Sull’archivio di Luciano Erba

Recensendo l’Oscar del 2002, Raffaele Manica, dalle pagine del “Manifesto”, dirà [in proposito di Luciano Erba] di una «continuità mossa dalla non appariscenza, una linearità che si avvolge senza darlo a vedere»; <15 se i processi della scrittura testimoniano uno sviluppo per variazioni su un tema cardine che resta stabile, l’immersione nell’ampia rassegna stampa collezionata e ordinata dal poeta restituisce la miriade di punti di vista da cui l’opera è stata guardata, illuminando con una pluralità di voci diverse almeno alcune delle anse in ombra. Il documento cronologicamente più alto è una breve citazione sul “Meridiano di Roma” dell’8 novembre 1942, dove l’autore, che si firma solo E., riporta la poesia “Ritorno dal mare”, con una rapida premessa sulle poesie di Erba: «Buone tutte. Alcune particolarmente buone. Questa, per esempio che, se non fosse guastata dall’ultimo brutto verso sarebbe molto bella […]». Gli altri ritagli, disposti in voluminosi raccoglitori o in più esili fascicoli, ciascuno dedicato a un’opera, tracciano un quadro dai contorni nitidi della storia della ricezione, essendo raccolte moltissime recensioni comparse sia in sedi prestigiose, sia su quotidiani o riviste di bassa tiratura o di diffusione solo locale; all’importante aiuto in sede di ricerca bibliografica – è infatti insolito trovare un repertorio tanto ricco e completo – si assommano poi le notizie di carattere biografico, perché sono conservati anche programmi di giornate di studio, inviti a convegni o ad altri eventi culturali che lasciano trasparire la multiforme attività svolta dal poeta.
Per fare un unico esempio fra i tanti possibili, fra le iniziative meno note, ma probabilmente più care al poeta, c’è la rappresentazione di una pièce sperimentale intitolata Il volo controvento del coleottero longicorne, elaborato a partire da dieci testi del “Tranviere metafisico” e messo in scena nel 1988.<16 In una cartella, custodita e conservata in ottime condizioni, si scoprono molti materiali usati nell’allestimento: dal manifesto all’ampia rassegna stampa dell’evento, che riscosse un buon successo di pubblico, fino ai pieghevoli pubblicitari, che riferiscono i nomi degli attori e dei professionisti che parteciparono alla realizzazione. Allestito fra le mura della chiesa di San Luigi Gonzaga di Novara, punto di partenza fin dal Cinquecento di una coreografica sacra rappresentazione e poi, nell’Ottocento, adibito a teatro profano, lo spettacolo sarà recitato da due interpreti, una delle quali è una ventiquattrenne Lucilla Giagnoni, poi affermatasi come attrice di vaglia. Malgrado non esista una sceneggiatura, dai copiosi resoconti comparsi sui giornali si può ricostruire una trama piuttosto semplice: due serve apparecchiano un evento, che dovrebbe essere la lettura della poesia, destinato però a non avvenire; nell’ultima scena, una delle due donne strappa i fogli destinati alla lettura, l’altra cerca, invano, di ricomporli. Il sipario cala mentre si ode l’inascoltato avvertimento del coleottero longicorne, che, come spiega una voce fuoricampo, in caso di pericolo vola controvento, emettendo un suono d’allarme per i compagni.
