Memorie di una certa Ventimiglia (e zona)

N., da anni emigrato nelle vicinanze di Milano, con cui, finalmente, dopo due fugaci occasioni, ho potuto avere qualche tempo fa una lunga e proficua discussione, come quelle di una volta: sembrava proprio ci fossimo lasciati l’altro giorno, forse perché, come dice – esplicitandomi il senso di una battuta di un mio ex-compagno di scuola – il mio anonimo dotto eremita della collina, quando si cresce insieme, rimane un elevato grado comune di confidenza.

N., che ho ritrovato colto ed acuto osservatore, in più temprato anche dalle importanti vicende culturali di una vecchia Milano, che ha avuto l’opportunità di vivere, quella della Casa della Cultura, per intenderci, ha di quel Bar Irene di Ventimiglia (IM) più in mente, o a cuore, in questo momento, se ho capito bene nell’enfasi di un cimento peripatetico interrotto da continui rimandi, persone anche dalla vita pittoresca, che credo di avere individuato anche in un pezzo di notevole pregio stilistico di un altro nostro conoscente, pezzo che prima o poi mi devo decidere a pubblicare qui.

Solo che a quel Bar era lui soprattutto, N., quello che faceva interminabili discussioni con Francesco Biamonti, come a suo tempo io devo aver messo in quella mia sintesi di quella storia, per noi ed altri, così importante. Non per niente una parte del tempo passato insieme nell’ultima occasione l’abbiamo speso a vedere a Bordighera la Mostra fotografica di Ario Calvini “Tra gli ulivi con Francesco Biamonti”.

Di N. dovrò dire altro ancora, come preannunciato, non fosse altro che per ricordare altre persone, alcune veramente care, da ricondurre alle comuni trame, ma aggiungo due argomenti che in qualche modo lo collegano a mie pregresse storie.

Di quanto pertinente a “Far West di Ponente” (come da efficace definizione di Marino Magliani, riportata sulla rivista “Atti impuri” di Torino) l’ho maggiormente informato io, non sapendo lui ad esempio del romanzo di Elio Lanteri, che bene conoscemmo da giovani, ma su alcuni aspetti, sempre via email, mi ha già fornito suoi giudizi critici. E non potevo dubitare che, avendo conosciuto Nico Orengo, N. rammentasse all’autore de “La curva del Latte” che nella campagna condotta dal protagonista lui ci avesse lavorato, anni dopo quell’ambientazione storica, da bracciante, ricavandone anche il ritratto affettuoso del figlio reale di quel personaggio, figlio cui Orengo, particolare a me sfuggito, aveva dedicato un’altra opera.

Ma su Orengo, una cui recente parziale rilettura mi ha aperto altre strade da indagare, per ora termino.

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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