Tutta l’arte è un problema di equilibrio fra due opposti

Il rapporto di Pavese con le poetiche del realismo è uno dei nodi più interessanti e controversi della sua ricerca estetica. Realismo e naturalismo, e più esplicitamente il secondo, sono termini di confronto nell’elaborazione pavesiana di una nuova poetica narrativa che si risolve nell’intenzione, più volte attestata dal Mestiere di vivere, di giungere a un superamento di alcuni dei procedimenti letterari naturalistici, come per esempio la rappresentazione naturalistica del tempo discussa in una nota del 22 settembre 1938, dove la configurazione drammatica del tempo, secondo Pavese, si contrappone alla rielaborazione soggettiva del tempo pertinente al racconto: ‘Basta a volte, nella seconda riga, una pennellata naturalistica («faceva un tempo fresco, con un po’ di nebbia»), per provocare pagine e pagine di naturalismo implacabile, documentarie e non più narrate […]. Queste precisazioni […] servono […] nelle novelle insomma che hanno un taglio e una evidenza scenica e potrebbero venire recitate. Sulla scena infatti tutto accade documentariamente, e il décor e i gesti corrispondono alle descrizioni. Il vero racconto […] tratta il tempo come materia non come limite e lo domina scorciandolo o rallentandolo e non tollera didascalie che sono il tempo e la visione della vita reale’. <426
Questo superamento del realismo naturalistico si esprime in soluzioni narrative che non pervengono a una liquidazione del realismo naturalistico ma a un “irrobustimento letterario” del realismo stesso: «perché il realismo naturalistico-psicologico non ti basta? Perché è troppo povero» (MV, 230), annota Pavese il 2 ottobre 1941. L’obiettivo perseguito da Pavese è quindi una consistenza realistica del dettato capace di esprimere ulteriori profondità evocative. Discutendo le prose di Feria d’Agosto, Elio Gioanola mette in rilievo che la scena dell’incendio nel racconto Il mare «mentre conserva un’evidenza realistica assoluta, ha nel contempo il tono dell’evento mitico e irripetibile», e sottolinea che attraverso la «rete dei sottintesi e delle allusioni sempre presente in Pavese sotto il linguaggio espresso», «il realismo della vicenda e dei particolari è proiettato su una dimensione di profondità che ne garantisce la pregnante vita fantastica» <427.
Anche quando la riflessione teorica di Pavese valorizza il simbolismo, per esempio della letteratura statunitense, un legame con alcuni presupposti letterari e ideologici del realismo persiste nella rivendicazione di una ricerca poetologica che superi ogni elitismo letterario, che si concretizzi in una trasfigurazione del reale universalistica e popolare, come rivela lo studio del 1946 dedicato a American Renaissance di Matthiessen: ‘C’è un’evidente concordanza tra le poetiche dei cinque [scrittori statunitensi] e il gusto di Matthiessen: «il desiderio che non ci fossero crepe fra l’arte e le funzioni della comunità, che ci fosse unione organica tra il mondo dei lavoratori e la cultura». E più chiaramente: «In regime di democrazia non può esserci che una sola vera pietra di paragone del civismo, e cioè: quelle doti che voi possedete, le usate pro o contro il popolo?». […] Qui è la sostanza del nostro libro. Quell’esigenza di un’«unione organica fra cultura e mondo del lavoro» che […] forma il comune terreno morale dei cinque scrittori’. <428
Abbattuto idealmente il legame tra l’arte letteraria e un determinato status di classe, la contrapposizione tra realismo e simbolismo permane nell’antitesi tra una elaborazione letteraria volta a esprimere, rispettivamente, la materialità o la spiritualità del reale: ‘C’è qui tutta la differenza tra il «realismo» americano e quello di Europa. Nel ‘900, quando al tempo della seconda rinascita da cui abbiamo preso le mosse, si tornerà a parlare di «realismo» in consapevole derivazione dalla scuola francese, la cosa sarà più chiara: il realismo dei Lee Masters, degli Anderson, degli Hemingway, mirerà variamente all’uomo integrale, a quella seconda realtà che sta sottesa alle apparenze, mirerà a «nominare» le cose per liberarne la carica esplosiva spirituale, e per esso non sarà il caso di parlare di provincia o di tranche de vie’. <430
Tuttavia poco oltre Pavese riafferma quella coesistenza inestricabile di materialità e spiritualità che non consente alcuna scissione netta del simbolico dal materiale: il «nuovo simbolismo di Whitman e della sua generazione» consiste in «una diversa realtà verbale, una sorta di doppia vista per cui dal singolo oggetto dei sensi avidamente assorbito e posseduto irradia come un alone d’inattesa spiritualità» <431. Si tratta quindi di un «nuovo simbolismo»; Pavese commenta l’«organica immediatezza» degli autori studiati da Matthiessen, che si concretizza nel «gusto dei verbi d’azione che spesseggiano nelle loro pagine più immaginose e introspettive invece degli aggettivi e degli astratti»; i risultati di questa ricerca “simbolistica” riconducono sulla strada percorsa dalle ricerche stilistiche orientate verso il realismo – tanto che il discorso di Pavese sui «verbi d’azione […] invece degli aggettivi e degli astratti» ricorda l’esigenza rilevata da Gramsci di un «linguaggio […] espressivo senza pugni in faccia» (Q, 1738), di una «prosa vivace e espressiva e nello stesso tempo sobria e misurata» discussa – come nello scritto di Pavese su Matthiessen – in relazione al «rapporto o legame tra gli intellettuali e il popolo» (Q, 1739).
