Riassunto analitico
Questo lavoro, suddiviso in cinque capitoli, ha lo scopo di focalizzare lâattenzione sullâimportanza della pratica dalla quale parte un apprendimento per scoperta che si avvale dellâesperienza accumulata tramite la sperimentazione.
Siamo, quindi, partiti da Dewey e dalla sua âscuola laboratorioâ (1896-1903), annessa allâUniversitĂ di Chicago, per vedere come trasporre in maniera attuale le sue sperimentazioni pratico-teoriche sulla cosiddetta âscuola attiva. Lâesperienza è un concetto chiave e diviene condivisa soprattutto grazie allâarte e al suo linguaggio universale, come John Dewey sostiene (1934). Anche Bruno Munari si avvale della progettazione, dellâarte e della pedagogia allâinterno dei suoi laboratori didattici per bambini, a partire dal 1977. Infatti per Munari tutto è progetto e la sperimentazione, come per Dewey, serve a produrre conoscenze. Gli artisti devono essere immersi nella societĂ e occuparsi dei problemi del loro tempo. A tal proposito crediamo che un esempio esplicativo attuale sia lâartista Michelangelo Pistoletto, in particolare grazie alla sua ideazione del simbolo del Terzo Paradiso che pone in connessione armoniosamente la natura e lâartificio e coinvolge le persone nel cambiamento responsabile della societĂ . Il contributo che penso di avere dato alla ricerca parte dal parallelismo tra i concetti del Terzo Paradiso e la pratica educativa reggiana, che giĂ li agisce quotidianamente nelle spontanee modalitĂ di apprendimenti dei bambini che si avvalgono sia della natura che dellâartificio, per esempio, con lâutilizzo delle nuove tecnologie. Inoltre, osservando la progettazione in tutti gli autori e contesti trattati, mi sono posta la domanda su come la figura del/la pedagogista può promuovere ed incentivare la progettazione artistica nelle scuole e nei vari servizi sociali ed educativi. La risposta che mi sono data è che il suo contributo può avvalersi di una progettazione flessibile, che si deve adattare ai contesti, nella quale sono importanti lâosservazione, lâanalisi dei contesti e dei problemi e lâimportanza di farsi e fare le giuste domande, generatrici di curiositĂ , riflessioni e apprendimenti. La documentazione, presa come esempio dal Reggio Approach, può essere unâottima valutazione formativa per portare avanti collettivamente le ricerche in corso. Occorre pensare in maniera trasversale e interdisciplinare, fuori e dentro la scuola, e non confinarsi in settori ben definiti, specifici ed invalicabili. Serve una collaborazione umana e disciplinare. I laboratori, cosĂŹ come lâimportanza dellâarte nel senso ampio del termine, non dovrebbero costituire episodi separati e sporadici ma continuativi allâinterno delle scuole e nelle altre istituzioni sociali ed educative. Essi si devono avvalere dellâimportanza del processo, piĂš che del prodotto, come giĂ Munari ci insegnava quando scriveva di distruggere quanto realizzato con i bambini per non âmitizzareâ (2013 [1977], p. 143). Lâarte, attraverso il coinvolgimento di tutti i sensi, lâacutizzazione della sensibilitĂ e lâavvicinamento tra le persone può diventare il vero agente del cambiamento attraverso il quale trasformare la societĂ . La progettazione, che pone al centro lâarte, andrebbe affrontata sin dalla prima infanzia come âallenamento mentaleâ e pedagogico che stimola il pensiero critico, al di fuori di insegnamenti mnemonici e pre-costituiti.
[…] Munari quando scrive riguardo alla conoscenza della realtĂ con rigore scientifico fa riferimento, per esempio, al libro di DâArcy Thompson Crescita e forma (Munari 2013 [1977], p. 174).
Il suo approccio è piĂš simile allo spirito orientale che a quello occidentale in quanto questâultimo studia le forme cosĂŹ come sono. Infatti è utile studiare le forme della natura mentre crescono e si evolvono.
