Mi sono chiesta come uscire dalla banalità del solito verso libero

Amelia Rosselli – Foto di Dino Ignani – Fonte: internopoesia

 

 

 

 

 

 

 

 

“Non credo dover occuparmi di giornalismo almeno per ora, visto l’impegno in due mestieri,” <2 scrive Amelia a Guido Davico Bonino l’8 novembre 1963: la giovane è infatti musicista, etnomusicologa e teorica della musica da una parte, e poeta dall’altra.
L’attraversamento del magmatico confine fra le due arti è un processo che oscilla a lungo, e che tutto sommato non è mai avvertito come impellente. Finché in un’intervista del 1981 Amelia [Rosselli] dirà che ha smesso di fare musica: “Non si può fare musica e poesia. O l’una o l’altra. Entrambe sono discipline severe.” <3
Severissima Amelia! E insieme ribelle adolescente, sarcastica sperimentatrice, e al tempo stesso timorosa ma famelica interlocutrice di arti diverse. E infatti la sua poesia ha bisogno della musica, e alla musica è dedicata una poesia fra le ultime di Serie ospedaliera (1963–65), come lei stessa fa notare: <4
Note che sorgono abissali dalle frange
delle passioni rimpicciolite al punto
di sembrare veraci. E poi con un coltello
le sdoppio e le decanto, credendomi
fiera al mercato. E poi con l’altro
lato del coltello ne sfinisco i bordi
temendo che nascesse una nuova melodia
a irrimediabilmente compromettere il
mio sonno. […]
La musica comunque fa la sua parte
e nell’intendimento di essa risiede
la mia passione che contorcendosi si
dipinse egualmente spaventata dal lutto
dei suoi grandi occhi e della canzone. <5
Nel secondo dopoguerra la commistione fra le arti, e in particolare tra musica e poesia, è una prassi molto sperimentata. I musicisti tirano la volata agli altri: ma anche pittori e scrittori riprendono a esprimersi dopo la devastazione della guerra, con l’urgenza di un’arte completamente rinnovata, totale, al di là di ogni barriera. Dalle avanguardie del primo Novecento hanno ormai ereditato l’ipotesi dell’esistenza di norme universali che regolano l’attività del pensiero: ogni possibile forma sembra riconducibile a strutture intellettive che altro non sono – secondo Lévy Strauss – che una modalità temporale di leggi generali. Come la pittura di Kandinskij, così la tecnica seriale di Webern o il quadrato magico della Scuola di New York scaturiscono dalla convinzione che la teoria della composizione consista nell’espressione dei rapporti numerici dei vari elementi.
La critica ha prestato una sempre maggiore attenzione all’attività musicologica di Amelia Rosselli. <6 Sappiamo degli studi di violino, pianoforte e composizione iniziati a Londra al ritorno dagli Stati Uniti tra il 1946 e il ‘47, delle letture dei Barocchi e di Hopkins, Eliot e Joyce -Robert Frost era già nel programma scolastico dei licei statunitensi – e delle registrazioni dei vari dialetti portate in classe dall’insegnante; nonché delle letture “fatte col corpo” per assecondare i particolari accenti (i famosi instresses) hopkinsiani. Hopkins – al quale com’è noto guardava il modernismo anglosassone, Eliot in testa – aveva espressamente avvicinato la sillaba alla nota, il piede alla battuta e la melodia alla frase. Sono studi tardivi quelli musicali di Amelia: non si impara uno strumento a 17 anni, e per quanto appassionate e perfino eccessive fossero le sue memorabili esecuzioni della musica di Bach all’organo della villa dei Gabban “Il Frassine,” anche Amelia ne era consapevole.
2 Amelia Rosselli, in Stefano Giovannuzzi, “Amelia Rosselli a Pasolini. Frammenti di una biografia letteraria,” postfazione a Rosselli, Lettere a Pasolini 1962–1969, a cura di Giovannuzzi (Genova: San Marco dei Giustiniani, 2008), 122.
3 Amelia Rosselli in Adele Cambria, “Un armadio tutto per sé,” in Amelia Rosselli, È vostra la vita che ho perso. Conversazioni e interviste 1963–1995, a cura di Monica Venturini e Silvia De March, Prefazione di Laura Barile (Firenze: Le Lettere, 2010), 61. D’ora in avanti il volume sarà indicato come Interviste.
4 Amelia Rosselli, “Nei dintorni della Libellula. Tre note,” a cura di Palli Baroni, in La furia dei venti contrari, a cura di Andrea Cortellessa (Firenze: Le Lettere, 2007), 37.
5 Rosselli, “Note che sorgono abissali dalle frange …,” in OP, 304.
6 Si veda la bibliografia, cui sono seguiti altri titoli che diremo, nella bella introduzione di Emmanuela Tandello in Amelia Rosselli, Due parole per chiederti notizie. Lettere (inedite) a David Tudor, a cura di Roberto Gigliucci, introd. di E. Tandello (Genova: Fondazione Lilli e Giorgio Devoto, 2015), 12-14.
Laura Barile, Trasposizioni: i due mestieri di Amelia Rosselli, «California Italian Studies», 8, 2018

