La nozione di autore-immagine è già stata discussa e soprattutto si sono rilevate le differenze tra le prospettive di Booth, Bachtin e Benedetti. Manca forse una riflessione ulteriore in merito all’immagine dell’autore intesa ora come sua raffigurazione ora come sua effettiva consistenza fisica.
In occasione della rassegna stampa del Premio Campiello 2014, mi è capitato di assistere alle singolari prestazioni dei fotografi accorsi ad immortalare gli scrittori prima del loro ingresso nel palazzo sede dell’evento. Già curiosa di per sé agli occhi di chi considera la letteratura non immagine, lustro e pubblicità bensì libri, idee e parole (si potrebbe dire essenza e non apparenza), la situazione era resa ancora più grottesca dallo squilibrio quantitativo tra i fotografi e colui che di volta in volta era il soggetto della foto. La scena mi sembrò emblematica di una società in cui l’immagine è fondamentale e ancora più rilevante ai miei occhi il fatto che ad essere immortalati fossero individui che avevano scelto di fare della loro vita non immagine, bensì scrittura e parole. Mi sovvenne un pensiero espresso da Melania Mazzucco in occasione di un seminario sulla scrittura tenuto a Ca’ Foscari tra febbraio e marzo 2014 <122. Alludendo alla vocazione scrittoria non immediatamente assecondata per il timore di una nudità scomoda e paralizzante che scrivere (e pubblicare) avrebbe potuto determinare, Mazzucco disse: “Lo scrittore quando scrive è sempre nudo”, frase illuminante in relazione all’idea di immagine dell’autore come fonte di angoscia. Pur presentando tratti comuni riguardanti il venire a patti dello scrittore con la società di cui fa parte e con i meccanismi che la sorreggono, le due circostanze fanno riferimento invero a due tipi di immagini differenti: Mazzucco parlava di nudità in relazione al complesso di caratteristiche e attitudini autoriali (anche personali e intime) che giungono al lettore per il tramite dell’opera mentre la scena del Campiello rimanda proprio all’autore-figura come necessità e i fotografi erano in quel momento l’allegoria di un vampirismo che, richiedendo allo scrittore qualcosa che egli non è tenuto ad offrire (la propria figura fisica), va ben oltre quello calviniano <123.
Il pubblico non si accontenta delle parole: ha necessità di “vedere”, di accostare le parole leggibili ad un’immagine visibile e concreta che colmi il vuoto derivante dalla mera fruizione tradizionale, in cui l’autore rimane una funzione o entità creatrice e astratta. È anche in questo senso che Luperini parla di intellettuale che, confinato nel ruolo, rinuncia alla funzione <124.
L’autore come personaggio pubblico è un concetto alimentato dagli happening e dai festival letterari, o forse proprio questi hanno contribuito a determinare la necessità di immagine che il pubblico oggi sembra sperimentare in maniera crescente e che però non è una prerogativa della società attuale.
Se Ilaria Crotti può utilizzare il volume ‘Ritratti su misura di scrittori italiani. Notizie biografiche. Confessioni. Bibliografie di poeti, narratori e critici’ come emblematico per illustrare il rapporto tra autori e pubblico negli anni Sessanta è perché, prima della delegittimazione compiuta da strutturalismo, post-strutturalismo e teorie semiotiche, l’autore era direttamente connesso alla propria opera e risultavano fondamentali non solo la sua biografia ma, come dimostra il volume di Accrocca, che intervalla ai testi scritti una serie di raffigurazioni, anche la sua immagine, tanto che Crotti può far notare come una simile iniziativa implichi per un verso «un autore per antonomasia “narciso”, disposto a mettersi a nudo» e per un altro verso di un pubblico «”curioso”, per non dire voyeurista, vorace “spione”» <125. Nel testo, l’autore come “figura” è presentato come «personaggio segreto» <126, «simulacro da scoprire, svelare, denudare in tutti i suoi più riposti andirivieni e risvolti»127, non come autore-creatore dunque ma, forse in linea con una critica prestrutturalista (anche se il testo non si poneva come saggio critico ma come semplice repertorio di notizie biografiche di facile consultazione) come autore-uomo. La presenza delle immagini nel volume sarebbe in questo senso proprio la spia dell’aver postulato un lettore «curioso e voyeur, propenso insomma a verificare le due sembianze proposte, la scritta e quella interpretabile visivamente, come due volti dissonanti da “pedinare” a vicenda» <128.
