“Memento Mori”: questo antico motto, pagano e poi cristiano, sulla brevità della vita …

“Memento mori” (letteralmente: “Ricordati che devi morire”) è una nota locuzione in lingua latina.
La frase trae origine da una particolare usanza tipica dell’antica Roma: quando un generale rientrava nella città dopo un trionfo bellico e sfilando nelle strade raccoglieva gli onori che gli venivano tributati dalla folla, correva il rischio di essere sopraffatto dalla superbia e dalle smanie di grandezza. Per evitare che ciò accadesse, un servo dei più umili veniva incaricato di ricordare all’autore dell’impresa la sua natura umana. Lo faceva pronunciando quella frase. La consuetudine decadde nel contesto cerimoniale, atteso che al posto del Trionfo, durante l’Impero destinato al solo Imperatore come comandante generale, ai condottieri vittoriosi si concedevano piuttosto gli “Ornamenti Trionfali”, come nel caso di Giulio Agricola conquistatore della Britannia.

In ambito cristiano la costumanza ebbe poi naturalmente una valenza diversa, quale un ammonimento ad operare per il bene e a non perdersi nelle lusinghe del mondo. Per esempio l’ordine di stretta clausura dei trappisti, fondato nel 1664, adottò questa frase come motto: i monaci di quest’ordine si ripetevano tra loro continuamente la frase, e si scavavano – un poco ogni giorno – la fossa destinata ad accoglierli, con lo scopo di tenere sempre presente l’idea della morte e quindi il senso della vita, destinata a finire.

E’ però da rammentare che il richiamo alla “fugacità della vita” – e l’uso di ricorrere a citazioni concernenti l’inevitabilità della fine esistenziale – venne alquanto meno a fare inizio dal Cinquecento, vale a dire in periodi, per i potenti, più fausti e caratterizzati da feste, ostentazione di ricchezze, disinibizione tipicamente postrinascimentale.

Siffatto atteggiamento mondano suscitò le critiche di diversi autori,  compreso quello spirito bizzarro, da “Poeta”, come si diceva volendo in qualche modo criticarlo, che fu l’erudito ventimigliese Angelico Aprosio. Che ne scrisse anche a scapito di molti Religiosi presi dalla vanità.

Invalse, comunque,  in età barocca l’angosciante proposizione del “Memento Mori”  sotto forma di simulacri ed oggetti ben visibili destinati ad ammonire sempre l’uomo della sua fragilità. E  non fu propria solo di Inquisitori che volessero spaventare gli inquisiti o di personaggi come Papa Alessandro VII, mentore di Maria Cristina di Svezia:  entrambi assai sensibili al tema. Divenne, anzi,  quel tema, una costante generale:  molti, senza ricorrere ad oggetti sacri meno appariscenti come un rosario, potendoselo permettere, amavano “ornare” i propri pensatoi, le camere, ma anche gli studi soprattutto di teschi destinati proprio a rammentare l’inevitabile scorrere del tempo sin alla fine inevitabile per chiunque grande o piccolo od umile che fosse.

Nell’oggettistica sacra il Memento Mori divenne, dunque, un ammonimento costante, variamente elaborato.

Il tema entrò anche nell’arte e specie nella pittura – su cui non mancarono dibattiti specie avverso le pitture dell’età precedente permeate talora di paganeggiante erotismo – particolarmente nell’ambito della natura morta: e l’esempio più tipico è quello di un teschio posizionato accanto a fiori o frutta.

di Bartolomeo Durante da Cultura-Barocca

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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