L’intellettuale travestito da cattivo poeta si è affermato come traduttore

 

Fonte: RomaToday

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un grande temporale
per tutto il pomeriggio si è attorcigliato
sui tetti prima di rompere in lampi, acqua.
Fissavo versi di cemento e di vetro
dov’erano piaghe murate e membra
anche di me, cui sopravvivo. Con cautela, guardando
ora i tegoli battagliati ora la pagina secca,
ascoltavo morire
la parola d’un poeta o mutarsi
in altra, non per noi più voce. Gli oppressori tranquilli
parlano nei telefoni, l’odio è cortese, io stesso
credo di non sapere più di chi è la colpa.

Scrivi, mi dico, odia
chi con dolcezza guida al niente
gli uomini e le donne che con te si accompagnano
e credono di non sapere. Fra quelle dei nemici
scrivi anche il tuo nome. Il temporale
è sparito con enfasi. La natura
per imitare le battaglie è troppo debole. La poesia
non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi.

Franco Fortini, Traducendo Brecht

Questo contributo verte sulla lettura della poesia Traducendo Brecht di Franco Fortini (Una volta per sempre, 1963), considerando, oltre agli strumenti classici dell’analisi del testo, anche le categorie sociologiche proposte da Pierre Bourdieu <1. Ciò permette di rilevare la posta in gioco in esso contenuta: una contesa sulla funzione della letteratura e dell’intellettuale nella nascente società neocapitalistica italiana e una battaglia simbolica di un nuovo entrante <2 contro il più legittimato dei poeti italiani del Novecento, Eugenio Montale.
Per far ciò, è innanzitutto necessario, pur schematicamente, inquadrare Fortini nel campo letterario <3 italiano alla fine degli anni Cinquanta <4. A metà del decennio la problematica del neorealismo è in piena crisi, accelerata nel 1956 dalla perdita di attrattiva da parte degli scrittori nei confronti del PCI; d’altra parte, i nuovi entranti come Pasolini e il gruppo di «Officina» da un lato e la Neoavanguardia dall’altro pressano per ridefinire il nomos <5 letterario e ridiscutere il canone. Al vertice della legittimazione, nella poesia – che gode ancora nella gerarchia dei generi il grado più alto – domina la poesia sublime, personificata da Ungaretti e soprattutto Montale. Dall’esterno, lo specialismo crescente del neocapitalismo mette a repentaglio l’autonomia dell’intellettuale ben più di quanto non avevano fatto i partiti politici nel decennio precedente.
Fortini – formatosi attorno a «La Riforma letteraria» di Noventa ma in una Firenze interbellica dominata dall’ermetismo – dopo l’esilio in Svizzera, nel 1945 partecipa all’esperienza de «Il Politecnico» di Vittorini e, attraverso quest’ultimo, inizia a lavorare come traduttore per Einaudi, per il quale nel 1946 pubblica la sua prima raccolta di versi Foglio di via. Dal 1947 lavora alla Olivetti e traduce per le Edizioni di Comunità. È iscritto al PSI fino al 1957, anno in cui pubblica Dieci inverni. Divenuto noto nel circuito ristretto come arguto intellettuale (è nella delegazione italiana che visita per la prima volta la Cina di Mao e, oltre a scrivere su varie riviste, è tra i fondatori di «Ragionamenti », rivista gemellata alla francese «Arguments») e come fine critico letterario (soprattutto per la sua collaborazione polemica con «Officina»), ha acquisito negli anni meno capitale simbolico <6 come poeta. Bloccato dalla difficoltà di coniugare la lingua alta della lirica con la sua esigenza politica di costituire una voce corale di classe degli eventi storici, Fortini avverte la discrasia tra la sua riconosciuta capacità d’analisi e la difficoltà di sviluppare una voce specificamente letteraria della sua posizione critica, con il rischio, anzi, che quella voce potenziale possibile finisca per essere inibita dalla stessa lucidità che declama «la fine del mandato sociale dello scrittore» <7. Scrive ad esempio: “Scrivo versi anche perché penso che la poesia in versi abbia oggi, e oggi più di ieri, sue buone ragioni di esistere. Quei versi mi paiono spesso mediocri o così sono considerati. Me ne dispiace. […] Amici benevoli scuotono il capo davanti al mio volto, quando somiglia all’antichissima maschera del cattivo poeta; e, affettuosi, consigliano maggior impegno nel lavoro critico dove, dicono, dò buoni frutti. Quindi i miei versi […] so bene che partecipano di tutti i vizi che da critico leggo nella maggior parte della poesia dei nostri giorni”. <8
