L’epoca infame a cui Dürrenmatt si riferisce è quella di Hitler e degli orrori del nazismo

L’altro drammaturgo svizzero che domina le scene nel secondo dopoguerra è Friedrich Dürrenmatt, figlio di un pastore protestante proveniente dalla campagna elvetica. Sin dai suoi esordi mostra una certa inclinazione per l’estetica dell’Espressionismo e pare decisivo per il suo sviluppo lo studio della commedia di Aristofane e di Frank Wedekind, uno dei seguaci moderni del commediografo greco. Proprio dal drammaturgo di Hannover si può ritenere che Dürrenmatt abbia imparato a trattare i suoi personaggi drammatici come marionette e rappresentanti di messaggi ideologici oltre ad aver appreso il gusto per il tragicomico: nel suo saggio “Theaterprobleme” (1955), lo scrittore svizzero afferma che nei tempi moderni non è più la tragedia a poter esprimere in modo adeguato la conflittualità dell’esistenza umana, il pervertimento dei valori sociali e umani, bensì la commedia e la farsa, anche se – e in questo Dürrenmatt sembra concordare con Frisch – di fronte al male nel mondo la denuncia è rivelatrice ma improduttiva, non basta a provocare mutamenti.
[…] Non c’è da sorprendersi se anche FRIEDRICH DÜRRENMATT, che ha fatto della parodia il suo marchio di fabbrica, offre, seguendo l’esempio di numerosi autori elvetici, la propria versione del mito fondatore della Svizzera. In “Turmbau: Stoffe IV-IX” (1990), l’autore di Konolfingen accenna la storia, progettata ma mai realizzata, di un Guglielmo Tell in chiave moderna.
L’eroe dürrenmattiano si reca in Italia in auto per affari concernenti la sua impresa di utensili da cucina. Egli investe e uccide un uomo in una piccola città mentre sta attraversando; la vittima non è altri che il sindaco, un tiranno odiato dai suoi amministrati Ma, a ben riflettere, questi appunti non sono l’unica traccia del personaggio sospeso tra storia e mito nell’opera di quello che è uno dei più importanti autori della Svizzera del Novecento: il dramma di Schiller appare, infatti, come uno dei punti di riferimento essenziali del teatro di Dürrenmatt, specialmente quando si trova a descrivere un’azione collettiva. Si prenda, ad esempio, la scena finale di “Der Besuch der alten Damen” (1956) quando il popolo uccide, in un’ambigua assemblea, per volere della ricca e potente Claire Zachanassian, Alfred III; sono piuttosto evidenti delle analogie con la scena del giuramento del Grütli nel dramma di Schiller, ma si porta tutto verso un cinismo totale, esasperato.
La morte del tiranno è una tematica che appare, con tutte le sue varianti, lungo tutta l’opera dello scrittore, da “Romulus der Große” (1950) a “Achterloo” (1982). Che questi riferimenti al mito Tell siano manifesti o celati, che li si possa rinvenire nei romanzi polizieschi o nelle opere teatrali, si può chiaramente notare che mirano a criticare la facciata della Svizzera, l’idea che il paese vuole si abbia di sé e mettere in evidenza come un’azione collettiva ricercata possa trasformarsi in disillusione e condurre a risultati totalmente opposti a quelli auspicati. <16
16 Per l’influenza di Tell sull’opera di Dürrenmatt si veda: ULRICH WEBER, Tells Fehlschüsse in Dürrenmatts Werk, in AA.VV., Tell im Visier, cit., pp. 291-303.
Maurizio Basili, La Letteratura Svizzera dal 1945 ai giorni nostri, Le tesi, Portaparole, Roma, 2014