Venendo all’ultima serie del fondo, la corrispondenza, bisogna dir subito che la straordinaria importanza sotto l’aspetto storico-letterario dei carteggi intessuti da Erba è lampante e accertata dall’escussione di una messe considerevole di lettere relative a “Quarta Generazione”, di recente pubblicazione e utilissime a illimpidire il retroterra di questa antologia. Nel meritorio volume, non solo sono trascritti i carteggi con Anceschi e Chiara, ma sono riportate in nota dalla curatrice Serena Contini altre missive degli autori coinvolti, svelando così il reticolo di comunicazioni che soggiace al progetto e mostrando, come nota Luzzi, da un lato una fiducia incessante nella «centralità della poesia nella vita culturale del paese», dall’altro invece «la predominanza del criterio di valore su quello di opportunità».<17 Questo nodo di relazioni è solo uno dei tanti microcosmi di cui si compone la corrispondenza di Erba e sebbene lo scavo abbia già dato alcuni frutti, con vari studi sui rapporti con Sereni, Contini e Anceschi, la rete di contatti, molto ampia e percorrente in ogni direzione il Novecento italiano, è ancora in larga parte territorio inesplorato. <18
Fittissimi sono ad esempio i contatti con altri poeti, a cui Erba spediva, come testimoniano le liste inviate alle case editrici, copie omaggio delle sue opere, ricevendo in cambio biglietti e lettere di ringraziamento e, in alcuni casi, giudizi più o meno favorevoli. Oltre a Sereni, accenno soltanto alle lettere di Parronchi, Bigongiari, Zanzotto, Rossi, Raboni e Cucchi (con cui Erba era in contatto anche per ragioni editoriali). Volendo procedere con pochi affondi esemplificativi, si può partire dalla corrispondenza con Giorgio Caproni, che annuncia una sua recensione a “Il Prete di Ratanà”, pubblicata prima sulla “Fiera Letteraria” e poi con poche variazioni su “Vita”, in cui avvertirà il lettore «confuso e sfiduciato dall’inflazione nostrana» dell’uscita del libro, che s’inscrive nella genealogia lombarda di Solmi, Sereni e Anceschi, ammicca ai francesi Michaux, Char e Proust, e fonda la sua «diversa delicata trama orchestrale […] più sui fragili legni e sugli archi che sugli ottoni».<19 Altrettanto intriganti sono i contatti con Giorgio Orelli, incontrato a Friburgo nel 1944, poi membro della Quarta Generazione e ancor prima affiliato alla linea lombarda, che proseguiranno ben oltre il licenziamento dell’antologia del 1954, interrompendosi, almeno per quanto è conservato delle lettere, solo una decina di anni dopo.<20 Nelle missive del poeta ticinese si leggono giudizi positivi sulle poesie pubblicate nel primo “verri”, sebbene l’orecchio infallibile di Orelli noti, nella clausola degli Ireos gialli (Arriveranno fino ai fiori lontani / i pescatori senza ventura / i ragazzi in gita nella pianura!) un rientro in un tono medio, «sinisgallian[o] o postsinisgallian[o]», paragonando la rima a una tagliola; <21 pochi anni dopo, a cavaliere fra il 1963 e il 1964, spedirà anche all’amico, in quel momento negli Stati Uniti, una copia manoscritta di “A mia figlia”, sulle capre, appena composta e poi inclusa prima in una plaquette di Scheiwiller intitolata “Sei poesie” (elegantemente corredata da altrettante incisioni di Silvano Scheiwiller), e poi con titolo “A Giovanna, sulle capre” in “Sinopie”.<22
Anche fra le lettere di Giovanni Giudici si trova la copia manoscritta di una poesia, “Les aides au camping”, inedita al momento della spedizione e coronamento di un’amicizia inauguratasi il 5 giugno 1955, quando Erba, dopo aver apprezzato una recensione del corrispondente a “Quarta Generazione”, riceve “La Stazione di Pisa”. <23 La familiarità fra i due si rinsalda immediatamente, dato che solamente cinque giorni dopo la prima missiva, ovvero il 10 giugno, Giudici, oscillando fra il lei e un colloquiale tu, riconosce un’identità di vedute riguardo alla poesia e in specie sulla bocciatura senza appello di tanta parte dei versi dell’immediato dopoguerra. Più avanti, dopo l’invio di “Fiorì d’improvviso”, Giudici prova nel 1956 a ospitare Erba su “Mondo Contemporaneo”, la rivista dell’USIS (United States Information Service) che dirigeva a Roma e da cui stava per licenziarsi; dopo il rifiuto da parte della direzione di un contributo su Manzoni, chiede un intervento di sei o sette cartelle sulla disillusione di alcuni autori francesi, primo fra tutti Gide, nei riguardi del comunismo, ma anche questa ipotesi pare non andare in porto. La collaborazione sembra essere dovuta a una riconosciuta affinità, tanto che Giudici, in una lettera del 22 novembre 1963, ammette, pur nella diversità di metodi, una coincidenza di obiettivi, ovvero il riconoscimento di una «certa verità», equiparando gli onnipresenti miti della poesia erbiana ai suoi temi, visti però da una prospettiva rovesciata. A conclusione della corrispondenza, soltanto pochi mesi dopo, il 10 gennaio 1964, accompagnando la poesia, Giudici improvvisa anche una fulminante dichiarazione di poetica, anticipatrice della “Vita in versi”, titolo scelto, come racconta il poeta, già nell’ottobre del 1963:
