Cabanon’ come una dimora minima in cui sperimentare idee proprie del design oltre a particolari architettonici. L’apparente semplicità degli interni, infatti, venne disegnata con le complesse proporzioni del Modulor. <15
Non troppo distante dal ‘Cabanon’ sorgeva la villa E-1027, una dimora modernista in riva al mare. Edificata nel 1929 su progetto di Eileen Gray e dal marito Jean Badovici, questa residenza era stata il loro luogo di incontro, scambio e vacanze negli stessi anni in cui si incontravano nella città di Vézelay.
L’atteggiamento dello stesso Le Corbusier nei confronti delle arti figurative è infatti direttamente riconducibile all’esperienza della pittura parietale, che lo accomuna ad altri artisti ed architetti. L’esperienza con Jean Badovici e Fernand Léger nella casa in Borgogna, nel 1934, vide la realizzazione di opere che volevano ‘distruggere’ la parete stessa. Una nuova interpretazione che vede pittura e architettura abbracciarsi per dar vita ad una nuova spazialità. L’attenzione rivolta alla pittura parietale non ha come unico fine quello di illustrare un mero dato archeologico, bensì è tesa a dimostrare quanto in comune le due esperienze, quella contemporanea e quella arcaica, seppure cronologicamente molto lontane, avessero.
Risulta dunque interessante sottolineare ancora il rapporto tra Le Corbusier e Chistian Zervos principalmente per l’attenzione che entrambi hanno dedicato alle tematiche primitiviste. Se l’editore greco, nella sua rivista d’Avanguardia ha sempre difeso e portato avanti le istanze artistiche dell’arte avanguardista e dunque le sue inclinazioni primitiviste, l’architetto ha in parallelo coltivato il culto delle civiltà preclassiche che, come dichiarato precedentemente, è scaturito dalla visione diretta effettuata coi viaggi del 1911 e 1933 nell’Oriente e nello specifico in quei luoghi della Grecia che hanno cullato le civiltà preclassiche. Risulta necessario mettere in parallelo i due ‘progetti culturali’: se Zervos aveva in mente ed ha perseguito per tutta la sua carriera un ‘progetto archeologico’ che abbracciasse tutto il Mediterraneo, similarmente Le Corbusier si è fatto carico di un progetto per certi versi artistico del Mediterraneo, cercando di tessere i fili di un mondo le cui espressioni artistiche, popolari e specialmente vernacolari erano diventate l’occasione per una riflessione d’ambito artistico.
È importante, a tal proposito, ricordare come Zervos nella puntuale espressione della sua ricerca di editore e di storico, ha operato al fine di realizzare attraverso “Cahiers d’art” una grande realtà editoriale che al suo interno racchiudesse numerosi e vari progetto culturali.
L’interesse di Christian Zervos, infatti, si concentrò, dal 1932 in poi, sull’archeologia. L’interesse per questo ramo del sapere fu profondo ed è riconducibile alla propria formazione di studioso e storico dell’arte. Il contributo di Zervos ebbe di innovativo la grande curiosità verso le età più remote, rivolgendo la propria attenzione alle civiltà preclassiche. È facile intuire come questa passione fosse a lui intrinseca, data l’attenzione alle Avanguardie che furono fortemente influenzate dall’età primitiva dell’uomo ed è anche per questa ragione che Zervos tratta le arti primitive con la stessa cura con la quale prende in considerazione le espressioni dell’arte avanguardista.
Il suo ‘progetto archeologico’ aveva come fine quello di abbracciare interamente le civiltà dei popoli attorno al Mediterraneo e di rinnovare le maglie culturali tra la Mesopotamia, l’Egitto, la Creta monoica, le Cicladi, il mondo acheo, la Grecia continentale, la Sicilia, Malta ed il Levante spagnolo, decidendo di riservare un posto allo studio della Sardegna preistorica.
Zervos si dimostra in questo contesto, curioso ed attento alle civiltà del passato e specie a quelle primitive; infatti già dall’analisi dei suoi articoli ne “L’art d’aujourd’hui” e in “Les arts de la maison” (riviste per le quali scrisse e fu capo redattore negli anni precedenti a ‘Cahiers d’art’) sono emerse alcune tendenze del suo interesse di intellettuale attirato dagli aspetti di un mondo arcaico, che si riveleranno importanti per poter comprendere il vero spirito con il quale poi intraprese l’esperienza di “Cahiers d’art”. All’idea classica del bello Zervos aveva infatti affiancato, fin da subito, un altro concetto di bello nell’arte, che egli riscontra nello studio del Primitivismo. A sostegno di questa sua idea si rifà alla visione dell’arte di Amedée Ozenfant, secondo il quale una divinità egizia o una maschera africana per un occidentale del Ventesimo secolo si risolvono in un gioco di forme che spesso emoziona, al punto tale da rendere l’osservatore silenzioso: tutto ciò è conseguenza della potenza del linguaggio diretto delle forme, dei colori e delle associazioni primarie.