La natura è in continuo mutamento e ha una coerenza formale tra le parti e il tutto (Munari 2015 [1981], p. 140). Câè un forte parallelismo tra la natura e lâartificio. Non ha senso fare la copia dal vero nelle scuole, ma bisognerebbe studiare la natura come faceva Leonardo che voleva capire perchĂŠ una determinata cosa aveva quella forma. Il corpo umano veniva da lui rappresentato come un meccanismo e doveva studiare il suo funzionamento. Grazie agli studi effettuati dava poi vita al suo progetto, nato dallâindagine sulla realtĂ (Munari 2013 [1977], p. 174).
La natura è la nostra vera maestra ed è lei ad insegnarci la progettazione. In natura forme, materie, colori, parti, tutto è strutturato secondo lâuso, la funzione e lâambiente.
Per tali motivazioni, secondo Munari, il designer dovrebbe prendere esempio dalle cose naturali per progettare gli oggetti artificiali.
Lâautore fa riferimento allâarancia e ai piselli come âassoluta coerenza tra forma, funzione, consumoâ (Munari 2017 [1966], p. 137). Contengono persino i semi per la produzione personale e âogni possibile variazione aumenta le possibilitĂ di vendita purchè le caratteristiche del prodotto rimangano inalterateâ (Munari 2017 [1966], p. 139). Non hanno decorazioni inutili e il colore è esatto (âin blu sarebbe assolutamente sbagliatoâ).
Nel corso di questa trattazione avremo modo piĂš volte di approfondire questo nostro tema cardine ovvero lo stretto legame tra la natura e lâartificio, (la natura e la cultura). Munari ne tratta ampiamente nei suoi libri, con esempi esplicativi. Grazie al suo metodo progettuale nel quale è fondamentale, come in Dewey, la sperimentazione, lâobiettivo del designer è quello di ottenere una ânaturalezza industrialeâ (Munari 2017 [1966], p. 126). La forma idonea nasce proprio dalla sperimentazione di materiali e tensioni. Inoltre è importante usare i materiali âper la loro natura, per le loro caratteristiche tecniche e (a) non usare il ferro dove sarebbe meglio il legno o il vetro dove sarebbe meglio la plasticaâ (Munari 2017 [1966], p. 124). La casa giapponese che ci descrive Munari è un ottimo esempio di come lâartificio, ovvero lâabitazione, è costruita grazie alla natura cioè sfruttando le proprietĂ del legno e utilizzando la carta. Ă importante però anche rispettare la natura utilizzandola. Lâideale sarebbe che artificio e natura convivessero lâuno nel rispetto dellâaltra. Noi non potremmo vivere senza natura. Se riusciamo a studiarla e comprenderla, oltre a darci la linfa vitale, ci può aiutare nel progettare adeguatamente anche le nostre abitazioni e i nostri oggetti di uso quotidiano.
La sequenza ideale del progetto di Munari è: definizione dello scopo e del fine della propria azione, sperimentazione di una forma o di unâazione in base alla funzione e allo scopo individuato, valutazione dellâefficacia dellâazione attraverso il limite dellâoggetto o del comportamento messi in atto. Sullâintero progetto si basa la sua stessa vita. Lo scopo della forma artistica, del design e della sua pedagogia (che successivamente tratteremo) passa attraverso la forma-funzione.
La straordinarietĂ di Munari sta nellâaffrontare creativamente il limite del proprio oggetto e della propria azione per entrare in territori inesplorati e tutti da scoprire e sperimentare. Le dimensioni fisiche e concettuali del reale sono flessibili e permettono di oltrepassare quelli che erano limiti che sembravano invalicabili.
Munari stesso non si può definire solo artista o designer o pedagogista.
Egli oltrepassa i limiti delle definizioni standard per confonderli e contaminarli diventando un creativo non piĂš definibile con unâetichetta (Meneguzzo 2000).
