Quel che meno mi aspettavo era il vederti immedesimare con le tue funzioni di padrona di casa dell’impiegato torinese

Rintracciato Calvino la De Giorgi lo raggiunge immediatamente alloggiando al Principe di Piemonte [n.d.r. di Torino]. Si ritrovano, si riabbracciano e quando Calvino torna sarà una sequela di scuse e di sensi di colpa:
“Amore, sono arrivato ora e ho trovato le tue lettere così amare e sono pieno di dolore. Avevo una sete enorme di leggerti, e mi sono trovato con la gola piena di sabbia. M’hai punito, me lo merito, dovevo saperlo prima”. <94
[ 2,43: Primavera 1955]
Lei gli chiede se vuole cercarsi un’altra vita e lui le risponde: “Con me ci vuole sempre una certa preparazione prima di farmi accettare un’idea. Preso di sorpresa m’impunto come un mulo. Sapendomi prendere, invece, sono docile e mansueto. E così ti poso il muso sul grembo (…) e imploro una carezza”. <95 Da quel momento in avanti la preoccupazione di lei si farà più consapevole e responsabile e i due finirono per diventare una vera coppia.
La De Giorgi per la prima volta vide con i suoi occhi la vita che fino a quel momento aveva letto raccontata nelle lettere. C’era quella stanzetta fredda e umida di cui Calvino raccontava (“Nella mia stamberghetta sono scoppiate le condutture dell’acqua nel soffitto e c’è una gran macchia d’umido. L’acqua non cola ma c’è una puzza d’umido come in una grotta, che non so come farò a dormirci.” [10,1: 26 novembre 1957]), arredata solo con un armadio, un lavamano e un comodino. C’era la padrona di casa vecchia e sorda che amava due gatti; c’era il telefono nel corridoio dove davano altre camere d’affitto e infine il bagno che si poteva raggiungere solo uscendo al freddo nel cuore della notte. La De Giorgi in quel suo primo soggiorno torinese si ammalò di polmonite scatenando così le più sincere preoccupazioni di Calvino che chiamò angosciato Carlo Levi per ricevere consigli su come accudirla nel migliore dei modi. Superata la malattia ripartì con un linciotto sulle spalle riprendendo il treno per Roma (da questo episodio nacque uno dei tanti soprannomi che lo scrittore le dava, quello di Linciotta).
La contessa più tardi provvide a fargli lasciare la camera in Via Carlo Alberto e a sistemarlo, nel dicembre del 1957, in un nuovo appartamento in Via Duca degli Abruzzi 44. Ecco la lettera di un mercoledì dall’ufficio, in cui Calvino gioisce: “Me l’hanno comprata ossia venduta quella casa, proprio oggi!” (11,1) e una di lunedì 9 dicembre alle 21 in cui comunica di aver firmato il contratto: “Ho firmato questo pomeriggio il contratto per la casa.” (11,4).
Appena a Torino ci fu la casa, Elsa gliela arredò per facendo diventare le sue visite a Torino sempre più frequenti (“Sei Raggio di Sole che fende la nebbia di Torino”). I giorni difficili passati in una sistemazione scomoda priva di qualsiasi agio saranno allontanati per sempre:
“Cara ieri ero triste perché avevo passato una notte quasi insonne in una stanza dall’odore sgradevole e senza comodità e avevo paura mi venisse l’angoscia di non avere una casa come anni fa in cui passavo nevroticamente da una camera d’affitto all’altra con lunghi faticosissimi traslochi di libri a valigie piene”
[HPT pag. 49]
Una volta stabilitosi infatti, Calvino scrive:
“Questa casa è oggetto di culto particolare per il passaggio miracoloso di Raggio di Sole; e poi è bello avere tutti i libri scaffalati, avere diversi luoghi dove sedersi o sdraiarsi dopo mangiato, fare questa o quella lettura”.