Per tali ragioni i periodici arcaici o le arti primitive, trascurati dall’Accademia, si ritrovarono così confrontati con la pittura e la scultura moderne, al punto tale che il confronto finì per diventare una reciproca valorizzazione. Così l’aggettivo primitivo, che fino a quel momento aveva portato con sé un’accezione negativa, diviene un motivo di prestigio. Il classico, messo in crisi, è posto sotto una critica troppo attenta al cambiamento continuo.
Tali riflessioni estetiche che lo stesso Le Corbusier fece proprie e condivise con i suoi amici ed intellettuali vicini alle istanze primitiviste, motivano l’intento artistico di Le Corbusier, che fin dal 1918, con regolarità e quotidianamente, si dedicò all’opera d’arte, concentrandosi puntualmente sulla pittura. Lo stesso Le Corbusier giustifica, quasi per timore, i suoi trent’anni di silenzio.
È importante sottolineare come il fondo della ricerca e soprattutto della produzione lecorbusierana risiedono nella propria pratica ininterrotta della pittura, luogo dello spirito in cui trova la libertà di pensiero, l’indipendenza e la compiutezza della propria inventiva. In questo contesto la produzione di Le Corbusier così come i luoghi che egli ha scelto o prediletto per tale esercizio (ne saranno testimonianza le numerose tele, gli schizzi ed i disegni che recano la dicitura ‘Vézelay’) <16 direttamente connessi all’estetica primitivista. Lo stesso Le Corbusier, nella lettera datata 30 ottobre 1953, dichiarerà che «disegni, tele, sculture, libri, case e piani urbanistici, non sono, per quanto concerne personalmente, che una sola e la stessa manifestazione creatrice votata alle diverse forme del movimento visuale».
La trasposizione dalla dimensione urbana, si potrebbe dire metropolitana, della Parigi tra gli anni Venti e Trenta, alla dimensione rurale, si potrebbe dire bucolica, della piccola località di Vézelay.
Questo binomio si può anche accostare all’iter che percorse l’esperienza tanto personale che estetica di Le Corbusier.
Quello che compì Le Corbusier fu un percorso che racchiuse molte altre dimensioni, spirituali principalmente, estetiche poi, per giungere infine all’esito architettonico e teorico. Nelle stesse lettere che Le Corbusier indirizza a sua madre, le osservazioni passano da lente di ingrandimento, relativamente all’osservazione di numerosi fenomeni che di straordinario hanno, per l’architetto, la loro normalità, spontaneità, la necessità che fa sì che la vita proceda e nel suo scorrere colga le modalità per dipanarsi con naturalezza.
È il caso della vita dei pescatori di Arcachon, località costiera della Francia settentrionale. Attirato da questa solenne austerità, Le Corbusier è portato a domandarsi come sia possibile che una tale comunità laboriosa ed in completa sintonia con la natura possa resistere al progresso dei tempi moderni. Le Corbusier trova in questi luoghi uno spettacolo che definisce riposante, per la leggerezza delle linee e i colori delicati, nelle cui tranquillità si stagliano le dimore di quelli che lui definisce ‘selvaggi’. Per selvaggi Le Corbusier intendeva tutte le genti che lavoravano attorno al bacino di Piquey, luogo che per Le Corbusier rappresentava non solamente un luogo di rifugio, di calma e di ispirazione formale per le sue pitture. Egli intravedeva in questi spazi e nelle abitudini dei suoi abitanti, che definisce ‘oneste genti’ un buon senso, la bona mens, una sagacia che egli ammirava e si proponeva di prendere ad esempio nel pensiero della propria architettura.
Le Corbusier si sente attirato da tali luoghi in cui gli uomini vivono ancora in piena armonia con la natura. È qui che può infatti trovare la vita fluire nella sua istintività, nella calma e in quella che lui stesso chiama ‘scala umana’, lontano dall’artificio della civiltà che distrugge la vita degli uomini nell’artificio e nei malesseri.
