L’estremo Ponente Ligure agli inizi del Medio Evo

Il Teatro Romano a Ventimiglia (IM), Frazione Nervia - antica Albintimilium -, dove in una parte delimitata  venne eretta una chiesa paleocristiana, ormai scomparsa.
Il Teatro Romano a Ventimiglia (IM), Frazione Nervia – antica Albintimilium -, dove in una parte delimitata venne eretta una chiesa paleocristiana, ormai scomparsa.

 

Non è possibile affermare se dal IV sec., come in altre aree del Nord Italia in crisi socio-economica e poi anche demografica, si siano costituiti dei latifondi nel territorio ingauno ed intemelio: al riguardo mancano troppi dati. E’ più facile sostenere che dal V sec. la Chiesa (uscita con Costantino dall’illegalità) ormai sempre più collaboratrice di uno Stato sempre meno forte, abbia assimilato alcune di queste proprietà e che ciò si sia verificato in occasione di crisi belliche o di carestie, quando molti fedeli donavano parte dei beni (spesso fondiari) alla Chiesa, ricevendone “tuitio” o patronato (cioè protezione). Nel V sec. le popolazioni della costa ligure presero poi a migrare verso l’interno, terrorizzate delle devastazioni dei Visigoti di Alarico (410) e dei Vandali di Genserico (429-435).
Nel 476 la LIGURIA MARITIMA venne incorporata nel regno di Odoacre; funzionari barbari amministravano le città, mentre gli antichi possedimenti erano depauperati di un terzo, assegnato agli “hospites” cioè a famiglie di barbari invasori.
Tutte le aree agricole tra Ventimiglia ed Albenga patirono questa sorte, in particolare quando si trattava di terre favorevoli a buoni insediamenti stabili. Non sussistono molti dati archeologici su queste trasformazioni (per quanto tracce di parecchi fondi rurali – “visitati” dalla buona età dell’Impero all’epoca medievale – siano stati rintracciati da ricerche nella valle del Nervia) comunque sia in media ed alta val Nervia (al pari che in quella dell’ Argentina) si individuano (dai documenti più antichi reperibili sino ad oggi) cognomi provenienti dalla buona latinità o dalla grecità bizantina (come Balbo, Basso, Ceriani da una gente Coelia, Maccario/Macario, Filippi e via dicendo) posti a confronto (in un clima tuttavia ormai pienamente pacifico per quanto riportato dai più antichi atti scritti reperibili) con genti dai cognomi di derivazione germanica, che fanno riferimento a gruppi di invasori stanziatisi su territori rurali, trasformandosi spesso da guerrieri in agricoltori e pastori (si ricordino cognomi come “Arnaldi, Airaldi, Garibaldi, Lanteri, Lombardi” ecc.).  Qualche considerazione si può fare per le grosse VILLE RURALI (o “pseudourbane”) della bassa valle Argentina e site tra Sanremo, Riva Ligure e Bussana (della I e della III sopravvivono tracce archeologiche, sotto forma di ruderi di complessi residenziali e rurali). Ma se abbiamo queste referenze della villa “Matuciana” (in qualche modo matrice di Sanremo) e di quella di Bussana (forse nominata da una famiglia “Vibia”), altrettanto rilevanti dovevano essere le “ville imperiali”, circondate da fertili ed ampi territori (forse frutto di donativi terrieri a legionari), denominate “POMPEIANA” (donde poi si staccò il peculiare complesso di “TERZORIO”), “Porciana” (S.Stefano al mare), “Ceriana” (poco o nulla si può dire delle ville “Periana” e “Luvisiana” su cui N. Lamboglia dette vaghe supposizioni e, verisimilmente, di altre proprietà ruotanti intorno alla strada romana, la “STAZIONE STRADALE” sulla via Giulia Augusta – oggi l’Aurelia, grossomodo – nominata nelle carte imperiali “COSTA BELENI” o “BALENA” centro ingauno ai confini dell’area intemelia, sede di un certo inurbamento e di un interessante attivismo commerciale, per la presenza di un porto e la prossimità sia alla via di costa che a quella di penetrazione, per la valle Argentina, in Padania, oppure, con una deviazione da Baiardo, nel territorio di Ventimiglia romana). I fondi rurali di val Nervia, le ville suburbane che si succedevano da questo torrente, sin al territorio di Bordighera ed Ospedaletti, e le antiche VILLE del Tabia fluvius subirono delle trasformazioni marcate , peraltro accentuate dall’ostrogoto Teodorico, che, di fede ariana, procedette ad una spoliazione dei beni della CHIESA TRINITARIA DI ROMA.