“Non posso dirti di pioppi e di rogge – né calore di focolari, né canti – lontananti nella notte padana – non posso dirti serali sregolatezze – né alcoli né alcali – posso semplicemente un resoconto – in versi offrirti della mia vita delle sue giornate – dei suoi letali intervalli – domenicali. Niente male vero?, per essere così improvvisati”. <24
Sempre restando fra i contatti con poeti italiani, un’area d’interesse è quella cronologicamente circoscritta al quinquennio fra il 1955 e il 1960, periodo in cui Erba è coinvolto nella redazione dei primi numeri del “verri”. Oltre alle già citate poesie, comparse proprio sulla prima uscita del periodico, il poeta stringe relazioni con altri giovani, specialmente con quelli destinati a dar voce, di lì a pochi anni, alla neoavanguardia: per il lavoro editoriale si rivolge infatti a Nanni Balestrini, factotum della rivista, conosce Alfredo Giuliani, di cui però si conserva solo una missiva, mentre il dialogo allacciato con Edoardo Sanguineti proseguirà a lungo, almeno dal lato sanguinetiano, nonostante le gravi riserve espresse in molte occasioni da Erba sulla rottura avanguardista. Questi colloqui a distanza (e quello con l’arcifilologo arcimboldesco non è l’unico degno di nota), sebbene non debbano indurre a sospettare una sotterranea coincidenza di vedute, mettono in dubbio la percezione di separazione in consorterie dei letterati italiani negli anni sessanta e settanta: pur permanendo ragioni di dissenso poetico, letterario e politico, resta aperto un luogo di discussione e si profilano a volte inaspettate forme di collaborazione. <25 Come si diceva, sono percorsi ancora in larga parte inediti, questi della corrispondenza, che ancora attendono uno studio complessivo, specie sul versante editoriale e su quello dei legami stretti con altri critici letterari.<26
Riprendendo in chiusura una visione panoramica e guardando alla globalità delle carte, si può affermare che Erba, donando il suo archivio, consegni anzitutto l’immagine di uno scrittore attento a mostrare il progressivo modellarsi della poesia, sia attraverso i procedimenti materiali della scrittura, sia attraverso la via più tortuosa tracciata dalla rifrazione delle voci, commentanti su giornali o in dialogo personale tramite lettera. All’alternarsi di reticenza e intervento che caratterizzava l’Erba scrittore corrisponde però un archivio in chiaroscuro, lacunoso in alcune parti, in cui il vuoto è altrettanto attraente del pieno e dove l’impossibilità di dire sistematicamente una parola definitiva, in chiave filologica strictu sensu come anche più latamente in prospettiva storico-culturale, spinge, più che alla frustrazione, alla curiosità e all’esplorazione di sentieri poco battuti o addirittura incogniti.

[NOTE]

15 R. Manica, Lombardo senza rumore, in “il Manifesto”-“Alias”, 20 aprile 2002, p. 19. Questa immagine di una linearità che s’intrica è ripresa da Erba stesso, che dirà «la linea è sempre la stessa, anche con sensibili diversioni, per tornare poi allo stesso tracciato» (S. Aman, R. Taioli, Il cerchio aperto…, p. 609).
16 Lo spettacolo, promosso dall’associazione culturale Codice Atlantico, fu progettato e diretto da Bruno Macaro; le due attrici, novaresi, erano Marianna Cappelli e Lucilla Giagnoni; scene e costumi di Maria Teresa Castoldi e Valeria Piasentà; musiche di Paolo Pizzimenti e luci di Roberto Agostino e Carlo Tripolino. I rapporti con l’autore furono tenuti da Roberto Cicala, poi amico ed editore di Erba. La rappresentazione ebbe luogo fra il 24 e il 29 ottobre, una sera vi assistette anche lo stesso Erba, accompagnato da Vanni Scheiwiller, ed entrambi, stando alle cronache dei giornali del tempo e alla testimonianza diretta di Cicala, furono molto impressionati dalla riuscita dello spettacolo.
17 Gli anni di Quarta Generazione. Esperienze vitali della poesia. Carteggi tra Luciano Anceschi, Piero Chiara e Luciano Erba, a cura di S. Contini, prefazione di G. Luzzi, appendice a cura di F. Boldrini, Nuova Editrice Magenta, Varese 2014.
18 Per i rapporti con Anceschi cfr. anche A.S. Poli, «Un povero doppiopetto marrone». Lettere inedite di Luciano Anceschi e Luciano Erba, in “Testo”, XXXIII (2012), 64, pp. 77-91; della stessa autrice segnalo la tesi di laurea, al momento inedita, sul carteggio con Sereni e uno studio in corso sul carteggio con Scheiwiller. Per i rapporti con Contini, oltre al saggio di Prandi citato, si veda la sezione di Inediti e Rari, a cura di Annamaria Azzarone in questo numero.