[HPT pag. 79]
Calvino aveva la mania dei libri, preparava valigie avente ciascuna una scelta di libri adatta all’occasione e aveva così predisposto dei libri diversi in ogni stanza della casa, per poter godere di letture diverse a seconda di dove si sedeva o di che ora fosse del giorno, cosa che fino ad ora non aveva mai potuto fare. Un giorno, dopo che, orgogliosissimo della sua nuova sistemazione, aveva ricevuto un ospite a casa sua e avevano pranzato tutti e tre con il risotto allo champagne della De Giorgi, le lasciò questo biglietto:
“Alla Rara, è stata un’esplosione che m’ha riempito di meraviglia: quel che meno mi aspettavo era il vederti immedesimare con le tue funzioni di padrona di casa dell’impiegato torinese … e anche immedesimarti nell’ambiente dei miei amici, tutto con questa assoluta spontaneità. La mia gratitudine non potrebbe essere più grande, proprio perché ti viene da un uomo sbigottito dai passaggi da un ambiente all’altro, da una mentalità all’altra”.
[HPT pag.79]
Alla gioia per la sua casa torinese, si aggiunge l’influenza della donna su tutte le cose, quella che ritroveremo più avanti nel personaggio di Viola. Ai consigli della De Giorgi che gli rivoluzionò la vita Calvino rispondeva prontamente e con molta ironia: “Non ci sono vestiti bianchi a Torino, amore mio, io lo sapevo ma ho voluto provare per poterti raccontare. Mi hanno guardato come avessi chiesto un gonnellino di foglie di banano. Questo nei principali negozi torinesi. Mi hanno detto che forse non si vendono neanche a Roma, sebbene abbiano ammesso che al Sud di Roma si portino. Li fanno certi vecchi sarti nei paesi del meridione, dicono. Deve esser vero. Un mio amico, s’è messo un vestito bianco a Torino. Veniva da Modica. Se l’è tolto dopo due ore, visto come lo guardavano per strada”.
[HPT pag.80]
Tuttavia nelle lettere c’è posto anche per un malessere più profondo che incontriamo quando Calvino, sconfortato, scriveva dalla Meridiana n.d.r.: la villa della famiglia Calvino a Sanremo (IM):
“Eri molto cara ieri. Io invece chiuso come un riccio perché sono sempre così tra queste mura e mai ci potrà essere espansione tra noi qui”.
[lettera 8,4: dalla Meridiana, domenica ore 14]
La solitudine è un tema molto affrontato nelle lettere; più volte Calvino si mostra convinto della necessità della solitudine e talvolta si lamenta pure di non riuscire ad essere solo, perché troppo occupato e assorbito dalla vita quotidiana. Gli piaceva immaginare di essere un vecchio navigatore solitario: non riuscendo a ritagliarsi tempo per sé, lo regalerà a Cosimo che solo nella solitudine imparerà a stare nel mondo e solo tenendosi lontano le persone imparerà a stare in mezzo ad esse:
“(…) ed è per questo che l’amore è la mia vita” scriveva; “perché sa essere amante soltanto l’uomo che non patisce la solitudine, solo chi è cosciente della unicità di ciò che fa. Anche lo scrivere, il lavoro creativo è una cosa che si affronta da soli, come l’amore, ed è, come l’amore, comunicazione totale.
(…)ti sei fatta di me l’idea di una persona buona e arrendevole, ed è tutto sbagliato. Sono nervoso, sono molto nervoso. Non ho come Pavese il problema di uscire dalla solitudine, ma quello di riuscire ad essere soli, di realizzare la mia solitudine”.
[2,18: 6 giugno 1957]
“(…) avevo davanti a me il suggerimento di quelli di Bassani-Cassola, con quello che esso sottintende, anche con un fondo di rassegnazione provinciale-borghese. Ma son tutte cose nell’aria che io ho registrato anche senza rendermene ben conto; e i legami con tutto il resto devono sempre passare attraverso i pori d’un guscio abbastanza spesso, quello appunto d’una solitudine che mi porto dietro come una casetta di lumaca”. <96
[2,24: Estate 1957, dopo il 4 giugno ]
«Il suo amore per me» – così scrive la De Giorgi, «era nato come una protesta di individualità – e quindi d’altera solitudine -, protesta contro tutto il clima, mosso da un bisogno profondissimo di non rinuncia, di coraggio alla felicità.» , e poi prosegue raccontando che aveva avuto coraggio ad amarla, l’aveva portata in quella sua vita d’uomo «che sempre insegue la felicità e non conosce la calma» [HPT pag.51].