Vivere il proprio corpo significa anche scoprire la sua debolezza, la servitù tragica e impietosa della sua limitatezza, della sua usura e precarietà, significa prendere coscienza dei sui fantasmi, che non sono altro che il riflesso dei miti creati dalla Società…il corpo (e la sua gestualità) è in sé una scrittura, un sistema di segni che rappresentano, che traducono la ricerca indefinita dell’Altro. <269
Nel leggere queste riflessioni dell’artista italo-francese Gina Pane, forse la più importante esponente femminile della Body art degli anni Sessanta e Settanta, autrice di intense performance in cui il corpo emerge in tutta la sua complessa fragilità, paiono scorrere davanti agli occhi le immagini delle rare riprese video di Amelia Rosselli, quelle delle sue letture pubbliche, composte e insieme commuoventi <270. La sua voce unica, quasi proveniente da una caverna di vuoto, unita a una delicata gestualità, sembrava capace di inscrivere nell’aria densa di fantasmi personali che la avvolgeva, un testo corporeo, altro, sovrapponibile al testo già scritto sulla pagina <271. Appartata per scelta e forse per destino poetico <272, Amelia Rosselli non è stata però un poeta-corpo, per riprendere la già citata formula zanzottiana, non ha fatto cioè della sua presenza fisica un prolungamento programmatico della propria poesia. Ciononostante – come ha ricordato Florinda Fusco – nella sua scrittura «alla centralità del ritmo come strumento conoscitivo si lega la centralità della coscienza del corpo» <273, tanto che già nel celebre allegato alla prima raccolta, Spazi metrici, la Rosselli si proponeva di associare «movimenti muscolari e “forme” mentali» <274 al ripresentarsi di determinate consonanti o raggruppamenti di consonanti. Inoltre, nel descrivere i suoi primi tentativi di poetica in direzione di un personalissimo – quasi privato – superamento del verso libero, ricorda come ad ogni spostamento del suo corpo aggiungesse, tentando, «un completo “quadro” dell’esistenza» <275 che la circondava, chiaro rimando all’intimo legame tra la componente fisica e verbale esistente nella sua opera.
Nel 1978, inserendola quale unico poeta donna nella sua fortunata antologia Poeti del Novecento, Pier Vincenzo Mengaldo notava come nella sua opera la Rosselli senta e lasci agire la lingua, «letteralmente, in quanto corpo, organismo biologico, le cui cellule proliferano incontrollate in una vitalità riproduttiva che, come nella crescita tumorale, diviene patogena e mortale: da cui anche uno dei primi paradossi di questa poesia, che il linguaggio vi è insieme forma immediata della soggettività e realtà autonoma che sta fuori e anche contro il soggetto» <276. Pur condividendo l’idea di una lingua rosselliana come organismo biologico, lingua-corpo, occorre mettere in discussione l’immagine oncologica di un linguaggio malato e fuori controllo, di una lingua fisica impazzita, perché accettarla – come avvertiva per prima Lucia Re in un suo saggio ormai canonico <277 – significherebbe esautorare la Rosselli della propria voce e affermare che «non è lei che parla in questi testi, ma piuttosto la sua malattia, cioè una forma di pazzia» <278. Tutto diverso, come vedremo, è il caso di Laborintus di Sanguineti, anche se lì sarà proprio un linguaggio patologicamente straniato e prossimo alla invasività tumorale a minare definitivamente la consistenza testuale e dell’io.