Non è un caso infatti che la copertina del testo “Une maison, un palais” vi siano rappresentate due immagini: nella parte inferiore il progetto per il concorso del Palais des Nations di Ginevra, progetto del 1927 e nella parte superiore una baracca di pescatori nella pineta di un bacino.
Le Corbusier descrive in maniera ammirata i luoghi e nota una caratteristica della abitazioni: la loro precarietà, ovvero facendo della relazione con il tempo la più importante ragione estetica. Si tratta di elevare a status di dimore delle costruzioni che sono per lo più dei ripari, una sorta di rifugio temporaneo e lo fanno con le loro mani e senza specifiche conoscenze professionali, attenti al piccolo gesto ed economi del minimo sforzo, desiderosi di ottenere il massimo attraverso il minimo. Queste condizioni ricordano quelle eterne dell’uomo che deve eseguire il proprio lavoro, riflettendo e ad arrivando alla soluzione più efficiente per realizzarlo.
L’atmosfera di Piquey rappresentava per Le Corbusier una sorgente inesauribile d’ispirazione anche per la sua pittura, poiché egli disegnava in continuazione tutto ciò che lo impressionava, dai legni conficcati nella sabbia, alle pigne, alle conchiglie, alle rondini nella pineta, alle funi. <17 E tutte queste impressioni sono materialmente riscontrabili soprattutto nella sua preziosa collezione di oggetti. Inoltre questa sua collezione privata, ricorda Benton, Le Corbusier la mostrava con una certa fierezza a quanti venissero a fargli visita nel suo studio privato, come è facilmente riscontrabile nelle numerose fotografie che lo ritraggono nel suo studio.
Ciò che attira Le Corbusier, anche in questo caso, è il rapportarsi alle condizioni essenziali del vivere: la necessità di rendere il massimo con il poco, una esistenza semplice e completa. È in una piccola parte anche quello che Le Corbusier aveva teorizzato nel momento in cui definiva il folklore come espressione fiorita dei popoli, in quanto frutto delle contingenze, riconducibile al dato concreto del vivere. Per Le Corbusier il folklore nutre l’espressione che produce l’opera d’arte stessa, così come la manifestazione architettonica; oltre al dato concreto, dunque, una emanazione del puro campo estetico.
Rivolgendo l’attenzione alle tematiche relative al Primitivismo in Architettura e mettendolo in relazione con il contesto storico e culturale dell’epoca come espressioni di un Nuovo Umanesimo e per riconoscere nella poetica del calcestruzzo la ricerca di una nuova identità architettonica e di una espressività il più aderente al movimento che ha visto in Le Corbusier il suo principale esponente.
In questo contesto il movimento Brutalista ha un peso fondamentale, divenendo la principale espressione di quel calcestruzzo che si fa poesia, dal greco πόιέώ, opera d’arte, creazione dello spirito, prima ancora che delle mani, dell’uomo. Il “béton brut” dell’Unité d’habitation di Marsiglia, si può identificare come opera che richiama a sé numerosi valori estetici, valori sociali, valori architettonici. Opera corale nell’accezione in qui tutti gli elementi collaborano per creare un completo organismo che racchiuda in sé il punto di arrivo di una ricerca scientifica, della sperimentazione più all’avanguardia unita alla riflessione del vivere in comune ai bordi del Mediterraneo.
Una moderna dimensione classica di matrice greca, tanto che lo stesso Le Corbusier definisce ‘moderna Acropoli’, indicando appunto nella composizione plastica del tetto giardino, il punto più alto della sua ricerca in architettura. Da questo momento si diede vita a quel concetto di Brutalismo che si propone come radicale distacco dalle concezioni razionaliste e con la propria predilezione per l’esprimersi con materiali grezzi, come appunto il cemento armato lasciato a vista, comunica il gusto quasi tattile del ruvido. Il tetto giardino dell’Unité possiede come intento generale quello di conciliare la macchina con l’ordine sublime della natura. Il tetto giardino è appunto uno dei Cinque Punti della Nuova Architettura divenendo un principio generale che potrebbe essere ripensato in diverse forme ed alle diverse scale. <18
Tuttavia Le Corbusier non si è mai definito un architetto brutalista, così come non si è identificato nella figura del pittore purista, stando lungi dall’inserirsi dentro una categoria. È interessante però la riflessione di Sbriglio che sostiene che in Le Corbusier sia possibile scorgere quattro convinzioni molto significative. La prima concerne il rapporto irremovibile con la natura, indissociabile dal suo modo di pensare l’architettura. La seconda trae la sua origine dall’architettura vernacolare, osservata durante i suoi viaggi da giovane e che avrà i suoi esiti solo successivamente, negli anni Trenta. Infine gli altri due ‘capisaldi’, seppure si tratti di un rapporto che appare in contraddizione, sono l’attenzione rivolta al design industriale, specie durante il periodo della seconda guerra mondiale e l’interesse molto forte che ha nutrito per l’artigianato, relazione che è riuscito a tenere sempre accesa fin dai suoi primi anni durante l’esperienza a La Chaux-de-Fonds, sua città natale e dove maturò le sue prime esperienze professionali. <19
Per comprendere questo atteggiamento, per molti aspetti ambivalente, è necessario sottolineare come alcuni semi, nella sua esperienza di architetto siano stati via via posti col passare del tempo.

