Riccardo Pacifici, rabbino capo della comunità israelitica di Genova, morto ad Auschwitz

“Riccardo Pacifici era rabbino capo della comunità israelitica di Genova, quando, nel novembre del 1943, venne deportato dai nazisti. Egli fu una delle personalità più notevoli fra gli ebrei italiani, negli anni fra le due guerre e nel periodo delle persecuzioni antisemite, e la sua tragica scomparsa fu per l’ebraismo italiano una gravissima perdita.
Nato a Firenze il 18 febbraio 1904, visse nella sua città fino alla conclusione degli studi; si laureò brillantemente in lettere nel 1926 e l’anno successivo conseguì il titolo di chakham ha-shalem, rabbino maggiore, presso il collegio rabbinico di Firenze, dove aveva avuto come insegnanti i rabbini Zwi Margulies, Elia S. Artom e Umberto Cassuto. Nel 1928 fu chiamato a Venezia a ricoprire la carica di vice rabbino della comunità israelitica di quella città, dove, giovane e dinamico qual era, diede impulso alla vita culturale ebraica.
Dopo essersi sposato a Pisa, il 24 agosto 1930 con Wanda Abenaim, che gli fu vicina, compagna intelligente e amorevole, in tutte le vicende della sua breve vita, si trasferì a Rodi, dove era stato invitato dalla locale comunità per assumere la direzione del collegio rabbinico. L’opera di educatore allora iniziata si confaceva in modo particolare alla sua personalità: insegnante eccellente, buon psicologo, sensibile e comprensivo di fronte ai problemi dei giovani affidati alle sue cure, svolse in quegli anni un’attività preziosa e si guadagnò una stima ed una fama che superarono largamente i confini dell’ambiente in cui viveva.
Resasi vacante la cattedra rabbinica della città, dopo la morte del gran rabbino Ruben Eliahu Israel, a lui fu affidata l’alta carica di gran rabbino di Rodi, che egli ricoprì, con capacità e con il senso di responsabilità che gli era proprio, fino al 1936. In quell’anno lasciò l’isola egea per trasferirsi a Genova,dove assunse la carica di rabbino capo e dove, profondamente stimato e amato dai correligionari e conosciuto nei vari ambienti cittadini per la sua forza d’animo e per la sua integrità, rimase fino al momento della sua deportazione. Morì ad Auschwitz (Polonia) il 12 dicembre 1943, come risulta dalla testimonianza scritta, resa nel 1951 da Enzo Levy (deceduto nel 1958), suo compagno di deportazione, che si trova presso il comitato ricerche deportati ebrei (lungotevere Sanzio 9 – Roma).
Dotato di una profonda cultura umanistica, maestro di dottrina ebraica, secondo la più bella tradizione rabbinica, educatore per vocazione, Riccardo Pacifici, durante i quindici anni della sua attività di rabbino e di insegnante, non trascurò mai gli studi e, nonostante le numerose preoccupazioni derivanti dall’adempimento dei suoi compiti, riuscì a portare a termine non pochi lavori, che costituiscono il frutto delle sue ricerche e dei suoi studi, come risulta dalla bibliografia che citiamo in calce.
L’uomo di cui oggi vogliamo ricordare la figura offrì a chi lo conobbe, a chi lo ebbe vicino, amico e maestro, un esempio di armonico sviluppo della personalità, esempio che non rimase senza echi significativi: oltre a tutti coloro che dal ricordo di lui e del suo insegnamento traggono ancora oggi un incentivo allo studio e all’azione, va ricordato che un suo allievo di Rodi, Moise Levi, uno dei pochissimi sfuggiti alle deportazioni e alle stragi effettuate nell’isola dai nazisti, divenne gran rabbino a Leopoldville (Congo).
Ma la sua tempra, il suo coraggio, il suo alto senso di responsabilità si rivelarono soprattutto durante gli ultimi anni che Riccardo Pacifici visse a Genova. Correvano tempi difficili, duri per tutti, ma soprattutto per gli ebrei; gli eventi di allora, di giorno in giorno sempre più gravi, fiaccarono non poche coscienze, molte ne costrinsero a ripiegarsi sterilmente su se stesse, alcune, solo alcune, ne rafforzarono, spingendole fino all’eroismo. Fra queste ultime va annoverata la personalità di Riccardo Pacifici.
Egli era allora il rabbino capo: di fronte alle crescenti difficoltà che si opponevano, come ostacoli quasi insormontabili, allo svolgimento della sua attività, tutta tesa al bene degli ebrei genovesi e di molti altri che giungevano profughi dai paesi d’Europa devastati dai nazisti, egli, anziché desistere dalla lotta, piegare il capo sotto il peso delle circostanze, seppe sempre trovare la forza per risolvere gli innumerevoli problemi che senza posa gli si presentavano.
Fin dal 1938 si dedicò con passione e con eccezionale decisione a risolvere il problema grave, ampio e quanto mai sfaccettato della educazione dei bambini, dei ragazzi e dei giovani ebrei, improvvisamente scacciati da ogni ordine di scuole, che correvano, in età critica e delicata, il rischio peggiore di sbandamenti dalle incalcolabili conseguenze: egli non soltanto si prese cura della scuola elementare già esistente (organizzata per ragioni logistiche nella stessa scuola pubblica di via Ricci), ma riunì intorno a sè un gruppo di docenti e diede vita a corsi di scuola media e superiore di tutti i gradi e, per i giovani ai quali era ormai preclusa la via degli studi universitari, organizzò, sia nei locali della comunità, sia in casa propria, numerosissime riunioni, con lo scopo, pienamente raggiunto, di aiutarli a veder chiaro nella loro coscienza, a formarsi una cultura, non soltanto ebraica, a diventare uomini consapevoli delle proprie possibilita’ e responsabilità. Il suo esempio di fermezza e di serenità fu luminoso: solo grazie alla sua attivita’ indefessa i giovani di allora, gli uomini d’oggi che lo ricordano con amore, seppero dare alla loro vita, nonostante tutto, un sano, giusto equilibrio.
Altrettanto impegnativo e altrettanto serenamente affrontato, fu per lui il problema dei profughi, che giungevano numerosissimi a Genova, sede centrale della delasem (delegazione assistenza emigranti): alcuni, pochi, restarono a Genova per un certo periodo, prima di riuscire ad emigrare in vari paesi extraeuropei, altri, la maggior parte, vennero raccolti in campi di concentramento nell’Italia meridionale. Il rabbino Pacifici aiutò moralmente e materialmente gli uni e gli altri senza risparmiare energie e le testimonianze di chi ebbe il suo appoggio in quel periodo sono numerosissime.
Dietro richiesta dei profughi stessi, dopo aver ottenuto il permesso del governo italiano, egli soggiorno’ per qualche tempo negli stessi campi di raccolta, specialmente a Ferramonti (per tre volte, marzo ’42, ottobre ’42, luglio ’43, come risulta dalla testimonianza scritta della sorella Giuditta Orvieto), offrendo agli internati la sua validissima assistenza morale e religiosa e aiutando, anche lì, i suoi fratelli ad organizzare scuole e biblioteche, affinché la vita culturale continuasse e quindi non si spegnesse quella forza d’animo che solo la lucidità dell’intelletto può tener viva. E la sua assistenza, anche da lontano continuò fino al momento in cui, con l’avanzare del fronte, le comunicazioni furono interrotte e i campi liberati dalle truppe di occupazione alleate.
In questa sua attività a favore dei profughi egli agì in collaborazione con altri dirigenti della delasem, in particolare l’Avv. Lelio Valobra, il rag. Raffaele Cantoni e il sig. Bernardo Grosser, i quali hanno reso delle ampie testimonianze.
Dopo l’8 settembre ’43, quando ormai pericoli sempre più gravi incombevano sugli ebrei, Riccardo Pacifici, nonostante le pressanti insistenze dei familiari e dei suoi collaboratori che, sapendo quanto egli si esponesse nello svolgimento della sua attività, volevano che si mettesse in salvo allontanandosi da Genova, non volle abbandonare la sua comunità. Accompagnò in Toscana i figli e la moglie (anche lei deportata, un mese dopo l’arresto del marito, da un convento fiorentino dove aveva trovato asilo) e subito dopo riprese il suo posto in mezzo agli ebrei genovesi. Continuò a prodigarsi per i suoi fratelli fino a quando una mattina di novembre, il tre, le SS tedesche fecero irruzione nella sinagoga, sorpresero il custode, sig. Polacco (deportato poi con tutta la sua famiglia) e lo costrinsero, sotto la minaccia delle pistole, a convocare telefonicamente in comunità, come se nulla fosse accaduto, il rabbino, i consiglieri, tutti gli ebrei che potevano essere rintracciati. Riccardo Pacifici cadde nella trappola e partì per la deportazione senza ritorno.
Un cippo marmoreo davanti alla sinagoga di Genova, una lapide nell’atrio della stessa sinagoga e un’altra lapide all’entrata del cimitero ebraico di Staglieno ricordano il nome e l’opera del rabbino Pacifici; ma soprattutto la sua memoria vive, egli vive per sempre in mezzo ai giovani, che tanto amò, fra i ragazzi della scuola ebraica di Genova, che dal 1945 è intestata al suo nome. Dal luglio 1966 il comune di Genova ha intestato al nome di Riccardo Pacifici una piazza nel centro cittadino.”