Tra le parole della De Giorgi, come in filigrana, risuonano subito le parole di Calvino in una delle lettere, che toccano punti di lirismo disperato, quale mai prima d’ora si erano accostate allo scrittore:
“Certo, il mio amore per te è nato come una protesta di individualità (e quindi d’altera solitudine) contro tutto un clima mosso da un bisogno profondissimo, ma con un significato generale, una lezione per tutti, di non-rinuncia, di coraggio alla felicità. Come questa lezione si tradurrà nell’opera creativa è ancora da vedersi. (…) Se mi mancasse il tuo amore tutta la mia vita mi si sgomitolerebbe addosso. (…) Tu sei un’eroina di Ibsen, io mi credevo un uomo di Checov. Ma non è vero, non è vero. Gli eroi di Cechov hanno la pateticità e la nobiltà degli sconfitti. Io no: o vinco o mi annullo nel vuoto incolore. E vinco, vinco, sotto le tue frustate. (…) No, cara, non hai nulla dell’eroina dannunziana, sei una grande donna pratica e coraggiosa, che si muove da regina e da amazzone e trasforma la vita più accidentata e difficile in una meravigliosa cavalcata d’amore. (…)
(…) Il male non ha destino, del male ne vanno disperse le ceneri. Il bene resta, non si distrugge, sparge i suoi semi e ricresce. (…) Ho avuto coraggio ad amarti, a portarti in questa mia vita d’uomo che sempre insegue la felicità e non conosce la calma. (…)” <97
Calvino si incantava allora di fronte alla capacità di questa donna di legittimare la felicità in un periodo in cui non riusciva a farlo nessuno, lo stacco tra i loro mondi era la chiave del loro amore: “Tu non senti la crisi se non quella che le passioni assolute portano naturalmente in sé” scriveva, “Il dubbio dei tuoi amleti è sempre dubbio alle soglie del sublime”. Come vedremo più avanti però,ne è esemplare il rapporto del Personaggio con Claudia ne “La nuvola di smog”, Calvino sentiva la fascinazione di questa donna tanto quanto portava sensibile il peso di questa presenza così diversa da lui. Calvino vive in maniera drammatica questo dilemma:
“Ma sapessi quanto pesa su di me il logorio di vivere in un mondo limitato, in un mondo in cui occorre continuamente diffidare, difendersi, in cui occorre corazzarsi dell’amaro senso di chi è pronto a prendere dalla vita il male come il bene senza perdere la nozione della limitatezza d’ogni cosa”.
[HPT pag.51]
Calvino poi insisteva: “La ragione della mia incapacità a vivere in una famiglia è che le persone vicine occupano una parte tanto grande dell’orizzonte che la vista generale del mondo risulta turbata, e io mi contorco per vedere il mondo o sprofondando sotto le loro gambe o sporgendomi sopra le loro spalle.” [HPT pag.52], ma tutto ciò che aveva sempre pensato come un necessario elemento dell’amore, condizione ineliminabile e insieme auspicabile, il suo avere un principio e una fine, le sue dimensioni di racconto breve, ora lo fuggiva, lo trovava incompatibile col suo sentimento.
[NOTE]
94 Paolo Di Stefano, L’amore poi l’addio: non odiarmi ne Il Corriere della Sera 5/08/2004
95 ibidem
96 M. Corti, Un eccezionale epistolario d’amore in Vuoti del tempo, Bompiani, Milano 2003 p.146 (contenuto anche in G. Bertone, Italo Calvino: a Writer for the Next Millennium. Atti del Convegno Internazionale di Studi)
97 I turbamenti del giovane Calvino di Pasquale Chessa in Panorama del 16/08/2004
Eugenia Petrillo, Italo Calvino ed Elsa De Giorgi: l’itinerario di un carteggio, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2014-2015

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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