Tema caratteristico di Bandini è il rapporto tra storia umana e historia naturae

Il presente lavoro di tesi si prefigge di analizzare l’opera poetica di Fernando Bandini, soffermandosi in particolare sulle raccolte comprese tra la silloge Pianeta dell’infanzia del 1958 e Memoria del futuro, volume riepilogativo della sua produzione giovanile pubblicato nel 1969 nella collana dello «Specchio».
L’opera di Bandini si inserisce in una fase di profonda crisi del linguaggio poetico, che arriva a coinvolgere l’istituzione stessa della poesia: pertanto nella trattazione ho cercato di descrivere l’evoluzione formale e stilistica della sua produzione, dal monolinguismo lirico delle sue prime raccolte, legate alla tradizione ermetica e ai modelli giovanili (da un lato Leopardi, Pascoli e Montale, dall’altro il simbolismo francese, da Rimbaud a Claudel), fino al plurilinguismo e allo sperimentalismo formale di quelle mature. Come notò Giovanni Raboni, nella poesia di Bandini la ricerca metrico-formale si lega in modo indissolubile alla realizzazione espressiva dei contenuti proposti, perciò nei vari capitoli oltre a un’analisi delle caratteristiche linguistiche e metriche ho approfondito anche la componente tematica, legata soprattutto a una continua riflessione sull’infanzia che negli anni offrirà al poeta lo sfondo simbolico dove rappresentare la sua inquietudine nei confronti della storia; altro tema sviluppato è il rapporto con Vicenza, che, da teatro delle sue lotte politiche e dei suoi «astratti furori», divenne un luogo sempre più irriconoscibile in cui sentirsi straniero, una «Aznèciv» da guardare con sospetto e rimpianto; emerge poi il desiderio di lasciare una testimonianza del proprio passaggio nella vita, di eternare il ricordo di singoli momenti sottratti allo scorrere incessante del tempo, aspetto che si collega a una continua riflessione sulla morte; infine tema caratteristico di Bandini è il rapporto tra storia umana e historia naturae, che si ricollega al pensiero leopardiano e pascoliano.
La tesi è strutturata su cinque capitoli, preceduti da questa introduzione in cui presenterò in breve il «trobar leu» di Bandini, la sua poetica basata sulla chiarezza dei contenuti e sul tentativo di innovare la poesia rimanendo fedele alla sua natura metrica e alla tradizione.
Il primo capitolo ricostruisce la giovinezza dell’autore e il suo apprendistato poetico: inizia con un breve sommario sulla propria infanzia (oggetto di continue rievocazioni nei componimenti) e sul primo avvicinamento alla poesia, segnato dalla lettura di Pascoli negli anni del collegio; prosegue con l’analisi del rapporto con l’ambiente politico e culturale della Vicenza del dopoguerra, che ne ha in parte influenzato letture e orientamenti. La trattazione passa poi all’esame dei primi testi pubblicati dall’autore, il componimento Una ruota la notte, apparso sulla rivista «Il Gallo» di Genova nel 1953, e la raccolta Pianeta dell’infanzia, compresa nell’antologia dei Nuovi poeti curata da Fasolo nel 1958. Risulta senz’altro interessante il recupero e la riproposizione della poesia Una ruota la notte, finora ignota alla critica, che offre una preziosa testimonianza della prima stagione poetica di Bandini, mostrando da un lato l’influenza rappresentata dai suoi modelli poetici, dall’altro la precoce fedeltà ad alcuni motivi che saranno caratteristici di tutta la sua produzione (in particolare lo stato di turbamento provato nell’infanzia durante la notte).
