Risulta ancora più chiaro che Luti, già negli anni Cinquanta, oltre ad aver subìto il fascino di Svevo, ne è anche rimasto attratto dalla poetica

Nel corso degli anni Cinquanta matura da parte di Luti l’interesse verso un autore ancora poco studiato, Italo Svevo, del quale recensisce la nuova edizione di «Una vita» su «Il Mattino dell’Italia centrale» del 26 giugno 1956 <250. Nell’agenda del 1957 conservata presso il Fondo Luti, sono presenti numerosi appunti manoscritti che testimoniano il crescente interesse di Luti nei confronti dello scrittore triestino e al contempo forniscono anche le fonti usate da Luti nel corso dei primi studi. Si tratta principalmente di citazioni tratte da riviste: per Pagine sparse riporta citazioni tratte da «L’Indipendente» (22 novembre 1882; 2 ottobre 1883; 29 gennaio 1884, 8 marzo 1884, 2 aprile 1884, 23-24 maggio 1884, 14 agosto 1884, 18 settembre 1884, 11 novembre 1884, 22 dicembre 1884, 20 ottobre 1886, 20 marzo 1887, 23 giugno 1888, 25 dicembre 1889, 17 novembre 1890). In questi primi appunti vediamo come l’attenzione di Luti sia rivolta principalmente a due campi di indagine: i sogni “(I sogni) – Sogni di Natale – L’indipendente Trieste 25 dicembre 1889. Non ero tanto indifferente al reale da non sperare di vedere che un bel giorno questi sogni pigliassero corpo, un qualche nodo, divenissero veri avvenimenti reali e vere persone palpabili, ma quando mi avvedevo che i fantasmi non erano fantasmi (e dal loro punto di vista non avevano torto) mi confortava il pensiero di poter rifare i miei sogni in conformità al mio carattere mutabile, rifarli nuovi e variati” <251 e il fumo: “Il fumo – Zeno) Echi mondani – L’Indipendente Trieste 17 novembre 1890. Vedo che Jules Cloretie ha pubblicato un romanzo dal titolo La Cigarette. Non lo leggerò perché suppongo si tratti di una dimostrazione, per quanto un buon romanzo possa darla, dei danni che il fumo apporta all’uomo. Non lo leggerò perché tutti noi, i fumatori, siamo convinti che il fumo non ci fa bene e non abbiamo bisogno di venirne convinti, ma continuiamo a fumare perché… o anzi perché avendo il vizio e sapendo che resistette a molte fiere battaglie è da persona poco intelligente di andarmi a rattristire allo spettacolo della propria debolezza. Il fumatore è prima di tutto un sognatore, è il più misurato effetto del vizio che lo rende tale: un sognatore terribile che si logorerà l’intelligenza in dieci sogni e si ritroverà con l’aver costruita una sola parola… Chi conosce una sola giornata di un fumatore che spera la risoluzione di non fumare, non da più di tali consigli. Un tale fumatore si leva alla mattina nella ferrea risoluzione mordendosi le labbra e fino ad una data ora va ripetendosi la grande massima d’igiene di Carlo Dossi: “Invigilati” e la ripete anche avvertendo per la prima volta nella giornata un serio sospirare più aggradevole di quanto sperava credere. Un tale fumatore conosce per esperienza tutta la fisiologia del vizio, quelle ferree rivoluzioni interrotte da cadute inerti oppure a poco alla volta distrutte da transazioni vigliacche infine dimenticate con un allegro ragionamento filantropico: «che cosa vale la vita?» «Nulla» O dunque la salute e l’intelligenza parti della vita? Fumiamo in pace” <252. Fra tutti gli aspetti che hanno interessato Luti nell’analisi sveviana, il sogno e il fumo sono presenti già nelle prime fasi dello studio dell’autore, antecedenti alla fase dell’elaborazione saggistica e di una riflessione destinata alla pubblicazione. Svevo quindi come lo scrittore con il quale instaura da subito un rapporto che va ben oltre l’indagine letteraria e storiografica. Inizia a tratteggiarsi in questi anni un rapporto che è un bisogno, un rispecchiamento autobiografico, a cominciare dal segnale dell’irrinunciabile sigaretta. Fare letteratura, fare critica, studiare Svevo, corrisponde in Luti ad un tentativo di decifrazione del proprio io e del mondo circostante: “nella parola degli altri ciascuno cerca la ragione del proprio “corto viaggio sentimentale” […] e solo in essa trova una spiegazione plausibile […]. Il nostro lavoro non sarà dunque che la ricerca di parole valide per noi, nel nostro tempo; e in questa indagine sarà sufficiente aver individuato una traccia di noi stessi, delle nostre passioni, nei giorni in cui siamo vissuti” <253. Gli appunti proseguono sul romanzo La coscienza di Zeno, per il quale Luti riporta una serie di citazioni tratte dai Saggi critici di Debenedetti <254: “naturalismo sveviano (pp. 52-53) gusto del romanzo (p. 54) i luoghi e l’ambiente (57) disagio: il rapporto tra romanzo e autobiografia (59) le figure minori (62-65) il