Intanto, l’intellettuale travestito da cattivo poeta si è affermato come traduttore: se già nel 1942 esordisce confrontandosi con un gigante come Flaubert, nel dopoguerra traduce Kierkegaard, Weil, Goethe, Einstein, e, per Einaudi, Döblin, Proust, Gide ed Éluard. E, soprattutto, Brecht.
Considerando le difficoltà ad affermarsi nel campo letterario e leggendo la progressiva crisi di quest’ultimo, Fortini opta strategicamente <9 per la traduzione per creare una posizione praticabile <10. Da non trascurare, in questo senso, sono alcune ricostruzioni teoriche, come per esempio Traduzione e rifacimento, del 1972, in cui il lavoro del traduttore di poesia è considerato «l’atto linguistico-letterario che meglio si presta a fingere di superare e rimuovere la contraddizione», rimuovendo un problema fondamentale della «condizione poetica postromantica», cioè «l›assenza di legittimità e di mandato sociale» <11.
Ma si vedano anche delle testimonianze di questi anni come quella del 1989 presente nelle sue Lezioni sulla traduzione: «Era il tentativo di uscire dal conflitto fra l’eredità del linguaggio simbolista, “alto”, centripeto e verticale, e la materia linguistica e metrica dell’ethos politico, orizzontale, discorsivo e “basso”. Questa via fu cercata anche attraverso un esercizio di traduzione: dapprima guardando ad un Éluard surrealista diverso da quello che era stato letto solo come poeta d’amore […] e finalmente poi con l’autore, Bertolt Brecht, che proponeva tutto un altro modello di “dimesso sublime” e di fuoriuscita dalla lirica per via narrativa e drammatica, dove il “sublime” era nella scansione alta e tesa, lapidaria e sapienziaria e il “dimesso” nella materia quotidiana e “ignobile”». <12
Fortini, insieme a Ruth Leiser, firma per Einaudi la traduzione di Santa Giovanna dei macelli e Madre Coraggio e i suoi figli, entrambe del 1951, poi quella del Romanzo da tre soldi e, in parte, delle Storie da calendario, del 1958 <13. Traduce Brecht negli anni ‘50, momento, come abbiamo visto, di massima incertezza e di lacerazione.
La svolta in questo percorso si coglie soprattutto nella successiva antologia Poesie e canzoni (Einaudi 1959). Qui l’operazione fortiniana di appropriazione <14 si articola in due momenti: la traduzione e l’introduzione. La traduzione introduce nel campo letterario italiano una nuova posizione poetica e lo fa attraverso la voce del poeta Fortini. C’è una reciprocità, che Irene Fantappiè – citando Even-Zohar – ha chiamato «interferenza» <15: la traduzione di Brecht contribuisce alla costruzione dello stile poetico di Fortini, ma, dall’altro lato, la poesia di Brecht arriva in Italia con una marcatura fortissima, che rimarrà pressoché egemone negli ultimi 60 anni <16. Nell’introduzione Fortini presenta un Brecht come «il più vero, forse l’unico, “poeta morale” del Socialismo» <17 e lo contrappone a tutta la tradizione poetica italiana degli ultimi due secoli in relazione all’uso delle forme chiuse e anche delle forme aperte, che in Brecht – lungi dal manifestare una libertà soggettiva – sono espressione di un Gestus sociale. Fortini, inoltre, presenta Brecht come un’alternativa radicale a ciò che egli chiama la poesia «dell’analogia», in cui si tenta «l’identificazione tra la parola e la cosa» <18.
Al centro della contesa c’è la concezione brechtiana di natura e di rapporto poesia-natura, che viene da Fortini contrapposta alla poetica egemone nel campo letterario italiano, citando direttamente il Montale della Bufera ed altro, raccolta pubblicata solo tre anni prima, e la sua epigrafe di D’Aubigné.
Nel penultimo paragrafo la contrapposizione diviene internazionale, tirando in causa T. S. Eliot, il poeta straniero che in quel momento forse gode del maggiore capitale simbolico <19 in Italia, nonché oggetto di contesa tra il legittimato Montale e i nuovi entranti neoavanguardisti.