Munari rappresenta proprio lâintreccio tra la pedagogia, la progettazione e lâarte che stiamo affrontando in questo elaborato.
Anche Dewey ha trattato piĂš volte nei suoi scritti lâimportanza di uscire dai compartimenti âstandardâ della nostra vita e ha riflettuto su come essi siano frutto della nostra societĂ , per esempio quando erroneamente si separa lâarte bella dallâarte utile. Questâultima separazione è frutto di unâindustrializzazione crescente dove il lavoro nella catena di montaggio non consente lâentusiasmo e la partecipazione dei lavoratori che mantengono separati la mente e il corpo. âSe lâazione di un insegnante è tanto fluente da escludere la percezione emotiva e immaginativa di ciò che sta facendo, egli potrebbe facilmente essere considerato un pedagogo inespressivo e superficiale. Lo stesso vale per qualsiasi professionista, che sia avvocato o dottoreâ (Dewey 1934, trad. it. p. 257).
Dewey è, inoltre, dâaccordo con Munari anche sulla progettazione degli oggetti: âcâè qualcosa di armonioso in senso estetico in un pezzo meccanico che ha una struttura logica che lo rende adeguato alla sua funzioneâ (Dewey 1934, trad. it. p. 324). Gli oggetti, quindi, progettati e realizzati con la forma, i materiali e la tecnica giusta in base alla loro funzione diventano estetici e belli.
Secondo Dewey se i lavoratori non partecipano attivamente alla produzione e alla distribuzione sociale delle merci, interessandosi personalmente di ciò che realizzano, e non comprendono il significato e lâutilitĂ di ciò che fanno non potranno mai avere soddisfazione e godere della qualitĂ estetica dellâesperienza.
Quando vi è troppa incidenza e pressione dallâalto, nella scuola cosĂŹ come nel lavoro, non si riesce a sentirsi coinvolti nĂŠ nei lavori individuali nĂŠ in quelli collettivi. Vi deve, quindi, essere un cambio nella scuola cosĂŹ come nei servizi produttivi.
Lâintreccio che qui trattiamo non è solo tra la pedagogia, la progettazione e lâarte ma anche tra gli autori che stiamo affrontando e che affronteremo. Trovare i collegamenti ci aiuta a porre in evidenza come tutto è estremamente connesso in un mondo fluido che ancora, però, non è visto in questo modo da parte di tutti. Un approccio progettuale, pedagogico ed artistico che mette in evidenza il fare e il partecipare, attraverso cui si conosce e comprende, oltre alla stretta connessione tra la natura e lâartificio, ci fanno da guida per intraprendere tutti insieme un cammino allâinsegna di una societĂ migliore.
Munari è stato anche un artista nel senso comune del termine. Ha partecipato al movimento futurista (di seconda generazione), è stato un precursore dellâOptical Art ed ha fondato il Movimento arte concreta (MAC) insieme a Gillo Dorfles, Gianni Monet e Atanasio Soldati.
Il MAC proponeva una visione interdisciplinare delle arti: pittura, scultura, architettura e design. Ă stato, inoltre, uno dei protagonisti dellâArte Programmata e Cinetica. Non ha, però, mai amato le etichette e si è costruito nellâarco della sua vita un percorso del tutto personale caratterizzato dalla sperimentazione e dalla ricerca continua nel mondo piĂš propriamente artistico cosĂŹ come nel campo del design e dei laboratori didattici. Famose, tra le sue varie opere, sono, per esempio, le Macchine inutili che ha cominciato a realizzare a partire dal 1933. Sono forme geometriche dellâarte astratta liberate dal quadro e in equilibrio nello spazio. Lâaspetto significativo di queste opere è che aggiungono la componente ulteriore del tempo, oltre alla terza dimensione della scultura. Sono inutili perchĂŠ, spiega Munari, non producono beni di consumo materiale, non eliminano manodopera e non fanno aumentare il capitale (Munari 2017 [1966], p. 15). GiĂ in queste fragili opere vediamo lâuscita di Munari dalla commercialitĂ âin confronto alle altre opere fuse nel bronzo, destinate a rimanere per secoli nei museiâ (Munari 2017 [1966], p. 185). Secondo Munari dobbiamo uscire dallâottica del mito dellâartista, dellâartista divo âche produce capolavori solo per le persone piĂš intelligenti. Occorre far capire che finchè lâarte rimane estranea ai problemi della vita, interessa solo a poche personeâ (Munari 2017 [1966], p. 19). Lâartista deve essere âun uomo attivo tra gli altri uominiâ.