Più recentemente, Javier Marias ha pubblicato ‘Vite scritte’ in cui ha proposto una serie di venti biografie precedute ognuna da una fotografia dell’autore in questione, immortalato il più delle volte nell’atto di scrivere o alla propria scrivania, salvo casi in cui abbia ritenuto più efficace un ritratto di tipo diverso (come per Beckett, Nabokov e Wilde). Si tratta di biografie non del tutto veritiere, anzi, piuttosto esposizioni contenenti, a detta di colui che si presenta come «biografo improvvisato, occasionale e sghembo» <129, episodi o aneddoti “abbelliti”. L’importanza attribuita alle fotografie o ai ritratti è provata dalla lunga appendice dedicata, intitolata ‘Artisti perfetti’, nella quale si legge: “Nessuno sa che faccia avesse Cervantes, e non si ha neppure alcuna certezza su quella di Shakespeare, ragion per cui il Chisciotte e il Macbeth sono testi ai quali non si accompagna un’espressione personale, un volto definitivo, uno sguardo che gli occhi degli altri uomini abbiano potuto congelare e fare proprio nel tempo. Forse soltanto quelli che i posteri abbiano sentito la necessità di attribuire loro, con esitazioni e cattiva coscienza e molta inquietudine, espressioni e sguardi e volti che sicuramente non furono di Shakespeare né di Cervantes. È come se i libri che ancora leggiamo ci risultassero più lontani e incomprensibili quando non possiamo dare un’occhiata alle teste che li hanno composti; è come se il nostro tempo, in cui niente è privo della relativa immagine, si sentisse a disagio di fronte a qualcosa la cui responsabilità non possa essere attribuita a un volto; sembra, perfino, che anche i lineamenti degli scrittori facessero parte delle loro opere. Forse per questo, quasi agendo d’anticipo, gli autori degli ultimi due secoli hanno lasciato numerosi ritratti, dipinti o fotografici, e forse per questo io ho sviluppato l’abitudine, nel corso degli anni, di collezionare queste cartoline con tali ritratti”. <130
Subito dopo, Marias descrive una ad una le immagini contenute nel volume: lo «sguardo assente» <131 di Dickens, l’atteggiamento «affascinato e schiavizzato» <132 di Mallarmé, incapace di essere indifferente alla macchina fotografica che lo immortala; la «buona dose di disinvoltura e una chiara predisposizione all’offesa» <133 nella prima foto di Gide e il ritratto di «individuo comprensivo e dolente» <134 nella seconda. Borges appare «paziente e pieno di pena […] una persona priva di malizia, quasi candida, apparentemente abbandonata» <135 mentre Poe sembra «del tutto inoffensivo nonostante lo sguardo torvo, il cranio bombato e i capelli radi e spettinati» <136. Immortalato mentre legge sdraiato su di una branda, Lawrence appare in «uno dei rari momenti di non sofferenza, quelli che forse non ha raccontato nel libro ‘Lo stampo’» <137 e Yeats, «innegabilmente poeta» <138, vanta uno «sguardo soltanto indovinato dietro alle lenti, fa sì che in realtà sia con le labbra strette che stia guardando, come se tutto lui fosse soltanto voce» <139. La fotografia di Beckett restituisce l’immagine di «un uomo assillato» <140 ma non sorpreso dall’assillo, bensì ben sistemato al suo interno, mentre Blake, che «fece il morto mentre era vivo» <141, è nel ritratto l’artista «più perfetto» <142 in quanto anche nella morte rimane «un uomo che controlla i suoi posteri» <143.
[NOTE]
122 “Melania Mazzucco. Vita, storia, memoria. Cento modi di raccontare” tenutosi il 19 e 20 febbraio e 7 marzo 2014.
123 «I lettori sono i miei vampiri. Sento una folla di lettori che sporgono lo sguardo sopra le mie spalle e s’appropriano delle parole man mano che si depositano sul foglio. Non sono capace di scrivere se c’è qualcuno che mi guarda: sento che ciò che scrivo non m’appartiene più» è una frase pronunciata da Silas Flannery in Se una notte d’inverno un viaggiatore. (I. CALVINO, Se una notte d’inverno un viaggiatore, Milano, Mondadori, 2002, p. 199).
124 Cfr. R. LUPERINI, La fine del postmoderno, cit., p. 17. «Più in generale, alla figura dell’intellettuale-legislatore si sostituivano quelle dell’intellettuale-esperto al servizio di aziende pubbliche o private, e dell’intellettuale-intrattenitore, al servizio di una nuova idea di cultura come spettacolo e informazione. In entrambi i casi l’intellettuale veniva confinato nel ruolo, rinunciando così alla funzione (secondo la proposta terminologica, fondata sulla distinzione fra l’uno e l’altro aspetto, operata anni fa da Franco Fortini). In genere è a partire da quegli anni che l’intellettuale non cerca più di argomentare, di svolgere una tesi, di convincere; preferisce essere e mostrarsi “leggero”, seducente e brillante» (Ibidem).
125 I. CROTTI, Per un’idea di pubblico negli anni Sessanta: l’autolettura d’autore nei Ritratti su misura di Elio Filippo Accrocca, in I. CROTTI, E. DEL TEDESCO, R. RICORDA, A. ZAVA (a cura di), Autori, lettori e mercato nella modernità letteraria, cit, pp. 177-188. La citazione è a p. 182.
126 Ibidem.
127 Ivi, p. 182.
128 Ivi, p. 183.
129 J. MARIAS, “Premessa” a Vite scritte, trad.it. di G. Felici, Torino, Einaudi, 2004, p. XVII.
130 J. MARIAS, Vite scritte, cit., p. 191.
131 Ivi, p. 192.
132 Ivi, p. 193.
133 Ivi, p. 196.
134 Ibidem.
135 Ivi, p. 198.
136 Ibidem.
137 Ivi, p. 199.
138 Ivi, p. 201.
139 Ibidem.
140 Ivi, p. 202.
141 Ivi, p. 204.
142 Ibidem.
143 Ibidem.
Cristina Michielon, Riflessioni sul ruolo dell’autore nel panorama letterario italiano contemporaneo, Tesi di Laurea, Università Ca’ Foscari di Venezia, Anno Accademico 2013/2014