Il presente lavoro si pone l’obiettivo di indagare la ripresa del mitologema del labirinto nella letteratura tedesca del Novecento. In particolare, verranno analizzate le opere Der Bau (1931) di Franz Kafka, Minotaurus. Eine Ballade (1985) di Friedrich Dürrenmatt e Das Kalkwerk (1970) di Thomas Bernhard, ponendo la metafora labirintica in relazione al contesto storico e allo sperimentalismo linguistico tipico della modernità. Da una parte infatti l’uso dell’immagine labirintica sembra rispondere all’esigenza di rappresentare un mondo divenuto complesso, dall’altra il labirinto sembra essere presente all’interno della stessa struttura narrativa, che tende a distruggere le regole letterarie tradizionali. Per supportare la mia analisi ho deciso inoltre di tradurre il saggio Dädalus als Minotaurus di Monika Schmitz-Emans (1992) e alcuni capitoli tratti da Die literarische Moderne di Silvio Vietta (1993). In particolare, Monika Schmitz-Emans analizza l’immagine del labirinto come metafora del lavoro di scrittore e del linguaggio in riferimento a due autori quali Kafka e Dürrenmatt, mentre Silvio Vietta all’interno del suo lavoro di approfondimento sulla letteratura tedesca moderna inserisce il labirinto fra le immagini più ricorrenti del periodo e allo stesso tempo lo utilizza come metafora per descrivere il contesto storico della modernità.
Lara Ospedale, Il mitologema del labirinto nella letteratura tedesca del Novecento: analisi di testi scelti di Franz Kafka, Friedrich Dürrenmatt e Thomas Bernhard, con traduzione del saggio Dädalus als Minotaurus di Monika Schmitz-Emans e di singoli capitoli tratti da Die literarische Moderne di Silvio Vietta, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Pisa, 2021

Figura 1 : Friedrich Dürrenmatt, Il Minotauro disonorato, 1962 – qui ripresa da Maurizio Basili, Op. cit.

Dürrenmatt si mostra successivamente critico anche nei confronti dei festeggiamenti che negli anni Novanta lo stato elvetico si appresta a realizzare per i settecento anni della Confederazione; l’autore di Das Versprechen etichetta così l’evento: «Die Gefängnisverwaltung sich anschickt, die angebliche Gefängnisgründung vor siebenhundert Jahren zu feiern, wenn auch damals das Gefängnis kein Gefängnis war, sondern ein gefürchtetes Raubnest». <26 Ma non è chiaro cosa abbiano da festeggiare gli svizzeri, se la prigionia o la libertà. Non si riesce a comprendere se la Svizzera assomigli più a una prigione o a un’oasi di libertà. Il tentativo di risposta di Dürrenmatt è assai criptico: “Feiern wir das Gefängnis, fühlen sich die Gefangenen gefangen, und feiern wir die Freiheit, so wird das Gefängnis überflüssig. Weil wir aber nicht ohne Gefängnis zu leben wagen, werden wir wieder einmal unsere Unabhängigkeit feiern, denn im unabhängigen Gefängnis unserer Neutralität ist es von außen für niemand auszumachen, ob wir gefangen oder frei sind”. <27
Dürrenmatt presenta quindi la Svizzera come uno stato artificiale, pratico e funzionale ma un po’ noioso: “So ist denn das Gefängnis in Verruf geraten. Es zweifelt an sich selber. Die Gefängnisverwaltung, die alles gesetzlich zu regeln versucht, behauptet, das Gefängnis befinde sich in keiner Krise, die Gefangenen seien frei, insofern sie echte gefängnisverwaltungstreue Gefangene seien, während viele Gefangene der Meinung sind, das Gefängnis befinde sich in keiner Krise, weil die Gefangenen nicht frei seien, sondern Gefangene”. <28
Paradossalmente il problema più grande della Svizzera secondo Dürrenmatt è la condizione di pace a cui porta lo stato di neutralità: «Der Friede droht gefährlicher zu werden als der Krieg. Ein grausamer, aber kein zynischer Satz […] Nicht der Krieg, der Friede ist der Vater aller Dinge, der Krieg entsteht aus dem nicht bewältigten Frieden. Der Friede ist das Problem, das wir zu lösen haben». <29
Dürrenmatt, artista a tutto tondo, anche nelle sue opere pittoriche fa emergere il senso di ristrettezza, se è vero, come afferma, che «meine Zeichnungen sind nicht Nebenarbeiten zu meinen literarischen Werken, sondern die gezeichneten und gemalten Schlachtfelder, auf denen sich meine schriftstellerischen Kämpfe, Abenteuer, Experimente und Niederlagen abspielen». <30
Emblematico è il caso del “Minotaurus”: piuttosto noto è il racconto del 1985 dello scrittore di Konolfingen, caratterizzato da monologhi dal sapore kafkiano, ma pressoché sconosciuto è il dipinto realizzato nel 1962 (figura 1). Dürrenmatt si sente, come il Minotauro disonorato che ha creato, rinchiuso in un labirinto – la Svizzera dove tutto sembra sempre uguale proprio come le mura di un labirinto – a pagare una colpa non sua: la disgrazia per lui è quella di essere nato in Svizzera così come il Minotauro sconta l’ardente desiderio della madre di volersi accoppiare con un toro inviato da Poseidone al Re di Creta Minosse. Il Minotauro rappresenta, inoltre, la parte istintiva e irrazionale della mente umana, quel lato impulsivo e illogico che poco si confà all’essere svizzero e che invece ha spesso dominato in Dürrenmatt, scandalizzando i connazionali benpensanti; la sua arte è stata, dunque, profanata allo stesso modo in cui è stato disonorato il Minotauro nell’immagine: i connazionali guardano Dürrenmatt dall’alto delle mura del labirinto e si prendono gioco di lui.
[…] Tornando a Dürrenmatt, potrebbe esserci un’altra connessione che rende il Minotauro una figura tanto cara all’artista elvetico. Il personaggio per metà uomo e per metà toro compare anche nella Divina Commedia, nel XII canto dell’Inferno: è il guardiano del girone dei violenti contro il prossimo, che sbarra la strada a Dante e Virgilio. Questo particolare può essere un altro collegamento con la realtà elvetica: la Svizzera, del resto, con la sua neutralità, si pone in parte proprio nella posizione di giudice e guardiano dei violenti che agiscono al di là dei confini nazionali; allo stesso modo giudica ma non agisce. […] In Friedrich Dürrenmatt il germe della rivoluzione si insinua a poco a poco se si considera che il suo esordio nel genere poliziesco, “Der Richter und sein Henker” (1950), segue in parte la struttura narrativa del giallo classico: si parte con un’accurata descrizione ambientale, una esposizione dei fatti estremamente minuziosa e il ritrovamento di un cadavere.
[NOTE]
23 Ivi, p. 47.
24 Ibidem.
25 FRIEDRICH DÜRRENMATT, op. cit., p. 17.
26 Ivi, pp. 18-19.
27 Ivi, p. 19.
28 Ivi, p. 18.
29 Ivi, pp. 20-21.
30 FRIEDRICH DÜRRENMATT citato secondo PETER RUSTERHOLZ, Paradox und Karikatur als Grundformen der Darstellung, in EUGENIO SPEDICATO, Friedrich Dürrenmatt e l’esperienza della paradossalità, Pisa, ETS, 2004, p. 139.
30 SYLVIANE DUPUIS, Le Minotaure intérieur (2000), in ID., Géométrie de l’illimité, Genève, La Dogana, 2000, p. 48.
Maurizio Basili, Op. cit.