Pavese sottolinea che la concretezza materialisticamente realistica e l’esito spiritualmente simbolico, in questo contesto di ricerca poetologica, procedono di pari passo: ‘Questa forza cinetico-funzionale è il felice risultato di una più ampia ricerca teorica. Concepito l’universo come l’emersoniana e whitmaniana miniera di emblemi o di fatti assoluti che il nuovo Adamo deve soltanto nominare, evocare, per far rivivere […] è chiaro che quanto più riccamente e variamente si esprimerà la vita dei sensi, tanto più profondo e comprensivo risulterà il panorama, la selva spirituale che vigoreggia e preme dentro per uscire alla luce’. <432
Sia nel senso della proiezione democratica dell’atto di comunicazione letteraria, sia nel senso della resa letteraria della realtà materialmente intesa (spiritualmente complicata quanto si vuole) i legami poetologici con il realismo che il discorso pavesiano su Matthiessen evidenzia sono significativi. Un esempio della persistenza di questo legame si può cogliere nello scritto di Pavese su Robert L. Stevenson del 1950, che propone una presa di distanza dallo scientismo del naturalismo francese, senza che ciò implichi in alcun modo la tentazione di «sfuggire ai fatti»: ‘Dissociare lo stile «veristico» del suo tempo dal programma di pseudo-scientifica inchiesta sociale […] nonché dal gusto decadente della sensazione scopo a se stessa […] fu un gesto rivoluzionario e ricco d’avvenire. […] di qui […] comincia la scrittura più valida del nostro secolo – il rifiuto di cercare la poesia nel documento brutalmente umano da una parte, e dall’altra la condanna di ogni estetismo che tenti di sfuggire ai fatti’. <433
Tracciato un quadro utile per aver presente la complessa articolazione del problema del realismo nella narrativa pavesiana, si può prestare attenzione alla citatissima nota retrospettiva del Mestiere di vivere (17 novembre 1949) dove Pavese interpreta quattro dei suoi romanzi come «ciclo storico» del suo tempo, un brano che la critica ha troppo spesso sottovalutato: ‘Hai concluso il ciclo storico del tuo tempo: Carcere (antifascismo confinario), Compagno (antifascismo clandestino), Casa in collina (resistenza), Luna e i falò (post-resistenza). Fatti laterali: guerra 15-18, guerra di Spagna, guerra di Libia. La saga è completa’ (MV, 375).