Difficile davvero, però, nel caso della Rosselli, liberare lo spazio critico dall’immagine della poetessa pazza e suicida se anche Pasolini, nella sua celebre Notizia <279 che accompagnava alcuni dei testi di Variazioni belliche sul numero 6 del «Il Menabò», aveva fatto ricorso a diverse espressioni riconducibili alla sfera semantica della malattia e a quella della follia: «tumori», «malattia del mistero», «pazzesca coerenza», «soffi spirituali epilettici». Secondo Pasolini, infatti, a caratterizzare la sua poesia è un tipo di “follia pura”, follia che non a caso lo scrittore associa anche a un’altra poetessa, Sandra Mangini, in una lettera del 1964 indirizzata a Francesco Leonetti: “Ho delle poesie di un’altra ragazza del tipo della Rosselli (forse meno pure nella loro follia, ma non meno interessanti, neosperimentalismoespressionistico eccetera) vorrei mandartele con una nota” <280.
Se si confrontano i testi delle due autrici, però, risulta molto difficile riuscire a trovare punti di contatto, e viene spontaneo ipotizzare che, con gesto assai maschile, Pasolini associasse le due poetesse semplicemente in quanto donne e dunque “folli”. In effetti, osservava Amelia Rosselli con ironia nell’inchiesta di Biancamaria Frabotta contenuta in Donne in poesia, «la donna viene passata assai per matta se si chiude in casa per scrivere e studiare» <281.
269 Cfr. il catalogo della mostra Gina Pane. Opere 1968-1990 (a cura di V. DEHÒ), Milano, Edizioni Charta, 1998, p. 70.
270 Un documento importante a tale riguardo è il video di Rosaria Lo Russo e Stella Savino, Amelia Rosselli e l’assillo è rima…, realizzato nel 2006.
271 Si confronti anche quanto scrive Ernestina Pellegrini, secondo la quale i versi di Amelia Rosselli «richiedono una doppia lettura. Una lettura a voce alta, sensibile all’aspetto fonico-sonoro, e una lettura silenziosa, sensibile all’aspetto visivo, al testo percepito esclusivamente come immagine», E. PELLEGRINI, Amelia Rosselli, in Le eccentriche. Scrittrici del Novecento (a cura di A. BOTTA, M. FARNETTI, G. RIMONDI), Mantova, Tre Lune Edizioni, 2003, pp. 140-141.
272 Alcune suggestioni sul tema dell’esilio nella poetica della Rosselli si trovano nel saggio di ATTILIO MANZI, El expacio y la palabra: reflexiones acerca del esilio poetico de Amelia Rosselli, in «Exilios Femeninons», Universidad de Huelva, Istituto Andaluz, 23, 2000, pp. 339-45.
273 FLORINDA FUSCO, Amelia Rosselli, disorientamento e contrappunto, in Akusma. Forme della poesia contemporanea, a cura di G. Mesa, Roma, Metauro, 2000, p. 209.
274 AMELIA ROSSELLI, Spazi metrici [SM], in Le poesie, a cura di E. Tandello, Milano, Garzanti, 1997, p. 337.
275 Ivi, p. 339.
276 PIER VINCENZO MENGALDO, Amelia Rosselli, in Poeti italiani del Novecento, Milano, Mondadori, 1978, p. 995
277 LUCIA RE, Variazioni su Amelia Rosselli, in «il verri», IX serie, n. 3-4, settembre-dicembre, 1993, pp. 131-150.
278 Ivi, p. 132,
279 PIER PAOLO PASOLINI, Notizia su Amelia Rosselli, «Il Menabò», n. 6, 1963, pp. 66-69 [poi in A. ROSSELLI, La libellula, Milano, Studio Editoriale, 1985, pp. 101-105; A. ROSSELLI, Variazioni belliche, a cura di Plinio Perilli, Roma, Fondazione Piazzola, 1995, pp. 7-10]
280 Cfr. PIER PAOLO PASOLINI, Lettere. 1955-1975, Torino, Einaudi, 1988, p. 530. Il nome di Amelia Rosselli compare anche nella Notizia su Sandra Mangini che Pasolini fa seguire alle Quattordici poesie pubblicate sul n. 8 de «Il Menabò» nel 1965 (pp. 205-226), numero che contiene anche una selezione di testi da Serie ospedaliera (pp. 121-136), tra cui la lirica poi espunta dalla raccolta del 1969 «Si rompe il guscio, poi ne esce un verme, lungo, senza odore». Altre poesie della Mangini escono poi, sempre per intercessione di Pasolini, su «Paragone» (Anno XVII, 194/14 aprile 1966, pp. 80-86). Scomparsa completamente dalla scena letteraria, Sandra Mangini ha pubblicato solo molti anni più tardi una collezione antologica del suo lavoro: Raccordo anulare: poesie 1954-1979, introduzione di ROMANO LUPERINI, Chimera, 1986.
281 BIANCAMARIA FRABOTTA (a cura di), Donne in poesia, Roma, Savelli, 1977, p. 159.
Gian Maria Annovi, Altri corpi. Temi e figure della corporalità nella poesia degli anni Sessanta, Tesi di dottorato, Università di Bologna Alma Mater Studiorum, 2007, pp. 105-108