terzo elemento: l’elemento ebraico (59) […] Zeno – Finchè arriviamo a Zeno il quale si racconta in 1a persona (72) Zeno invece sente la propria autobiografia a quel modo che tutti sentiamo le nostre dall’interno….” <255. Si tratta di riprese funzionali alla preparazione di un proprio «Schema per la Coscienza», articolato in tredici punti: “1) La guerra come ragione del ritorno allo scrivere (1919) 2) Il senso del distacco, della autodrammaticità di cui troviamo il sentore chiaro in Svevo in una lettera del 1927 a Larband: Je suis surpris de voir comme dans ma vieuilleuse je me suis detaché de la vie 3) L’anima borghese (Poggioli) nel suo processo di ripiegamento interiore (l’assillo sociale si trasforma in un assillo esistenziale). Vedere il concetto di ottimismo e l’accenno polemico per il giudizio sulla condizione borghese. Il Poggioli (il vero protagonista è l’anima borghese) è da cercarsi nel capitolo sulla poetica borghese (polemica per Una Vita – Poggioli non la considera: in Senilità e nella Coscienza la condizione borghese diviene sempre più una forma mentis non lo era in Una vita. Inoltre l’anima borghese è generata nell’ultimo Svevo. 4) Estrema dissoluzione del tessuto narrativo per l’estremo prevalere analitico (la prima persona). 5) Di qui deriva l’estremo approfondimento dei motivi conduttori (vita – amore – dolore – vecchiaia) 6) Oltre queste logiche darwiniane si aggiunge un giudizio e ne deriva l’elemento fondamentale: il gusto ironico (ironia = giudizio = coscienza) > la conseguenza ultima della conquista introspettiva (valutazione delle alternative) 7) Le prove per questo cenno all’ironia (vita – viaggio); probabilmente le prove croniche: il malocchio, la buonissima moglie, forse una burla riuscita 8) Peso della psicanalisi nella struttura di Una vita (saggi) 9) Peso di Joyce (saggi) 10) Tempo narrativo 11) Memoria come senso evocativo 12) Ebraismo (De Benedetti). La condanna estremamente individualizzata. Abbiamo le pagine sparse che provano la visione 13) Peso del Corto viaggio sentimentale sulla linea della demolizione e sullo sviluppo ultimo (ironia) dei caratteri fondamentali” <256.
La coscienza di Zeno” interessa a Luti come apparente autobiografia di Svevo, come dimensione dell’inconscio a partire dall’affermazione del protagonista «Io sto raccontando una storia che non conosco bene». Il ritratto della coscienza borghese degli inizi del Novecento, un secolo attraversato da interessi scientifici, morali e filosofici, diviene, nelle pagine del romanzo, l’interprete della crisi dei valori degli intellettuali europei nel passaggio da Ottocento a Novecento e, in accordo con Giacomo Debenedetti <257, Luti ritiene che rispetto al romanzo ottocentesco, il romanzo di Svevo si affaccia, lasciandolo tuttavia aperto, al problema di trovare il senso dell’uomo nel presente. Attraverso il racconto delle zone oscure e segrete del proprio essere, Zeno smantella i canoni tradizionali del genere romanzo, scoprendo i suoi limiti nello stabilire un rapporto univoco nella convivenza dei diversi stati del proprio essere. L’introspezione, l’autoanalisi, la menzogna sono quindi prove per prendere coscienza dell’inettitudine umana. L’interesse per Svevo in Luti va oltre la sfera dei romanzi, è l’autore che vuole conoscere a fondo in ogni singolo scritto e ogni frangente della sua personalità. Luti conosce bene gli appunti raccolti in “Saggi e pagine sparse” <258, gli articoli pubblicati nella rivista «Indipendente» riguardanti problemi di critica letteraria e teatrale, oltre alle pagine raccolte da Livia Veneziani <259. Nelle pagine che precedono la stesura di “Una vita“, Luti individua la necessità da parte di Svevo di analizzare l’individuo nel rapporto con il proprio tempo attraverso l’uso dell’autobiografia come strumento di «proiezione dell’individuo socializzato in un tempo storicizzato» <260. Nel saggio La poetica di Svevo, pubblicato nel 1959 su «La Rassegna della letteratura italiana», Luti, partendo da una ricognizione degli scritti sveviani che precedono la stagione romanzesca, individua l’evoluzione della poetica sveviana e il ritratto definitivo del personaggio sveviano in uno scritto del 1886:
Infine a noi di quest’ultimo trentennio parve di fare soltanto il nostro dovere lasciandoci montare e disciplinare nella più feroce delle collettività. Ed è ben vero: in tale modo ad una data età nessuno di noi è più quello a cui madre natura lo destinava; ci si ritrova con un carattere curvo come pianta che avrebbe dovuto seguire la direzione che segnalava la radice, ma che deviò per farsi strada attraverso a pietre dure che le chiudevano il passaggio” <261.