Questa finì per dover appoggiare Bisanzio (nonostante l’ambiguo comportamento di imperatori come Costanzo II e Valerio, non estranei – per contrapporre il loro clero fedele a quello “troppo” autonomo di Roma – dal far concessioni a barbari ariani nel IV sec.). L’ambizioso GIUSTINIANO, che progettava la restaurazione dell’Impero di Roma, in cui anche la Chiesa occidentale fosse dipendente dallo Stato, colse l’occasione di riprendere l’Italia e Roma, che nell’opinione mondiale pur sempre erano ancora il “centro del tutto” : così i generali greci Narsete e Belisario, nel corso della GUERRA GRECO-GOTICA (535-553), riuscirono nell’impresa. Dopo la vittoria bizantina fu emanata la Prammatica Sanzione per cui Giustiniano restituì agli antichi proprietari le terre confiscate dai Goti. Fra tali conquiste si annoverò, senza dubbio, con la LIGURIA MARITIMA ITALORUM l’ancora importante base di Ventimiglia. Pochi fra i vecchi possessores erano superstiti e spesso non si trovavano neppure loro eredi: i Bizantini donarono poi alla Chiesa, nel caso alla Diocesi di Genova, quei territori che risultavano ormai privi di legittimi padroni o pretendenti. Gli storici hanno visto in tali concessioni una contropartita per l’atteggiamento filobizantino dei Vescovi genovesi durante la GUERRA GRECO-GOTICA, nel corso della quale i re goti Totila e Teia si scontrarono contro formidabili ma feroci truppe greco-bizantine, spesso reclutate tra selvaggi popoli di frontiera, vassalli dell’Impero orientale: come un proverbio (riportato da Paolo Diacono) per decenni – viste le angherie fatte da contingenti greci alla popolazione locale, serpeggiò fra gli indigeni la frase che “era meglio esser servi dei Goti che alleati dei Greci”.  Per comprendere queste REGALIE BIZANTINE alla Chiesa di Genova bisogna tenere conto delle condizioni socio-politiche e della radicale trasformazione dei contingenti greci in truppe di occupazione più che di liberazione. All’ epoca dello SCISMA TRICAPITOLINO, nel 537 Giustiniano, volendo accentuare il controllo sull’ episcopato italiano che cercava di sfuggire al controllo dei suoi ministri e governatori, costrinse Papa Vigilio a condannare i Tre Capitoli (le dottrine di Teodoreto di Ciro, Teodoreto di Mopsuestia, Iba di Edessa), le quali stavano alla base del cristianesimo trinitario occidentale e vennero sancite dal Concilio Calcedonese del 451. La Liguria costiera o Maritima Italorum aderì alla condanna dei “Tre Capitoli”, anche perchè quasi obbligata dalla dominazione bizantina (gran parte dell’Italia dal 568 passò invece sotto il controllo dei Longobardi). A Genova dal 569 risiedeva il fuggiasco arcivescovo di Milano, che, allacciati contatti con le filo-greche Roma e Ravenna, condannò quella dottrina dei Tre Capitoli, che gran parte d’Italia, Milano compresa, professava. L’atteggiamento della Diocesi genovese indusse i Bizantini, bisognosi di alleati, non solo a compensarla ma a potenziarla, in previsione di una sua contrapposizione alla Diocesi milanese. Nell’area fra “Albintimilium” ed “Albingaunum”, in particolare nei territori di “COSTA BELENI” le donazioni alla Chiesa genovese furono di rilievo.

 da Cultura-Barocca

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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