L’attività autocommentativa di Amelia Rosselli si articola su più fronti. A parte il corpus dei documenti divulgativi, in cui la poetessa affronta le proprie composizioni con l’intento di chiarire al lettore i vari piani di significato delle opere, magari sollecitata da un interlocutore, si possono rinvenire pagine in cui il discorso teorico si aggiunge alle poesie, costituendo, attraverso l’equazione formulata da Lorenzo Greco per il caso Montale, <1 il vero e proprio testo dell’opera. È quello che accade ad esempio nella prosa intitolata Spazi metrici, in appendice a Variazioni belliche. Se in più di un luogo si può notare un continuum tra elaborazione teorica e composizione, anche altre strade sono battute con intenzioni volta per volta mutate. È possibile ad esempio trovarsi di fronte un Glossarietto esplicativo che affronti la lingua di Variazioni belliche, cercando di renderla più agevole e chiara; è possibile leggere prose di pura teorizzazione d’avanguardia sospese fra musica e poesia, come La serie degli armonici; ed è possibile infine imbattersi in commenti dettagliati dei propri componimenti. Tutto ciò nel tentativo di creare una vicinanza col lettore, nei confronti del quale Rosselli cambia e matura nel corso degli anni la sua posizione. Scrive Francesca Caputo, curatrice di Una scrittura plurale, raccolta di saggi e interventi critici della poetessa: “Nelle dichiarazioni esplicite della Rosselli sul suo fare poetico si può notare un cambiamento nel modo di considerare la rilevanza del pubblico e la fisionomia dei lettori ideali. Si tratta di un percorso che prende il via da un’iniziale concezione molto solitaria’: la poesia è scritta ‘per me sola’, per gli amici, per pochi ‘introversi’ o per un pubblico solo immaginato […] in seguito però il destinatario della parola poetica assume una fisionomia più reale e diventa sempre più esplicita la tensione comunicativa della poesia, connessa alla funzione etica, di ricerca di verità. E non è certo estranea a questa svolta anche la stagione delle letture in pubblico a cui la Rosselli prende parte attiva e sulla quale riflette in più occasioni”. <2
Rosselli presta grande attenzione alla cooperazione e al coinvolgimento del pubblico, e così come l’io autoriale cerca ‘di sciogliere dei nodi che mi sono posta ascoltando chi mi sta intorno’,3 a sua volta il lettore può e deve farsi interprete della parola poetica, rivestendo un ruolo attivo ed esercitando la facoltà ermeneutica. La prima spinta a commentare se stessa è dunque legata all’ansia di essere fraintesa, il che porta a una continua esplicazione delle ricerche ed intenzioni espressive, ponendo i paratesti in una posizione ambigua, per cui l’autodefinizione rincorre se stessa in un circolo apparentemente interminabile, generato dall’insoddisfazione di una definizione mai compiuta. A scatenare con maggiore urgenza la necessità di autodefinizione bisogna notare l’interesse dimostrato da Pasolini, e dunque l’apertura di un orizzonte di ricezione più vasto; Rosselli giunge a quest’altezza cronologica come alla conclusione di una formazione di ricerca, stimolata sul piano della comunicazione dei risultati da un interlocutore che fa esplicito riferimento al sistema metrico elaborato in “Variazioni belliche”. <4