Per tali motivazioni abbiamo scelto lâartista Michelangelo Pistoletto che piĂš avanti tratteremo. Lâarte che âsi sporcaâ nella vita ci ricorda Dewey quando tratta della scuola che si deve interessare ai problemi reali e quotidiani. Questo è ciò che accade, in parte, nellâarte contemporanea. Munari afferma inoltre: âNon ci deve essere unâarte staccata dalla vita: cose belle da guardare e cose brutte da usareâ (Munari 2017 [1966], p. 19).
Il parallelismo con Dewey non è presente solo nel nostro collegamento riguardo alla scuola ma anche nelle parole stesse di Dewey allâinterno del suo Art as Experience. Sin dai primi capitoli di questo libro, infatti, Dewey tratta la problematica relativa alla separazione dellâarte dalla vita o, meglio, per riprendere il preciso termine dellâautore âdallâesperienzaâ. Occorre, invece, ripristinare la continuitĂ tra lâarte e la vita di ogni giorno (Dewey 1934, trad. it. p. 31). I prodotti che derivano dai diversi tipi di lavori dovrebbero sollecitare il senso estetico sia di chi produce che di chi usa il prodotto, ma spesso le condizioni del mercato sono molto differenti rispetto allâepoca degli artigiani. Sono diffuse le idee che pongono lâarte su di un piedistallo confinandola in musei e gallerie. Invece nelle epoche passate la recitazione, la musica, la pittura e lâarchitettura non erano legate ai teatri, alle gallerie e ai musei ma erano parte integrante delle attivitĂ umane.
Scrive Dewey: âUtensili domestici, arredamenti di tende e case, tappeti, stuoie, vasi, pentole, archi, lance, erano lavorati con una tale fine cura da renderli oggi ricercatissimi, tanto che a loro viene dato il posto dâonore nei nostri musei di belle arti. Eppure nel loro tempo e nel loro luogo specifico tali cose servivano a dare enfasi agli eventi della vita quotidiana. Invece di essere innalzati e posti in una nicchia isolata, erano parte dei modi in cui si
esibivano abilitĂ , si manifestava lâappartenenza a un gruppo o a una tribĂš, si veneravano gli dei, banchettando e digiunando, lottando, cacciando, in tutti i momenti topici che scandiscono ritmicamente il corso della vitaâ (Dewey 1934, trad. it. p. 34).
Allâepoca dei greci, sostiene Dewey, lâidea âdellâarte per lâarteâ non sarebbe stata compresa in quanto era parte integrante della vita sociale e delle principali istituzioni. Le ragioni storiche dellâisolazionismo dellâarte derivano dalla nascita del nazionalismo e dellâimperialismo: âOgni capitale deve avere il suo specifico museo di pittura, scultura, ecc., deputato da un lato a esibire la grandezza del suo passato artistico e, dallâaltro, a esibire il bottino acquisito dai suoi monarchi durante la conquista di altre nazioni; si pensi, ad esempio, ai cumuli di opere depredate da Napoleone che sono nel Louvre. Essi testimoniano la connessione tra la segregazione moderna dellâarte e nazionalismo e militarismoâ (Dewey 1934, trad. it. p. 35).
