Ancora da adolescente, perché, per ormai perse ragioni, anche le tante mie scampagnate in bicicletta lungo la Val Nervia non ebbero mai una deviazione verso quel borgo, Rocchetta Nervina (IM), situata nella laterale del rio Barbaira – poco sopra Dolceacqua -, rappresentava per me un arcano mistero, nonostante la conoscenza di tante persone del luogo.
Alle piccole cose spesso si ritorna. Infatti. Chiedevo l’altra sera al mio amico, autore del sito Cultura Barocca, qualche delucidazione su un affresco del locale Oratorio. Ho avuto conferma che tramanda un importante episodio di storia medievale di Rocchetta Nervina.
La conversazione, come quasi sempre accade, scivola sullo scambio di qualche aneddoto. A me, per associazione di idee, allora torna in mente che mi sono avvicinato a quel borgo per la prima volta in occasione del primo personale esperimento di viaggio in motorino: senonché, ormai vicino a quell’abitato, rimasi in panne, da cui non avrei proprio saputo trarmi, se l’autista – pietoso – dell’autobus, lì vicino parcheggiato, non mi avesse spiegato che avevo inavvertitamente interrotto… l’alimentazione dell’olio.
Già vedendo questa porta, che nella mia memoria era quella anni fa di una stalla, mi é riaffiorato alla mente un aspetto di pregressa civiltà materiale. La mia famiglia si rifornì a lungo da un contadino del luogo di un delizioso olio d’oliva. Ed anche, per un primo periodo, di legna da ardere, perché quelli erano i tempi. Solo che, ancora alla svolta degli anni ’60 del secolo scorso, prima di dotarsi di furgoncino, quel signore, con cui poi tante volte scambiai saluti e impressioni in paese, faceva i suoi trasporti con un carretto trainato da un mulo.