19 G. Caproni, Ezra Pound e Luciano Erba, in “La Fiera Letteraria”, 8 novembre 1959, pp. 1-2; Id., Spazio poetico, in “Vita”, 19 novembre 1959. Entrambe le recensioni sono conservate nella serie dedicata alla Rassegna Stampa (ERB-02-09).
20 Il nucleo (con segnatura ERB-03-403) consta di quindici lettere (una delle quali consistente nella poesia A mia figlia, sulle capre, di cui si dirà), una cartolina illustrata e un biglietto (quest’ultimo funziona da coda alla corrispondenza, essendo datato 10 giugno 1980 e interrompendo un silenzio epistolare durato sedici anni, mentre la prima missiva risale al 18 aprile 1951). Per una ricostruzione complessiva delle origini del rapporto fra Orelli ed Erba si veda Quarta Generazione…, pp. 44-46, nota 23.
21 Cfr. la lettera, spedita da Bellinzona, del 12 aprile 1957, in cui si legge anche «Ma tutti e tre, gli ultimi versi, rientrano in una scoperta volontà di concludere, e così l’“arriveranno” costituisce una reiterazione diminutiva. “Arriveranno i ragazzi dove è fitta – la verzura dei fossi…”! qui c’è una “carica” così intensa che non sopporta, io direi, reiterazione. Il filo a sbalzo era così teso… Á part ça, una cosa forse ancora più bella e suggestiva della prima; che accresce il mio desiderio di leggerti […]».
22 La poesia allegata riporta la dedica «Trascritta per Luciano in America in guisa d’augurio per l’anno nuovo», in calce la firma, il luogo e la data: «Prato Lev[entina], dic. ’63». Rispetto alla versione che chiude nel 1964 la plaquette di Scheiwiller compare un’unica variante al quart’ultimo verso, dove si legge nel manoscritto «[…] osserva il compendio divino / della tenace pupilla» che diverrà nel volume «[…] osserva / la tenace pupilla». Il testo sarà poi riproposto in Sinopie con una lieve rimodulazione della punteggiatura e la sostituzione di «pino di Natale» con «albero di Natale».
23 La corrispondenza con Giudici (ERB-03-278) consta, nel suo complesso, di nove lettere, una cartolina postale, due biglietti, un biglietto postale e una cartolina illustrata. Il parere di Giudici sull’antologia curata da Erba e Chiara si legge in Quarta Generazione…, pp. 112-113 (ma si vedano anche, per altre vicissitudini del rapporto, le pp. 239-240); anche Chiara, in una lettera indirizzata a Erba, consente sul giudizio positivo a La stazione di Pisa (ibi, p. 117). La poesia Les aides au camping è riportata su un dattiloscritto nella forma che entrerà, l’anno successivo, in La vita in versi, accompagnato da queste righe: «Volevi una poesia? Grazie dell’insistenza. Ma tengo all’inedito, e quindi – finché non sarà pubblicata in Italia – è solo per te. Ne ho anche altre, non molte, ma questa pur non essendo la più importante è la più adatta a certi tuoi estri».
24 Stando alle parole di Giudici, è proprio alla fine del 1963, più precisamente in ottobre, durante un dialogo con l’amico Mario Picchi, che matura il titolo La vita in versi, sul modello di un libro che aveva avuto una certa fortuna quando frequentava il liceo, Chimica in versi di Alberto Cavaliere (cfr. G. Giudici, La vita in versi, Mondadori, Milano 1965, p. X).
25 Per quanto attesta la corrispondenza, Sanguineti (ERB-03-495) insisterà, sembra sempre senza costrutto, per pubblicare una poesia del corrispondente su “Marcatrè”.
26 A critici ben noti – come nel caso già citato di Contini – non di rado Erba era legato da legami di amicizia, dovuti anche al suo lavoro di professore; si segnalano, fra altre, le molte lettere di Renato Solmi, Stefano Agosti, Pietro Gibellini, Arnaldo Di Benedetto e Giorgio Luzzi. Ricchi di novità sono pure i carteggi con le case editrici, fra cui, oltre alla Magenta di Varese (diretta da Bruno Conti), pronuba di Linea Lombarda e Quarta Generazione, Guanda, Mondadori e Scheiwiller.