Un’operazione di questo tipo è possibile perché Brecht ha in Italia un capitale simbolico enorme: grazie a Strehler che lo elegge a proprio maestro teatrale e a riviste come il «Politecnico» e l’«Avanti» che fanno della sua poesia un esempio di nuovo rapporto tra cultura e politica; grazie al gruppo torinese Cantacronache, che intende rivoluzionare la forma-canzone italiana rifacendosi al modello del song di Brecht, Weil e Eisler; infine, grazie a Einaudi, che consacra prestissimo il poeta tedesco pubblicando edizioni della sua opera in più volumi, con una completezza e finezza filologica paragonabile alle contemporanee edizioni tedesche. La stessa raccolta Poesie e canzoni è presente nella collana più consacrante dell’editore torinese, i «Millenni», in cui – eccezion fatta per il premio Nobel Hemingway, – Brecht è l’unico autore novecentesco presente <20.
Coeva a Poesie e canzoni, la raccolta poetica di Fortini Poesia ed errore, del 1959, sconta ancora una fase di passaggio e di ridefinizione. Una volta per sempre, del 1963, è il vero inizio di un percorso poetico in cui Fortini costruisce una posizione ai suoi occhi pronta a confrontarsi con i detentori dell’attuale nomos della poesia contemporanea. Anche la collocazione rivela una strategia di questo tipo: la raccolta è pubblicata presso l’editore Mondadori nella collana Lo specchio, la stessa in cui nel 1957 era stata ripubblicata La bufera ed altro di Montale <21.
La raccolta fortiniana è divisa in quattro sezioni più un’appendice; le due sezioni centrali si intitolano emblematicamente Traducendo Brecht I e Traducendo Brecht II. Al centro della prima di queste vi è la poesia eponima, a cui Fortini affida già per il nome e la posizione il compito di essere vera e propria poesia-manifesto, e così verrà interpretata in futuro, inserita in ogni sorta di manuale scolastico e antologia <22.
La poesia raffigura un io che scrive mentre fuori è scoppiato «un grande temporale». Sembrerebbe lo stesso schema di molte poesie montaliane, dalle Occasioni in poi: la contrapposizione interno/esterno, un tumulto fuori da cui si cerca riparo con attività intellettuali. L’io qui però non scrive poesia, ma traduce, e non si può non notare in questo slittamento un rimando all’idea fortiniana di traduzione come stratagemma per aggirare la perdita del mandato sociale del poeta. L’io scrivente traduce poesie di Brecht – suggerisce il titolo. E questa attività di traduzione porta il soggetto a una forte messa in discussione del suo ruolo di intellettuale e del valore e dell’utilità stessi dell’istituzione poesia. Lacerazione, reificazione, da cui solo un atto volontaristico può salvare.
Numerose le reminiscenze montaliane, come il verso in cui si esorta a scrivere tra i nemici il proprio nome che è molto simile al «Più nessuno è incolpevole» della Primavera hitleriana <23. Si veda soprattutto la connessione con la poesia L’arca <24: anche lì è centrale il motivo de «la tempesta» esterna che sconvolge e mette in pericolo, allegoria del negativo e della guerra; ma è forte anche il tema della memoria da salvare, di cui, con allusione alla tradizione ebraica, l’immagine dell’arca – simbolo anche della materiale casa a Monterosso, reliquiario dei ricordi – diviene, come la scrittura, depositaria, nel tentativo di proteggere i vivi e i morti <25. E ad una funzione simile sembra adempiere anche la scrittura brechtiana, i «versi di cemento e di vetro» che, però, custodiscono, non la memoria privata, quanto quella storica, in cui – con un gesto politico e biografico insieme – si inserisce anche l’io scrivente […]
1 Cfr. soprattutto P. Bourdieu, Le regole dell’arte, Milano, Il Saggiatore, 2013.
2 Ibidem.
3 Ibid.