[Commemorazione di Aldo Luzzatto].

BIBLIOGRAFIA DI R. PACIFICI L’antico cimitero ebraico di S. Nicolo’ di Lido, in collaborazione con A. Ottolenghi, estratto dalla rivista “Venezia” , maggio 1929.
La dottrina della retribuzione nei profeti nel secolo VIII, estratto dalla rivista “Bilychnis” , Roma, 1930.
I regolamenti della scuola italiana a Venezia nel secolo XVII, in “Rassegna mensile Israel “, V (1930), fasc. 7-8, pag. 392.
Un gruppo di poeti ebrei italiani nel secolo XVIII, in “Idea sionistica”, II (1931), fasc. 4-5 (settembre), pag. 15.
Storia sulla vita degli ebrei di Rodi, in “Rassegna mensile Israel”, VIII (1933), fasc. 1-2, pag. 60.
Relazione generale del collegio rabbinico di Rodi, Rodi, 1935.
Le iscrizioni dell’antico cimitero ebraico di Venezia, Alessandria d’Egitto, 1936.
Il nuovo tempio di Genova, con illustrazioni e notizie storiche sulla comunita’ nei secoli XVII e XVIII, Genova, 1939.
Fatti e personaggi biblici alla luce del pensiero ebraico (antologia di Midrashim scelti e tradotti), Genova, 1943.
Vita e ordinamento interno della comunità di Genova nel secolo XVIII (opera postuma con prefazione di D. Lattes), in “Rassegna mensile Israel” , XIV (1948) , fasc. i, pagg. 25-36.

 

da Cultura-Barocca

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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