[NOTE]
1 Djelepy P., Les maisons de l’archipel grec observées du point de vue de l’architecture moderne’, in Cahiers d’art, 1934, I, pp. 93-97
2 Cfr Von Moos Stanislaus, Le Corbusier. L’architecte et son mythe, Horizons de France, 1970.
3 LE CORBUSIER, En Grèce, à l’échelle humaine, in «Le voyage en Grèce», Cahiers pèriodiques, Parigi, 1939, p. 4. Le Corbusier porta come sua esperienza però quella che fece «all’età dei 23 anni, fuggendo con angoscia le Scuole delle grandi città» venne come «spinto verso l’Est in queste terre così antiche; e a partire da Belgrado, attraverso le montagnee e le vallate e i mari percorsi a piedi, a cavallo, in macchina, in battello». È qui che ha «visto l’architettura. […] e scoperto la libera via». Molti anni dopo «durante il IV Congresso del C.I.A.M., facendo uno scalo rapido alle Cicladi […]», ebbe modo di comprendere che «il Mediterraneo è l’inesauribile riserva di insegnamenti utili alla saggezza di tutti noi».
4 Ibidem. «Ici, harmonie. Ici, échelle humaine».
5 OZENFANT A., Le Purisme, in «Cahiers d’art», IV-V, Éditions Cahiers d’art, Parigi, 1927, p. 156.
6 Libretto d’invito alla mostra Les arts dits Primitifs dans la maison d’aujourd’hui, chez Le Corbusier et Louis Carré, seconda pagina. Immagini 16-27.
7 «Exposition ouverte touts les jours (dimanche excepte) de 14 à 18 heures du 3 au 13 juillet 1935. 24, rue
Nungesser et coli, XVIe».
8 GUEGUEN P., L’Art Brut, in «L’architecture d’aujourd’hui, II numéro hors-série, consacré aux arts plastiques», Éditions de ‘L’architecture d’aujourd’hui’, Parigi, 1949, pp. 65-66. Scrive Pierre Guegen «L’altro giorno non ho avuto che un leggero disaccordo con Le Corbusier, che ammirava certi oggetti, i suoi, quelli che gli servono per verificare, disse lui, le leggi della natura; ma chi si fida di tutti gli oggetti che si avvicinano alla forma umana».
9 LE CORBUSIER, Les arts dits Primitifs dans la maison d’aujourd’hui, chez Le Corbusier et Louis Carré, cit., p. 1. «Les arts dits primitifs sont ceux des périodes créatrices, quand une société construisait son outillage, son langage, sa pensée, ses dieux, quand une civilisation éclatait de sève».
10 Ibidem. «Chaque geste, en sa nécessité, était le style même. Rien ne se répétait, tout avançait».
11 Ibidem. «Les dieux étaient inventés; il ne restait plus qu’à les épousseter».
12 Ibidem.
13 Immagini 218-219.
14 Cfr William JR Curtis, Le Corbusier. Ideas and Forms, Phaidon, New York, 2015.
15 Cfr Curtis William Jr, op.cit.
16 Immagini 10-15.
17 BENTON T., Le Corbusier à Piquey (carnet édité à l’occasion de l’exposition «Le Corbusier, mes années sauvages sur le bassin 1926-1936» du 11 juillet au 23 septembre 2015, Pole culturel Petit Piquey, Salle d’exposition Pauilhac, Commune de Lège-Cap Ferrat).
18 Cfr Sbriglio Jacques (a cura di), Le Corbusier et la question du Brutalisme, Parenthèses, 2013.
19 Cfr Sbriglio Jacques, op. cit.

Maria Paola Sabella, Le Corbusier e Christian Zervos: Purismo, Primitivismo, Brutalismo, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Cagliari, 2019

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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