La crescita del capitalismo ha incentivato lo sviluppo dei musei e la separazione delle opere dâarte dalla vita comune. âIl collezionista tipico è il capitalista tipicoâ scrive Dewey (1934, trad. it. p. 36). Diventando le opere dâarte âarte bellaâ e nientâaltro, hanno perso il loro posto nella vita della comunitĂ e, non avendo piĂš connessione sociale, sono isolate dal contesto. Il mercato condiziona le opere che sono diventate di patrocinio economico di individui ricchi e potenti. Alcuni artisti sono diventati eccentrici proprio per enfatizzare la loro separatezza dalle forze economiche. Le filosofie dellâarte accentuano il carattere contemplativo dellâestetico. Da tutto questo ne deriva la
separazione tra lâarte con i normali processi del vivere, rispetto alle epoche passate (Dewey 1934, trad. it. p. 37).
Interessanti sono a tal proposito le osservazioni di Bellatalla nellâintroduzione alla traduzione italiana di Art and Education (1954 [1929], trad. it. 1977) di John Dewey nelle pagine XXXII e XXXIII dove cita anche le parole di Dewey tratte da Experience, nature and art (presente in Art and Education, nelle pagine 27-28): âOggi lâarte ha tradito il suo compito di agente fondamentale della democrazia; è diventata premio di classi oziose che, non contente di averla degradata, ne hanno fatto âuna industria commerciale, specializzata nella produzione di un genere di merci che sono vendute in mezzo a gente benestante desiderosa di mantenere uno status sociale riconosciuto per convenzioneâ [âŚ] Lâarte deve diventare educativa perchĂŠ non lo è ancora: non educa il lavoratore, che è pura appendice della macchina, cosĂŹ come non educa il ricco fruitore, che la giudica solo un mezzo per ottenere prestigio e non un mezzo per crescere in umanitĂ â.
I greci consideravano la progettazione delle opere dâarte come base per la distinzione dellâuomo dalla natura ma, allo stesso tempo, come modo per collegare lâuomo alla natura. La scienza veniva considerata come unâarte fondamentale per generare e utilizzare altre arti. Dewey ci spiega come âi feticci dello scultore negroâ venivano considerati utili dal suo gruppo tribale tanto quanto le lance e le frecce. Ora sono considerati arte bella e servono per ispirare il rinnovamento delle arti. Sono diventati arte bella, però, perchĂŠ allora lâartigiano aveva vissuto appieno lâesperienza quando li aveva prodotti, rendendola estetica. Secondo Dewey è questa la differenza: vivere completamente
lâesperienza del fare e del percepire conferisce lâaspetto estetico anche ad oggetti di uso quotidiano come scodelle, indumenti, armi e tappeti. Gli utensili attuali non sono belli non perchĂŠ ciò che è utile non è bello ma perchĂŠ âgran parte della produzione è diventata una forma di vita differita e gran parte del consumo è diventata un godimento di secondo grado dei frutti del lavoro altruiâ (Dewey 1934, trad. it. p. 52). Ogni volta che è possibile la continuitĂ con gli aspetti del vivere, al di fuori del consumismo, si ottiene lâunione realizzata di materiale e ideale nellâarte. Quando certe opere dâarte ci disturbano spesso è perchĂŠ non câè stata lâemozione nel realizzarle e il contenuto è
esterno e estraneo allâopera stessa (Dewey 1934, trad. it. p. 89). Se gli oggetti e le opere sono realizzati nellâottica del profitto probabilmente non ci trasmetteranno coinvolgimento. Anche Dewey tratta il design, proprio come Munari, quando scrive che gli oggetti delle arti industriali acquisiscono le loro forme in base ai loro usi e ai loro scopi. Quando essi sono frutto di unâesperienza vitale diventano estetici (Dewey 1934, trad. it. p. 130). Inoltre, come Munari, sostiene che la decorazione è âvuoto abbellimentoâ se ottenuta âper isolamentoâ. In questo modo si separano forma e sostanza mentre lâelemento decorativo dovrebbe far parte dellâoggetto come dellâopera dâarte, compenetrandovi (Dewey 1934, trad. it. p. 139). La distinzione tra arte utile e arte bella deriva dai greci perchĂŠ le arti utili venivano realizzate dagli schiavi e dai âvili meccaniciâ. Solo coloro che non usavano mani, attrezzi e materiali fisici venivano considerati artisti. La produzione di massa ha conferito una svolta alla separazione tra utile e bello. Secondo Dewey ogni oggetto e macchina ben costruiti sono forme estetiche quando sono parte di unâesperienza piĂš ampia (Dewey
1934, trad. it. p. 323). Inoltre Dewey sostiene che moltissimi oggetti considerati utili lo sono, in realtĂ , solo in superficie. Infatti la pratica è schiavitĂš e lâintervallo estetico solo un intervallo di tregua alla schiavitĂš. âLa degradazione del lavoro va di pari passo con la degradazione dellâarteâ (Dewey 1925, trad. it. p. 37).