Il primo documento di un certo interesse in senso autoesegetico è pertanto l’Introduzione a ‘Spazi metrici’, testo rimasto inedito prima di essere raccolto nel citato “Una scrittura plurale”. In queste poche pagine la poetessa rende conto della propria ricerca espressiva e delle conclusioni cui è giunta con l’esperienza: ‘Da giovanissima leggendo ogni sorta di poesie, qualvolta in inglese (classici e no), qualvolta in francese o in italiano, e leggendo molta prosa (Faulkner per esempio, o la poesia prosastica di Eliot), mi sono chiesta come uscire dalla banalità del solito verso libero, che allora mi pareva sgangherato, senza giustificazione storica, e soprattutto, esausto’. <5 Si tratta dunque di una spinta verso il nuovo ad animare la ricerca di un’autrice perduta nel mare delle possibilità espressive, sospesa tra poesia e prosa, o meglio tra versi ‘neoclassici’ e versi prosastici. Del resto tutta l’avanguardia andava scontrandosi con gli stessi problemi, e cercava una soluzione esattamente con gli stessi mezzi (e con gli stessi mezzi autocommentativi) giungendo tuttavia a risultati di caratura diversa […]
1 ‘testo + note = Testo’, cfr. L. Greco, Introduzione, in: idem, Montale commenta Montale, Parma, Pratiche Editrice, 1980, p. 26. Per un quadro di riferimento sull’autoesegesi, si veda M.Berisso, S. Morando e P.Zublena (a cura di), L’autocommento, Atti della giornata di studi (Genova, 16 maggio 2002), Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2002 e M. Gezzi e T. Stein (a cura di), L’autocommento nella poesia del 900, Atti del convegno di studi (Italia e Svizzera italiana, 2008), Pisa, Pacini, 2010, nello specifico V. L. Puccelli, Amelia Rosselli dinanzi a se stessa: ‘fatti estremi’ e ‘vita balorda’, pp. 67-90. Per un inquadramento della figura e dell’opera di Rosselli cfr. A. Baldacci, Amelia Rosselli, Bari, Laterza, 2007; La furia dei venti contrari, a cura di Andrea Cortellessa, Firenze, Le Lettere, 2007; A. Rosselli, È vostra la vita che ho perso. Conversazioni e interviste radiosoniche 1964-1995, a cura di M. Venturini e S. De
March, Firenze, Le Lettere, 2010.
2 A. Rosselli, Una scrittura plurale, a cura di F. Caputo, Novara, Interlinea, 2004, pp. 19-20.
3 Il poeta e la poesia, a cura di N. Merola, Napoli, Liguori, 1986, p. 166.
4 Per un ritorno alle pagine degli Spazi metrici in una specie di ‘commento del commento’, cfr. Incontro con Amelia Rosselli sulla metrica, in: A. Rosselli, L’opera poetica, a cura di S. Giovannuzzi, Milano, Mondadori (I Meridiani), 2012, pp. 1239-40. Sulla metrica di Rosselli, cfr. D. La Penna,‘Aspetti stilistici e linguistici della poesia italiana di Amelia Rosselli’, in: Stilistica e metrica italiana, 2 (2002), pp. 235-272.
5 Rosselli, Una scrittura plurale, cit., p. 59.
Fabrizio Miliucci, ‘Cosa ho voluto fare scrivendo poesie?’. Autodeterminazione e assillo metrico in Amelia Rosselli, Incontri, Anno 30, 2015 / Fascicolo 1