Federico Milone, Un archivio in chiaroscuro. Le carte di Luciano Erba al Centro Manoscritti di Pavia, “Autografo”, XXIV, 56, 2016, pp. 101-115.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Erba donò nel 2006 al Centro manoscritti di Pavia gran parte delle carte inerenti al suo lavoro letterario, una nutrita rassegna stampa e un folto epistolario. <1 Stava progettando, e provvedendo ad allestirla con l’aiuto della moglie Mimia, una seconda tranche di conferimento, quando le sue condizioni di salute peggiorarono e il tutto venne rimandato. L’archivio è dunque dimidiato, mai schedato organicamente nella sua interezza. Grazie alla disponibilità degli eredi, e della figlia Lucia in particolare, ho potuto compiere alcune ricognizioni, veri e propri carotaggi esplorativi in una mole disarmante di documenti non regestati. I materiali pavesi, analizzati recentemente da Milone, non sono che una punta emersa, molto “lavorata” nella razionalizzazione, rispetto al resto dell’archivio, certo scrutinato in gran parte da Erba, e quindi non “bruto”, ma a diverso coefficiente di entropia: Il corpus conservato è il risultato di una selezione accurata a cui è seguito, prima del conferimento, un ordinamento altrettanto rigoroso a opera di Erba stesso, coadiuvato dai suoi familiari, cosicché ogni supposta tendenza al disordine e all’entropia, forse presente sul tavolo di lavoro, viene arginata dal prevalere di un’organizzazione trasparente, anche se non eccessivamente rigida. <2 In seguito vennero presi accordi per completare il trasferimento al Centro manoscritti, <3 tuttavia la cessione venne rimandata più volte: le meritorie intenzioni di preservare la sintassi interna dell’archivio privato, conservandone la fisionomia originaria erbiana e, al contempo, l’idea di agire da filtro, vagliando con cura ogni documento e valutandone la “cedibilità” all’archivio universitario, sembrano allontanare indefinitamente il compimento del lavoro. <4 Forse perché è complesso sostituirsi al soggetto nell’allestimento dei materiali, spesso sfrondati o alleggeriti per dipingersi nella giusta luce: “La presenza, ma anche l’assenza, dei documenti, l’ordine o il disordine determinano l’immagine di sé che si vuole trasmettere, e contribuiscono alla costruzione di un monumento della propria vita. […] La cura maniacale con cui talvolta gli scrittori ordinano e riordinano i propri documenti rivela la volontà di disporli in modo che siano più facilmente reperibili e riutilizzabili. […] Ci sono casi in cui chi le ha prodotte legge e rilegge le proprie carte, le rielabora per documentare la propria storia, per lasciare testimonianza di sé e per aiutare futuri archivisti a orientarsi tra i materiali. Motivazioni pratiche e desiderio di immortalità si fondono, in modo difficilmente districabile, e rendono così l’archivio, come si è detto, non tanto uno specchio quanto un autoritratto, parziale e orientato come tutte le autorappresentazioni. <5
Restano per ora “sommersi” i profili dell’Erba studioso – molti i materiali didattici, le schede preparatorie, i ritagli di articoli culturali, le minute per conferenze – e dell’Erba traduttore. Su quest’ultimo ho scelto di focalizzarmi, ricercando il più sistematicamente possibile i materiali correttori dei testi poetici tradotti da Erba e ritrovandone buona parte, in sedi sempre differenti. Pur tagliando fuori alcuni cantieri traduttivi, <6 ho preso come riferimento il quaderno di traduzioni allestito dall’autore nel ‘91, “Dei cristalli naturali”, summa del suo lavoro fino a quel momento, per indagarne struttura e costituenti.
L’analisi dovrebbe idealmente comprendere tutto il materiale contenuto nello studio erbiano – posto che la suddivisione è spesso per nuclei concettuali e che, in una complanarità di cantieri, uno sguardo d’insieme potrebbe scandire meglio la cronologia interna o notare travasi fra i diversi progetti – scandagliando inoltre gli archivi editoriali o di autori in contatto e collaborazione con Erba; la cospicua biblioteca d’autore, con volumi sottolineati e postillati; la corrispondenza e il corpus di interviste e di recensioni: la rassegna stampa, latamente intesa. <7 Erba tende a conservare moltissimo, quasi maniacalmente (si rinvengono pubblicazioni locali con lettere di un Erba quindicenne che esprime soddisfazione per la villeggiatura montana, plichi di cronache di quando era giornalista sportivo, inviti a mostre o conferenze, dettagliati programmi di convegni, spesso coi menù dei ricevimenti…), tuttavia vi sono delle lacune – contingenti o per sottovalutazione di alcuni frangenti della propria produzione – concomitanti spesso con lunghe permanenze all’estero.
