Moresco si è sempre allontanato dal postmoderno

Antonio Moresco ha sempre mostrato un radicale rifiuto per i modi di nominazione convenzionali <1 come si evince da un brano tratto dall’inedito “Romanzo di fuga”:
“Poco dopo, passando di fronte alla cassetta delle lettere, lui gettò uno sguardo nella fessura, dove gli era parso di aver notato qualcosa. Si accostò per vedere meglio: era solo un riflesso sul vetro dello sportellino, provocato da una grande busta che spuntava dalla cassetta appena sopra la sua. Sul pavimento, ammucchiati l’uno sull’altro, c’erano i nuovi elenchi telefonici. Ne prese uno, anche se non aveva telefono, e cominciò a salire verso casa, ma quando fu di fronte alla sua porta lo assalì il dubbio di non avere guardato bene nella cassetta delle lettere. Tornò indietro e guardò di nuovo, aprì il piccolo sportello e ci infilò dentro la mano: era proprio vuota. Richiuse lo sportello e rimase a guardare per un po’ le altre cassette accanto alla sua. Alcune erano così zeppe che le loro bocche rigurgitavano. Lesse i nomi scritti sopra, per accertarsi che non fossero stati scambiati in qualche modo, oppure che la sua cassetta, pur rimanendo al posto solito, non fosse finita altrove. In casa spalancò l’elenco telefonico e lo sfogliò a lungo, leggendo qua e là intere colonne di nomi disposti in ordine alfabetico. «Ma questi non sono nomi!» si rese conto d’un tratto.” <2
Questa idiosincrasia è stata ribadita durante la prima intervista dedicata interamente all’onomastica presente nella sua opera che Moresco stesso mi ha gentilmente concesso nel 2010 <3: “A volte, quando mi capitava, tanti anni fa, di sentire alla radio o alla televisione degli scrittori intervistati che parlavano del loro ultimo libro dicendo: “Perché Giovanni, o Ludovico, o Fuffi, è uno che, ecc…”, e poi raccontavano come se niente fosse quello che faceva o pensava questo personaggio io provavo un senso di vergogna e di orrore. Perché quel nome era inconsistente e quello che dicevano su di lui era altrettanto inconsistente. Così spegnevo il televisore o la radio e provavo un senso di vergogna nei confronti di quella finzione fra lo scrittore e l’intervistatore che dava spessore nel nome di un uomo, di una donna, di una persona, a ciò che non ne aveva….” <4
Perché, secondo l’autore, i nomi dell’elenco telefonico non possono dirsi tali? Perché un nome come Giovanni o Ludovico sono da ritenersi inconsistenti? Per rispondere a queste domande occorre fare un’analisi dei modi di nominazione in Moresco che, fin dalla fine degli anni Settanta, ha adottato scelte onomastiche che potremmo definire come una radicalizzazione del nomen omen, in forte contrapposizione alla nominatio posmoderna. Prima di analizzare i nomi di Moresco scrittore, quindi, dobbiamo richiamare brevemente alla memoria l’uso del nome nell’epoca postmoderna con un esempio tratto da “Il nome della rosa” di Umberto Eco.
Nel 1981 esce “Il nome della rosa” di Umberto Eco, uno dei libri più importanti del secondo Novecento italiano. Un pastiche inedito fra letteratura alta e letteratura di consumo in salsa medievale che cattura da subito le simpatie dei lettori, tanto da diventare, in poco tempo un best-seller e anche un film girato nel 1985 dal regista francese Jean Jacques Annaud. Il protagonista del libro si chiama Guglielmo da Baskerville. Un nome in cui si incontrano tanto il grande Arthur Conan Doyle quanto il filosofo medievale Guglielmo di Ockham.
Questo personaggio è il segno dei tempi in cui è stato concepito. Gli scrittori tardo postmoderni, infatti, erano soliti utilizzare nomi che, come una cipolla, avevano vari strati di lettura. Solo sfogliando tutte le pellicole si poteva avere l’esatto movimento caratterizzante che aveva spinto l’autore a chiamarlo in quel modo.
Questo modus operandi si incontra in scrittori del periodo postmoderno. Italo Calvino e Raymond Queneau sono ascrivibili in linea di massima a quella che si potrebbe chiamare un’onomastica “stratificata” poiché, in certi autori definiti postmoderni, si fa di sovente un uso di un nome estremamente ricco di richiami intertestuali. Non si hanno poche informazioni che delimitano il personaggio bensì un vero e proprio schedario di allusioni, più o meno dotte, che dialetticamente si fondono per dare al personaggio più chiavi di lettura; quasi una mappatura genetica di cui solo pochi eletti possono arrivare a conoscere e decifrare tutti i codici.
Questo non accade assolutamente in Moresco, il quale si è sempre allontanato dal postmoderno, come racconta in una recente intervista:
“[…] non mi pare che nelle opere che sono state raggruppate sotto l’etichetta del postmodernismo ci sia vera stratificazione (quella verticale, voglio dire) né vera complessità. C’è complicazione, sicuramente complicazione concettuale, narrativa o di altro tipo, più che complessità. Mi è sembrato da subito che le cose stessero così, da quando mi è capitato di leggere, negli anni successivi alcuni libri che stavano dentro questa dimensione culturale dell’epoca.” <5
Nella parte iniziale della presente tesi si è già visto come in certi scrittori definiti come postmoderni la nominazione sia un fatto squisitamente convenzionale mentre invece nel caso dello scrittore mantovano si possa parlare di rapporto sostanziale fra personaggio ed il nome che porta <6. Ma andando più nel merito, l’onomastica moreschiana ha avuto almeno quattro distinte fasi evolutive.
1979-1983: Clandestinità, Romanzo di fuga, La cipolla
1984-1999: Gli esordi
2001-2009: I canti del caos, Il re
2009-2015: Gli increati
È necessario, quindi, indagare separatamente queste quattro fasi per comprendere fino in fondo l’innovativa onomastica attuata dall’autore mantovano. Però è fin da ora importante sottolineare come non si tratti di quattro fasi distinte, bensì di un movimento evolutivo unico che per comodità di studio è stato così diviso. E, in parallelo alla nominazione, si evolve anche il percorso di maturazione compositiva dello scrittore mantovano.
[NOTE]
1 Si veda G. Giuntoli, Tre esperienze di uso e nome fra testo e autore, «il Nome nel testo» XII (2010), pp. 223-235, in cui si analizzano i nomi propri che ricorrono in un romanzo breve di Moresco, La cipolla, poi incluso nella raccolta Il combattimento (Milano, Mondadori 2012). In esso sono presenti alcuni tratti dell’onomastica moreschiana che verranno sviluppati nelle opere successive.
2 Per gentile concessione di Antonio Moresco questo frammento dell’inedito ‘Romanzo di fuga’ (datato dall’autore al 1980) viene citato, qui, per la prima volta.
3 La prima intervista è datata 30 Dicembre 2010 ed è stata pubblicata su ‘Il primo amore’ con il titolo ‘I miei nomi’ mentre la seconda, datata 13 Luglio 2015, è ancora inedita.
4 A. Moresco e G. Giuntoli, ‘I miei nomi’. L’intervista è disponibile nel sito Il primo amore all’indirizzo http://www.ilprimoamore.com/blog/?attachment_id=506.
5 Intervista epistolare inedita curata dall’autore di questa tesi.
6 Mi riferisco al confronto fra l’onomastica presente nello scrittore Matteo Galiazzo ed Antonio Moresco.
Giacomo Giuntoli, Il nome e la forma. Un percorso nei modi di nominazione della letteratura contemporanea, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2013-2014

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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