Ciò che oggi viene ritenuto arte, per Dewey, ricade in tre categorie: 1) effusione emotiva, 2) sperimentazione di nuove abilitĂ tecniche, 3) quantitĂ come forma di industria commerciale da vendere a gente benestante per conferire loro uno status. Nessuna di queste tre, nemmeno se messe insieme, danno lâidea di arte bella. Processi e prodotti diventano eccellenti quando permettono un piacere rinnovato e sempre nuovi eventi soddisfacenti. In pratica la stessa
concezione dellâeducazione nellâottica di una sempre maggiore educazione. Scrive Dewey: âIl fatto è che lâarte, nella misura in cui è veramente arte, è unâunione del funzionale con lâimmediatamente godibile, dello strumentale con il perfezionato; ciò rende impossibile istituire una differenza di genere tra arte utile e arte bella. [âŚ] Creando un dipinto o una poesia, cosĂŹ come producendo un vaso o costruendo un tempio, la percezione è impiegata anche come mezzo per qualcosâaltro. [âŚ] La sola distinzione fondamentale è quella tra cattiva arte e buona arte. [âŚ] (e) si applica in eguale misura alle cose dâuso e alle cose belleâ (Dewey 1925, trad. it. pp. 40-42).
Per tali motivazioni occorre uscire dalle convenzioni e da quelle che vengono denominate âbelle artiâ, uscire dai musei per incontrare lâarte nella nostra vita quotidiana, arricchendola.
âLa distanza che il museo introduce tra lâoggetto artistico presentato e il visitatore è necessaria alla conservazione del primo. Ma questa è la ragione per la quale il museo è, in effetti, una âstranezza culturaleâ, una âmostruositĂ istituzionaleâ, cioè âl[a] peggior[e] condizion[e] immaginabil[e]â nella quale sperimentare la relazione tra lâoggetto artistico presentato e il visitatoreâ (Chiodo 2008, p. 14).
Chiodo nel suo testo Architettura formativa (2008) istituisce un parallelismo tra John Dewey e Nelson Goodman soprattutto per ciò che concerne la loro visione sullâarte e sui musei.
Secondo Goodman chi progetta uno spazio museale deve far agire il potere formativo delle opere, per esempio introducendo una galleria come estensione del museo nella quale i visitatori possono portarsi a casa opere con le quali vivere, anche se non sono i capolavori esposti. In questo modo lâarte entra nella quotidianitĂ .
Secondo Dewey, invece, il museo può avere una funzione educativa nellâinsegnare a vedere, soprattutto il design.