Il secondo e il terzo capitolo sono dedicati alle due raccolte pubblicate da Neri Pozza, In modo lampante (1962) e Per Partito Preso (1965). Il primo volume è caratterizzato da un monolinguismo ricco di pascolismi e montalismi (ma in cui si nota già un primo fiorire del dialetto) e dalla ripresa allusiva di moduli e strutture formali della tradizione, a cominciare dalla quartina rimata. Per Partito Preso testimonia invece l’inizio della stagione più interessante dell’autore, che si ricollega al più generale rinnovamento del linguaggio lirico in corso negli anni Sessanta: la sua poesia si fa sempre più sperimentale e «inclusiva», ricercando strutture formali capaci di adeguarsi alle nuove necessità espressive; ma, diversamente da altri poeti, in Bandini l’apertura a tematiche quotidiane e a un linguaggio spurio viene sempre risarcita da una «tensione dialettica» con elementi della tradizione. L’analisi formale della raccolta indaga il passaggio dall’uso allusivo del modello della quartina rimata alla sperimentazione di nuove soluzioni che si allontanano dalla metrica canonica, in particolare con l’adozione del versetto lungo o col ricorso esasperato a figure di ripetizione e accumulazione, fino alla citazione ironica di espedienti tecnici della neoavanguardia, specie sanguinetiani.
Legato a questo clima sperimentale è anche la composizione della poesia latina Sacrum hiemale, dedicata ai bambini ebrei morti nel lager di Terezin, al centro del quarto capitolo: scritta tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta, questo poemetto latino nel 1965 vinse addirittura il Certamen Hoeufftiano organizzato dall’Accademia di Amsterdam, dando inizio a una produzione «in lingue morte» (in latino e in dialetto) parallela a quella in italiano.
Il quinto capitolo infine è dedicato a Memoria del futuro, pubblicato nel 1969 nella prestigiosa collana dello «Specchio», che oltre a raccogliere una scelta della produzione precedente offre una sezione di inediti (Spade di legno). Il capitolo inizialmente ricostruisce il carteggio editoriale tra Marco Forti e Bandini, che oltre a fornire informazioni sulla genesi dell’opera contiene alcune interessanti dichiarazioni di poetica dell’autore, oltre ai giudizi editoriali dello stesso Forti e di Giudici. La trattazione prosegue poi con la vera e propria analisi del volume: dapprima si interroga sui criteri di selezione alla base della parte antologica e poi si sofferma sulla sezione di inediti Spade di legno, dove la voce dell’autore si fa più chiara, così come il suo intento di sperimentare rimanendo legato alla tradizione. In particolare sono oggetto di indagine alcune «operazioni decontestualizzanti» ricercate dal poeta mediante l’inserimento, in contesti anomali, di aulicismi, tessere letterarie (da Arnaut Daniel, Dante, Pascoli e Montale) o citazioni latine: diversamente da analoghi esperimenti dei Novissimi, nelle operazioni di smontaggio e ricomposizione di Bandini gli elementi della tradizione (ripresi in modo ambiguo e dialettico) non diventano materiale inerte, ma entrano direttamente a far parte del procedimento creativo.
Proposito di questo lavoro è riscattare la figura di Bandini da alcuni giudizi critici che ne hanno limitato l’importanza nel panorama poetico contemporaneo, giudicandolo un poeta appartato se non un tardo epigono di Pascoli. La produzione dell’autore vicentino è stata qui ricondotta al rinnovamento della poesia italiana che ha caratterizzato gli anni Sessanta, mettendola a confronto con le voci più interessanti di quel periodo: cogliendo suggestioni derivanti da un vivace campo letterario, ma anche attuando una ricerca personale che poteva contare su una raffinata sensibilità metrica forgiatasi sui classici, Bandini con Per Partito Preso e Memoria del futuro diede una propria risposta alle questioni centrali dell’epoca, dal rapporto con gli statuti metrici tradizionali al modo con cui aprirsi al linguaggio e ai temi della realtà, dal ruolo sociale dell’intellettuale alla funzione della poesia nel mondo neocapitalista. Ma diversamente da altri, il vicentino tentò sempre di superare la crisi che stava attraversando la poesia senza puntellare il proprio discorso di dotte acquisizioni provenienti da altre discipline (come la psicologia lacaniana per Zanzotto o il decostruzionismo per i Novissimi), rifuggendo da ogni oscurità e cercando nella stessa poesia «il trucco d’Arianna» per uscire dal «labirinto» <1.
1 F. Bandini, Zanzotto tra norma e disordine, «Comunità», a. XXIII, n. 158, maggio-giugno 1969, p. 83.
Stefano Tonon, Il “trobar leu” di Fernando Bandini, Tesi di Dottorato, Università Ca’ Foscari Venezia, 2014

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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