È evidente l’intenzione di Svevo di spostare l’accento sulla situazione interiore dell’individuo che è vittima della situazione sociale e al tempo stesso vittima che potrebbe reagire alla personale situazione di inferiorità ed essere protagonista di un rinnovamento sociale. Luti ritiene che esistano tuttavia problematiche ben più profonde alla base di questa spinta al rinnovamento sociale, vale a dire la «solitudine essenziale dell’uomo di fronte al suo tempo» <262 e questo senso di solitudine Luti ritiene possa esser comunicato attraverso un progressivo approfondimento del personaggio, comprendendo che soltanto «mediante l’esasperazione dell’indagine, attraverso le reazioni individuali, si può cogliere la realtà, definire quella che è la fisionomia esistenziale dell’uomo, la sua funzione nel tempo» <263. Il saggio viene inserito da Luti, come ho già avuto modo di ricordare, all’interno della raccolta Italo Svevo e altri studi sulla letteratura italiana del primo Novecento <264. Dal confronto tra questa citazione e quanto detto da Luti all’interno dell’introduzione al volume: «Mi ha spinto a ripercorrere alcuni aspetti della formazione culturale dei nostri anni proprio la necessità di chiarire a me stesso la mia funzione, il “mio” significato nel “mio” tempo» <265, è ancora più chiaro che Luti, già negli anni Cinquanta, oltre ad aver subìto il fascino di Svevo, ne è anche rimasto attratto dalla poetica, in un’attrazione che non è soltanto lessicale o concettuale, ma totalizzante.
[NOTE]
250 GIORGIO LUTI, La nuova edizione di «Una vita», «Il Mattino dell’Italia centrale», 26 giugno 1956, p. 3.
251 Appunto presente sulla pagina di diario del 14 marzo.
252 Appunti presenti sulle pagine di diario 14-16 marzo.
253 ID., Italo Svevo e altri studi sulla letteratura italiana del primo Novecento, cit., p. 12.
254 Cfr. GIACOMO DEBENEDETTI, Saggi critici, Roma, OET Edizioni del secolo, 1945.
255 Trattandosi di appunti di studio inediti di Giorgio Luti, proseguo la trascrizione nella nota: «(L’ironia) L’ottimismo [termine sottolineato tre volte da Luti] riesce sempre sofisticato. Il tono dello Zeno è dato precisamente da questo ottimismo che, sapendosi sofistico, si mantiene tuttavia buono. Zeno ha l’aria di vergognarsi e di scordare tutte le malizie… comportandosi come se continuasse imprevedibilmente a credere che nella vita non ci siano regole e ordini, laddove non gli è riuscito mai di prendere atto che non ci sia un caos. L’eroe di Svevo è generato dalla sensazione fondamentale di uno scompenso tra l’orientamento che l’individuo dà alla propria vita e la curva che poi la vita descrive. Questi personaggi sono degli inetti consapevoli: distrutti prima ancora che dai risultati, dalla matura coscienza della loro inettitudine. Zeno nasce in un momento in cui il pessimismo di Svevo cerca piuttosto di vestirsi di giovialità che di cordoglio e si è dato apparenze più tranquille, quantunque si sia radicato a segno che non osa neppur più tentare una qualsiasi protesta o ribellione. La biografia di Zeno è la storia di tanti fallimenti successivi, che poi, per un caso cronico o per un capriccio la vita si incarica di rendere vantaggiosi. Zeno è la conseguenza degli altri personaggi di Svevo, per i quali tutta la vita è un male; conseguenza rincarata dall’ulteriore, cronica constatazione che non tutto il male viene per nuocere» (Appunti presenti sulle pagine di diario 27-29 marzo).
256 Appunti presenti sulle pagine di diario 1-3 aprile.
257 Cfr. GIACOMO DEBENEDETTI, Saggi critici, cit.
258 ITALO SVEVO, Saggi e pagine sparse, cit.
259 LIVIA VENEZIANI, Vita di mio marito, Trieste, Edizioni dello Zibaldone, 1950.
260 GIORGIO LUTI, La poetica di Svevo, «La Rassegna della letteratura italiana», LXIII, 3, settembre – dicembre 1959, pp. 435.
261 ITALO SVEVO, Saggi e pagine sparse, cit., p. 6
262 GIORGIO LUTI, La poetica di Svevo, cit., p. 436.
263Idem.
264 Idem.
265 GIORGIO LUTI, Avvertenza in Italo Svevo e altri studi sulla letteratura italiana del primo Novecento, cit., p. 12.
Erika Bertelli, Giorgio Luti. Studi e ricerche. La tradizione del moderno nell’Università di Firenze, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2018

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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