L’epoca infame a cui Dürrenmatt si riferisce è quella di Hitler e degli orrori del nazismo. Quella che piomba sugli svizzeri è una condanna a cui i tempi non permettono di sottrarsi. Pur aggredendo pesantemente l’atteggiamento del suo paese, l’autore si colloca dalla parte della comunità, che è costretta a sottostare a tutte le implicazioni di un tremendo periodo storico, risultando dunque, allo stesso tempo, innocente. L’atteggiamento adottato dalla Svizzera durante la guerra e nel rapporto con Hitler è per Dürrenmatt la prima manifestazione di un modello destinato a perpetuarsi: “La nostra innocenza odierna è ancora più infame. I paradisi del gioco d’azzardo in cui sperperiamo il nostro denaro, le cliniche in cui pratichiamo i nostri aborti, le organizzazioni criminali, i clan delle dittature sudamericane e centroamericane, le aziende degli evasori fiscali che investono da noi il loro denaro, gli operai che producono per noi a costo bassissimo: tutte queste cose si trovano fuori dai nostri confini. Fuori dei nostri confini vengono anche impiegate le armi che noi costruiamo, oltreconfine spediamo anche i disoccupati, i nostri lavoratori stranieri, quando non abbiamo più bisogno di loro. La luce che la Confederazione emana è fosca. Le nostre mani sono di nuovo pulite, pulite non dalla colpa ma per la colpa. Una volta erano i tempi a corromperci. Ora siamo noi a corrompere loro”.
I termini che Dürrenmatt sceglie di usare sono duri, impietosi, severi; essi esprimono la profonda convinzione che gli Svizzeri traggano profitto da ciò con cui però non intendono sporcarsi le mani, salvando apparenze e principi. In altre parole, gli svizzeri sono corrotti. Corrotti come gli abitanti di Güllen, la cittadina in cui è ambientato il dramma La visita della vecchia signora, che sembra trasferire sui protagonisti i meccanismi denunciati da Dürrenmatt. La trama ruota attorno alla figura di Claire Zachanassian, multimilionaria ed ex cittadina di Güllen, che fa ritorno al paese natio per vendicarsi del torto subito da Alfred Ill, del quale è rimasta incinta a diciassette anni, per essere poi abbandonata per un’altra donna ed entrare nel giro della prostituzione, lasciando Güllen senza farvi più ritorno. Claire sfrutta la propria ricchezza, accumulata grazie ad una lunga serie di fortunati matrimoni, e approfitta della miseria in cui Güllen versa, offrendo un miliardo in cambio dell’uccisione di Ill.
La risposta che otterrà inizialmente sarà un fermo rifiuto: «Signora Zachanassian: siamo ancora in Europa, non siamo ancora dei pagani. Rifiuto l’offerta in nome della città di Güllen, in nome dell’umanità. Piuttosto vivremo poveri che macchiati di sangue.» Così afferma con convinzione il borgomastro della cittadina; ma la vecchia signora, sicura e consapevole del potere assoluto che esercita, non si scompone e si limita a rispondere: «Attenderò».
Ha inizio quello che è stato definito un vero e proprio «esperimento in vitro»: i gülleniani cominciano a vivere al di sopra delle proprie possibilità, spendendo molto più di quanto possano permettersi e indossando scarpe gialle, «segno non solo di cedimento collettivo ma anche di ciò che ben presto si profilerà come un’umanità violenta». Il parroco del paese consiglia ad Ill di fuggire, ma il suo tentativo è vano: lui stesso non sembra del tutto intenzionato ad andarsene, vuole essere giudicato, si assume la responsabilità della sua colpa, si arrende al suo ruolo di vittima sacrificale, di capro espiatorio, esclude anche l’idea di fare da sé, suicidandosi. Infine, l’omicidio collettivo avviene attraverso una sorta di processo kafkiano, senza difensori, il cui verdetto è prestabilito e unanime. I fatti vengono distorti, la vendetta viene fatta passare per giustizia.
Nicole Spiga, L’importanza del caso. La vita secondo Friedrich Dürrenmatt, Tesi di laurea, Università degli Studi di Torino, Anno accademico 2016/2017