Fonte: Chiara Carpita, Op. cit. infra

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Caso, destino, sorte, fortuna sono parole chiave che ricorrono nei testi da Diario in tre lingue a Variazioni Belliche a Sleep e il caso è un tema privilegiato della produzione rosselliana soprattutto in Variazioni belliche. Tema che si intreccia alla ricerca del Deus Absconditus, alla riflessione cioè sul legame tra libertà dell’uomo, libero arbitrio e caso, intervento della Provvidenza e casualità incontrollata, assenza di finalismo. Dal punto di vista formale la struttura retorica dei testi di Variazioni così come la sperimentazione disgregatrice del Diario in tre lingue rappresentano una messa in scena dell’azione del caso nel processo creativo, azione che deve essere controllata dall’autore. La dialettica tra libero arbitrio e casualità, determinismo e caso, è al centro di alcuni appunti del Diario dove l’io poetico si interroga sul ruolo dell’intervento divino nell’esistenza umana («libertà di scelta / l’essere conseguente / determinismo»). <1
Il riferimento a Dio, Causa Prima («Cause Prime», p. 609), viene contrapposto alla contingenza (« se sont les contingences », ibidem) ; la vita appare dominata dall’incertezza (« [Dout de l’Incertitude] », p. 608). Il conflitto con il Deus Absconditus (« he War with God», p. 651 ; « We must accept that he be obscure to us », p. 619) è analogo a quello presente in Variazioni belliche: non è possibile abbandonarsi alla fede, credere in un disegno divino che si opponga al dominio del Caos. Nella riflessione sul caso ha un ruolo di primo piano il libro di oracoli IChing che in un appunto viene messo in relazione con la meccanica ondulatoria : « i King mécanique ondulatoire / meccanica ondulatoria » (p. 644).
Come abbiamo visto Rosselli aveva studiato la fisica dei quanti.
Il parallelo tra il testo divinatorio cinese e la meccanica ondulatoria è stabilito dalla scoperta del principio di indeterminazione da parte di Heisenberg che mette in discussione il determinismo universale.
Rosselli però si oppone ad una scrittura che sia espressione dell’alea come quella automatica praticata dai surrealisti e sceglie invece una forma metrica chiusa (« you want the Cube », ibidem) nel tentativo di mantenere un equilibrio tra casualità e intervento autoriale.
I testi di Variazioni infatti, a differenza di quelli surrealisti dominati dalla tecnica della scrittura automatica, sono caratterizzati da una evidente tendenza affabulatrice che dimostra la volontà chiara dell’autrice di produrre un senso riconoscibile, un messaggio universale. I quadrati-mondi di Variazioni sono racconti allegorici, il cui modello retorico sono le parabole evangeliche: il riferimento ai «poveri in spirito», presenti in molti componimenti di Variazioni, proviene dalle Beatitudini, che si può considerare il cuore della buona novella evangelica. Queste allegorie sono popolate da una serie di personaggi la cui funzione è quella di raccontare attraverso le varie vicende umane « le maree del bene e del male e di tutte le fandonie di cui è ricoperto questo vasto mondo»: il prete, la donzella, gli orologiai, i magazzinieri, la fanciulla dal cuore devastato, la rondinella, Soraya, Roberto, il dottore, le benestanti, le protestanti, i ricchi, i poveri, i malati di mente, il poeta assassinato, gli amici ecc.
Il racconto dominato dalla ripetizione è caratterizzato da una temporalità circolare: invece di avanzare in modo lineare, secondo una visione finalista, si sviluppa secondo un moto ciclico dove inizio e fine coincidono. I testi incentrati sul tema del caso presentano numerose analogie, rimandi interni, vera e propria intratestualità.
1 Amelia Rosselli, Primi Scritti, in Eadem, L’opera poetica, cit., p. 635.
Chiara Carpita, «Spazi metrici» tra post-webernismo, etnomusicologia, Gestalttheorie ed astrattismo. Sulle fonti extra-letterarie del ‘nuovo geometrismo’ di Amelia Rosselli, «MODERNA» XV 2/2013