Pavese rivendica di aver «concluso il ciclo storico» del suo tempo, con una copertura cronologica e sistematica delle tematiche storiche, sociali e politiche da far concorrenza a un Balzac, o a uno Zola; come ha acutamente sottolineato Calvino a proposito della rappresentazione delle classi sociali ne La luna e i falò, «lo sfondo sociale delle valli di piccola proprietà arretrata è qui rappresentato nelle valle classi col desiderio di completezza d’un romanzo naturalista (cioè d’un tipo di letteratura che Pavese sentiva tanto opposta alla sua da credersi in grado di aggirarne e annettersene i territori)» <434. Il critico statunitense Brian Moloney, nel suo studio Pavese as Historian: “La luna e i falò”, ha impugnato il brano pavesiano sopra citato nella sua polemica con Gioanola, il quale legge Pavese come uno scrittore caratterizzato dalla
‘drammatica partecipazione all’occidentale “essere per la morte” heideggeriano […] uno scrittore il cui interesse è per l’ambito individuale e ontologico, non per il sociale o lo storico. Se Pavese è, nelle parole di Gioanola, uno dei pochi “scrittori pensanti” nella storia della letteratura italiana, le cui opere sono accompagnate da acute riflessioni che indagano sugli obiettivi e le tecniche di quelle opere, sarebbe stato prudente prendere sul serio la sua rivendicazione di aver scritto la storia del suo tempo’. <435
Nonostante Moloney a sua volta sottovaluti il ruolo della Storia nelle prime opere narrative di Pavese, tuttavia rivendica ai critici statunitensi e inglesi il merito di aver individuato, chiaramente e per tempo, che le opere del Piemontese «hanno una dimensione sia sociale sia esistenziale» <436. Effettivamente, come rileva Antonio Catalfamo discutendo il saggio succitato di Moloney, «è significativo che la “doppia
dimensione”, sociale ed esistenziale, delle opere pavesiane, soprattutto dell’età matura, sia stata riconosciuta dalla scuola critica anglosassone, di solito incline ad analizzare i testi prescindendo dai contesti» <437. La strada percorsa da Catalfamo per rendere ragione della dimensione sia simbolica ed esistenziale sia realistica e sociale della letteratura pavesiana conduce alla lezione del modello dantesco:
‘Pavese fa tesoro della lezione dantesca, contenuta nella lettera a Can Grande della Scala, secondo la quale, al di sotto del significato simbolico, il significato letterale conserva la sua autonomia. Attraverso l’analisi della realtà storico-sociale, Pavese giunge ad elaborare compiutamente la teoria del mito come destino’. <438
Il riconoscimento della compresenza nella scrittura di Pavese di un piano realistico e di un piano simbolico è l’unico percorso che può dar conto sia della resa letteraria verificabile sui testi, sia delle chiare indicazioni poetologiche attestate nel Mestiere di vivere, dove Pavese, nella nota del 10 dicembre 1939, parla di «epiteti che ricompaiono nel racconto e ne sono persone e s’aggiungono alla piena materialità del discorso; non sostituzioni che spogliano la realtà di ogni sangue e respiro»; nella stessa nota, a conferma della pertinenza del riferimento a Dante su cui insiste Catalfamo, Pavese afferma che «parallelo di questo mezzo […] è […] l’immagine dantesca» (MV, 165). Nella nota del 14 dicembre dello stesso anno Pavese condensa in una formula aforistica la compresenza ineludibile di realismo e simbolismo che caratterizza la propria ricerca poetica: «ci vuole la ricchezza d’esperienze del realismo e la profondità di sensi del simbolismo. // Tutta l’arte è un problema di equilibrio fra due opposti» (MV, 166).
[NOTE]
426 CESARE PAVESE, Il mestiere di vivere. 1935-1950, edizione condotta sull’autografo a cura di Marziano Guglielminetti e Laura Nay. Nuova introduzione di Cesare Segre, Einaudi, Torino (1952) 2000, pp. 118-119; da qui in avanti siglato MV.
427 ELIO GIOANOLA, Cesare Pavese. La realtà, l’altrove, il silenzio, Jaka Book, Milano 2003, p. 20.
428 C. PAVESE, Maturità americana, «La Rassegna d’Italia», dicembre 1946; cito da ID., Saggi letterari, Einaudi, Torino 1968, p. 161.
429 Ibidem.
430 Ivi, p. 165.
431 Ivi, 166.
432 Ivi, p. 164.
433 C. PAVESE, Robert L. Stevenson, «L’Unità», ed. di Roma, 27 giugno 1950; ora in ID., Saggi letterari, cit., pp. 192-193.
434 I. CALVINO, Pavese e i sacrifici umani, «Avanti!», 12 giugno 1966; ora in ID., Saggi 1945-1985, cit., vol. I, p. 1232.
435 BRIAN MOLONEY, Pavese as Historian: “La luna e i falò”, in «Sotto il gelo dell’acqua c’è l’erba». Omaggio a Cesare Pavese, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2001, p. 135; qui e in seguito traduzione mia.
436 Ibidem.
437 ANTONIO CATALFAMO, Cesare Pavese. La dialettica vitale delle contraddizioni, Aracne, Roma 2005, p. 278.
438 Ibidem.
Giovan Battista Di Malta, Modelli letterari russo-sovietici del romanzo neorealista: Pavese, Calvino e Viganò (1938-1949), Tesi di di Dottorato, Università degli Studi di Cagliari, Anno Accademico 2010-2011

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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