4 Per una ricostruzione della traiettoria di Fortini nel campo letterario italiano cfr. R. Bonavita, L’anima e la storia: struttura delle raccolte poetiche e rapporto con la storia in Franco Fortini, Milano, Biblion, 2017; A. Boschetti, La genesi delle poetiche e dei canoni. Esempi italiani (1945-1970), in «Allegoria», XIX, 55, gennaio-giugno 2017, pp. 42-85; A. Boschetti, Sul campo letterario italiano e il suo contesto internazionale (1945-1970), in I. Fantappiè, M. Sisto (a cura di), Letteratura italiana e tedesca 1945-1970: Campi, polisistemi, transfer / Deutsche und italienische Literatur 1945-1970: Felder, Polysysteme, Transfer, Roma, IISG, 2013, pp. 59-76 e D. Dalmas, La traiettoria di Franco Fortini nel campo letterario italiano (1945-1970), in ivi, pp. 129-46.
5 Cfr. Bourdieu, cit.
6 Ibidem.
7 F. Fortini, Mandato degli scrittori e fine dell’antifascismo (1964-1965), in Saggi ed epigrammi, Milano, Mondadori, 2003, pp. 130-186.
8 F. Fortini, L’altezza della situazione, o perché si scrivono poesie, in «Officina», 3, settembre 1955, pp. 99-104, p. 99.
9 Il termine «strategia» è qui inteso in senso bourdieusiano, ovvero come strategia pre-conscia, strettamente connessa con le disposizioni di un habitus storicamente determinato. Cfr. per esempio P. Lamaison, P. Bourdieu, From rules to strategies: an interview with Pierre Bourdieu, in «Cultural Anthropology», 1, 1, 1986, pp. 110-120.
10 Cfr. R. Bonavita, Traduire pour créer une nouvelle position: La trajectoire de Franco Fortini de Eluard à Brecht, in J. Meizoz (a cura di), La Circulation internationale des littératures, «Études de lettres», 1-2, 2006, pp. 277-291.
11 F. Fortini, Traduzione e rifacimento (1972), in Saggi, cit., pp. 818-838, p. 825 [corsivi dell’autore].
12 F. Fortini, Lezioni sulla traduzione, Macerata, Quodlibet, 2011, pp. 163-64.
13 Fortini continuerà a tradurre Brecht anche più avanti: sua è per esempio la traduzione di Poesie di Svendborg seguite dalla Raccolta Steffin (Torino, Einaudi, 1976). In omaggio a Brecht intitola Il ladro di ciliegie la sua raccolta di traduzioni pubblicata da Einaudi nel 1982.
14 R. Bonavita, Traduire, cit.
15 I. Fantappiè, Cinque tesi sulla traduzione in Fortini. Sélection e marquage in Il ladro di ciliegie, in I. Fantappiè, M. Sisto (a cura di), op. cit., pp. 149-168.
16 Cfr. S. Bologna et al. (a cura di), Atti del seminario Bertolt Brecht/Franco Fortini. Franco Fortini traduttore di Brecht, tenutosi a Milano il 26 settembre 1996, in «L’Ospite ingrato online », 2009, http://www.ospiteingrato.unisi.it/bertolt-brechtfranco-fortini/ [cons. il 20/01/2019].
17 F. Fortini, Prefazione a B. Brecht, Poesie e canzoni, a cura di Ruth Leiser e Franco Fortini, con una bibliografia musicale di Giacomo Manzoni, Torino, Einaudi, 1959, pp. VII-XXI, p. XX.
18 Ivi, p. XIV.
19 Cfr. P. Bourdieu, op. cit.
20 Cfr. P. Barbon, Il signor B.B. Wege und Umwege der italienischen Brecht-Rezeption, Bonn, Bouvier, 1987, e M. Martini, M. Sisto, Bertolt Brecht e la parabola italiana dello “scrittore impegnato”, in M. Sisto (a cura di), L’invenzione del futuro. Breve storia letteraria della DDR, Libri Scheiwiller, Milano, 2009, pp. 336-343.
21 E. Montale, La bufera ed altro, Milano, Mondadori, 1957. Per il posizionamento di Fortini e il suo rapporto con la collana (e con Sereni) cfr. il paragrafo «Noi siamo allegorie»: il Faust di Fortini nei Meridiani (1970), in M. Sisto, Cesare Cases e le edizioni italiane del Faust. Letteratura, politica e mercato dal Risorgimento a oggi, in «Studi Germanici», 12, 2017, pp. 107-178.
22 F. Fortini, Una volta per sempre, Milano, Mondadori, 1963, ora in Tutte le poesie, a cura di Luca Lenzini, Torino, Einaudi, 2014, p. 238. Per un’approfondita analisi cfr. L. Lenzini, Traducendo Brecht, in Il poeta di nome Fortini, Lecce, Manni, 1999, pp. 125-178, e M. Boaglio, La casa in rovina. Fortini e la «funzione Brecht», in «Critica letteraria», XXXVI, 1, 134, 2008, pp. 61-88.
23 E. Montale, op. cit., p. 93.
24 Ivi, pp. 24-25.
25 Cfr. N. Scaffai, Lettura di una lirica di Finisterre: L’arca, in «Studi e problemi di critica testuale», 74, 2007, pp. 175-210.
Salvatore Spampinato, Università degli Studi di Torino, «Il temporale / è svanito con enfasi», Università degli Studi di Napoli L’Orientale, Quaderni della ricerca, Vol. 6 – 2020, Sottosopra. Indagine su processi di sovversione

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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