Tuttavia, il 28 aprile 1988 durante la lezione su Spazi Metrici che Rosselli tenne al Laboratorio di poesia «Primavera 88» diretto da Elio Pagliarani(16), la poetessa smentisce la dichiarazione di incomunicabilità espressa nel saggio del 1962, che sembra così assumere retrospettivamente il senso di una preventiva dichiarazione di flessibilità nei confronti di quanto affermato:
“Questa è una mia personale ipocrisia del ’63: io son convinta di quel che dico e so dogmaticamente d’aver ragione ma per il grosso pubblico l’ho messa così, il che non ha fatto né caldo, né freddo, perché non era di moda questa tematica. È stata menzionata da Mengaldo quando uscì l’Antologia nel ’78-79, ne parla un po’; mi mise nella sua antologia di poesia moderna e accennò per la prima volta, un critico, il Mengaldo, a questo mio saggio chiamato Spazi metrici, come postfazione al mio primo libro di poesia. Da prendersi “cum grano salis”, così, se volevano capivano e, se no, non importava…” (17)
La ritrosia dimostrata all’altezza del 1962, quando la componente di incomunicabilità finiva per ancorarsi alla dimensione narrativa della teoria metrica derivante dalla proiezione biografica dell’autrice, lascia il passo, ventisei anni dopo, a una trattazione più distesa e maggiormente incentrata sui dati metrici e formali, forse anche in considerazione del fatto che il compito di ordinamento e di autorappresentazione della propria formazione biografico-intellettuale era nel frattempo stato svolto da opere come Primi Scritti e Diario Ottuso. Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio del decennio successivo, gli interventi della Rosselli a proposito di Spazi Metrici sembrano invece indirizzati ad affermare con maggiore sicurezza la valenza normativa e sistematica del saggio(18), ridimensionando gli aspetti legati all’esperienza come se la poetessa si fosse resa conto che una tale presenza avesse in qualche modo compromesso la ricezione della teoria da parte di critici e poeti (al netto dei riferimenti extra letterari che hanno comunque colto di sorpresa un pubblico di per sé non avvezzo a tali questioni(19)). Nell’Introduzione a Spazi Metrici composta nel 1993 per il volume della collana Parola di donne progettato da Adriana Moltedo per conto di Stampa Alternativa(20), Rosselli giudica ancora valida la trattazione del saggio, giudicato «divulgativo e incomprensibile allo stesso tempo»(21) poiché «frutto»(22) di un processo di condensazione e di alleggerimento del retroterra etnomusicologico e matematico, ma anche, è possibile ipotizzare, perché nell’esposizione del ’62 tali influenze non sono esplicitate o discusse ma sono offerte al lettore saldate al racconto effettuato in prima persona da Rosselli. Per questa via, Spazi Metrici viene a costituire un singolare esempio di saggistica poetica, dove al consueto periodare della trattazione analitico-deduttiva della tradizionale letteratura scientifica subentra una narrazione ‘sul campo’ del processo che ha portato alla messa a punto di un sistema metrico secondo le intenzioni dell’autrice in sé compiuto, confermata, per esempio, dai frequenti avvii di paragrafo con un verbo che esprime un’azione concreta o un movimento al passato, caratterizzanti, appunto, una narrazione: «Ed è con queste preoccupazioni ch’io mi misi ad un certo punto della mia adolescenza a cercare le forme universali»; «Tentai osservare ogni materialità esterna con la più completa minuziosità possibile […]»; «Per caso volli rileggere poi i sonetti delle prime scuole italiane […]»; «Ripresi in mano le mie cinque classificazioni […]»; «Interrompevo il poema quando era esaurita la forza psichica»; ecc. Invitata da Pasolini a stilare a posteriori uno scritto su scelte stilistiche e formali compiute in precedenza, Rosselli ha composto un saggio che riflette una formazione etnomusicologica e in cui è possibile rinvenire l’influenza di opere come il Traité della musicologie comparée di Alain Danièlou o delle Note di viaggio di Ernesto De Martino(23) anche sotto un profilo retorico.
(16) L’intervento, immesso in rete da Biagio Cepollaro e Paola Febbraro (http://www.cepollaro.it/poesiaitaliana/E-book.htm), si legge adesso nel Meridiano con il titolo Incontro con Amelia Rosselli sulla metrica alle pp. 1239-1260.
(17) Ibid., p. 1249.
(18) Dello stesso avviso Giovannuzzi in Stefano Giovannuzzi, Quali Spazi Metrici?, cit., p. 48.
(19) Sui quali adesso getta ampia luce il saggio di Chiara Carpita, «Spazi Metrici» tra post-webernismo, etnomusicologia, gestaltheorie ed astrattismo. Sulle fonti extra-letterarie del ‘nuovo geometrismo’ di Amelia Rosselli, in Quadrati, cantoni, cantonate: topografie poetiche di Amelia Rosselli, a cura di Chiara Carpita ed Emmanuela Tandello, «Moderna» XV, 2 2013, pp. 61-105.
(20) Il testo, rimasto inedito e originariamente pubblicato sul monografico di «Trasparenze», cit., pp. 11-13, si legge adesso in Amelia Rosselli, Una scrittura plurale, cit., pp. 59-61 e nell’Opera poetica alle pp. 1277-1279.
(21) Ibid., p. 1277.
(22) Ivi.
(23) Chiara Carpita, «Spazi Metrici» tra post-webernismo, etnomusicologia, gestaltheorie ed astrattismo, cit., pp. 90-100.
Francesco Brancati, La prosa del mondo. Appunti sul saggismo di Amelia Rosselli, L’Ulisse, n. 21 2018

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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