Dürrenmatt in un suo saggio avvalora la tesi che vede gli svizzeri complici consenzienti, estremamente disponibili a fornire tutta l’assistenza possibile alle truppe tedesche: «Wir wurden nicht angegriffen, mußten jedoch auch für Hitler arbeiten, und die Juden, die wir an der Grenze zurückwiesen, wurden auch vergast» <25. Anche in altri scritti, Dürrenmatt ha modo di dichiararsi indignato perché la Svizzera affermava di essere stata innocente nella guerra. Lo scrittore paragona il suo Paese a una ragazza che lavora in una casa d’appuntamenti e pretende di non perdere la sua verginità; così durante il conflitto mondiale la Confederazione è scesa a patti con i nazisti e ora vuole far credere di aver mantenuto intatte le sue virtù.
A nulla servono, durante tutti quegli anni bui della storia mondiale, i tentativi da parte degli Alleati di far cambiare atteggiamento agli elvetici; le pressioni diplomatiche non servono a molto, i trattati restano semplici pezzi di carta, le intimidazioni sono assolutamente ignorate e anche l’istituzione di una lista nera che comprende più di mille imprese svizzere e il blocco di tutti i conti elvetici negli Stati Uniti non producono alcun effetto.
Utilizzando un concetto caro a Friedrich Dürrenmatt, e che è l’essenza del suo dramma “Es steht geschrieben” (1947), si potrebbe affermare che niente costa più caro agli uomini di una libertà a poco prezzo. E quella offerta da Hitler agli svizzeri sembra in effetti un’autonomia di poco conto, una finta libertà economica che si è impossessata del mondo bancario elvetico nel 1939 e non l’ha più lasciato, se consideriamo che ancora oggi nelle banche di Lugano, Berna, Basilea e Zurigo si conserva il denaro più sporco di tutto il mondo. Ancora ai giorni nostri le banche elvetiche continuano a ottenere enormi profitti proveniente da denaro rubato, ricettazione e fughe di capitali «solo che i loro clienti di oggi non si chiamano più Hitler, Himmler, Göring e Ribbentropp, bensì Mobutu, Ceausescu, Saddam Hussein, Abu Nidal, Duvalier, Noriega, Suharto, Eyadema, Marcos o Radovan Karadzic». <26
[NOTE]
25 FRIEDRICH DÜRRENMATT, Die Schweiz: Ein Gefängnis, in ID., Kants Hoffnung. Zwei politische Reden. Zwei Gedichte aus dem Nachlaß. Mit einem Essay von Walter Jens, Zürich, Diogenes, 1991, p. 12.
26 JEAN ZIEGLER, op. cit., p. 35.
Maurizio Basili, Op. cit.

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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