Ritroviamo nuovamente Munari nella sincronia dei pensieri con Dewey dove questâultimo sostiene che il museo assume una funzione educativa quando, pensando al futuro, continua lâestensione dellâarte nella vita quotidiana. Lâarte deve essere unâesperienza integrativa, punto di riferimento delle altre esperienze che neutralizza le separazioni rigide. Ogni articolo quotidiano può soddisfare lâocchio e lo studente di storia dellâarte è consapevole del fatto che le epoche nelle quali lâarte ha prosperato sono quelle dove si poneva particolare attenzione allâartigianato. Questâultimo, infatti, pone le basi per educare il gusto popolare. Con la produzione di massa câè stato un abbassamento del gusto popolare dovuto da oggetti brutti ed economici (Dewey 1937, trad. it. 2008).
Su queste riflessioni di Dewey ci chiediamo: nasce da questo lâamore odierno per il vintage? In ogni caso Dewey scrive che il design, nonostante si debba adeguare alla macchina, non significa che non possa produrre prodotti artistici.
Occorre non perdere il filo con la tradizione passata. Infatti uno dei problemi riscontrati con lâavvento dellâindustrializzazione è stato quello di apporre meccanicamente decorazioni ed ornamenti come appendici esterne, prive di significato. Bisogna invece non imitare il passato ma variarlo in modo originale rapportandosi ai contenuti specifici. I musei e le scuole aiutano gli artistidesigner a mantenere la tradizione innovandola.
Anche Dewey, come Munari, scrive riguardo al design strutturale sia degli oggetti che delle opere dâarte come relazione integrata di parti che formano un intero. Dewey fa specifico riferimento al Cooper Union Museum dove gli oggetti sono
stati disposti non secondo le periodizzazioni storiche ma secondo il design, per creare nuovi spunti. Periodi e luoghi differenti creano varianti sorprendenti nel design e la collezione di arti âminoriâ del passato allâinterno delle collezioni è fondamentale per i designer di oggi. Gli oggetti sono posti in relazione secondo le esigenze educative e la loro collocazione deve essere flessibile (come, vedremo, deve essere quella dellâatelier che tratteremo nel secondo capitolo) (Dewey 1937, trad. it. 2008).
Questa strutturazione del museo dal punto di vista educativo ci aiuta ulteriormente ad uscire dalla sacralitĂ dellâarte.
Munari, come Dewey, scrive: âQuando noi mettiamo sul mobile del soggiorno un antico vaso etrusco, che consideriamo bellissimo, ben proporzionato e costruito con esattezza ed economia, occorre anche ricordare che quel vaso aveva un uso molto comune, probabilmente conteneva lâolio per la cucina. A quei tempi il vaso dellâolio era fatto da un designer dellâepoca. Allora lâarte e la vita erano assieme, non câera un oggetto dâarte da guardare e un oggetto comunque da usareâ (Munari 2017 [1966], p. 20).
Secondo Munari, che si collega a Walter Gropius che nel 1919 fonda il Bauhaus a Weimar, lâartista deve essere utile alla societĂ e deve far sĂŹ che non esista una divisione tra il mondo nel quale viviamo materialmente e quello ideale nel quale ci rifugiamo moralmente. Quando sia lâambiente in cui viviamo che gli oggetti che utilizziamo quotidianamente saranno anchâessi opere dâarte raggiungeremo un equilibrio vitale (Munari 2017 [1966], p. 21).
Inoltre il bello deve sempre essere contestualizzato allâinterno di unâepoca. Scrive, infatti, Munari con la sua ironia pungente, divertente e canzonatoria: âSe volete poi sapere di piĂš sulla bellezza, che cosâè esattamente, consultate una storia dellâarte e vedrete che ogni epoca ha le sue veneri e che queste veneri (o apolli) messi insieme e confrontati, fuori dalle loro epoche, sono una famiglia di mostri. Non è bello quello che è bello, disse il rospo alla rospa, ma è bello quello che piaceâ (Munari 2017 [1966], p. 32).
Alessia Siligardi, L’intreccio tra la pedagogia, l’arte e la progettazione, Tesi di laurea, UniversitĂ degli Studi di Modena e Reggio Emilia, 2018