[NOTE]
1 I documenti sono schedati analiticamente sul sito ArchiVista [https://lombardiarchivi.servizirl.it].
2 Federico MILONE, Un archivio in chiaroscuro. Le carte di Luciano Erba al Centro manoscritti di Pavia, (101-115), “Autografo” [Traduzione e poesia in Luciano Erba, a cura di Maria Antonietta Grignani e Anna Longoni], 56, XXIV, 2016, p. 101.
3 Gli ultimi nel 2013, auspici la (allora) direttrice del Centro pavese, Maria Antonietta Grignani, e il Rettore dell’Università di Pavia, al tempo, Angiolino Stella.
4 Proverò a fornire in appendice un abbozzo di schedatura, giocoforza parziale per l’entità dell’impresa, dei materiali conservati in archivio privato: stante che, se la ricerca umanistica ha un senso, dovrebbe essere quello di mettere a servizio fatiche individuali per completare, tassellino per tassellino, catafratti mosaici.
5 Myriam TREVISAN, Autoritratti all’inchiostro (9- 20) in L’autore e il suo archivio, a cura di Simone Albonico e Nicolò Scaffai, Officina libraria, Milano 2015, pp. 10-11. E anche, ivi, Mario FUCHS, L’archivio letterario e la narrazione di sé tra dimensione pubblica e privata: l’esempio dell’archivio Filippini (127-142): «Una delle prospettive più feconde […] è pensare gli archivi di persona come “self narrative”. I documenti d’archivio testimoniano una “narrazione di sé” che il soggetto produttore, in parte consapevolmente, ha costruito per testimoniare la sua esperienza di vita e che può essere letta come un’autobiografia da ricomporre», p. 127.
6 Innanzitutto, ho escluso quelli prosastici: i testi in prosa tradotti da Erba sono principalmente manuali tecnici, negli anni ‘50, per sopravvivenza; saggi specialistici (cfr. Jean LALOUP e Jean NÉLIS, Uomini e macchine: iniziazione all’umanesimo tecnico, Massimo, Milano 1956); un corposo romanzo di Barth, in forte collaborazione con la moglie (cfr. infra) o brani per l’antologia Fabbri allestita con Bonfantini nel 1969 (Erba traduce in quest’occasione Barrès, Bergson e France, cfr. infra). Poi quelli teatrali: le due tragedie di Racine, Ester e Bajazet tradotte per il Meridiano del 2009 (Jean RACINE, Teatro, a cura di Alberto Beretta Anguissola, con traduzioni di Maurizio Cucchi, Milo De Angelis, Luciano Erba, Riccardo Held, Mario Luzi e Giovanni Raboni, Mondadori, Milano 2009). E anche quelli poetici esorbitanti dal quaderno di traduzioni, in parte redatti per l’antologia allestita con Cicala a tema natalizio (Natale in
poesia: antologia dal IV al XX secolo, a cura di Luciano Erba e Roberto Cicala, interlinea, Novara 2000) per cui tradusse Gautier, Claudel, Jacob, Reverdy; in parte per quella villoniana, stampata con litografie, in un in folio di pregio (Ballades et rondeaux, edizioni del Langello, Codignole d’Asti 1992); nonché alcuni testi tradotti in seguito (traduzioni di Neruda, Swenson, Hugo, Apollinaire). Una volta messe a punto alcune ipotesi sulla prassi traduttiva e correttoria di Erba, sul corpus più ridotto e omogeneo del quaderno di traduzioni di Erba, queste potranno essere verificate saggiandole su altri cantieri traduttivi e, al contempo, sulla variantistica di progetti coevi, di poesia “in proprio”. Segnalo a questo riguardo il contributo di Federico MILONE, L’«impercettibile trasalire del reale». Genesi e varianti di Il prato più verde (11-24), “Autografo” 56, XXIV, 2016 e la ricerca di Samuele Fioravanti, che nella sua tesi di dottorato, tuttora in corso, sta mettendo a punto un’edizione genetica commentata dell’Ippopotamo.
7 Erba conserva articoli e pubblicazioni che lo citano anche solo marginalmente e perfino cruciverba che abbiano il suo nome o una sua opera nelle definizioni.
Anna Stella Poli, Luciano Erba traduttore. “Dei cristalli naturali”: materiali d’archivio, struttura, composizione, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Genova, 2016

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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